«Non si tratta di un pericolo per la fede». Questo il giudizio del card. Gerhard Ludwig Müller, prefetto della Congregazione per la dottrina della fede, espresso qualche giorno fa in un’intervista realizzata per l’approfondimento Mediaset Stanze Vaticane di Fabio Marchese Ragona. Una presa di distanze dalle critiche avanzate attraverso le pagine dei giornali e ancor più da una possibile correzione pubblica al Papa, per un Sant’Uffizio che nei secoli ha fatto della segretezza una garanzia e un punto di forza.
Nessuna ramanzina pubblica a Francesco, quindi. «I cardinali hanno il diritto di scrivere una lettera al Papa. Mi sono stupito perché questa però è diventata pubblica, costringendo quasi il Papa a dire sì o no. Questo non mi piace. È un danno per la Chiesa discutere di queste cose pubblicamente».
L’opinione espressa dal card. Müller ha già mutato gli equilibri fra i critici dell’attuale Pontefice, alcuni dei quali sarebbero pronti a scaricare il Prefetto, preferendogli il cavalleresco Burke o il raffinato Caffarra. Ma l’intervista sarà anche in grado di segnare un nuovo corso nei rapporti tra Francesco e il card. Müller, che alcuni suggerivano come non idilliaci? Una certa distanza pare si fosse già consumata durante il Sinodo straordinario sulla famiglia dell’ottobre 2014, tanto che vi aveva fatto cenno anche mons. Bruno Forte, segretario speciale del Sinodo, durante una conferenza stampa: nonostante la sua imponenza fisica, Müller non era da temere. Un argomento sul quale nel giugno 2016 sarebbe intervenuto lo stesso Francesco, con una battuta fatta durante la chiacchierata in occasione dell’apertura del convegno ecclesiale della diocesi di Roma in San Giovanni in Laterano, espunta dalla trascrizione ufficiale. Raccontando di un suo compagno di studi che aveva contestato una domanda molto teorica ad un esame sul sacramento della Confessione, il Papa aveva concluso: «Ma per queste cose, per favore, non andate ad accusarmi con il cardinale Müller!».
Una “paura”, quella dei pontefici per il capo dell’ex Sant’Uffizio, che non sarebbe propria solo di Bergoglio. Che dire, infatti, delle voci che volevano Giovanni Paolo II temere il giudizio di Ratzinger? «No, ma prendeva molto sul serio la mia posizione». A raccontarlo – e a riderne «di cuore» – è lo stesso Benedetto XVI nelle sue Ultime conversazioni (Garzanti Libri, 2016). Un tema, quello del rapporto fra papa Wojtyła e il card. Ratzinger, allora prefetto della Congregazione per la dottrina della fede, che era già emerso in occasione del primo libro-intervista scritto con Peter Seewald, Il sale della terra (San Paolo Edizioni, 2005). «Eminenza – aveva chiesto allora il giornalista tedesco – si dice che il Papa [Giovanni Paolo II] talvolta abbia paura di lei e che gli sia capitato di chiedersi: “Per carità, che cosa ne dirà il cardinal Ratzinger?”». Anche allora, «divertito», il futuro Benedetto XVI precisò che «può essere stata una battuta. Ma di sicuro non ha paura di me!».
Nelle Ultime conversazioni è poi lo stesso Benedetto XVI a riferire un aneddoto sul rapporto fra il Sant’Uffizio e un suo predecessore, Pio XII. «Una volta un nunzio chiese a Pio XII se, riguardo a un certo problema, poteva fare a modo suo, anche se così non avrebbe agito in piena conformità alle regole. Il Papa ci pensò su e poi gli disse: “Lei può farlo. Se però se ne accorge il Sant’Uffizio io non la posso proteggere” (ride)». Durante gli anni di pontificato di Pio XII si succedettero alla guida della Congregazione per la dottrina della fede i cardinali Donato Raffaele Sbarretti Tazza (4 luglio 1930 – 1º aprile 1939), Francesco Marchetti Selvaggiani (30 aprile 1939 – 13 gennaio 1951) e Giuseppe Pizzardo (16 febbraio 1951 – 12 ottobre 1959).
In un 2017 di anniversari riformati, faranno ancora scandalo 5 dubia affissi sulla porta della mensa di Santa Marta?
http://www.caffestoria.it/se-se-ne-accorge-il-santuffizio-vecchie-e-nuove-storie-di-papi-e-prefetti/
Giovanni Paolo II e Benedetto XVI dicono a Francesco che deve rispondere su i Dubia
Non lo inventiamo noi, è tutto sancito, definito categoricamente dal magistero petrino nel solco della tradizione della Chiesa e di tutti i Pontefici, nel corso dei duemila anni di autentica pastorale per il bene degli uomini.
“Dio e il mondo” è il titolo del libro che l’allora cardinale Joseph Ratzinger, prefetto della Congregazione per la dottrina della fede, ha scritto con il giornalista Peter Seewald. Del volume, frutto di un lungo colloquio tenuto nel febbraio 2000 nell’abbazia benedettina di Montecassino, portiamo questo imponente passaggio sul compito specifico del Pontefice:
PS – Molti considerano la Chiesa un apparato di potere.
JR – «Sì, ma si dovrebbe innanzitutto tenere conto che queste strutture devono esistere in funzione del servizio. Il papa non è il signore supremo – dall’epoca di Gregorio Magno ha assunto il titolo di “servo dei servi di Dio” – ma dovrebbe essere – amo dire – il garante dell’obbedienza, della conformità della Chiesa alla volontà di Dio, escludendo ogni arbitrio da parte sua. Il papa non può dire: La Chiesa sono io, oppure: La tradizione sono io, ma al contrario ha precisi vincoli, incarna l’obbligo della Chiesa a conformarsi alla parola di Dio. Se nella Chiesa sorgono tentazioni a fare diversamente, a scegliere la via più comoda, deve chiedersi se ciò è lecito. Il papa non è dunque un organo che possa dare vita a un’altra Chiesa, ma è un argine contro l’arbitrio. Faccio un esempio: dal Nuovo Testamento sappiamo che il matrimonio sacramentale è indissolubile. Ci sono correnti d’opinione che sostengono che il papa potrebbe abrogare quest’obbligo. Ma non è così. E nel gennaio del 2000, rivolgendosi ai giudici romani, il papa ha detto che, rispetto alla tendenza a voler vedere revocato il vincolo dell’indissolubilità del matrimonio, egli non può fare tutto ciò che vuole, ma deve anzi accentuare l’obbedienza, deve proseguire anche in questo senso il gesto della lavanda dei piedi».
Provvidenziale e diremo anche profetico che l’allora cardinale Prefetto della difesa della vera Fede abbia usato, proprio come esempio, la difesa del vincolo del Matrimonio cristiano, il Sacramento del Matrimonio che – è evidente – era già minacciato da queste innovazioni che oggi, purtroppo, vengono invece imposte nella Chiesa sotto la falsa dottrina della prassi.
Che cosa diceva Giovanni Paolo II in difesa della stessa Familiaris consortio, oggi volutamente abusata?
“Per questo sottolineavo il “dovere fondamentale” della Chiesa di “riaffermare con forza, come hanno fatto i Padri del Sinodo, la dottrina dell’indissolubilità del matrimonio”(n.20), anche al fine di dissipare l’ombra che, sul valore dell’indissolubilità del vincolo coniugale, sembrano gettare alcune opinioni scaturite nell’ambito della ricerca teologico – canonistica. Si tratta di tesi favorevoli al superamento dell’incompatibilità assoluta tra un matrimonio rato e consumato (cfr.CIC,can. 1061) e un nuovo matrimonio di uno dei coniugi, durante la vita dell’altro…”
E’ chiaro? E’ evidente allora che quanto espresso dai cardinali nei Dubia e soprattutto nell’ultima intervista del cardinale Caffarra, non soltanto è loro lecito chiedere, ma dovere del Papa è dare una risposta chiara ed univoca.
Il Papa è infatti: “il garante dell’obbedienza, della conformità della Chiesa alla volontà di Dio, escludendo ogni arbitrio da parte sua..” Il servizio di cui tanto si parla e che a Papa Francesco piace tanto nella pratica simbolica della lavanda dei piedi, non è servire l’uomo per compiere la sua volontà, ma servire l’uomo per compiere la volontà di Dio che si esprime nei Suoi Decreti, Sacramenti e Comandamenti. E non ce lo inventiamo noi. Leggiamo quest’altro passaggio dal Discorso di Giovanni Paolo II sopra citato:
“Gli sposi cristiani, che hanno ricevuto “il dono del sacramento”, sono chiamati con la grazia di Dio a dare testimonianza “alla santa volontà del Signore: “Quello che Dio ha congiunto, l’uomo non lo separi”(Mt.19,6),ossia all’inestimabile valore dell’indissolubilità … matrimoniale” (FC,n.20). Per questi motivi – afferma il Catechismo della Chiesa Cattolica – “la Chiesa sostiene, per fedeltà alla parola di Gesù Cristo (Mc.10,11-12…), che non può riconoscere come valida una nuova unione, se era valido il primo matrimonio” (n. 1650).”
Abbiamo letto bene? Giovanni Paolo II cita il Catechismo della Chiesa Cattolica – e non poteva essere diversamente – per frenare l’avanzata dei modernisti che pretendevano, e pretendono, di SANTIFICARE GLI ADULTERI, i matrimoni civili: “ la Chiesa… non può riconoscere come valida una nuova unione, se era valido il primo matrimonio”.
Ma da quella intervista con il cardinale Ratzinger, c’è un’altro passaggio interessante. Peter Seewald chiede al futuro Pontefice, Benedetto XVI, se nei Vangeli ci sono dei passi o episodi da cui ci si potrebbe congedare, in futuro, perché confutati da nuove teorie e nuove acquisizioni, perché magari reinterpretati dalle nuove teologie moderne… bella domanda! Ecco la risposta di Ratzinger:
«NO! Forse emergeranno nuovi accenti nell’interpretazione dei testi. Ma ciò che dicono i Vangeli è stato fissato per iscritto a ridosso dello svolgimento dei fatti narrati e non può perciò essere rimesso in discussione da nuove acquisizioni contemporanee. La testimonianza che i Vangeli ci danno di Gesù Cristo (e di tutto il Suo insegnamento), rimane e conserva per sempre tutta la sua validità».
Ancora non basta? Leggiamo allora il monito di Giovanni Paolo II che descrive IL LIMITE DEL PONTEFICE. Con molta e vera umiltà il papa diceva “non possumus”, a riguardo proprio della superba presunzione di voler modificare la prassi dei Sacramenti:
“L’odierno incontro con voi, membri del Tribunale della Rota Romana, è un contesto adeguato per parlare anche a tutta la Chiesa sul limite della potestà del Sommo Pontefice nei confronti del matrimonio rato e consumato, che “non può essere sciolto da nessuna potestà umana e per nessuna causa, eccetto la morte”. Questa formulazione del diritto canonico non è di natura soltanto disciplinare o prudenziale, ma corrisponde ad una verità dottrinale da sempre mantenuta nella Chiesa.
Tuttavia, va diffondendosi l’idea secondo cui la potestà del Romano Pontefice, essendo vicaria della potestà divina di Cristo, non sarebbe una di quelle potestà umane alle quali si riferiscono i citati canoni, e quindi potrebbe forse estendersi in alcuni casi anche allo scioglimento dei matrimoni rati e consumati. Di fronte ai dubbi e turbamenti d’animo che ne potrebbero emergere, è necessario riaffermare che il matrimonio sacramentale rato e consumato non può mai essere sciolto, neppure dalla potestà del Romano Pontefice. L’affermazione opposta implicherebbe la tesi che non esiste alcun matrimonio assolutamente indissolubile, il che sarebbe contrario al senso in cui la Chiesa ha insegnato ed insegna l’indissolubilità del vincolo matrimoniale.”
“di fronte ai dubia”…. come direbbe ancora oggi Giovanni Paolo II, e come hanno chiesto i cardinali onesti, anche il suo Successore, Papa Francesco, ha L’OBBLIGO E IL DOVERE di rispondere che neppure lui ha il potere di trattare i Sacramenti con suo libero arbitrio! Giovanni Paolo II aveva già chiarito quali fossero le risposte da dare:
“Il Romano Pontefice, infatti, ha la “sacra potestas” di insegnare la verità del Vangelo, amministrare i sacramenti e governare pastoralmente la Chiesa in nome e con l’autorità di Cristo, ma tale potestà non include in sé alcun potere sulla Legge divina naturale o positiva. Né la Scrittura né la Tradizione conoscono una facoltà del Romano Pontefice per lo scioglimento del matrimonio rato e consumato; anzi, la prassi costante della Chiesa dimostra la consapevolezza sicura della Tradizione che una tale potestà non esiste. Le forti espressioni dei Romani Pontefici sono soltanto l’eco fedele e l’interpretazione autentica della convinzione permanente della Chiesa.
Emerge quindi con chiarezza che la non estensione della potestà del Romano Pontefice ai matrimoni sacramentali rati e consumati è insegnata dal Magistero della Chiesa come dottrina da tenersi definitivamente, anche se essa non è stata dichiarata in forma solenne mediante un atto definitorio. Tale dottrina infatti è stata esplicitamente proposta dai Romani Pontefici in termini categorici…”
Possiamo concludere che comprendiamo perfettamente come Papa Francesco sia stato messo “con le spalle al muro” dalla Lettera dei cardinali sui Dubia, ma come giustamente spiega Caffarra nell’intervista: “La divisione tra pastori è la causa della lettera che abbiamo spedito a Francesco. Non il suo effetto. Insulti e minacce di sanzioni canoniche sono cose indegne.. (..) Una Chiesa con poca attenzione alla dottrina non è più pastorale, è solo più ignorante”.
Il problema l’hanno creato coloro che hanno scritto il testo Amoris laetitia, e colui che l’ha firmato – il Papa – il quale firmando, ha approvato le loro aberrazioni. Un Papa come Francesco che continua a ripetere “anche io sono peccatore, tutti siamo peccatori… pregate per me, pregate per me…”, dovrebbe ora mettere in pratica ciò che dice a parole e fare un atto di grande umiltà riconoscendosi non peccatore astratto, ma di aver commesso uno sbaglio per essersi fidato di quelle persone alle quali ha dato mano libera per la composizione del testo post-sinodale.
O se proprio non arrivare a questo per proteggere la Sede Petrina da chi ne approfitterebbe per attaccarla, potrebbe semplicemente far proprie le parole di Giovanni Paolo II che dicono chiaramente: “è insegnata dal Magistero della Chiesa come dottrina da tenersi definitivamente, anche se essa non è stata dichiarata in forma solenne mediante un atto definitorio. Tale dottrina infatti è stata esplicitamente proposta dai Romani Pontefici in termini categorici…”
I termini SONO CATEGORICI a tal punto che la parola FINE la espresse Benedetto XVI nella Sacramentum Caritatis al n.29, mai citato da Papa Francesco, e dove dice:
“Il Sinodo dei Vescovi ha confermato la prassi della Chiesa, fondata sulla Sacra Scrittura (cfr.Mc.10,2-12), di non ammettere ai Sacramenti i divorziati risposati, perché il loro stato e la loro condizione di vita oggettivamente contraddicono quell’unione di amore tra Cristo e la Chiesa che è significata ed attuata nell’Eucaristia.(…) È necessario, evitare di intendere la preoccupazione pastorale come se fosse in contrapposizione col diritto. Si deve piuttosto partire dal presupposto che fondamentale punto d’incontro tra diritto e pastorale è l’amore per la verità..”
“Di tutti i mali che, per così dire, avvelenano gli individui, i popoli, le nazioni, e così spesso turbano l’animo di molti, causa e radice è l’ignoranza della verità. E non l’ignoranza soltanto, ma talvolta anche il disprezzo e uno sconsiderato disconoscimento del vero…” (San Giovanni XXIII – Ad Petri Cathedram – 29.6.1959)
Laudetur Jesus Christus
Nessun commento:
Posta un commento
Nota. Solo i membri di questo blog possono postare un commento.