“Amoris laetitia”: nella storia di sedici secoli fa una prefigurazione di ciò che potrebbe succedere?
Sono passati sedici secoli, ma la Chiesa si ritrova a fare i conti con una situazione analoga. Se allora in discussione c’era la divinità di Gesù, adesso c’è l’indissolubilità del matrimonio.
La tesi, che può sembrare avventata, non è sostenuta da uno qualunque, ma da un esperto di storia della Chiesa e di patrologia, Claudio Pierantoni, attualmente docente di filosofia medievale all’Universidad de Chile.
Già firmatario della cosiddetta «Lettera dei quarantacinque», la petizione inviata mesi fa a Francesco per chiedergli di chiarire i punti oscuri di «Amoris laetitia», ora il professore pubblica un saggio, «La crisi ariana e la controversia attuale su “Amoris laetitia”: un parallelo», nel quale, mettendo a confronto ciò che accadde milleseicento anni fa, mentre dilagava l’eresia ariana, con quanto succede oggi in seguito all’esortazione apostolica sull’amore nella famiglia, scopre sorprendenti analogie.
Nell’anno 318 o 319 dopo Cristo, osserva Pierantoni, quando le tesi del teologo Ario infiammarono in breve tempo l’intero Oriente romano, qualcuno pensò che tutto sommato si trattasse soltanto di «un paio di frasi imprudenti sulla relazione del Figlio con il Padre», eppure quelle formulazioni portarono allo scoperto profondissime divergenze dottrinali, e quindi pastorali, all’interno dell’episcopato dell’epoca, scatenando così una polemica che evidentemente era latente e che spinse l’imperatore Costantino a convocare addirittura un concilio per risolverla.
Allo stesso modo, spiega Pierantoni, dopo che alcuni esponenti di primo piano della Chiesa cattolica hanno preso pubblicamente le distanze da «Amoris laetitia» e in alcuni casi sono arrivati a chiedere al papa di spiegare in modo più chiaro quanto sostiene nel documento, sono emerse sensibilità diverse e orientamenti contrastanti, tali da evocare le più accese discussioni teologiche e dottrinali di tanti secoli prima e da portare lo stesso professor Pierantoni a chiedersi se non sia per caso necessario, oggi come ai tempi di Ario, riunirsi in un concilio per affrontare quella che, dal nome del cardinale che ispira l’azione di Francesco, il docente arriva a chiamare l’«eresia kasperiana».
Ovviamente sedici secoli fa la crisi, riguardando le fondamenta stesse della dottrina cristiana su Dio e sulla trinità, fu di ordine strettamente teologico, mentre oggi è più di natura morale e pastorale. Tuttavia anche oggi ci si confronta su un autentico pilastro cristiano, l’indissolubilità del matrimonio, «distrutto il quale – scrive il professore – il messaggio stesso perde la sua fisionomia fondamentale».
Ma vediamo più da vicino le analogie con l’antica disputa e cerchiamo di capire in che senso con «Amoris laetitia» si metterebbe in discussione l’indissolubilità del vincolo matrimoniale.
Pierantoni spiega che così come gli ariani non si azzardarono a sostenere apertamente che il Figlio è inferiore al Padre, ma fecero ricorso a un’espressione generica, «simile al Padre», che poteva prestarsi a varie interpretazioni e comunque apriva una prospettiva, allo stesso modo «Amoris laetitia», al capitolo ottavo, utilizza un linguaggio «generico, sinuoso e involuto» con il quale, pur non negando l’indissolubilità del matrimonio, nega le conseguenze che dall’indissolubilità discendono nella pratica. E, così facendo, si pone di fatto in un’ottica divorzista.
Sostenere, come fa «Amoris laetitia» che «in alcuni casi» le persone che vivono unioni «cosiddette irregolari» possono ricevere l’«aiuto dei sacramenti», significa dire e non dire. I casi infatti non sono esplicitati. Comunque, sia che la dizione «in alcuni casi», lasciata volutamente nel vago, vada interpretata in modo più restrittivo sia che la si voglia considerare in modo più esteso, è chiaro, rileva Pierantoni, «che il documento intende spingersi al di là tanto dei casi in cui si abbia certezza soggettiva dell’invalidità del precedente vincolo, come anche dei casi di ignoranza, di difficoltà di comprendere e di forza maggiore o di presunta impossibilità di adempiere la legge».
«L’espressione “in alcuni casi”, nell’interpretazione più estesa, può essere ampliata fino a includere tutte le situazioni, che sono le più concrete e frequenti, in cui un matrimonio poco felice, fallito per una serie di conflitti e di incompatibilità, è seguito da una convivenza di qualità migliore, stabile nel tempo, con reciproca fedeltà, (cfr. AL 298)».
«In questi casi, parrebbe che il risultato pratico, in particolare la durata e la felicità della nuova unione contro la brevità e infelicità della precedente, possa interpretarsi come una specie di conferma della bontà e quindi legittimità della nuova unione. In questo contesto (AL 298) si tace qualsiasi considerazione sulla validità del matrimonio precedente, nonché sull’incapacità di comprendere e sulla forza maggiore. E in effetti, quando poco più sotto (AL 300) si passa a considerare il tipo di discernimento che dovrà farsi in questi casi, risulta ancora più chiaro che i temi in discussione nell’esame di coscienza, e nel relativo pentimento, non saranno altri che il buono o cattivo comportamento a fronte dell’insuccesso matrimoniale e la buona riuscita della nuova unione».
«Ora, è sufficientemente chiaro che se il metro valido per giudicare della liceità della nuova unione è, alla fine, il suo successo pratico, la sua felicità visibile, empirica, di contro all’insuccesso e all’infelicità del matrimonio anteriore – liceità che è ovviamente presupposta per ricevere l’assoluzione sacramentale e l’eucaristia –, la conseguenza inevitabile è che il precedente matrimonio implicitamente si considera, anche pubblicamente, ormai senza effetto e quindi sciolto: quindi, che il matrimonio è dissolubile. E così nella Chiesa cattolica, mentre a parole si continua ad affermare l’indissolubilità, di fatto viene introdotto il divorzio».
«È anche sufficientemente chiaro che, se il successo del nuovo matrimonio basta per stabilire la sua liceità, questo include la giustificazione praticamente di tutti i casi di nuova unione, In effetti, se la nuova unione dovesse dimostrarsi priva di successo, non sussisterà lo stimolo per giustificarla e si passerà piuttosto a un’ulteriore unione, nella speranza di un maggior successo. Ora questa, e non altra, è appunto la logica del divorzio».
Tornando al parallelo con milleseicento anni fa, l’autore spiega che «tutto ciò ricorda assai da vicino la politica dell’imperatore Costanzo nel ricercare un’espressione sufficientemente generica, che si proponesse di accontentare molteplici posizioni diverse». In effetti, «la genericità, nella controversia ariana, dell’espressione “simile al Padre secondo le Scritture” trova perfetto riscontro nella genericità dell’espressione “in alcuni casi” che troviamo in “Amoris laetitia”. In teoria, quasi ogni posizione vi si può riconoscere».
Ai tempi nostri, scrive Pierantoni, «molti vescovi e teologi acquietano la propria coscienza affermando, sia in pubblico sia a se stessi, che il dire che “in certi casi” i divorziati risposati possono ricevere i sacramenti non è di per sé erroneo e può interpretarsi, in un’ermeneutica della continuità, come in linea con il magistero precedente». E anche qui abbiamo un parallelo con sedici secoli fa, quando molti vescovi dell’epoca pensavano che non fosse di per sé erroneo sostenere che “il Figlio è simile al Padre secondo le Scritture”».
Ieri come oggi, tuttavia, c’è un sostanziale superamento della dottrina precedente. Un superamento che, in «Amoris laetitia», si realizza in quattro modi: «Con la smentita della formulazione di “Familiaris consortio” sull’astensione dalla convivenza “more uxorio” come condizione dell’accesso ai sacramenti; con l’eliminazione dei precedenti netti confini fra certezza della coscienza e norme ecclesiologiche sacramentali; con la strumentalizzazione dei precetti evangelici della misericordia e del non giudicare, usati per sostenere che nella Chiesa non sarebbe possibile l’applicazione di censure generali a determinati comportamenti oggettivamente illeciti; e infine, ma non per ultimo, censurando duramente quanti avessero la “meschina” e “farisaica” pretesa di invocare precise norme giuridiche per giudicare di qualsiasi caso singolo, che invece dev’essere rigorosamente lasciato al discernimento e all’accompagnamento personale».
Conclude il professore: «Se si leggono le singole affermazioni di “Amoris laetitia” non isolatamente, ma nel loro contesto, e il documento a sua volta nel suo contesto storico immediato, si scopre facilmente che la “mens” generale che lo guida è sostanzialmente l’idea del divorzio, oltre all’idea oggi diffusa di non porre chiari confini tra un matrimonio legittimo e un’unione irregolare».
Tutto sommato, potrebbe essercene a sufficienza per un concilio.
Aldo Maria Valli
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Un’ottima sintesi dell’articolo di Claudio Pierantoni è proposta da Sandro Magister
http://www.aldomariavalli.it/2016/12/01/ma-amoris-laetitia-e-divorzista/
http://chiesa.espresso.repubblica.it/articolo/1351423
Ma, per chi lo volesse, Magister offre anche la possibilità di leggere l’articolo integralmente, sia in italiano:
http://chiesa.espresso.repubblica.it/articolo/1351421
sia in inglese:
http://www.aemaet.de/index.php/aemaet/index
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