UOMINI ADORATORI DEL NULLA
«Fino a quando uomini adorerete il nulla?» sono le parole di Davide: la civiltà moderna è la civiltà nichilista per antonomasia quella che più ha imboccato con lucidità e consapevolezza la via del suicidio biologico e morale
di Francesco Lamendola
Fino a quando, uomini, adorerete il nulla? / Cultori d’illusioni, fino a quando / offenderete le mia gloria?, domanda il Salmista (4, 3), invitando ognuno alla vita buona, nel timor di Dio, e ricordando che da Lui solo giunge l’aiuto nei pericoli e il bene inestimabile di una coscienza pura e di un riposo tranquillo: Così attendo sereno la notte, Signore, / e in pace subito il sonno mi coglie: / solo tu mi fai riposare tranquillo (4, 9).
Ecco: se dovessimo dare una definizione complessiva dell’uomo moderno e della sua condizione, useremmo le stesse parole di Davide: adoratore del nulla. La civiltà moderna è la civiltà nichilista per antonomasia: quella che di più di ogni altra, nell’intero corso della storia umana (almeno a quanto ne sappiamo), si è allontanata da Dio; e, nello stesso tempo – come non vedere una relazione fra le due cose? – quella che più decisamente ha imboccato, con lucidità e piena consapevolezza, la via dell’autodistruzione, cioè del suicidio biologico e morale.
Una civiltà che non fa più figli, che li considera una disgrazia, che pratica milioni di aborti e che usa tutte le tecniche per evitare la gravidanza; non solo: che sostituisce alla procreazione naturale ogni forma possibile di fecondazione artificiale; una civiltà che denigra l’amore fra uomo e donna, che dipinge l’uomo come un animale pronto ad aggredire, e la donna come una creatura ingiustamente sfruttata; che denigra il matrimonio, che denigra la famiglia, che denigra e ridicolizza le famiglie numerose; e, nello stesso tempo, una civiltà che rincorre, esalta e promuove l’omoerotismo, che lo vuole insegnare nelle scuole, e che impone a tutti di pagare le spese “mediche”, destinate a durare tutta la vita, per far sì che gli uomini possano trasformarsi in donne, con la chirurgia e con dosi massicce di ormoni, e le donne diventare uomini; una civiltà le cui istituzioni, l’università, l’esercito, la pubblica amministrazione, fanno a gara nel facilitare la documentazione relativa al cambio di sesso, affinché nessun transessuale si senta “discriminato” o imbarazzato, e dove la sua scelta sia agevolata al massimo; e dove i parlamenti e le magistrature sono impegnati a rendere sempre più diffusa la pratica dell’eutanasia, delle adozioni per le coppie omosessuali, o la cosiddetta paternità e maternità “surrogata” (leggi: utero in affitto): ebbene, una civiltà con simili caratteristiche è destinata ad implodere e ad estinguersi in tempi molto brevi.
Si aggiunga, per completare il quadro, che le classi dirigenti non fanno nulla per tentar d’invertire la tendenza; non favoriscono in alcun modo la famiglia naturale, formata da un uomo e una donna; non sostengono le famiglie con più di due figli; non aiutano per niente le aziende o le attività commerciali a conduzioni familiare, da cui la sopravvivenza stessa delle famiglie dipende, ma, al contrario, le stroncano sotto il peso insostenibile di normative sempre più cervellotiche e assurde, e sotto quello di un prelievo fiscale ai limiti della rapina di stato. E si aggiunga, ancora, la politica volta a favorire al massimo l’immigrazione massiccia, o, per meglio dire, l’auto-invasione da parte di orde di stranieri provenienti da altre culture e altre civiltà, che non nutrono né rispetto, né ammirazione per la nostra, ma che esigono, pretendono, di essere accolti, di avere una sistemazione, di ricevere un lavoro, una pensione, anche se il numero dei nostri cittadini poveri cresce di giorno in giorno, e di essi non si occupa nessuno: e il quadro comincerà ad essere eloquente, senza bisogno di ulteriori commenti ed analisi. L’unico interrogativo che rimane aperto è se le classi dirigenti siano vittime di un accecamento inspiegabile, magari di natura ideologica, per cui antepongono le loro (belle) idee alla realtà concreta dei fatti, e pretendono d’ingabbiare la vita reale nelle loro magnifiche teorie, degne d’un Comenio e d’un Rousseau, oppure se costoro siano, tecnicamente parlando, dei traditori che hanno svenduto l’interesse nazionale, e quindi ipotecato la vita e il futuro dei loro concittadini, in cambio di carriera, denaro e successo, mettendosi al servizio di poteri oscuri e inconfessabili, non legati a singoli stati ma alle maggiori banche della finanza mondiale e a gruppi d’interesse che decidono la regia nascosta dell’umanità intera.
Questo stato di cose è divenuto possibile a causa dell’allontanamento dell’uomo da Dio, cioè da se stesso, dal suo vero Sé. L’uomo è creatura, e la creatura non può vivere senza il suo Creatore; di più: il senso e lo scopo della sua vita consistono nel ritorno felice alla propria origine, dunque nel ritorno a Dio, dal quale ogni cosa ha preso inizio e movimento. Allontanandosi da Dio, l’uomo si è allontanato da se stesso; tradendo l’amore di Dio, ha tradito anche se stesso; disobbedendo a Dio, ha deviato dalla sua stessa natura, è impazzito e si è messo a fare tutto ciò che gli causa del male e che finirà per distruggerlo. Questa è la nemesi della creatura che non ha voluto riconoscersi tale, che ha rifiutato il proprio statuto ontologico, e che ha preteso di farsi il dio di se stessa. Non può esservi alcun bene, per l’uomo, senza Dio e contro Dio; mentre in Dio egli troverà tutto ciò che gli occorre per condurre una vita buona sulla terra, e per realizzare la propria beatitudine nell’altra vita, dopo che avrà varcato i cancelli della morte.
La pazzia della civiltà moderna risiede proprio nell’auto-divinizzazione dell’uomo, ovvero nell’essersi fatto adoratore delle creature e delle cose, cioè del nulla. La creatura è polvere e ritornerà ad essere polvere: questo, almeno, è certo, naturalmente sul piano umano. Sul piano del soprannaturale, la vita prosegue; ma essa dipende da come l’uomo ha condotto la sua vita terrena. La vita eterna è semplicemente la conseguenza, e, se si vuole, il prolungamento, delle attitudini, degli orientamenti e delle scelte fatte in questa vita. Non è immaginabile che una vita spesa nel perseguimento del male abbia altro esito che l’inferno; non è pensabile che una vita spesa nella sincera ricerca del bene e del vero abbia altro esito che il paradiso. Dio è amore, ma anche giustizia, e ricompensa ciascuno secondo i suoi meriti, stante il libero arbitrio che permette a ciascun essere umano di fare una scelta ragionata fra il bene e il male. L’eterna dannazione o l’eterna beatitudine ce le prepariamo da noi stessi, con le nostre mani, nel corso della vita presente. Non ha senso invocare la misericordia di Dio per dare a intendere che nessuno, alla fine, sarà dannato: parlare in questi termini equivale a ingannare deliberatamente gli uomini. Chi lo fa, o è un irresponsabile, o, peggio, è un agente delle tenebre. Solo il diavolo, infatti, può compiacersi che una simile confusione venga a turbare le anime, illudendole che ci si possa ostinare e indurire nel peccato, senza che vi siano poi delle terribili conseguenze. E se chi lo fa, lo fa dall’alto di un magistero ufficiale, sfruttando la propria autorità in campo religioso, la cosa è ancor più grave, come lo è quando il pastore, invece di difendere le pecore del gregge che gli è stato affidato, le spinge nella bocca del lupo. Non ci sono parole per definire la gravità della sua azione: essa è talmente grave che a stento si può immaginare un peccato più terribile di questo, tale da stancare la pazienza di Dio e da vanificare perfino la sua amorevolezza.
E adesso vediamo brevemente quale sia la strada che gli uomini devono e possono imboccare, se lo vogliono, per ritrovare la direzione giusta e restituire un significato autentico alla loro vita, mentre ora stanno correndo verso il nulla. La prima cosa da fare è disintossicarsi da tutto ciò che offusca la mente ed il cuore: le cattive abitudini, le cattive amicizie, le cattive letture, le cattive ambizioni: bisogna bonificare l’anima da ciò che l’ha intossicata, avvelenata e che la sta trascinando verso l’insensibilità e la morte. Così come per restituire la salute al corpo bisogna eliminare i vizi, i superalcolici, il fumo, le droghe, l’alimentazione sbagliata, eccessiva e disordinata, e tornare ad un regime di vita sano, non troppo sedentario, non troppo condizionato dalla televisione dal computer, anzi, possibilmente libero da tali tecnologie; allo stesso modo l’anima deve sbarazzarsi di tutte quelle cose che ne compromettono l’equilibrio, la lucidità, l’armonia, la pace: le passioni egoistiche, i timori e le brame esasperate, la superbia, la lussuria e la cupidigia, con tutto ciò che simili aberrazioni comportano. La seconda cosa da fare è rivolgersi al bene, al vero, al buono e al giusto: cioè dirigersi consapevolmente verso la meta di ogni vera aspirazione della natura umana, la quale è naturalmente portata verso tali cose. Non è vero che la natura umana è naturalmente portata verso l’egoismo e verso il male, se per naturalmente s’intende in maniera irresistibile. Prima della natura decaduta (a causa del Peccato originale), la natura era buona; e un riflesso di quella bontà originaria – oh, un debole riflesso! – sopravvive in fondo ad ogni anima: per cui l’aspirazione a quanto vi è di meglio, sul piano spirituale, sussiste, anche se spesso è difficile rendersene conto perché è soverchiata da altri impulsi, da altre aspirazioni, da altre brame, di natura inferiore e grossolana
Quel Dio che ti ha creato senza di te, dice sant’Agostino con logica assolutamente inoppugnabile, non ti può salvare senza di te. In altre parole: non è vero che tutti si salveranno. Oggi si assiste a un vero abuso di questo (balordo) concetto pseudo teologico: lo si sente ripetere dovunque, lo si vede raffigurato nelle più recenti opere dell’arte “sacra”, che di sacrale non hanno assolutamente nulla, come nel blasfemo affresco del duomo di Terni, voluto dall’allora vescovo monsignor Paglia, che, oltretutto, fonde due cose diverse e distinte, la Resurrezione di Gesù e il Giudizio Universale, e nel quale si vedono tutti quanti portati in cielo, restando però sprofondati nei loro peccati. Dunque, non è nemmeno vero che l’inferno non esiste, che è una invenzione dei preti cattivi, della pedagogia della paura, come la chiama, sprezzantemente (e irresponsabilmente) padre Ermes Ronchi. Infatti, se aver paura del peccato e delle sue irreparabili conseguenze equivale ad una “pedagogia della paura”, allora che essa sia la benvenuta. Tutto quel che favorisce la salvezza delle anime deve essere salutato con gioia, comprese le penitenza, il digiuno, la preghiera e la mortificazione; tutto quel che mette le anime in pericolo, a cominciare da una catechesi all’incontrario e da una teologia ribaltata, è una cosa estremamente cattiva. In questo senso, bisogna evitare le cattive compagnie, e anche i cattivi predicatori. Ci viene in mente il titolo di un libro di don Luigi Ciotti, Chi ha paura delle mele marce? L’intenzione sarà stata anche buona, non lo discutiamo; ma il messaggio che “passa”, lo vede anche un bambino, è sbagliato, pericoloso, e, perciò, cattivo: guai se non avessimo paura del male e di tutto quello che può condurci sulle strade sbagliate, sia sul piano materiale, sia su quello spirituale.
Chi non ha paura del male è un incosciente e un irresponsabile: i santi, per primi, ne hanno, e ne hanno sempre avuto, una sacrosanta paura, e si sono sempre rivolti a Dio per trovare in Lui la forza e il coraggio per resistere alle tentazioni. Ora, se hanno paura del male i santi, come potremmo non averne noi, uomini comuni, che di certo santi non siamo? E non vedere che questa mancanza di paura, questa temerarietà, questa incoscienza (per parlare più propriamente), sono, a loro volta, il frutto di un altro peccato, già commesso per il fatto stesso di averle, e cioè il peccato della superbia: ecco, anche questo è un chiaro segnale del fatto che il peccatore è come accecato dai suoi stessi vizi, dalle sue cattive abitudini, e non riesce a scorgere quel che gli altri, intorno a lui, vedono benissimo. A forza di stare sprofondati nel fango, di avvoltolarsi nella melma, ci si riduce gli occhi in condizioni tali, non riuscire più a vedere nulla di ciò che ci riguarda in prima persona; figuriamoci se riusciamo a vedere quel che riguarda gli altri. Ed ecco perché il cieco si accompagna ad altri ciechi; il vizioso, ad altri viziosi; il peccatore, ad altri peccatori: fra di loro, s’illudono di vederci benissimo, si credono furbi e pieni di risorse, mentre sono solo dei poveri esseri alla deriva, delle anime allo sbando, delle esistenze fallite. Ecco anche perché, fra i malvagi e i viziosi, non sussiste mai vera amicizia: come diceva Aristotele, l’amicizia è una relazione d’affetto che lega i buoni; ma i malvagi non conoscono altre forme di legame che l’avidità e l’interesse. Sarebbe vano, perciò, pensare o sperare che un peccatore possa essere d’aiuto a un altro peccatore: le mele marce possono solo infettare le altre mele che si trovano nel cestino. L’unica maniera di salvare le altre mele, è di togliere quelle marce: togliendone via la parte marcita, se non è troppo estesa, e, altrimenti, gettandole via senz’altro, poiché una mela divorata dal marciume non è più recuperabile. E pazienza se tutti i buonisti del mondo s’indigneranno davanti a questa ovvia, banalissima verità, e se invocheranno – a sproposito - la misericordia di Dio, e anche il “dovere” della solidarietà da parte di ciascun essere umano, per negare l’evidenza, ossia che se ci si vuole perdere, fatalmente ci si perde, e che chi pretende di salvare qualcuno che è già perduto, si perde a sua volta. Di nuovo, un peccato di superbia: credersi Dio: perché Dio solo potrebbe salvare un’anima decisa a perdersi; anzi, non lo potrebbe nemmeno Lui, alla fine, se quell’anima, fino all’ultimo fiato di vita, ostinatamente, pervicacemente, seguitasse a dirgli: No.
Si vede che certi cristiani si credono di più di Dio. Promettono perdono e misericordia a tutti quanti indiscriminatamente, con o senza il pentimento dei peccati, ma con quale diritto? Il servitore non può promettere sconti e sanatorie ad alcuno, perché nessuno gliene ha dato l’autorità. La misericordia, quanto alla vita eterna, appartiene solamente a Dio. Or tu chi se’, che vuo’ sedere a scranna?, direbbe il padre Dante. Non c’è servo superiore al padrone. Noi possiamo solo pregare…
«Fino a quando, uomini, adorerete il nulla?»
di Francesco Lamendola
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