A Bruxelles, una delle capitali più scristianizzate d’Europa, l’arcidiocesi, guidata dal neo-cardinale Jozef De Kesel, protetto del discusso cardinale Danneels è riuscita a far sì che le Fraternità di Gerusalemme decidessero di lasciare la città. Dal 2001 le Fraternità, gruppi di vita monastica (a Roma è affidata loro Trinità de’Monti) sono nella parrocchia di Saint-Gilles e hanno intessuto legami profondi con la popolazione, cattolica e non, del quartiere. Dopo la sostituzione dell’arcivescovo Léonard, inviso a Danneels e di conseguenza al Pontefice regnante, è partito un piano di ristrutturazione delle parrocchie, che ha creato e continua a creare perplessità e opposizioni fra i laici cattolici. Che, fra l’altro, sono rimasti molto colpiti – e non positivamente – dalla decisione di De Kesel di non ospitare più un’altra comunità fiorente di vocazioni e di frutti spirituali, la Fraternità dei Santi Apostoli, a Sainte-Catherine, voluta e sostenuta da mons. Lèonard. Una decisione che nel contesto della vita cattolica di Bruxelles è apparsa sin dall’inizio incomprensibile.
Da quello che si capisce dal comunicato delle Fraternità di Gerusalemme, di cui ha parlato la Bussola Quotidiana, monaci e monache sono stati messi in una condizione di difficoltà oggettiva tale da obbligarli a rinunciare alla presenza nella capitale belga.
Belgicatho ha preso chiaramente posizione contro questa situazione e ha definito le spiegazioni fornite alla televisione dal vescovo ausiliare Jean Kockerols “laboriose”. Dopo averle sentite (ci capisce il francese può trovare il link su A la Source, la parte che interessa è un po’ prima del minuto ‘5) ci sembra che non spieghino proprio nulla. Non si capisce perché fosse necessario sfrattare – dopo quindici anni! – le Fraternità da Saint-Gilles. Ma eccovi quello che ha detto mons. Kockerols: “Il fatto che le Fraternità e la vita parrocchiale classica coabitassero ha suscitato tensioni e allora abbiamo riflettuto su altre opzioni possibili per le Fraternità…E’ indispensabile che a Bruxelles ci siano luoghi nella città aperti alla preghiera sia personale che comunitaria, luoghi d’ascolto dove si possa ricevere il sacramento della riconciliazione. Le Fraternità fanno e continuano a fare questo lavoro rimarchevole nel cuore della città e questo fa parte delle priorità della Chiesa di Bruxelles…”.
E’ difficile conciliare gli elogi e la richiesta di sbaraccare, anche perché come si può leggere su LalibreBelgique la presenza delle Fraternità di Gerusalemme sembrava avere aspetti molto positivi, e suscitare reazioni di gradimento da parte delle persone del quartiere. E la risposta della diocesi – “Al bando le voci” data a settembre, quando la comunità cattolica discuteva in maniera preoccupata della possibile partenza delle Fraternità.
Naturalmente sui social si sono avuti commenti e critiche al comportamento di De Kesel e del suo ausiliare.
“i cristiani di Bruxelles cominciano a conoscere la canzone del ‘bando alle voci’…la partenza della Fraternità dei santi Apostoli si è verificata, quella di Gerusalemme anche, il piano di chiusura delle chiese anche…”.
“Che bilancio disastroso in qualche mese per le autorità…La base non segue più per niente, e la collera comincia a salire forte contro tutte queste decisioni di liquidazione”.
“Chi uccide la Chiesa? La Chiesa talvolta…ma talmente bene…”.
“E sono sempre i piccoli che ne soffrono”.
“Chi ri-evangelizzerà questa città? E Dio sa se ne ha bisogno!”.
“Bisogna pregare per questa diocesi, e per i battezzati che ci vivono il Vangelo e cercano di irradiarlo!”.
Marco Tosatti
http://www.marcotosatti.com/2017/02/25/bruxelles-chi-uccide-la-chiesa-la-chiesa-talvolta-ma-talmente-bene-gerusalemme/
UNA APOSTASIA DI MASSA
Si son dimenticati della Croce. Una riflessione che crediamo sia la chiave per comprendere, almeno nelle linee essenziali, la mutazione sorprendente che si è verificata nell'arco delle ultime due generazioni fra i cattolici
di Francesco Lamendola
Saliamo sul treno per tornare a casa, ma lo troviamo estremamente affollato: non solo non possiamo sederci, ma siamo anche costretti a stringerci in mezzo alla calca. È scomodo viaggiare così, ed è scomodo restare in piedi: dopo un certo tempo, si comincia ad avere un gran desiderio di trovare un posto a sedere, di allungare le gambe, di respirare: l'ideale sarebbe di avere uno scompartimento tutto per sé, di abbassare il finestrino per cambiare l'aria e di godersi il resto del tragitto in santa pace, leggendo un buon libro, o ammirando distrattamente il panorama, o magari sonnecchiando beatamente.
Oppure andiamo allo stadio per assistere alla partita. C'è la squadra del cuore che gioca, ma la folla in cui ci veniamo a trovare è composta tutta, o quasi tutta, dai tifosi dell'altra squadra. Proviamo un senso di disagio, quasi una sofferenza: non solo non possiamo condividere con altri i nostri sentimenti, le nostre speranze, ma dobbiamo anche assistere alle continue e rumorose manifestazioni dei sentimenti altrui, che sono opposti ai nostri. Come sarebbe bello trovarsi fra amici, o, almeno, fra persone che sentono quel che sentiamo noi!
Terzo esempio (in ordine di serietà). Lavoriamo da moltissimi anni in una grande azienda, e abbiamo sempre pensato che, accanto al profitto, vi siano dei valori irrinunciabili, come l'onestà, la lealtà, la ricerca della verità; e, forse per la nostra ingenuità, ci siamo sempre sentiti a nostro agio in quell'ambiente, ci è sempre parso che i nostri valori fossero compatibili con le finalità dell'azienda. Ma poi è cambiato qualcosa, o forse è cambiato tutto; è cambiata la proprietà ed è cambiata la dirigenza; i colleghi non sembrano più quelli di prima; c'è un altro clima. Vediamo fare rapide carriere i colleghi meno scrupolosi e meno corretti, mente noi, insieme ad altri, restiamo al palo; addirittura, veniamo convocato dal nostro nuovo superiore e subiamo una lavata di capo perché il nostro lavoro non è abbastanza produttivo, il nostro impegno difetta di efficienza, mancano i risultati...
In tutti questi casi, e in mille e mille altri simili, emerge un fatto: che trovarsi in situazioni svantaggiose, trovarsi in minoranza, dover subire il flusso dei più e doversi inchinare a delle logiche che non ci appartengono, tutto questo è estremamente scomodo, ingrato, frustrante. Ora, la natura umana è fatta in modo tale che ciascuno desidera delle gratificazioni; e, specialmente se ritiene di aver ben meritato, di aver svolto degnamente la propria parte, di aver rispettato il prossimo, resta alquanto mortificato nel trovarsi in una situazione scomoda, e non desidera che di uscire dalla scomodità. Il viaggiatore stanco vorrebbe potersi sedere; il tifoso vorrebbe essere in mezzo ai suoi; il lavoratore vorrebbe ricevere le lodi del suo capo e, se possibile, un avanzamento di carriera, non certo dei rimproveri. Tutto ciò è umano: tutti desideriamo stare comodi; nessuno gode della scomodità, sia essa di tipo fisico, o psicologico, o morale.
Ebbene: questa semplice riflessione crediamo sia la chiave per comprendere, almeno nelle linee essenziali, la mutazione sorprendente che si è verificata, nell'arco delle ultime due generazioni, fra i cattolici italiani (e non solo italiani; ma, per non allargare troppo la nostra riflessione, ci limiteremo a questi). Precisiamo subito che intendiamo parlare dei cattolici comuni, delle persone e dei preti comuni; perché, ai livelli più alti, dentro la Chiesa, crediamo sia accaduto qualcosa di assai più grave: che una lobby di cardinali e vescovi massoni, alcuni dei quali depravati, stiano perseguendo un disegno tenebroso per sovvertire e distruggere l’opera di Dio fra gli uomini.
Fino a tre generazioni fa, i cattolici erano consapevoli di avere in comune tra loro una fede che li teneva, per certi aspetti, separati dal mondo moderno; sapevano che la loro religione poneva al centro dei valori che non erano condivisi dal mondo moderno, e viceversa; ed erano sostenuti, incoraggiati, talvolta anche ammoniti, da un clero che, compattamente e coerentemente (salvo qualche debolezza individuale: ma sul piano morale, non su quello dottrinale) forniva loro i modelli da seguire, alimentava la loro fede, li consigliava nei passi dubbiosi, li esortava o li rimproverava in base all'unico criterio della fedeltà al Vangelo, così come esso è sempre stato interpretato e spiegato dal Magistero della Chiesa. Rispetto al mondo moderno, rispetto alla società profana nella quale vivevano, i cattolici erano portatori di un modello radicalmente alternativo, e non pensavano affatto do doversi adattare, o di dover scendere a compromessi. Vivevano nel mondo, ma non erano del mondo, per usare la precisa espressione con cui Gesù definisce i suoi apostoli nella preghiera al Padre, durante l'Ultima Cena, nel Vangelo di Giovanni. In tutti gli ambiti della vita, il cattolico aveva un suo codice etico che veniva dalla sua religione, e cercava di attenervisi. La cosa era più delicata, e, se si vuole, più sofferta, nella sfera delle relazioni affettive e sessuali. La Chiesa insegnava che il corpo è il tempio di Dio e che perciò non si deve profanarlo, ma rispettarlo; che la giusta e santa relazione fra l'uomo e la donna si realizza nel matrimonio e nell'atto della procreazione, indi nella cura dei figli; che il pudore, la castità, la verginità, la fedeltà, sono dei valori importanti, e che è giusto attenervisi, a cominciare dall'abbigliamento personale, dal modo di camminare e di guardare (specialmente le donne), dal modo in cui si passa il tempo libero e ci si concede qualche svago o qualche divertimento. Non è che i cattolici fossero tutti dei santi; però sapevano che l'ideale di colui che segue il Vangelo è la santità, e di ciò non dubitavano. I genitori erano orgogliosi se un figlio o una figlia (o anche più di uno) sentivano la vocazione alla vita religiosa e non li ostacolavano, ma, al contrario, li sostenevano. Viceversa, le famiglie sentivano come una vergogna, come un disonore, il fatto che i ragazzi si comportassero con troppa libertà sessuale, o che gli adulti dessero scandalo con comportamenti non conformi all'etica cristiana.
Dal punto di vista del mondo, era un modo di vivere scomodo, perché non condivideva l'edonismo che è al centro della società moderna: il cattolico non pensava che si viene al mondo per la ricerca del piacere, ma che si viene al mondo per rispondere, nel miglior modo possibile, a una chiamata di Dio. Il cattolico sapeva che la vita, così intesa, comportava sacrifici e rinunce, ma riteneva che il prezzo da pagare non fosse troppo esoso rispetto all'obiettivo: esser degno della vita eterna. Perciò la sposa cattolica, anche se aveva dei dispiaceri in famiglia, anche se il marito non le era fedele o i figli si scostavano dalla retta via, non se ne lagnava con Dio e non pensava di andarsene, di rompere il nucleo familiare: sopportava e cercava sostegno nella preghiera, nel rapporto con Dio, oltre che nel consiglio, eventualmente, di un direttore spirituale. Sopportava la sorte anche lo sposo che non guadagnava abbastanza da poter offrire a sé e ai suoi cari tutto ciò che avrebbe desiderato; sopportava il figlio i rimproveri, a volte ingiusti, dei genitori, per il rispetto loro dovuto, e stabilito dal quarto comandamento; sopportava la nuora la presenza di una suocera cattiva, e sopportavano tutti quanti i limiti che la natura umana di per sé, e la vita cristiana in particolare, stabiliscono alla ricerca del proprio bene. In breve, ogni cattolico sapeva, più o meno chiaramente, più o meno confusamente, che la vita non è una passeggiata di piacere; che le difficoltà, le prove, i dolori sono inevitabili; che i sacrifici sono necessari per raggiungere qualsiasi risultato; che non sempre si può vedere subito il frutto di una buona azione; che la ricompensa finale del bene fatto, così come il castigo del male, spettano solo a Dio, ma che immancabilmente verranno, se non in questa vita, di scuro nell'altra.
Pertanto, ogni cattolico sapeva che, nella vita, bisogna sopportare un certo grado di scomodità; che, se si vuole piacere a Dio e non al mondo, quelle scomodità diventano fioretti, diventano offerte d'amore a Lui rivolte; che, pertanto, sacrifici e mortificazioni non sono inutili, non cadono nel nulla, ma preparano la via verso il Paradiso. Il cattolico, di conseguenza, non invidiava le comodità del malvagio, perché sapeva che esse lo avrebbero condotto alla perdizione; e non si crucciava oltremodo delle scomodità alle quali si sottoponeva. E usiamo qui la parla "scomodità" nel senso più ampio: dal pregare con le ginocchia sul duro legno del banco, in chiesa, al fatto di vedere le altre ragazze del paese che si prendono tutto il piacere che vogliono prima del matrimonio, lasciando in ombra quelle che, magari non meno belle o desiderabili, per fedeltà ai valori cattolici, si serbano vergini e vengono perciò derise. Nella vita, pensavano i cattolici, non si viene per star comodi, né per invocare sempre nuovi diritti, ma per fare il proprio dovere. Ecco perché il divorzio, e più ancora l'aborto, suscitavano sentimenti di orrore: impossibile rompere un matrimonio benedetto da Dio, impossibile sopprimere un nascituro mandato da Dio, e poi sentirsi ancora in pace con Dio, con gli altri e con se stessi.
Poi è successo qualcosa. Qualcosa, un poco alla volta, si è rotto nell'anima dei cattolici. Si sono scoraggiati, si sono avviliti; hanno cercato sostegno e conforto nel clero, e non li hanno trovati. Al contrario, hanno trovato un clero che, quasi da un giorno all'altro, ha cominciato a tener loro dei discorsi stranissimi, completamente diversi da quelli fatti sino allora; che ha cambiato anche il modo di celebrare la santa Messa, ponendo al centro di essa non più Dio, ma l'assemblea dei fedeli, non il Sacrificio eucaristico, ma la riunione festosa, condita di applausi e di facezie, del sedicente popolo di dio: ma di un dio che viene spontaneo scrivere con la lettera minuscola, perché non somiglia più a quello che il clero ha sempre insegnato ad adorare. Un dio molto alla mano, bonaccione, perfino permissivo; un dio che perdona tutti, che strizza l'occhio alle altre religioni, agli atei, ai peccatori impenitenti; un dio che non giudica nessuno e che, soprattutto, non punisce e non manda all'inferno nessuno, anche perché l'inferno, a quel che par di capire, non esiste e non è mai esistito, era solo una specie di babau o, nel migliore dei casi, una espressione figurale. A quel punto i cattolici, tutt'a un tratto, hanno percepito la stanchezza, la scomodità della loro posizione nel mondo; fino a quel momento, l'avevano accettata e considerata naturale. Non aveva forse ammonito lo stesso Gesù Cristo: Se il mondo vi odia, sappiate che prima di voi ha odiato me? Una persona non si accorge di essere in una posizione scomoda se non quando cambiano i suoi punti di riferimento; e non comincia a considerare ingiusto il fatto di stare scomoda, se non quando comincia ad essere in rivolta, magari senza rendersene conto, contro il proprio codice morale. In fondo, quel che è accaduto nelle ultime due generazioni è molto semplice: i cattolici si sono accorti di essere in una condizione di scomodità e si sono ribellati contro di essa, ritenendola inutile e ingiusta; così facendo, si sono arresi alle logiche del mondo e hanno tradito non solo la lettera, ma lo spirito stesso del Vangelo. Hanno compiuto una apostasia di massa: ma, proprio perché di massa, non se ne sono accorti; o, se qualcuno se n'è accorto, si è affrettato a tener la cosa per sé, o meglio, a negarla perfino a se stesso. Quel clero che avrebbe dovuto fornir loro il modello, che avrebbe dovuto incoraggiarli e ammonirli, ha fatto tutto il contrario: si è messo a dare l'esempio, esso per primo, dell'accomodamento con lo spirito del mondo. Peggio ancora: si è messo a teorizzare e predicare che non c'è nulla di male nel conciliare lo spirito del Vangelo con lo spirito del mondo, anzi, che questo è il vero dovere del cristiano: vivere nel mondo e portarvi la luce di Cristo, ma all'interno delle logiche mondane: senza riflettere che, a quel punto, non c'è più nessuna luce e non c''è più nessun Vangelo. Non quello di Gesù Cristo, almeno. Il clero, a sua volta, era stato traviato (ma non aveva chiesto di meglio che lasciarsi sedurre) da una genia di falsi teologi che si sono assunti la parte più sporca del "lavoro": quella di dimostrare, si fa per dire, che il vero vangelo non è quello che la Chiesa ha custodito, tramandato ed insegnato per duemila anni, ma quest'altro, "scoperto" da loro, che non presenta alcun serio punto di contrasto con il mondo moderno. E la perfidia di quei signori è stata così sopraffina, così diabolica, che essi non hanno avuto l'onestà di presentare questo nuovo vangelo come un reale cambiamento rispetto al Magistero della Chiesa; no: hanno avuto l'inaudita sfacciataggine di presentarlo come perfettamente in linea con il Magistero, negando che vi sia stata un’effettiva discontinuità, e minimizzando il capovolgimento di prospettiva che essi hanno operato con la famigerata "svolta antropologica". In tal modo, hanno attutito l'impatto del mutamento e permesso a moltissimi cattolici di cullarsi nella beata illusione che non fosse successo proprio niente di nuovo, che il vangelo fosse sempre quello, e che anche la Chiesa fosse sempre la stessa di prima, quella di sempre. In breve, ci si è scordati della Croce, del suo valore di salvezza, che trasforma la sofferenza in bene. Ora le cose sono arrivate a un punto tale che proprio il sommo pontefice, il custode supremo del gregge e colui che massimamente dovrebbe vegliare e vigilare affinché le pecorelle affidategli da Cristo non siano aggredite e divorate ai lupi, si è schierato armi e bagagli dalla parte dei "novatori", che, se vogliamo chiamarli con il loro nome, non sono più dei cattolici, ma semmai dei cattolici apostati, e più precisamente dei modernisti. Ricordiamo che il modernismo è stato condannato, con la minaccia di scomunica, da san Pio X, che l’ha definito "la sintesi di tutte le eresie". E dunque, aveva per caso le traveggole anche san Pio X?
Si son dimenticati della Croce…
di Francesco Lamendola
Bravo Francesco!
RispondiEliminaProprio ieri io e mia figlia, parlando di questi argomenti, eravamo arrivate alle stesse conclusioni:ci hanno cambiato il cattolicesimo, ci hanno nascosto la Croce e adesso tanti cristiani (fedelissimi del precetto della messa) sono diventati dei rancorosi sindacalisti nei confronti di Dio: io non ricordo che mai mia nonna ( vissuta ancora 15 anni dopo il CV II ), pur con tutti gli acciacchi dell'età e le sofferenze che la vita non le aveva certo risparmiato, si lamentasse della giustizia di Dio ritenendo ingiustizie nei propri confronti quanto di doloroso le accadeva.
Mia mamma invece si'! I miei zii pure! Tanti che assolvono puntualmente il precetto festivo anche! SONO ORMAI CONVINTI DI ESSERE PIÙ SAGGI DI DIO e, accettano come un logico adattarsi ai tempi convivenze, contraccezione, ecc. ecc.