ACTA APOSTATICAE SEDIS : come, cambiando un po' qua e un po' la, si può cambiare tutto...

venerdì 21 ottobre 2016

Le altezze teologiche..

La Rivelazione di Bergoglio secondo Introvigne

di Patrizia Fermani.

zntrdfMaurizio Vitali a nome di CL e Massimo Introvigne, a nome proprio, hanno dunque sentito l’urgenza di tracciare un accurato organigramma delle varie componenti del tradizionalismo, o fondamentalismo cattolico, che da posizioni molto variegate confluiscono tutte nella critica severa alla dottrina teologico politica bergogliana. Il tutto, anche  a scopo garbatamente minatorio.
Entrambi  gli autori però, mentre spiegano  chi sono i tradizionalisti,  riescono soprattutto a mostrare, per contrasto, il proprio  orizzonte culturale e teologico. Orizzonte già noto nella sostanza, ma che ora appare proprio senza veli.

Per Vitali l’humus tradizionalista è quello del “mondo non progressista e di sensibilità popolare, che ha paura del crollo delle evidenze e cerca una difesa per farvi argine, i ‘buoni cattolici’ decisi a difendere i valori morali, a cominciare dalla famiglia, quelli che vorrebbero difendere il crocifisso dalla mezzaluna…..e poi quelli che hanno paura del gender, degli immigrati e dei ladri e che si sentirebbero meglio se il papa guidasse una crociata in difesa dell’Occidente e dei suoi valori”.  Se la lettura si fermasse qui, potremmo pensare che anche l’autore condivida le idee di questa specie “non progressista e di sensibilità popolare”. Invece, a sorpresa, leggiamo che: “lungo queste derive” (?!), i tradizionalisti passano a criticare l’attuale pontefice perché non indice la  crociata in difesa dei valori di cui sopra, “con la temerarietà disarmata e ‘ingiusta’ della Misericordia”.
Ora, del fatto che  Bergoglio si guardi bene dall’indire crociate a difesa della famiglia, del crocifisso, dei valori morali, perché non ha paura del gender, degli immigrati e dei ladri, lo avevamo capito da tempo. Che lo faccia, forte di quella  Misericordia, che  induce  “ad un cambiamento di mentalità, e fa abbracciare una logica diversa, nuova e spregiudicatamente libera, rispetto all’economia, all’Islam, alla sessualità”, cioè che  la nuova logica sia suggerita a Bergoglio proprio dalla Misericordia, lo apprendiamo ora.
Insomma, se  la Misericordia con la lettera maiuscola è per convenzione secolare quella di Dio, il Bergoglio, in veste di suo amministratore delegato,  ha finalmente  aperto la Misericordia divina alla nuova logica. E di conseguenza se l’Onnipotente adotta per bocca di Bergoglio una logica nuova, è perché ha deciso di abbandonare la logica vecchia espressa per troppo tempo con le proprie leggi, ora superate. Così si spiega bene come mai  le crociate su una legge in disuso non abbiano ragion d’essere, e sia invece nigro signanda lapillo tutta la resistenza tradizionista che si ostina ad osservare una legge buttata via proprio dal suo antico creatore.  Vale la pena di ricordare, a questo proposito, come la nuova logica risulti particolarmente efficace in tema di sessualità, dove la potenza della Misericordia secondo Bergoglio si dispiega con illuminante prepotenza.
Queste idee di fondo vengono  approfondite nel contiguo intervento in forma di intervista, di Introvigne. Egli alza la critica al tradizionalismo alias tradizionismo o fondamentalismo, alle altezze teologiche attraverso il nuovo significato da attribuire alla Tradizione. Un concetto nuovo di Tradizione che sfugge irrimediabilmente ai tradizionisti immeritevoli, per la loro ottusità antibergogliana, persino di essere chiamati tradizionalisti.
Infatti che cos’è la vera Tradizione? Introvigne risponde: È “un  dato vivente e che cosa essa sia oggi lo definisce il Papa”. In altre parole, la tradizione è una figura imprecisata,  schizzata  di volta in volta  dal suo disegnatore, ovvero una materia malleabile nelle mani di chi la plasma in modo creativo. Ma poiché i tradizionisti commettono invece il peccato di “contrapporre un’idea prefissata di Tradizione all’autorità vivente del papa”, ne ricaviamo che la cosa vivente buona con cui neutralizzare quella cattiva dei tradizionisti, è la stessa volontà nuda e cruda di Bergoglio. E che di volontà nuda e cruda Bergoglio ne abbia da vendere, nessuno lo ha mai messo in dubbio. Non per nulla lo stesso Introvigne ricorda con una certa soddisfazione, per averlo appreso  quando era visiting professor in Argentina, che Bergoglio proviene dalla “Guardia de Hierro”, l’ala più peronista, del peronismo. Dunque, tornando alla Tradizione attuale, essa è quella che sgorga dalla volontà dell’inquilino di Santa Marta. E se addirittura voglio sapere se sono cattolico, devo chiederlo a lui.
Quod principi placuit legis habet vigorem, dicevano gli antichi. Ed è quello che capitava con gli imperatori romani i quali, essendo divinizzati, qualunque cosa dicessero o facessero, da Nerone a Eliogabalo, rimanevano divini fino a quando i pretoriani non decidevano di dare un taglio in senso tecnico alla commedia. Non che si possa paragonare Bergoglio per esempio ad un Caligola, anche se pure lui ha il vezzo di elevare ad alte cariche ecclesiastiche qualche somaro, ci mancherebbe. Resta il fatto però che secondo Introvigne chi voglia sapere se una cosa è, o non è, conforme alla nuova  tradizione, deve andare a Santa Marta a sentire le “bellissime omelie”, o prendere un aereo, e allora, fra conigli e pasticcerie, pelagiani e cattolici rigidi, accoglienze misericordiose e indiscriminati pregi unisex, zitelle e rifiuti organici,  prima o poi capirà che cosa è oggi la tradizione.
Tuttavia si capisce subito come ad  Introvigne si sia  presentato un problema serio. Quello di mettere d’accordo la cosa vivente di Bergoglio, cioè la sua tradizione aggiornata,  con un’altra Tradizione, quella che lo stesso Introvigne  ha seguito devotamente accanto a Monsignor Lefebvre fino a quando questi non si è messo a reiterare i sacramenti già amministrati da preti conciliari.  Fino a quel punto, infatti,  anche il nostro era un tradizionalista puro perché  seguace della retta Tradizione. Dunque ci sono per lui  almeno due tradizioni rispettabili, e una terza inaccettabile:  la prima è quella lefebvriana del tempo delle mele, la seconda  quella nuova e vivente di Bergoglio. La terza, quella lefebvriana non aggiornata e fossilizzata che sta tutta nelle aberrazioni della galassia “tradizionista”, delle cui componenti  è stata stilata con cura la lista  di proscrizione.
Si dà però il caso che secondo Monsignor Lefebvre la Tradizione era, come è, “ il depositum fidei trasmesso dal magistero della Chiesa di secolo in secolo”.  Il deposito “datoci  dalla Rivelazione, ossia la Parola di Dio affidata agli apostoli, la cui trasmissione è assicurata dai loro successori”. Si dà il caso, del resto, che tradizione significa trasmissione di qualcosa a qualcuno,  deriva da traditio che indicava la consegna appunto di una cosa e già per i latini diventava, in senso figurato, consegna mediante parole, insegnamento, esposizione di precetti, e anche per noi significa comunemente trasmissione di testimonianze, consuetudini e ammaestramenti da una generazione all’altra.
Quello che la Chiesa ha avuto l’incarico di trasmettere è la legge di Dio, i suoi immutabili comandamenti riproposti da Cristo venuto a proclamare la “volontà del Padre mio”. Se il depositum fidei viene sostituito arbitrariamente con qualcos’altro, allora viene  consegnato un aliud pro alio, cioè una patacca, magari anche vivente: se il depositum fidei viene sostituito dalla volontà vivente di Bergoglio, il risultato è appunto una patacca.
Ora bisogna convenire che per Introvigne il problema di dover conciliare la tradizione di Lefebvre, che è trasmissione del depositum fidei, con quella di Bergoglio, che coincide con il suo  pensiero “vivente”, se non vivace, deve essere stato drammatico, almeno all’inizio.
Ma presto si deve essere tranquillizzato, ha capito che tutto passa, onori, amori, scemenze e valori. E siccome siamo in autunno, si è ricordato delle foglie morte e di Yves Montand che cantava “la mer qui efface sur la sable les pas des amants desunis” (il mare che cancella sulla sabbia i passi degli amanti ormai separati). La cosa gli è tornata a proposito  per ricordare a tutti che “Gesù Cristo, siccome scriveva sulla sabbia, ha visto le proprie  parole portate via dal vento”. Poi gli apostoli hanno scritto un resoconto postumo dei suoi detti e fatti, quando essendo ormai  anche un po’ stagionati, ricordavano le cose un tanto al chilo. Dunque possiamo stare tranquilli. Anche del depositum fidei  possiamo, anzi dobbiamo  fare a meno come vuole Bergoglio, perché è acqua passata.
Ecco le ragioni per cui i tradizionisti, gente senza i piedi per terra e con anche la pretesa di elaborare un inattuale pensiero geopolitico, devono essere spazzati via. Invece chi abbraccia la logica nuova può stare tranquillamente in pace col mondo e risparmiarsi inutili fastidi servendolo a dovere.
Cristo è morto, Lefebvre  è morto, i tradizionisti morranno presto, ha pensato Introvigne. Invece io e Bergoglio ci sentiamo ancora bene.

 – di Patrizia Fermani

Ecco perché gli italiani non credono ai giornali (e non li leggono). Ed ecco perché l’opposizione a Bergoglio è esplosa sui siti internet – di Antonio Socci

carta-straccia Se non hai letto il giornale, sei disinformato. Se l’hai letto, sei male informato”. Questa di Mark Twain è solo una delle tante battute che circolano sulla stampa e sui giornalisti. A tutte le latitudini i media sono guardati con diffidenza, ma in Italia pare che i giornali godano di un discredito tutto speciale. Hanno provato a studiare il fenomeno e a cercarne le cause Luigi Curini, professore di Scienza politica all’Università di Milano, e Sergio Splendore, ricercatore della stessa Università dove insegna “Communication Research” e “Comunicazione pubblica.
Su un sito autorevole, lavoce.info, che certo non è sospettabile di simpatie per il centrodestra (ci scrivono – per dire – Tito Boeri, Francesco Giavazzi e Tommaso Nannicini, docente della Bocconi e attualmente membro del Nucleo tecnico per il coordinamento della politica economica presso la Presidenza del Consiglio), i due professori, Curini e Splendore, hanno pubblicato uno studio dal titolo provocatorio: “Ma i giornalisti sono troppo di sinistra?”
Il punto di partenza si trova nei dati dei sondaggi periodici di Eurobarometro, dove si rileva la scarsa fiducia degli italiani verso la stampa: negli ultimi 15 anni un cittadino su due dà un giudizio negativo. Il livello di fiducia verso la stampa si attesta sul 43 per cento ovvero quattro punti percentuali meno del resto d’Europa, nel medesimo periodo.
Perché? Le ragioni possono essere tante. Ma ce n’è una particolare che Curini e Splendore hanno voluto indagare, riprendendo un’ipotesi formulata venti anni fa da Thomas E. Patterson e Wolfgang Donsbagh, nel saggio “New decisione: Journalists as partisan actors”, uscito su “Political Communication”.

ESKIMO IN REDAZIONE
In quello studio si evidenziavano “le conseguenze relative alla possibile ‘discrasia’ tra credenze politiche e ideologiche dei giornalisti rispetto ai loro lettori”.
Ebbene, Curini e Splendore sono andati a verificare i dati relativi al nostro Paese per capire se questa “discrasia” poteva essere la causa della sfiducia degli italiani nei confronti della stampa.
In effetti – utilizzando fonti omogenee sul posizionamento politico dei giornalisti rispetto ai cittadini – hanno scoperto che l’autocollocazione ideologica “dei giornalisti italiani appare marcatamente posizionata più a sinistra rispetto a quella degli italiani in generale”.
Del resto lo si è sempre empiricamente saputo, già dagli anni Settanta: bastava confrontare il panorama della stampa con il voto degli elettori. Praticamente “l’eskimo in redazione” continua a dominare anche oggi, pur standosene sotto abiti più borghesi.
Diciamo che quel capo d’abbigliamento sessantottardo non avvolge più i corpi invecchiati, ma le menti dei giornalisti e dei direttori.
Ecco perché – di conseguenza – la “narrazione” dei giornali italiani è così lontana dai veri sentimenti e dai veri interessi della gente comune ed ecco perché i nostri concittadini in media hanno meno fiducia nella stampa degli altri europei.
Ma allora perché i giornali, in tempi altamente competitivi come questi, non cercano di avvicinare la loro “narrazione” e i loro “narratori” al famoso Paese reale?
La risposta dei due studiosi è questa: “i dati dell’Eurobarometro ci mostrano che i lettori più assidui dei giornali sono anche quelli che hanno una posizione ideologica in media più prossima ai giornalisti. Il che potrebbe condurre a un circolo che si auto-riproduce e si auto-rinforza: ovvero lo iato ideologico con gli italiani in senso lato (e la conseguente crisi di fiducia) non risulta alla fin fine davvero rilevante per il mondo editoriale, perché dopotutto chi legge (e compra) i giornali ha la stessa visione del mondo che ha chi ci scrive, e così via. Un apparente paradosso, con esiti complessivi facilmente prevedibili”.
Si potrebbe aggiungere anche un’altra spiegazione: i giornali non vogliono raccontare ed esprimere la “pancia” del Paese reale perché lo disprezzano, perché la casta intellettuale italiana ha sempre considerato il nostro popolo come “minorenne”, immaturo, volgare, a volte corrotto e perfino razzista.
Quindi il ceto che fa i giornali ha sempre altezzosamente pensato di avere un ruolo pedagogico, di “riforma” della mentalità di questo popolo di levantini e ignoranti.
Lo si vede ancora oggi su certi temi sensibili: l’abissale distanza tra l’indottrinamento della stampa e il pensiero popolare è risultata clamorosa, per esempio, nella lunga diatriba sulle “unioni gay” così come sul tema degli immigrati.

L’ALTERNATIVA
Oggi però i cittadini che non si sentono rappresentati dalla stampa hanno un modo straordinario per mandare al diavolo i tromboni dei giornali ed è quello che probabilmente sta assestando il colpo di maglio alla carta stampata: internet.
Sempre sulla voce.info, Luigi Curini ha pubblicato, con Andrea Ceron (ricercatore all’Università di Milano), un altro studio dove si fotografa questa svolta. Titolo: “L’informazione attendibile? Per gli italiani è in rete”.
Ancora dai dati Eurobarometro relativi all’opinione pubblica di 34 paesi, i due studiosi sottolineano che “con un 58,2 per cento di cittadini che considerano il web come una credibile fonte di informazione, l’Italia si colloca in cima (sesto posto complessivo) alla classifica europea di chi esprime fiducia nei confronti della rete, addirittura prima tra i grandi paesi. Il dato è considerevole ed è di quasi 10 punti superiore alla media europea (49,1 per cento), di 18 punti rispetto alla Spagna, di 23 rispetto alla Germania e di quasi 30 rispetto a Gran Bretagna e Francia”.
Peraltro la ricerca mette in rilievo che si tratta in prevalenza di uomini in età attiva, interessati alla politica e di ceto medio-alto. Spesso anche lettori di giornali, ma con un giudizio negativo sulla stampa.
Quindi il dato sulla fiducia nella rete e sulla poca credibilità della carta stampata, non fotografa le idee degli outsider, delle fasce marginali, ma evidenzia il giudizio dell’opinione pubblica.

L’INQUISIZIONE
Un caso recentissimo ha messo in luce questo fenomeno. Riguarda la figura di papa Bergoglio che la quasi totalità dei giornali ormai celebra in maniera acritica fino a sfiorare il culto della personalità.
Nella società, invece, nei suoi confronti è andato crescendo un dissenso che è diventato forte opposizione, anzitutto sui temi dell’emigrazione e dell’Islam, ma anche (per i cattolici) sui temi più attinenti alla fede.
Questo fenomeno è dilagato quasi totalmente nella rete, perché i giornali non hanno mai voluto dar voce alle perplessità e ai dissensi. E’ stato un fenomeno fino ad ora ignorato dalla stampa, che non riconosce legittimità ad altre posizioni.
Ma essendosi fatto oggi troppo vasto è entrato nel mirino dei media che non sono interessati a esplorarlo giornalisticamente e a raccontarne le ragioni, ma pretendono di delegittimarlo, come se fosse “a priori” inammissibile avere un punto di vista critico su Bergoglio.
E’ il caso clamoroso di un lunghissimo servizio uscito domenica scorsa sulla “Stampa” (due pagine intere con partenza in prima): più che un’inchiesta è parso una messa all’indice dei dissidenti, una specie di lista di proscrizione, quasi a far pensare a un’inquisizione bergogliana.
Peraltro i vaticanisti che hanno firmato il servizio sono due dei tanti giornalisti del portale “Vatican Insider” che la “Stampa” di Torino ha totalmente dedicato al Vaticano e che, però, non sembra godere della fiducia di molti lettori.
Se infatti si fa una visita alla pagina facebook di Vatican Insider si ha la sensazione di un villaggio abbandonato, con articoli che hanno 10 oppure 15 “mi piace”, senza commenti.
Mentre sui blog e sulle pagine facebook dei “dissidenti”, dei critici di Bergoglio, i frequentatori sono decine di migliaia e ogni giorno cliccano migliaia di “mi piace” sugli articoli e in tantissimi lasciano commenti.
E’ un caso esemplare di informazione negata, che trova nella rete il suo spazio di libera circolazione di notizie e idee.

Antonio Socci
Da “Libero”, 20 ottobre 2016

Sito: “Lo Straniero
Facebook: “Antonio Socci pagina ufficiale
Twitter: @Antonio Socci1

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