La questione della forma e la sostanza della questione
Mentre Bergoglio si adopera per condurre il cattolicesimo alla sua “soluzione finale”, alcuni, a frenare l’esercito esiguo ma crescente degli oppositori, hanno appuntato la propria critica sulla forma delle critiche e, dopo le pasquinate e la falsa copia dell’Osservatore Romano, anche sull’irriverenza dei mezzi… dunque ci si dovrebbe limitare ad una critica meramente accademica, o magari alla disquisizione sui massimi sistemi.
di Patrizia Fermani
L’attacco frontale portato da Bergoglio contro la fede e la morale cattolica, in vista del loro totale sradicamento, è apparso evidente a chiunque si sia dato la pena di intendere parole e fatti. Quelli che Aldo Maria Valli ha raccolto in una silloge completa pubblicata da Liberilibri, e che non hanno bisogno di interpretazione per mostrare il proprio significato eversivo. La rivoluzione è stata innescata dal Concilio ma perché fosse assorbita lentamente e senza traumi dalla massa cattolica fiduciosa e passiva, è anche rimasta avvolta per tanti anni dentro la cortina fumogena delle formule accattivanti e della liturgia addomesticata. Però quando i tempi sono apparsi maturi, Bergoglio ha assunto il compito di strappare via definitivamente ogni velo per condurre il cattolicesimo alla sua “soluzione finale”.
Privo di inibizioni culturali, morali e religiose, contraltare vivente del servus servorum Dei, era l’uomo giusto al momento giusto, l’uomo della nuova provvidenza che doveva dare alla rivoluzione felpata la sua accelerazione conclusiva.
Il re ha dichiarato la fine della monarchia la sera stessa della propria elezione, e ha fondato la repubblica popolare mettendosi addosso i panni del sanculotto, le brache nere sotto la palandrana bianca. Ha assunto anche il comando supremo del regime rivoluzionario sfruttando i poteri di un vero papa, utilizzati ora per fini opposti a quelli propri del ministero petrino. Così, attraverso l’abuso del potere, il tradimento della missione petrina, la proclamazione di nuove eresie, viene cantato il De profundis del cattolicesimo, mentre l’autorità e l’obbedienza sono diventate le leve efficaci per imporre il programma di governo e per neutralizzare ogni opposizione.
In questo quadro la denuncia è stata il mezzo immediato di difesa della fede per chiunque ne avesse a cuore le sorti. Denuncia dell’abuso, del tradimento e delle nuove eresie come forma di una doverosa opposizione e quindi di una vera e propria lotta che vede schierato sul fronte opposto tutti i nemici storici del cattolicesimo diventati alleati entusiasti del nuovo potere dispotico, insieme al famoso popolo di Dio, reso insensibile e inerte dalle suggestioni proprie e dalla propaganda altrui.
Si è trattato dunque di scendere in campo con forze impari contro un nemico che ha dalla sua la mancanza di ogni scrupolo, il disprezzo della verità, poderose forze politiche, una organizzazione capillare ideologicamente addestrata, il torpore della gente abituata a vedere non la realtà delle cose ma la loro immagine deformata dalla comunicazione. In queste condizioni scendere in campo significa anche usare tutte le armi, pur improvvisate di cui si può disporre. Fosse pure la fionda che assicurò a Davide la vittoria su un nemico all’apparenza invincibile, quel Golia che ora sembra indossare le vesti di scena di vescovo di Roma.
Tuttavia a frenare l’esercito esiguo ma crescente degli oppositori che difendono il campo in nome di Dio come fece a costo della vita la piccola pulzella di Orleans, alcuni hanno appuntato in modo sorprendente la propria critica sugli strumenti usati per combattere la santa battaglia. Questi, si dice, non debbono essere offensivi per un nemico che pur riconosciuto come tale, veste i panni papali. Viene stigmatizzata la irriverenza della forma e ora, dopo le pasquinate romane e le altre trovate satiriche, anche la irriverenza dei mezzi. Dunque ci si dovrebbe limitare ad una critica meramente accademica, o magari alla disquisizione sui massimi sistemi. Ma si tratta di uno scrupolo ingiustificato, pericoloso e pressoché incomprensibile, a meno che non sia dettato dalla intenzione di aspettare per prudenza il finale di partita.
Soprattutto è uno scrupolo insensato in chiunque riconosce che proprio dal trono di Pietro viene negato il fondamento veritativo della dottrina cattolica e predicata una sua versione contraffatta. Se viene predicato il falso, è falso anche il predicatore, che dunque non merita di certo il riguardo dovuto a quello vero. Non è la divisa che fa il generale ed essa diventa un indumento come un altro quando è stata indossata da chi milita nel campo avverso. In queste condizioni, tributarle rispetto significa avallare agli occhi del mondo l’operato di chi la indossa e quindi togliere ogni credibilità anche alla propria opposizione, mentre vengono vanificate le ragioni stesse di una difficile battaglia e gli sforzi di quanti la combattono. Tertium non datur, per la contraddizion che nol consente.
Una seconda critica riguarda la scelta dei mezzi ed è appuntata in particolare sulle recenti pasquinate e sulla trovata del falso Osservatore Romano messo in rete. Si lamenta curiosamente l’uso di armi per così dire “non convenzionali” contro chi da parte sua, maneggia soltanto quelle improprie della demagogia, dell’arbitrio e dell’abuso di autorità, e quando la posta in gioco è tale da non sopportare esclusione di colpi.
Le armi definiscono la forma della lotta, e possono deciderne le sorti concrete. Per giovare alla causa per cui ci si batte devono essere efficaci e la loro adeguatezza va considerata in concreto. Un’arma può essere anche impropria e apparentemente debole come appunto la fionda di Davide, eppure decisiva perché efficace, e quindi sacrosanta, anche se ne andasse di mezzo la rispettabilità di Golia, che però non dovrebbe più rappresentare un problema per nessuno.
Per questo sono proprio le pasquinate romane e il geniale falso dell’Osservatore, quelli in grado di compromettere la stabilità di un dispotico apparato di cartapesta. Perché la satira e lo sberleffo incrinano la sicurezza del tiranno e magari possono far saltare quel precario equilibrio nervoso su cui si regge un ego ipertrofico. Ed è quanto sta forse accadendo in questi giorni.
L’opposizione alla eresia neocattolica non ha alle spalle le divisioni corazzate di questa. Non ha i giornali, la televisione, le lobby omosessualiste, l’ecologismo onusiano, il piano di massiccia importazione umanitaria di carne umana volto alla distruzione della storia occidentale, lo Ior e i poteri finanziari, l’individualismo spicciolo dei meschini interessi personali e politici. Ha soltanto il vantaggio di avere individuato per tempo un nemico formidabile, astuto e in perfetta sintonia con la volgarità dei tempi, Non ci sono armi improprie in una battaglia come questa che è impossibile non combattere, ci sono soltanto armi utili. E in ogni caso c’è anche il problema di svegliare le coscienze e chiamare a raccolta quanti non si accorgono del cataclisma programmato e apparecchiato. Tutti quelli che ignorando le diatribe su sedi vacanti, su scismi ed eresie, possono però avvertire nel profondo il richiamo del corno di Orlando, proprio in virtù di un suono più dissonante o esacerbato.
Adesso arriva fresca la notizia che Bergoglio ha riunito intorno ad un tavolo tredici cardinali per far giurare loro eterna fedeltà alla propria persona. Segno che è scattata la paura del complotto e dell’accerchiamento, quella con cui ogni tiranno che si rispetti deve fare i conti. Ma gli indomiti principi della chiesa che avevano già giurato fedeltà al papa, ora la giurano di buon grado alla sua controfigura. Piuttosto che correre il rischio di doversi precipitare dagli spalti di Castel Sant’Angelo come Floria Tosca, hanno pensato, è più dignitoso e indolore ricorrere alla vecchia pièce di Ettore Petrolini: “Bene”, “Bravo”! hanno gridato. “Grazie” ha risposto il richiedente soddisfatto. “Prego” hanno replicato i principi commossi. In fondo, a loro non è costato nulla, ma a lui ha fatto tanto piacere.
Ecco ancora una prova che quella del rispetto dovuto all’abito è una questione di lana caprina e non di solida stoffa inglese (sempre che da quelle parti se ne fabbrichi ancora di buona).
di Patrizia Fermani
L’attacco frontale portato da Bergoglio contro la fede e la morale cattolica, in vista del loro totale sradicamento, è apparso evidente a chiunque si sia dato la pena di intendere parole e fatti. Quelli che Aldo Maria Valli ha raccolto in una silloge completa pubblicata da Liberilibri, e che non hanno bisogno di interpretazione per mostrare il proprio significato eversivo. La rivoluzione è stata innescata dal Concilio ma perché fosse assorbita lentamente e senza traumi dalla massa cattolica fiduciosa e passiva, è anche rimasta avvolta per tanti anni dentro la cortina fumogena delle formule accattivanti e della liturgia addomesticata. Però quando i tempi sono apparsi maturi, Bergoglio ha assunto il compito di strappare via definitivamente ogni velo per condurre il cattolicesimo alla sua “soluzione finale”.
Privo di inibizioni culturali, morali e religiose, contraltare vivente del servus servorum Dei, era l’uomo giusto al momento giusto, l’uomo della nuova provvidenza che doveva dare alla rivoluzione felpata la sua accelerazione conclusiva.
Il re ha dichiarato la fine della monarchia la sera stessa della propria elezione, e ha fondato la repubblica popolare mettendosi addosso i panni del sanculotto, le brache nere sotto la palandrana bianca. Ha assunto anche il comando supremo del regime rivoluzionario sfruttando i poteri di un vero papa, utilizzati ora per fini opposti a quelli propri del ministero petrino. Così, attraverso l’abuso del potere, il tradimento della missione petrina, la proclamazione di nuove eresie, viene cantato il De profundis del cattolicesimo, mentre l’autorità e l’obbedienza sono diventate le leve efficaci per imporre il programma di governo e per neutralizzare ogni opposizione.
In questo quadro la denuncia è stata il mezzo immediato di difesa della fede per chiunque ne avesse a cuore le sorti. Denuncia dell’abuso, del tradimento e delle nuove eresie come forma di una doverosa opposizione e quindi di una vera e propria lotta che vede schierato sul fronte opposto tutti i nemici storici del cattolicesimo diventati alleati entusiasti del nuovo potere dispotico, insieme al famoso popolo di Dio, reso insensibile e inerte dalle suggestioni proprie e dalla propaganda altrui.
Si è trattato dunque di scendere in campo con forze impari contro un nemico che ha dalla sua la mancanza di ogni scrupolo, il disprezzo della verità, poderose forze politiche, una organizzazione capillare ideologicamente addestrata, il torpore della gente abituata a vedere non la realtà delle cose ma la loro immagine deformata dalla comunicazione. In queste condizioni scendere in campo significa anche usare tutte le armi, pur improvvisate di cui si può disporre. Fosse pure la fionda che assicurò a Davide la vittoria su un nemico all’apparenza invincibile, quel Golia che ora sembra indossare le vesti di scena di vescovo di Roma.
Tuttavia a frenare l’esercito esiguo ma crescente degli oppositori che difendono il campo in nome di Dio come fece a costo della vita la piccola pulzella di Orleans, alcuni hanno appuntato in modo sorprendente la propria critica sugli strumenti usati per combattere la santa battaglia. Questi, si dice, non debbono essere offensivi per un nemico che pur riconosciuto come tale, veste i panni papali. Viene stigmatizzata la irriverenza della forma e ora, dopo le pasquinate romane e le altre trovate satiriche, anche la irriverenza dei mezzi. Dunque ci si dovrebbe limitare ad una critica meramente accademica, o magari alla disquisizione sui massimi sistemi. Ma si tratta di uno scrupolo ingiustificato, pericoloso e pressoché incomprensibile, a meno che non sia dettato dalla intenzione di aspettare per prudenza il finale di partita.
Soprattutto è uno scrupolo insensato in chiunque riconosce che proprio dal trono di Pietro viene negato il fondamento veritativo della dottrina cattolica e predicata una sua versione contraffatta. Se viene predicato il falso, è falso anche il predicatore, che dunque non merita di certo il riguardo dovuto a quello vero. Non è la divisa che fa il generale ed essa diventa un indumento come un altro quando è stata indossata da chi milita nel campo avverso. In queste condizioni, tributarle rispetto significa avallare agli occhi del mondo l’operato di chi la indossa e quindi togliere ogni credibilità anche alla propria opposizione, mentre vengono vanificate le ragioni stesse di una difficile battaglia e gli sforzi di quanti la combattono. Tertium non datur, per la contraddizion che nol consente.
Una seconda critica riguarda la scelta dei mezzi ed è appuntata in particolare sulle recenti pasquinate e sulla trovata del falso Osservatore Romano messo in rete. Si lamenta curiosamente l’uso di armi per così dire “non convenzionali” contro chi da parte sua, maneggia soltanto quelle improprie della demagogia, dell’arbitrio e dell’abuso di autorità, e quando la posta in gioco è tale da non sopportare esclusione di colpi.
Le armi definiscono la forma della lotta, e possono deciderne le sorti concrete. Per giovare alla causa per cui ci si batte devono essere efficaci e la loro adeguatezza va considerata in concreto. Un’arma può essere anche impropria e apparentemente debole come appunto la fionda di Davide, eppure decisiva perché efficace, e quindi sacrosanta, anche se ne andasse di mezzo la rispettabilità di Golia, che però non dovrebbe più rappresentare un problema per nessuno.
Per questo sono proprio le pasquinate romane e il geniale falso dell’Osservatore, quelli in grado di compromettere la stabilità di un dispotico apparato di cartapesta. Perché la satira e lo sberleffo incrinano la sicurezza del tiranno e magari possono far saltare quel precario equilibrio nervoso su cui si regge un ego ipertrofico. Ed è quanto sta forse accadendo in questi giorni.
L’opposizione alla eresia neocattolica non ha alle spalle le divisioni corazzate di questa. Non ha i giornali, la televisione, le lobby omosessualiste, l’ecologismo onusiano, il piano di massiccia importazione umanitaria di carne umana volto alla distruzione della storia occidentale, lo Ior e i poteri finanziari, l’individualismo spicciolo dei meschini interessi personali e politici. Ha soltanto il vantaggio di avere individuato per tempo un nemico formidabile, astuto e in perfetta sintonia con la volgarità dei tempi, Non ci sono armi improprie in una battaglia come questa che è impossibile non combattere, ci sono soltanto armi utili. E in ogni caso c’è anche il problema di svegliare le coscienze e chiamare a raccolta quanti non si accorgono del cataclisma programmato e apparecchiato. Tutti quelli che ignorando le diatribe su sedi vacanti, su scismi ed eresie, possono però avvertire nel profondo il richiamo del corno di Orlando, proprio in virtù di un suono più dissonante o esacerbato.
Adesso arriva fresca la notizia che Bergoglio ha riunito intorno ad un tavolo tredici cardinali per far giurare loro eterna fedeltà alla propria persona. Segno che è scattata la paura del complotto e dell’accerchiamento, quella con cui ogni tiranno che si rispetti deve fare i conti. Ma gli indomiti principi della chiesa che avevano già giurato fedeltà al papa, ora la giurano di buon grado alla sua controfigura. Piuttosto che correre il rischio di doversi precipitare dagli spalti di Castel Sant’Angelo come Floria Tosca, hanno pensato, è più dignitoso e indolore ricorrere alla vecchia pièce di Ettore Petrolini: “Bene”, “Bravo”! hanno gridato. “Grazie” ha risposto il richiedente soddisfatto. “Prego” hanno replicato i principi commossi. In fondo, a loro non è costato nulla, ma a lui ha fatto tanto piacere.
Ecco ancora una prova che quella del rispetto dovuto all’abito è una questione di lana caprina e non di solida stoffa inglese (sempre che da quelle parti se ne fabbrichi ancora di buona).
Da sottoscrivere parola per parola.
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