L'affissione di manifesti che prendono in giro lo Spirito di
misericordia che anima papa Francesco, è stata un'occasione presa al balzo dai
soliti "Guardiani della Rivoluzione" per lanciarsi in reazioni
verbali violente indirizzate al cardinale Müller, ai cardinali dei
"Dubia" e a tutti quelli che sostengono le loro posizioni.
Un'operazione da respingere.
«Un po’ di umorismo aiuta ad andare avanti», aveva detto Papa Francesco durante l’omelia nella messa del suo 80esimo compleanno, neanche due mesi fa. E pochi giorni prima, nell’intervista a Tv2000-RadioInBlu aveva spiegato: «Il senso dell'umorismo è una grazia che io chiedo tutti i giorni, e prego quella bella preghiera di San Tommaso Moro: 'Dammi, Signore, il senso dell'umorismo, che io sappia ridere davanti a una battuta' (…) Il senso dell'umorismo ti solleva, ti fa vedere il provvisorio della vita e prendere le cose con uno spirito di anima redenta. È un atteggiamento umano, ma è il più vicino alla grazia di Dio».
Non abbiamo perciò dubbi sul fatto che, saputo dei manifesti appesi in giro per Roma, Papa Francesco si sia fatto una bella risata o almeno abbia sorriso. «A France’, hai commissariato Congregazioni, rimosso sacerdoti, decapitato l’Ordine di Malta e Francescani dell’Immacolata, ignorato Cardinali… ma n’do sta la tua misericordia?», così era scritto su questi manifesti, che ricordano le “pasquinate”, ovvero quei cartelli o biglietti satirici che venivano appesi alle statue del centro di Roma al tempo dello Stato Pontificio.
Ma se Papa Francesco ha sorriso, non così i Guardiani della Rivoluzione, che ieri si sono lanciati come un sol uomo in una caccia alle streghe quanto meno inquietante, invocando perfino il duro intervento dello Stato per reprimere queste forme di violenza. Si è letto di tutto, dalla denuncia di una aggressione al Papa fino all’accusa di armare la mano di eventuali attentatori (clicca qui per un’analisi di alcuni di questi attacchi). Un vero e proprio delirio, che è arrivato perfino a mobilitare la Digos per una goliardata che al massimo può essere punita con una multa per affissione abusiva di manifesti.
Certo, è indubbio che la trovata dei manifesti, per quanto discutibile, esprima un malumore presente in tanti ambiti cattolici e anche questo spiega la durissima reazione della stampa di regime, coloro che temono di perdere vantaggi e prebende acquisiti grazie a questo pontificato. Soprattutto coloro che vogliono marciare a tappe forzate verso una “nuova Chiesa” e per questo non possono tollerare dissensi o sacche di resistenza.
Ecco allora che una sciocchezza come quella dei manifesti viene raccontata come una trama occulta di oscuri golpisti che cercano di rovesciare il Papa per la sua limpida testimonianza di trasparenza e volontà di riforma. Si arriva anche (su Avvenire) a descrivere il glorioso popolo romano che scende in piazza per strappare i manifesti, e che scende nella piazza virtuale per esprimere sui social sdegno per l’accaduto e solidarietà al Pontefice. Brani degni dei migliori Cinegiornali dell’Istituto Luce.
Ma se c’è qualcosa di inquietante è proprio questo: usare la storia dei manifesti, trasformarla in un atto di terrorismo, con tanto di «indagini negli ambienti conservatori» (lo stesso linguaggio che richiama alla mente la ricerca di responsabili negli ambienti anarco-insurrezionalisti), per poter tappare la bocca a vescovi, teologi, docenti, giornalisti che osano anche solo manifestare perplessità davanti a certe affermazioni o omissioni del Papa.
Esempio tipico è Alberto Melloni su Repubblica, che si scaglia con la sua ormai solita violenza verbale, contro coloro che rappresentano «un feticismo cristiano dell’antiquato, indocile al vangelo e bisognoso di visibilità». Vermi da schiacciare, verrebbe da pensare, e il Papa fa male a non farlo, lo riprende Melloni. Sembra quasi accusare anche papa Francesco di mollezza, perché «con la metà di quel che ha detto e fatto il cardinale Müller, prefetto della Congregazione per la Dottrina della Fede, Pio XI si sarebbe fatto restituire la berretta cardinalizia». E cosa avrà mai fatto o detto il cardinale Müller, se non affermare e ribadire quello che dice la Dottrina della Chiesa, che non è l’insieme di vuote e aride leggi disumane ma ciò che Dio stesso ha rivelato in Gesù Cristo?
Ecco cosa vuole Melloni, e cosa vogliono i suoi compagni: umiliare ed eliminare chiunque osi ancora parlare di dottrina, ridurre al silenzio qualsiasi forma di espressione cattolica. Per lui è chiaramente intollerabile il contenuto dell’intervista di Müller al Timone, impossibile da sopportare. Ma alla fine non chiede l’intervento del Papa, no: lasciamolo stare che è troppo buono, ci pensi lo Stato a sbarazzarci di questo che è «il peggior cattolicesimo», pericoloso non solo per la Chiesa ma anche per l’Italia. Si straccia le vesti per l’offesa al Papa provocata da manifesti satirici e poi tratta un cardinale come fosse il peggior criminale.
Se questi sono i testimoni della Misericordia, tempi ben più duri ci aspettano.
06-02-2017http://www.lanuovabq.it/it/articoli-manifesti-a-romareazione-da-regime-totalitario-18866.htm
"TRAME" VATICANE
La commissione per riformare Liturgiam authenticam ha il compito di esprimere i criteri per la traduzione dei testi liturgici. Ma un incontro carbonaro della corrente post conciliare ha tenuto fuori gioco il Prefetto, il cardinal Sarah.
Decentramento e inculturazione. Queste due parole d'ordine sono l'orizzonte di lavoro della commissione istituita da Papa Francesco per riformare, qualcuno dice cancellare, Liturgiam authenticam. Questo documento fu approvato esplicitamente da san Giovanni Paolo II, durante un’udienza con il suo Segretario di Stato, il 20 Marzo 2001 e emanato dalla Congregazione per il Culto Divino il 28 Marzo con il compito di esprimere i criteri per la traduzione dei testi liturgici dal latino alle lingue moderne.
CARD. ROBERT SARAH TENUTO ALL'OSCURO?
Secondo alcune fonti nell'opera di obliterazione dell'istruzione sarebbe impegnato con zelo un gruppo ristretto di persone della Congregazione per il Culto divino, a partire dal segretario, l'arcivescovo inglese Arthur Roche, che è anche a capo della commissione istituita. Proprio nei giorni scorsi sarebbe avvenuto un incontro di lavoro riservato, fuori Roma, a cui dovrebbero aver preso parte oltre a Roche, il Sotto Segretario padre Silvano Maggiani, Andrea Grillo, professore al Pontificio Ateneo Sant'Anselmo, e i vescovi Piero Marini e Domenico Sorrentino. Tutti nomi importanti della corrente liturgica post-conciliare.
Lascia stupiti apprendere che la fase preparatoria di tutto questo, purtroppo, sembra sia avvenuta tenendo all'oscuro il prefetto della congregazione, e cioè il cardinale guineano Robert Sarah. D'altra parte il porporato non sembra godere di molte simpatie, visto anche come fu subitamente ripreso dalla Sala Stampa vaticana nell'estate 2016, a seguito di alcune sue affermazioni in una conferenza londinese sull'opportunità di celebrare rivolti “ad orientem”. Per molti quella fu un'umiliazione a tutto tondo, accompagnata poi da un certo isolamento vissuto nella congregazione di cui è a capo. Non sappiamo quanto questo corrisponda a realtà, di certo negli ambienti della congregazione non si fanno mancare sapide battute sul cardinale. «E' uno», si dice, «che ha avuto bisogno di scrivere 500 pagine per parlare del silenzio», in riferimento all'ultima fatica editoriale del porporato, intitolata, appunto, La force du silence.
«Il gruppetto cui starebbe particolarmente a cuore il superamento di Liturgia authenticam», dice una fonte che chiede di restare anonima, «oltre all'intento di decostruire sistematicamente l'istruzione, vorrebbero eliminare tutta l’eredità del magistero liturgico di Papa Benedetto XVI».
LA QUESTIONE DI LITURGIAM AUTHENTICAM
Il problema potrebbe apparire rilevante solo per gli addetti ai lavori, sennonché si tratta in non pochi casi della fedeltà al testo stesso dei Vangeli. A questo proposito ricordiamo anche la famosa lettera scritta da Benedetto XVI ai vescovi tedeschi nella querelle del 2012, a proposito del cosiddetto pro multis, per molti, del Vangelo e del messale latino nelle parole della consacrazione del sangue di Cristo, contro il "per tutti" di molte traduzioni correnti. In quella lettera papa Ratzinger costatava che nelle preghiere liturgiche in lingue diverse, talora, non è possibile trovare quasi niente in comune e che il testo unico, che è la base della vita liturgica di tutta la Chiesa, spesso è riconoscibile solo da lontano, per non parlare delle banalizzazioni che «rappresentano delle vere perdite». In tale lettera all'episcopato tedesco Benedetto XVI sottolineava chiaramente la necessità di riferirsi ai criteri presenti in Liturgiam authenticam.
“COMME LE PREVOIT”
Fino al momento in cui fu emanata l’istruzione Liturgiam Authenticam, coloro che sostenevano l’opportunità di tradurre molto liberamente i testi liturgici, pur riconoscendo che vi erano stati degli abusi, si appellavano in genere a un documento emanato nel 1969 dalla Commissione che elaborò la riforma liturgica e di cui era segretario Mons. Annibale Bugnini, un documento non firmato e insolitamente redatto in francese, di solito citato con le sue prime parole: «Comme le prévoit». L’istruzione emanata per ordine di San Giovanni Paolo II, però, volutamente non citava questo documento e cercava di richiamare alla fedeltà e all’esattezza nelle traduzioni liturgiche più che alla creatività, talvolta estemporanea, del liturgista in voga al momento.
Sempre Giovanni Paolo nell’Enciclica “Ecclesia de Eucharistia” del 2003 ribadì lo stesso concetto che poi Benedetto XVI farà suo nella lettera citata sopra. Fu solo venti giorni prima di morire, dal letto del Policlinico Gemelli, quando il Papa era ormai privo di forze che gli fu fatto firmare un documento a favore della traduzione «per tutti». Il Cardinale Ratzinger alla Congregazione per la Dottrina della Fede non ne sapeva nulla e, per questo, fece le sue rimostranze in una riunione di capi dicastero qualche giorno più tardi.
PERCHE' TORNA DI ATTUALITA' LITURGIAM AUTHENTICAM?
La domanda è interessante anche rispetto alle indiscrezioni che circolano a proposito del gruppetto zelante nel processo di “superamento” dell'istruzione. Soprattutto se fosse vero che la loro azione non è solo per “superare” l'Istruzione, ma più in generale per lasciarsi alle spalle il magistero liturgico del papa emerito.
Quando il Papa era Benedetto, l’Arcivescovo Roche non era affatto contrario all’istruzione di Giovanni Paolo II. Infatti, da Presidente della Commissione Internazionale sull’Inglese nella Liturgia (International Commission on English in the Liturgy – ICEL), una delle due Commissioni incaricate (l’altra si chiama Vox Clara ed è presieduta dal cardinale George Pell) di rivedere la traduzione del Messale Romano, aveva dichiarato che «la nuova traduzione è un grande dono per la Chiesa (…). Nella nuova traduzione troviamo un testo più fedele alla versione latina e perciò più ricco nei suoi contenuti teologici e nei riferimenti alla Scrittura, ma anche una traduzione che io credo condurrà il cuore e la mente delle persone alla preghiera».
In un’intervista di qualche anno fa, monsignor Roche affermò che il latino farà sempre parte del Rito Romano perché «mantiene la lingua in cui è scritto il Rito Romano, sia nella forma ordinaria che straordinaria». «Questo», proseguiva l’ex Arcivescovo di Leeds, «è il modo in cui la Chiesa si esprime. (…) Persone da tutto il mondo, da ogni continente e dalle varie parti del globo vengono a Roma e partecipano alla Messa unendosi tutti insieme a quell’espressione comune che è il canto delle parti latine della Messa». Proprio durante i preparativi della commemorazione dei cinquant’anni di Sacrosanctum Concilium, Monsignor Roche assicurò che Papa Francesco non aveva espresso alcuna intenzione di cambiamento di direzione rispetto a Benedetto per quanto riguarda sia la forma straordinaria che la forma ordinaria del Rito Romano.
Perché sembra che le cose cambiano? Qual’è la vera opinione di Monsignor Arthur Roche? Si vuole davvero distruggere l’eredità di Benedetto XVI?
06-02-2017
Nessun commento:
Posta un commento
Nota. Solo i membri di questo blog possono postare un commento.