I doveri irrinunciabili dei cardinali di Santa Romana Chiesa
Nel suo intervento alla Fondazione Lepanto, il 5 dicembre 2016, il cardinale Raymond Leo Burke ha detto: «Il peso sulle spalle di un cardinale è molto grande. Siamo il Senato del Papa e i suoi primi consiglieri e dobbiamo soprattutto servire il Papa, dicendogli la verità. Porre delle domande, come abbiamo fatto al Papa, è nella tradizione della Chiesa, proprio per evitare divisioni e confusione. Lo abbiamo fatto con sommo rispetto per l’Ufficio Petrino, senza mancare di reverenza alla persona del Papa. Ci sono tante domande, ma le cinque domande principali che abbiamo posto devono necessariamente avere una risposta, per la salvezza delle anime. Preghiamo ogni giorno per avere una risposta, fedele alla Tradizione, nella linea apostolica ininterrotta che rimanda a Nostro Signore Gesù Cristo».
Con queste parole il cardinale Burke ha ricordato l’importanza della missione dei cardinali, la più alta, nella Chiesa cattolica, dopo quella, suprema, del Sommo Pontefice. Essi sono infatti i principali collaboratori e consiglieri del Papa nel governo della Chiesa universale. La loro istituzione è antichissima, visto che già sotto il pontificato di Silvestro I (314-335) si trovano i termini di diaconi cardinales. Sembra che si debba a san Pier Damiani la definizione del Sacro Collegio come “Senato della Chiesa”, recepita dal Codice piano-benedettino del 1917 (can. 230). Il Sacro Collegio ha una personalità giuridica che gli attribuisce la triplice natura di organo coadiutore, organo supplente ed organo elettore del Sommo Pontefice.
I cardinali non hanno mai nei confronti del Papa poteri deliberativi, bensì soltanto consultivi. Se al pontefice conviene valersi dell’assistenza del Collegio cardinalizio, pur non essendo obbligato a farlo, i cardinali hanno da parte loro l’obbligo morale di consigliare il Pontefice, di porgli delle questioni, ed eventualmente di ammonirlo, indipendentemente dall’accoglienza che il Papa riserva alle loro parole.
La presentazione da parte di quattro cardinali (Brandmüller, Burke, Caffarra e Meisner) di alcuni dubia al Papa e al cardinale Gerhard Müller, prefetto della Congregazione per la Dottrina della Fede, chiedendo loro di chiarire «il grave disorientamento e la grande confusione» relativi all’Esortazione Apostolica Amoris laetitia, rientra perfettamente nelle mansioni dei cardinali e non può essere oggetto di alcuna censura. Come ha affermato il canonista Edward Peters, referendario del Supremo Tribunale della Segnatura Apostolica, i quattro cardinali «hanno fatto un uso da manuale del loro diritto (can. 212 § 3) di porre questioni dottrinali e disciplinari che necessitano di essere affrontate al momento».
Poi, se il Santo Padre dovesse omettere di farlo, i cardinali collettivamente gli si rivolgeranno con una forma di correzione fraterna, nello spirito dell’ammonizione fatta da san Paolo all’apostolo Pietro ad Antiochia (Gal 2, 11).
Il canonista conclude dicendo: mi «sfugge il modo per il quale qualcuno possa giungere alla conclusione che i quattro Cardinali rischiano di essere privati del loro ufficio. Nessuno, ultimi poi tra tutti i quattro Cardinali in parola, mette in dubbio la speciale autorità che un Papa gode sulla Chiesa (can. 331) e nemmeno essi nutrono l’illusione che un Papa possa essere forzato a dare una risposta alle questioni da loro avanzate.
La mia impressione è che i quattro cardinali, per quanto accoglierebbero volentieri una risposta papale, sono probabilmente contenti d’aver comunque posto in cantiere alcune questioni vitali in vista di un giorno nel quale sarà possibile che esse abbiano finalmente una risposta. Tuttavia essi potrebbero senz’altro esercitare il loro proprio ufficio episcopale di maestri della fede (can. 375) e proporre risposte fondate sull’autorità loro propria. Infatti, essi sono uomini, credo, preparati ad accettare anche la derisione e a soffrire l’incomprensione e la cattiva interpretazione delle loro azioni e dei loro motivi». La dignità cardinalizia non è puramente onorifica, ma comporta gravi responsabilità.
I cardinali hanno dei privilegi perché innanzitutto hanno dei doveri. Gli onori che sono loro conferiti derivano proprio dal peso dei doveri che gravano sulle loro spalle. Tra questi doveri c’è quello di correggere fraternamente il Papa quando commette errori nel governo della Chiesa, come accadde nel 1813, quando Pio VII firmò l’infausto Trattato di Fontainebleau con Napoleone, o nel 1934 quando il cardinale decano Gennaro Granito di Belmonte, ammonì Pio XI, a nome del Sacro Collegio, per l’uso sconsiderato che faceva delle finanze della Santa Sede. Il Papa è infallibile solo a determinate condizioni e i suoi atti di governo o di magistero possono contenere errori che qualsiasi fedele può rilevare, a maggior ragione chi è investito della carica di più alto consigliere del Sommo Pontefice.
Tra i canonisti medievali che trattano del Collegio cardinalizio eccelle Enrico da Susa, chiamato anche Ostiense, perché era cardinale vescovo di Ostia, un autore che è stato oggetto di un recente studio di don Jürgen Jamin, dal titolo La cooperazione dei cardinali alle decisioni pontificie ratione fidei. Il pensiero di Enrico da Susa (Ostiense) (Marcianum Press, Venezia 2015). Il prof. Jamin ricorda che Enrico da Susa, commentando le decretali pontificie, si sofferma sull’ipotesi di un Papa che cada in eresia.
Il prof. Jamin ricorda in particolare il commento dell’Ostiense alle parole, riferite al Papa, «Nec deficiat fides eius». Secondo il cardinale vescovo di Ostia: «La fede di Pietro non è la sua “fede” esclusiva intesa come atto personale, ma è la fede della Chiesa intera il cui portavoce è il principe degli apostoli. Cristo prega quindi per la fede di tutta la Chiesa in persona tantum petri perché è la fede della Chiesa, professata da Pietro, che non viene mai meno et propterea ecclesia non presumitur posse errare» (op. cit. p. 223).
Il pensiero dell’Ostiense corrisponde a quello di tutti i grandi canonisti medioevali. Il massimo studioso di questi autori, il cardinale Alfonso Maria Stickler, fa notare che «la prerogativa dell’infallibilità d’ufficio non impedisce che il Papa, come persona, possa peccare e perciò diventare personalmente eretico (…) In caso di ostinata e pubblica professione di una eresia certa, perché già condannata dalla Chiesa, il Papa diventa “minor quolibet catholico” (frase comune dei canonisti) e cessa di essere Papa (…) Questo fatto del Papa eretico non tocca dunque l’infallibilità Pontificia perché questa non significa impeccabilità o inerranza della persona del pontefice, ma inerranza nello stabilire in forza del suo ufficio una verità di fede o un principio immutevole di vita cristiana (…) I canonisti sapevano benissimo distinguere tra la persona del papa e il suo ufficio. Se dunque dichiarano decaduto il Papa, appena certamente e ostinatamente eretico, ammettono implicitamente che da questo fatto personale non solo non è compromessa l’infallibilità dell’ufficio, ma che essa viene piuttosto difesa e affermata: è resa automaticamente impossibile qualsiasi decisione ‘papale’ contro una verità già decisa» (A. M. Stickler, Sulle origini dell’infallibilità papale, “Rivista Storica della Chiesa in Italia”, 28 (1974), pp. 586-587).
I cardinali che eleggono il Papa non hanno autorità per deporlo, ma possono constatare la sua rinuncia al pontificato, in caso di volontarie dimissioni o di eresia pertinace e manifesta. Nelle ore tragiche della storia, essi devono servire la Chiesa, fino all’effusione del sangue, come indica il colore rosso degli abiti indossati e la formula di imposizione della berretta: «rossa come segno della dignità del Cardinalato, a significare che dovete essere pronti a comportarvi con fortezza, fino all’effusione del sangue, per l’incremento della fede cristiana, per la pace e la tranquillità del popolo di Dio e per la libertà e la diffusione della Santa Romana Chiesa». Per questo ci uniamo alle preghiere del cardinale Burke, nel chiedere a papa Francesco di dare ai dubia una risposta «fedele alla Tradizione, nella linea apostolica ininterrotta che rimanda a Nostro Signore Gesù Cristo». (Roberto de Mattei)
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