Chiesa di Milano
Questa mattina, l’Arcivescovo di Milano, il cardinale Angelo Scola, ha ricevuto Sua Santità, il XIV Dalai Lama, Tenzin Gyatso. Il Dalai Lama è arrivato in Arcivescovado alle 10.14, ha salutato il cardinale Scola che lo attendeva nel cortile dell’Episcopio e gli ha fatto dono del kata, la sciarpa bianca simbolo di buon auspicio. Quindi il Cardinale e Sua Santità, insieme alle loro delegazioni, hanno avuto un colloquio nella sala d’onore del Palazzo Arcivescovile al termine del quale l’Arcivescovo di Milano ha regalato al Dalai Lama una riproduzione della Madonnina del Duomo.
Di seguito il saluto, in italiano e inglese, del cardinale Angelo Scola, arcivescovo di Milano, a Sua Santità, il XIV Dalai Lama, Tenzin Gyatso.
Di seguito il saluto, in italiano e inglese, del cardinale Angelo Scola, arcivescovo di Milano, a Sua Santità, il XIV Dalai Lama, Tenzin Gyatso.
di S. Em. Card. Angelo Scola, Arcivescovo di Milano
Santità,
La sua presenza a Milano e il suo insegnamento sono una benedizione. Permettono alla nostra città, che sta ancora raccogliendo i frutti di EXPO 2015, di non dimenticare il grande compito che uomini e donne delle religioni hanno consegnato a quell’evento: ricordare all’umanità che senza cibo spirituale non c’è futuro per la vita. Non di solo pane vive l’uomo, abbiamo detto tante volte assieme, proprio per ricordare al mondo la necessità per ogni essere umano di coltivare il mistero che ci abita. Sono sicuro che le sue parole in questi giorni saranno un dono che sostiene e potenzia questo annuncio, rivolto soprattutto a noi, abitanti di un mondo, l’Occidente, che si scopre sempre più triste per lo stile di vita consumistico che si è dato, e del quale si sente ormai prigioniero.
Ci troviamo qui questa mattina a scambiarci i nostri saluti e i nostri auguri di pace, e sappiamo che questa è una condizione di privilegio: ci sono luoghi nemmeno troppo lontano da noi che nello stesso momento soffrono e vivono il dramma della violenza e della guerra. A loro va innanzitutto il nostro pensiero e il nostro impegno: come religioni non possiamo non testimoniare la nostra voglia di pace, il nostro desiderio di incontro e di dialogo, il nostro impegno per il riconoscimento e il sostegno reciproco. A coloro che pensano di scrivere il futuro della storia con le armi della violenza, magari anche invocando in modo menzognero il nome di Dio, questo nostro incontro intende ricordare che la vera arma capace di darci futuro è la preghiera: così insieme portiamo il nostro contributo reale ed operoso per un futuro di pace, per un mondo di pace.
Proprio nella preghiera ogni persona umana trova la condizione per conoscere veramente se stessa, per scoprire la profondità del mistero dentro il quale siamo immersi. Insegnare la meditazione, ma soprattutto aiutare attraverso la meditazione a scoprire il vero cuore dell’uomo, è questo un ulteriore compito che ci vede vicini ed alleati. Percorrendo questa via troveremo la sorgente della vita, che è l’amore, che è la compassione per il mondo. E’ questa la via che le religioni hanno sempre percorso per giungere alla scoperta dell’ecologia, quella che noi definiamo integrale, che mette al centro la cura per ogni essere umano, senza dimenticare i suoi legami con gli altri esseri viventi, con il pianeta e con l’universo.
Prendersi cura della nostra casa comune, il mondo; prendersi cura e custodire il mistero che ogni persona umana è per tutte le altre, invogliare ad una vita sobria e capace di ricercare il mistero dell’amore e della compassione che ci abita: sono proprio tanti i passi che possiamo fare, e che a Milano abbiamo imparato a percorrere insieme in questi dieci anni di vita del Forum delle Religioni. La sua presenza in questi giorni, Santità, è sicuramente un incoraggiamento a procedere ancora più spediti in questo cammino di dialogo e di annuncio al mondo.
Milano, 20 ottobre 2016
http://ilsismografo.blogspot.it/2016/10/italia-il-cardinale-scola-ha-ricevuto.html
Oh Dio, il Dalai Lama!
Tutte le grane politiche, religiose e inter-religiose della cittadinanza onoraria a Sua Santità tibetana
di Maurizio Crippa | 20 Ottobre 2016
Fu di mattina presto che Beppe Sala si scapicollò a Linate per salutare, in forma privata, il XIV Dalai Lama Tenzin Gyatso. Pure Letizia Moratti, nel 2007, aveva optato per quella sorta di campo neutro che sono gli aeroporti per salutare Sua Santità. Troppo forti le pressioni del governo e della potente comunità cinese di Milano. Rispetto ai tempi della Moratti, il fastidio diplomatico per il sindaco è maggiore: la grana – pure questa – gliel’ha lasciata in eredità Giuliano Pisapia. L’idea di consegnare le chiavi della città al leader spirituale tibetano in esilio nasce da una delibera dal precedente Consiglio comunale, e nel 2012 Pisapia consegnò al leader religioso il Sigillo di Milano. Pacta sunt servanda, ma ieri mattina, al Teatro Arcimboldi, location prestigiosa ma defilata, a conferire al Grande Oceano di Saggezza la cittadinanza onoraria c’era il presidente del Consiglio comunale, Lamberto Bertolè. Beppe Sala si ricorda quanto fu vicino il rischio che la Cina si ritirasse dall’Expo per la questione della cittadinanza, e ha scelto la via più saggia.
ARTICOLI CORRELATI A chi parla Beppe Sala sull’immigrazione Il Dalai Obama Il Pd milanese caccia Daniele Nahum. AhiAvrebbe rimandato volentieri la grana, se l’Istituto di studi di buddhismo tibetano Ghe Pel Ling non avesse invitato in città il santo Nobel per elargire “i suoi preziosi insegnamenti”. La prudenza ha pagato relativamente, ieri mattina fuori dagli Arcimbolidi c’era la prevista contestazione della comunità cinese e dall’ambasciata di Pechino a Roma sono giunte critiche secche: “Il fatto che il Consiglio comunale di Milano, le altre istituzioni e persone siano presenti con connivenza alla visita del Dalai Lama a Milano e conferiscano a lui la cittadinanza onoraria, ha ferito gravemente i sentimenti del popolo cinese”. Spendendo per via trasversale la sua autorevolezza, qualche giorno fa il Corriere aveva evidenziato in prima pagina un articolo di Dario Di Vico, elogiativo dell’integrazione e del valore economico della presenza della comunità cinese a Milano. Sulle pagine milanesi di Repubblica era invece filtrata l’ipotesi, non confermata, secondo cui Sala avrebbe potuto chiedere di incontrare il Dalai Lama in Arcivescovado, assieme al cardinale Angelo Scola. Non una grande idea, e non se n’è fatto nulla. Anche perché l’incontro tra l’arcivescovo e il leader spirituale tibetano non è diplomaticamente la cosa più neutrale del mondo.
Ieri mattina alle dieci, il Dalai Lama era nel cortile dell’Episcopio. Il breve incontro con l’arcivescovo e i vertici della chiesa ambrosiana – nel segno della pace e dell’ammonimento post-Expo che “che senza cibo spirituale non c’è futuro per la vita” (Scola) – è stato caloroso, ma non privo di spigolature sotto traccia. “Il Vaticano è molto preoccupato per la sorte di alcuni cristiani in Cina. E io non voglio creare nessun problema”, ha risposto il Dalai Lama ai giornalisti. La domanda riguardava il fatto che Papa Francesco ancora non lo abbia ricevuto. E al recente incontro inter-religioso di Assisi, la segreteria di Stato vaticana ha dimenticato di invitarlo. Si sa che Bergoglio sta cercando di tessere i migliori rapporti politici con Pechino, si sa che nella chiesa (non solo cinese) non tutti apprezzano una linea che sembra sconfessare l’eroismo dei cattolici cinesi perseguitati da decenni dal regime comunista. L’accoglienza di Scola è un fraterno segnale in controtendenza.
A Milano ci sono pure buddisti “eretici” per nulla contenti della visita. Sono gli adepti del Dorje Shugden, il “Fulmine Poderoso”, uno spirito-guardiano del quale “il Dalai Lama ha espressamente sconsigliato il culto”. Una disputa teologica vecchia di 300 anni. Ma secondo l’esperto Antonio Talia, in un interessante articolo su Pagina99.it, la disputa ha da tempo risvolti molto politici. Talia cita anche un’inchiesta di Reuters secondo cui i fedeli del Fulmine Poderoso sarebbero sostenuti da Pechino. Ogni religione ha i suoi patrioti.
http://www.ilfoglio.it/ripa-del-naviglio/elenco-articoli___3-r-84-0-0_c404.htm
http://www.ilfoglio.it/ripa-del-naviglio/elenco-articoli___3-r-84-0-0_c404.htm
Ultime sul negoziato Roma-Pechino. E il diario cinese di padre Gheddo
Facendo seguito a una loro precedente grande inchiesta del 14 luglio, Lisa Jucca e Benjamin Kang Lim hanno pubblicato oggi sull'agenzia internazionale Reuters nuovi aggiornamenti molto dettagliati sull'andamento dei negoziati tra la Santa Sede e Pechino:
Entro la fine d'ottobre le delegazioni delle due parti torneranno a riunirsi a Roma. Il negoziato verte sulle procedure per le nomine dei vescovi. La soluzione prevede che sia la conferenza episcopale cinese a proporre i candidati all'episcopato, che il papa potrà accettare o no.
Ma il cammino per arrivarvi è molto accidentato. Su oltre un centinaio di diocesi, una trentina sono vacanti e un'altra trentina sono rette da vescovi con più di 75 anni. Inoltre, trenta vescovi non sono riconosciuti dalle autorità cinesi e non fanno parte della conferenza episcopale – che manca quindi dei requisiti minimi di validità, oltre al fatto di essere totalmente asservita al regime –, mentre altri otto non sono riconosciuti da Roma e scomunicati. Per non dire che nel frattempo un nuovo vescovo è stato consacrato senza l'approvazione né del governo cinese né di Roma, cadendo anche lui nella scomunica; un altro vescovo, fedele al papa, quello di Wenzhou, è stato impedito di succedere al predecessore scomparso; e un altro vescovo ancora, quello di Shanghai, colpevole di essersi dimesso dall'Associazione patriottica dei cattolici cinesi, continua ad essere da tre anni agli arresti domiciliari, nonostante abbia recentemente fatto atto di sottomissione alle autorità.
Gli ostacoli a una soluzione continuano dunque a essere forti. Intanto, però, sembra vicina la nomina di due nuovi vescovi approvati dalle due parti, a Chengdu e a Xichang nella provincia di Sichuan.
Inoltre, le autorità cinesi hanno consentito per la prima volta a rappresentanti della Santa Sede di incontrare gli otto vescovi scomunicati. E la riconciliazione sembra vicina per quattro di loro: Ma Yinglin, vescovo di Kunming (Yunnan), Guo Jincai, vescovo di Chengde (Hebei), Yue Fusheng vescovo di Harbin (Heilongjiang), e Tu Shihua, vescovo di Puqi (Hunan).
Il primo di questi, Ma Yingling, è anche presidente della similconferenza episcopale e vicepresidente dell'Associazione patriottica, quest'ultima definita "inconciliabile" con la fede cattolica dalla lettera del 2007 di Benedetto XVI che fa da "magna charta" per la Chiesa cattolica in Cina. Sarà importante vedere cosa accadrà di questa sua seconda carica.
Per i restanti quattro scomunicati il perdono sembra invece più difficile. Essi sono Lei Shiyin, vescovo di Leshan (Sichuan), Huang Bingzhang, vescovo di Shantou (Guangdong), Zhan Silu, vescovo di Mindong (Fujian), e Liu Xinhong, vescovo di Wuhu (Anhui). Su due di loro pende l'accusa di avere figli e amanti, e altri due sono stati messi dal regime a capo di diocesi dove già risiedono vescovi approvati da Roma.
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Intanto sono uscite in Italia le memorie di padre Piero Gheddo, del Pontificio Istituto Missioni Estere di Milano, grande missionario d'antica scuola. Le ha edite la EMI col titolo: "Inviato speciale ai confini della fede".
Alla Cina padre Gheddo dedica pagine di grande interesse. Eccone qui di seguito un assaggio, sugli anni bui della Rivoluzione culturale e sul dopo.
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HO VISTO LA RISURREZIONE DELLA CHIESA IN CINA
di Piero Gheddo
Dopo l’ordinazione sacerdotale, nel 1953, mi impegnai subito nel giornalismo, intervistando – tra gli altri – i nostri missionari del Pontificio Istituto Missioni Estere che in quegli anni venivano espulsi dalla Cina: 140 in tutto, con cinque vescovi.
Nel 1973 vado in Cina come membro di una commissione della Montedison, sostituendo un ammalato. Era il tempo della "rivoluzione culturale" e quella Cina, dico la verità, mi aveva quasi affascinato: disciplina, ordine, pulizia, povertà dignitosa e orgoglio nazionale, uguaglianza nell’avere tutti il necessario. Non si vedevano per le città poveri né mendicanti né lebbrosi. Poi, leggendo il Libretto rosso di Mao, parevano sentenze degne di san Paolo: "A ciascuno tutto quello di cui ha bisogno, da ciascuno tutto quello che può dare"; "Servire il popolo è l’ideale del buon cinese"; "L’ideale del comunismo è cambiare il cuore dell’uomo".
Ho avuto momenti di dubbio nel mio granitico convincimento che il comunismo senza Dio non può produrre frutti positivi per l’uomo. La Cina pareva dimostrare il contrario e la guida non mancava di ripetere: "La Cina ha imparato a fare a meno di Dio". Non solo i cristiani, ma anche i buddisti, i musulmani, i confuciani erano scomparsi: l’ateismo di Stato pareva condiviso dal popolo. In Occidente e in Italia, Mao era considerato da giornalisti e "profeti" il vero salvatore della Cina, che, si diceva, ogni giorno dà una ciotola di riso a tutti i cinesi.
Tornato in Italia, ho poi scritto che in Cina la Chiesa cattolica non esiste più, secoli di missione non hanno prodotto frutti. Pensavo: i cosiddetti "cristiani del riso", convertiti dagli aiuti alimentari, non esistono più. Per cui, quando ci sarà libertà in Cina, si dovrà "ricominciare da capo l’evangelizzazione dei cinesi"! Ero ingenuo e cieco, vedevo la realtà cinese solo con i miei poveri occhi umani, non era ancora maturata bene in me la fiducia nello Spirito Santo, protagonista della missione della Chiesa!
Il nostro viaggio in Cina aveva come base un albergo per stranieri a Canton. Dalla città ci portano a vedere le conquiste della Cina maoista, una grande caserma. Al mattino suona la sveglia alle sei: musiche, canti patriottici in tutta la metropoli. Poco dopo, nel grande viale lungo il fiume scendono uomini e donne vestiti tutti più o meno allo stesso modo, pantaloni neri o blu scuro, camicetta bianca. Incomincia la ginnastica quotidiana, diretta da una voce robusta e sonora, con un sottofondo di musiche patriottiche, diffuse in ogni zona della grande città. Poi, tutti al lavoro.
Non visitiamo la Cina, ma una ristretta regione vicina a Canton, dove tornavamo alla sera. Ci mostrano alcune scuole, un ospedale moderno, le "comuni agricole" con la vita comunitaria delle famiglie, tutte impegnate nei lavori, e i bambini mantenuti ed educati dallo Stato. E poi una grande diga, costruita da migliaia di uomini e donne divisi in gruppi: portano pesi sulle spalle, salgono su scale di bambù che solo al vederle vengono i brividi, il lavoro è in gran parte manuale. I vari gruppi di un settore sono in competizione, ovunque bandierine di vario colore per segnare il lavoro fatto, un grande spettacolo. Alla sera si premia il gruppo che ha lavorato di più. Interessante anche la visita all’università. I palazzi antichi, le aule, i laboratori nelle facoltà scientifiche, tutto più o meno come in Occidente. Ma quando entriamo nella grande biblioteca vediamo subito molti scaffali e pochi libri, tutti o quasi in lingua cinese. L’anziano bibliotecario, che parla in francese, mi prende in disparte e mi dice: "I libri in altre lingue li hanno bruciati tutti".
Alla fine, due giorni di libertà. Un mattino esco col permesso della nostra guida e vado verso la maestosa cattedrale cattolica in stile gotico, costruita dai missionari francesi alla fine dell’Ottocento. La cattedrale è dietro a una cancellata chiusa. La fotografo con un quadro di Mao sopra il portale. Di fianco alla cattedrale una grande tettoia dove scaricano i rifiuti di quel quartiere. I miei confratelli di Hong Kong mi hanno poi spiegato che quello era un marchio di disprezzo per quell’edificio straniero. Dopo la cattedrale, mi fermo un po’ su una panca nella piazza vicina e rientro in albergo. Vado in stanza e mi accorgo che una delle mie due macchine fotografiche non ha più il coperchietto di plastica per la lente. Scendo al ristorante e un cameriere mi porge su un vassoio quel coperchio e dice: "L’ha lasciato lei sulla panca della piazza qui vicino?". E io, ingenuo, pensavo di essere libero!
In albergo, mi alzo alle due del mattino e celebro la messa sul tavolo della stanza. Messe commoventi nel silenzio notturno, pensando a tutti i cristiani nelle carceri e nei campi di lavoro e di sterminio cinesi, i laogai. Mentre era in corso la "rivoluzione culturale", non c’era nessuna chiesa aperta: sembrava che la Chiesa in Cina fosse letteralmente scomparsa.
Ma dopo la morte di Mao, che avviene nel 1976, la Chiesa risorge dalle ceneri. Verso il 1979-1980, cristiani cinesi incominciano a scrivere ai missionari italiani del PIME espulsi dalla Cina 20-25 anni prima. Lettere molto semplici, di gente di campagna, che ha sperimentato la sofferenza, la persecuzione, il carcere, i campi di lavoro forzato e arriva a scrivere frasi come questa: "Sono contento di aver sofferto per la fede in Gesù Cristo".
Quella gente ha conservato la fede in condizioni difficilissime, senza chiese, senza sacerdoti, senza comunità cristiana, anzi in presenza di uno Stato totalitario che per quasi trent’anni ha perseguitato tutte le religioni. In quelle lettere i cristiani cinesi chiedono non denaro, ma oggetti sacri: rosari, Vangeli, immagini della Madonna, medaglie, libri di preghiera.
La rinascita della Chiesa cinese è un vero e proprio miracolo. Torno in Cina una seconda volta nell’estate 1980, insieme con padre Giancarlo Politi, missionario a Hong Kong, che parlava bene il cinese. Così visitiamo una diocesi dove nel 1973 non avevo trovato nessun segno di presenza cristiana. A Sheqi incontriamo il vescovo e un sacerdote, con alle spalle 25 e 31 anni di carcere. I non cristiani che chiedono l’istruzione religiosa – dicono – sono tanti. Purtroppo non ci sono libri, segni sacri, non è possibile dare loro un’adeguata formazione cristiana. Chiedo come mai ci sono queste richieste di conversione, quando la Chiesa è così povera di preti e di materiale formativo: Vangeli, immagini, libri di preghiere. Il vescovo risponde: "Noi non predichiamo, ma la vita dei cristiani annunzia il Vangelo e una società alternativa a quella presente. Tutti sanno chi sono i cristiani: ci hanno visti quando siamo stati perseguitati, processati e condannati ingiustamente: non abbiamo mai maledetto nessuno, anche in carcere e nei campi di lavoro forzato la testimonianza dei cristiani ha convertito molti al Vangelo. E ora che siamo tornati alle nostre case, non cerchiamo vendette, non ci lamentiamo per quanto abbiamo patito, aiutiamo quelli che sono bisognosi del nostro aiuto. Credo che da qui vengano le richieste di istruzione religiosa e le conversioni".
Nell’ottobre 2000 la mia terza visita in Cina. Nel mio soggiorno a Canton incontro 26 giovani suore, in pantaloni neri, camicetta bianca, senza velo, capelli tagliati corti, con un piccolo crocifisso sul petto. Le piccole comunità di suore vivono in appartamenti fra la gente, esercitando ciascuna una professione, un lavoro, interessandosi dei poveri, collaborando con le parrocchie, prendendo contatto con le donne e le famiglie. Chiedo: "È vero che in questi giorni ci sono riunioni di preti, suore e catechisti, convocate dal governo, che vuole indottrinarvi?". "Sì – rispondono –, è vero, abbiamo una riunione tutti i giorni. Ci raccontano la storia del passato, i crimini e le prepotenze dei popoli cristiani occidentali, i danni che i missionari e le suore hanno fatto al popolo cinese. Però queste lezioni finiranno in pochi giorni e tutto tornerà come prima. Se anche ci fosse qualcosa di vero in quel che dicono, la nostra fede è basata sull’amore a Cristo e sulle esperienze concrete che la fede e la preghiera aiutano a vivere meglio". Testimonianze di fede e coraggio che non ho dimenticato.
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