I video di Al Qaeda? Li produceva il Pentagono
Sì, sì, avete letto bene: certi filmati di Al Qaeda erano “made in USA”. A rivelarlo è il Bureau of Investigative Journalism in un’ottima inchiesta appena pubblicata sul web, incentrata sulla testimonianza di un video editor, Martin Wells, che quei filmati li ha fatti in prima persona, e riscontri nei documenti ufficiali.
La storia è intrigante, quasi da film. Siamo a Londra. Wells, un video operatore free lance, nel maggio del 2006 viene contattato con la prospettiva di un contratto in Medio Oriente e al primo colloquio si accorge che il committente è molto particolare. Non è la solita società di produzione ma l’ambiente in cui viene accolto è militare; anzi di intelligence militare. Viene scortato da guardie armate all’ultimo piano di un palazzo. Il colloquio è breve e gli comunicano subito l’assunzione perché hanno fatto delle verifiche sul suo conto e lo hanno trovato «pulito». Tempo 48 ore e si trova a Baghdad in una base ultraprotetta, una centrale dove vengono pianificate operazioni di guerra psicologica, in gergo le psyops, alcune delle quali tradizionali. “Dovevamo produrre filmati “bianchi” ovvero nei quali la fonte era dichiarata, tendenzialmente si trattava di spot contro Al Qaeda”, spiega Wells.
Ma altre erano decisamente meno trasparenti. “La seconda tipologia era ‘grigia': finti servizi giornalistici che poi venivano mandati alle Tv arabe”. E poi c’era quella “nera” in cui la paternità dei video era “falsamente attribuita”. Insomma false flag, che Wells spiega così: “Producevamo finti filmati di propaganda di Al Qaeda, secondo regole e tecniche precise; dovevano durare dieci minuti ed essere registrati su dei CD, che poi i marines lasciavano sul posto durante i loro raid, ad esempio durante un’incursione nelle case di persone sospettate di terrorismo. L’obiettivo era di disseminare questi video in più località, possibilmente lontani dal teatro di guerra” perché scoprire filmati di quel genere in località insospettabili avrebbe aumentato il clamore e l’interesse mediatico. Dunque non solo a Baghdad, ma anche “in Iran, in Siria (prima della guerra) e persino negli Stati Uniti”.
Capito? Certi angoscianti scoop che rimbalzavano sul web o in Tv in realtà erano fabbricati a tavolino da una società di PR britannica all’interno di una base statunitense in Iraq. E vien da sorridere pensando che poi erano la CIA o la Casa Bianca a certificarne l’autenticità.
Wells conferma modalità che gli esperti di spin conoscono bene. Il mandato viene affidato da un governo a società di consulenza esterne per aggirare la legge, evitare il controllo di commissioni parlamentari e proteggere le istituzioni nell’eventualità che queste operazioni vengano scoperte e denunciate dalla stampa, cosa che peraltro non accade quasi mai. I fatti svelati dal Bureau of Investigative Journalism infatti risalgono al periodo 2006-2011; nel frattempo la Bell Pottinger è passata di mano e le truppe americane si sono ufficialmente ritirate dall’Iraq. Lo scoop è sensazionale ma difficilmente assumerà rilevanza internazionale perché riguarda un passato lontano e infatti la maggior parte dei grandi media lo ha ignorato.
Intendiamoci. Il fatto che in un contesto di guerra, seppur particolare come quella al terrorismo, si possano concepire operazioni di questo tipo non sorprende. Lo insegnano, da secoli, Sun Tzu e Machiavelli. Il problema è che di solito sono limitate al teatro di guerra, mentre negli ultimi anni hanno assunto una valenza globale. Quella propaganda non è rivolta solo agli iracheni e agli attivisti di Al Qaeda ma anche ai cittadini del resto del mondo, persino agli americani nonostante la legge statunitense lo vieti espressamente. Ed è diventata sistematica. Sappiamo che la guerra in Iraq è stata proclamata su accuse inventate a tavolino. Sappiamo che i report sull’andamento della lotta ai telabani in Afghanistan sono stati falsificati per anni ingigantendo i successi dell’esercito americano, sappiamo delle manipolazioni mediatiche di alcuni drammatici episodi del conflitto in Siria e sappiamo anche che alcuni filmati dell’ISIS sono stati postprodotti e manipolati, in certi casi anche con risvolti comici, come quello in cui i terroristi scorrazzano per il deserto iracheno su un pick-up con le insegne di un idraulico del Texas.
La frequenza e l’opacità di questi episodi pone un problema di fondo, molto serio: quello dell’uso e soprattutto dell’abuso delle tecniche di psyops, che non può diventare un metodo implicito di governo attraverso il condizionamento subliminale ed emotivo delle masse. Non nelle nostre democrazie.
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Pentagono ha pagato per falsi video di Al Qaeda. (Più altri falsi)
Tra il 2007 e il 2011 il Pentagono ha ordinato alla ditta inglese Bell Pottinger dei falsi video di al Qaeda; un lucroso contratto. Il Pentagono ha sborsato per questo 540 milioni di dollari alla Bell Pottinger, un’agenzia di pubbliche relazioni di Londra. Lo ha raccontato con fierezza il redattore dei video per la casa londinese, Martin Wells: “Nel corso di perquisizioni in case [irachene], i militari americani lasciavano furtivamente i nostri CD”. Oltre gli ‘autentici’ video di Al Qaeda (“che la mettevano in cattiva luce”), l’agenzia ha fabbricato anche falsi bollettini d’informazione jihadista che finivano nel tg arabi, e clips pubblicitari sulla milizia islamista.
A che scopo? Perfettamente onesto e legittimo, secondo Wells: poi, il Pentagono identificava gli indirizzi IP delle persone che visionavano quei “massaggi di Al Qaeda”, spesso diffusi spesso da tv arabe o che finivano sul web.
Servivano a identificare gli aspiranti terroristi per combatterli. O magari ad attrarli e arruolarli, chissà. O magari la CNN, o Rai Tre, o Mediaset, li hanno presi per buoni e diffusi. O magari Rita Katz li riciclava nel suo SITE? Quasi infiniti sono i modi in cui falsi video di Al Qaeda possono rendersi utili.
I video sono stati prodotti direttamente in Irak, per la precisione a Camp Victory, base delle forze armate Usa a Baghdad, dove i videasti inglesi, uniti ad attori iracheni, hanno lavorato (sono arrivati ad essere quasi trecento) a stretto contatto con Pentagono e Cia. Come mettevano Al Qaeda in cattiva luce? “Mettevamo in evidenza la violenza insensata di Al Qaeda”, risponde Wells; “ma in seguito in qualche parte della mia coscienza, mi son domandato se era la cosa giusta da fare”.
La strana faccenda è stata scoperta da un’inchiesta di The Bureau of Investigative Journalism, una organizzazione senza scopo di lucro finanziata a David ed Elaine Potter, due miliardari sudafricano-britannici (lui è il fondatore della Psio, software per microcomputers).
I terroristi di Daesh erano soldati francesi
Sono stati invece degli operai agricoli, in Francia, a scoprire il 23 settembre un’altra strana circostanza. Mandati a ripulire dalle erbacce un terreno incolto situato presso la chiesa di Saint-Hilaire des Grottes, trovano che le chiavi che hanno ricevuto non aprono il cancello. Entrano da una apertura posteriore del recinto, e scorgono tre uomini – che vedendosi disturbati, salgono in fretta su un furgone bianco senza scritte e si allontanano velocemente. Una partenza così sospetta che i lavoratori chiamano la polizia. Questa trova, in una grotta (leggo dalla stampa locale) “una bandiera di Daesh, materiale audio e video, un gruppo elettrogeno, giornali in lingua araba”.
Una cellula terrorista che preparava attentati? Piombano sul posto la polizia nazionale, la gendarmeria, il prefetto di Saumur, il procuratore, la scientifica; un tal dispiegamento di auto da allarmare gli abitanti.
Poco dopo, il mistero è chiarito – se così vogliamo credere. Una telefonata della prefettura al generale comandante delle Scuole Militari di Saumur (EMS) riceve dal generale questa risposta: “Il materiale è stato messo lì da militari del Centro Interarmi della difesa NBC (nucleare – batteriologica – chimica) durante un’esercitazione di formazione. Utilizzano infatti le grotte come terreno di addestramento”. Ah, ecco. Solo che la polizia non ne era stata informata. Circolare, non c’è niente da vedere.
Il deputato Francois Asselineau, dell’UPR, non si accontenta della spiegazione, e pone al governo le seguenti domande. “E’ abituale che esercitazioni militari si tengano in un ricovero troglodita abbandonato? Come si giustifica la fuga delle tre persone nel supposto caso di esercitazione militare? A cosa servivano precisamente i falsi stendardi di Daesh e il giornali in arabo nel contesto di un addestramento sui metodi di decontaminazione nucleare, radiologica, chimica e batteriologica? Da dove provengono simili stendardi? E come se li è potuti procurare una scuola militare? Anche altri organi di Stato dispongono di tali bandiere (di Daesh) e a quale scopo?”.
Quest’ultima domanda dev’essere tendenziosa. Durante la terribile giornata del 7 gennaio 2015 a Parigi, appena sterminata la redazione di Charlie Hebdo, gli assassini, i fratelli Kouachi (erano proprio loro: uno dei due ha dimenticato la carta d’identità in auto) cambiarono macchina in Rue du Meaux, nel quartiere dove abita la più grossa comunità ebraica di Francia; rapinano una Clio e scompaiono. Lasciano la vecchia auto davanti alla pasticceria Patistory, i cui proprietari, coniugi Bellaiche, organizzano raccolte di fondi per l’esercito israeliano. Ebbene: anche nell’auto abbandonata dai Kouachi c’era una bandiera di Daesh.
I testimoni, quel tragico mattino, furono colpiti dal fatto che i terroristi erano “grandi”, in tenuta “nera militare e avevano anfibi dell’esercito”. Nell’andarsene hanno gridato ai presenti: “Dite ai media che è Al Qaeda in Yemen”.
Difficile tuttavia che il governo Valls risponda all’interrogazione di Assselineau.
Strage di Nizza: era prevista una simulazione di attentato
Sicuramente ricordate l’attentato-strage di Nizza del 14 luglio. Il terrorista(seduttore bisessuale ma improvvisamente wahabizzatosi) Mohamed Lahouaiej-Bouhlel falciò la folla, uccidendo 84 persone. Era alla guida di un autocarro Renault a noleggio. Alla ditta di noleggio automezzi che ha affittato il 19 tonnellate all’assassino, il Ministero dell’Interno ha ingiunto il silenzio sulla faccenda. Il corpo del terrorista, dopo l’autopsia, non è stato dato alla famiglia. Le immagini prese quella tragica sera dalle videocamere sul percorso della Promenade, sono state segretate. Sembra che il governo francese non abbia troppo zelo a scavare nella vicenda.
Il sito “Panamza” ha scoperto una singolare circostanza aggiuntiva: a Nizza, doveva tenersi un congresso internazionale promosso da Boaz Gaor, israeliano, esperto di antiterrorismo, fondatore dell’International Institute for counter-Terrorism che ha sede a Herzlyia – dove sorge la “università del Mossad”. Doveva essere l’occasione per illustrare e vendere i metodi e gli apparati di sicurezza e sorveglianza di cui Israele ha l’apprezzato know-how. Il Congresso doveva tenersi inizialmente nel dicembre 2015; poi è stato rimandato al 2 febbraio 2016; infine è stato rimandato ancora – come si legge nel sito dell’Istituto di Boaz Ganor – al 2018.
E sì che l’evento avveniva sotto gli auspici e con la collaborazione del governo Hollande: più precisamente, con la partecipazione dell’agenzia governativa “Haut Comité Français pour la Défense Civile (HCFDC) sotto il patronato del Ministero francese dell’Interno e del Secrétariat du Conseil de Défense et de Sécurité Nationale (SGDSN)“.
Ebbene, chi lo crederebbe? Durante il congresso della sicurezza Made in Israel (Nice Global Forum), era prevista la simulazione di un attentatocompiuto – lo scenario era stato concepito congiuntamente dall’istituto israeliano e dai suddetti enti ministeriali francesi. Esso immaginava l’azione di “un gruppo di combattenti francesi d’origine straniera”….
I dettagli della simulazione si possono leggere qui:
La simulazione poi non si è tenuta. Chissà se si sarebbero trovare bandiere di Daesh. Non dimentichiamo che a Nizza quella sera era presente – fortunata coincidenza – il giornalista ‘tedesco’ Richard Gutjahr, marito di Einat Wilff, la bella ex deputata israeliana che ha militato nell’intelligence militare dello Stato ebraico.
Omicidio di padre Hamel: in Israele qualcuno sapeva
E già che siamo in argomento: ricordate certamente del povero padre Hamel, sgozzato il 22 luglio nella sua chiesa in Normandia da due terroristi islamisti giovanissimi, Adel Kermiche Abdel-Malik Petitjean . Ebbene, lo credereste? Una piccola ditta israeliana (una start-up) aveva intercettato i messaggi che i due assassini si scambiavano sulla messaggeria russa (e criptata) Telegram. La ditta si chiama Itnsights, e l’ha fondata Aalon Arvaz, e dove è situata? Ad Herzlyia.. Non ci potreste credere, ma Arvaz ha identificato un (come chiamarlo?) “gruppo di conversazione dello Stato Islamico” su Telegram, dove 500 attivisti si parlano e scambiano progetti. E’ un gruppo impenetrabile – entra solo chi è stato presentato da altri membri – ma il giovinotto di Herzlyia l’ha penetrato. Magari l’’ha anche creato, chissà.
Perché su questo “gruppo” segreto, racconta lo stesso Aalon al Times of Israel, qualcuno, anonimamente, posta”una lista di bersagli estremamente specifici, con l’appello a colpirli”. Fra questi era il povero vecchio padre Hamel, dice adesso l’israeliano. I due assassini adolescenti, esaltati che facevano parte del “gruppo di conversazione IS”, hanno eseguito, convinti di obbedire a un comando del Califfo. Ma non si può esimersi dal sospetto che l’anonimo che ha postato la lista dei bersagli abiti ad Herzlyia.
Naturalmente, noi ci dissociamo da questi sospetti, sintomi odiosi di un mostruoso antisemitismo. Preferiamo raccontarvi l’ultima, che forse vi è sfuggita:
I passatori di clandestini erano poliziotti. Belgi
Il 21 settembre scorso, la polizia francese ha bloccato, presso Nieppe (Nord), un pulmino appena giunto dalla vicina frontiera belga, che portava segretamente in Francia 13 immigrati clandestini. Con gran sorpresa degli agenti, i guidatori del pulmino, mercanti di carne umana, si sono rivelati dei colleghi: poliziotti belgi. Che si sono giustificati dicendo di agire su ordine dei loro superiori; aggiungendo che non si trattava della prima operazione del genere, anzi che ne avevano fatte molte nei mesi precedenti.
Secndo Le Figaro, il ministro degli Interni Cazeneuve ha convocato l’ambasciatore belga per chiedere spiegazioni. Il Belgio ha smentito: le relazioni con Parigi sono amichevoli come sempre, anzi di più. E la collaborazione contro il terrorismo islamico procede con estrema reciproca soddisfazione. Circolate, non c’è niente da vedere.
Al Qaeda, Stato Islamico – chissà, dopotutto, loro sono noi.
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