ACTA APOSTATICAE SEDIS : come, cambiando un po' qua e un po' la, si può cambiare tutto...

sabato 11 marzo 2017

“Una personalità distorta, malata, diabolica…”

Bergoglio: l’Apoteosi del Soggettivismo Emozionalista [2]

Seconda parte
La “Giustificazione” luterana e la “nuovissima morale”
Il nominalismo, negando la realtà degli abiti entitativi o qualità stabili (per esempio, la salute/malattia naturale o la grazia/stato di peccato soprannaturale), che dispongono ad essere (nell’ordine naturale o soprannaturale), sconvolge la dottrina della Giustificazione tramite la grazia santificante ed apre le porte al luteranesimo. Infatti la grazia abituale o santificante, secondo la dottrina cattolica, è un dono permanente o abito entitativo divino infuso soprannaturalmente nella sostanza dell’anima umana, cui conferisce la santità e la presenza della SS. Trinità. Ora la natura, l’abito entitativo, per il nominalismo, sono soltanto voci e parole (“flatus vocis”), che non hanno nessuna realtà. Lutero, formatosi filosoficamente sul nominalismo occamista, rigettò la dottrina cattolica sulla grazia santificante, riducendola ad un favore estrinseco di Dio, ossia ad un’estrinseca imputazione o attribuzione puramente nominale o logica, e non reale ed oggettiva, della santità di Cristo al peccatore, la quale attribuzione non cancella realmente il peccato e non conferisce la vita soprannaturale, ma soltanto copre come un velo il peccato, che, perciò, resta egualmente nell’animo umano, come la sporcizia sotto un tappeto1. Ecco perché secondo il nominalismo di Bergoglio tra cattolici modernisti e protestanti non vi sono differenze circa la dottrina della Giustificazione e della negazione pratica del libero arbitrio e della responsabilità morale delle proprie azioni.

Il libero arbitrio e la morale soggettiva
Secondo la retta ragione e la sana dottrina, la situazione soggettiva non muta l’essenza oggettiva dell’uomo. Ossia tutti gli uomini normali, in ogni situazione, mantengono la loro natura di animali razionali, liberi e responsabili. Quindi, tranne i casi patologici eccezionali o circostanze che tolgono o diminuiscono notevolmente l’uso di ragione e l’impiego del libero arbitrio, ogni uomo è responsabile dei propri atti, che debbono corrispondere alla morale oggettiva, naturale e divina per essere buoni, altrimenti sono moralmente cattivi o peccaminosi.
Negato ciò dal nominalismo protestantico e modernista, ogni uomo è lasciato in balìa dei suoi istinti soggettivi ed inoltre la stessa legge morale non è più un comandamento, un ordine universale, generale, avente valore oggettivo e reale per ogni uomo concreto in quella particolare situazione. Non è più la legge oggettiva a dire ciò che si può o non può fare nelle situazioni particolari, ma è la situazione concreta che prevale sulla morale e la legge oggettiva, naturale e divina. Come per Cartesio non è più l’io pensante che si deve conformare alla realtà extra-mentale, ma l’essere e il reale sono un prodotto del pensiero soggettivo (cogito ergo sum /penso quindi sono) così per Bergoglio è l’idea soggettiva di ciò che a noi sembra essere bene che rende buona un’azione. Infatti Francesco sostiene che “ciascuno ha una sua idea del bene e del male e deve scegliere di seguire il bene e combattere il male come lui li concepisce” (A. M. Valli, 266. Jorge Mario Bergoglio. Franciscus P. P., Macerata, Liberilibri, 2107, p. 442).
Così è la situazione soggettiva che prevale e libera il singolo uomo dagli obblighi universali della morale reale ed oggettiva (questa situazione è troppo penosa, quindi non sono obbligato soggettivamente dalla legge oggettiva, divina e naturale).
La “sola misericordia”
Lutero riteneva che per salvarsi basta la “sola fede” senza la carità soprannaturale, ossia le buone opere (l’osservanza dei 10 Comandamenti). La Chiesa ha sempre insegnato che la “fede senza le opere è morta” (Giac., II, 26), che Dio è misericordioso, ma è anche Giudice e verrà “a giudicare vivi e morti” come recita il Credo.
Ora Bergoglio sulla scia di Giovanni XXIII, il quale nell’indire il Concilio affermò che la Chiesa “preferisce la medicina della misericordia invece che imbracciare le armi del rigore” predica spesso una misericordia assoluta sganciata da ogni giustizia.
La Chiesa ha sempre insegnato sulla base della Rivelazione (S. Scrittura e Tradizione, lette e interpretate dal Magistero ecclesiastico) che il castigo è una pena o un male che la creatura razionale subisce per una colpa commessa.
Infatti dalla Rivelazione sappiamo che Dio aveva creato l’uomo in uno stato di felicità tale che, se egli non avesse peccato, non avrebbe sofferto nessuna pena (Gen., III, 8 ss.). In séguito al peccato originale, però, il male è entrato nel mondo sotto forma di colpa e di pena3.
Dal punto di vista teologico la pena inflitta da Dio a chi muore ostinato nella colpa grave è l’inferno4, che si divide in “pena del danno”, ossia la mancanza della visione di Dio, e in “pena del senso”, che è principalmente la pena fisica e positiva del fuoco.
Nell’Antico Testamento il castigo di Dio è rivelato formalmente: “Se farà il male lo castigherò” (2 Sam., VII, 14). “Dio castiga e usa misericordia” (Tob., XIII, 2); “Il Signore vi castiga per i vostri peccati” (Tob., XIII, 5); “Castigando il suo peccato, Signore, tu correggi l’uomo” (Sal., XXXIX, 12); “Signore, eri per loro un Dio paziente, pur castigando i loro peccati” (Sal., XCIX, 8); “Dio castigò i re per causa loro” (Sal., CV, 14); “Tu castighi poco alla volta i colpevoli” (Sap., XII, 2); “Il Signore castiga coloro che gli stanno vicino” (Giuditta, VIII, 27); “Con quanta attenzione hai castigato i tuoi figli” (Sap., XII, 21); “Ti castigherò secondo giustizia” (Ger., XXX, 11).
Nel Nuovo Testamento si legge: “Lo castigherò se farà il male” (1 Cor., XVII, 13); “Il Signore riprende e castiga coloro che ama” (Ap., III, 19); “Ogni albero sterile sarà gettato nel fuoco” (Mt., III, 10); “Il castigo di Dio incombe su di lui” (Gv., III, 13); “Dio non risparmiò gli angeli ribelli” (2 Pt., II, 4); “Il diavolo fu gettato nella stagno di fuoco” (Ap., XX, 9).
San Tommaso d’Aquino spiega innanzi tutto che Dio è l’Autore del male come pena (S. Th., I, q. 49, a. 2, in corpore) e non della colpa (malum culpae). Poi insegna (S. Th., I-II, q. 87, aa. 1-8) che nel concetto di legge è inclusa la necessità di una pena dovuta alla colpa: “il peccato rende l’uomo reo di castigo o pena” (a. 1, ad 2). L’Angelico cita Dionigi l’Areopagita (De Divinis Nominibus, cap. IV, lect. 18): “Gli angeli che castigano i peccatori non sono cattivi. Perciò il male non consiste tanto nel venire punito quanto nell’essere degno di punizione”. Ecco perché “tra gli effetti diretti del peccato non vi è tanto la pena quanto la necessità di subirla”(a. 1, ad 2).
In breve secondo l’Angelico l’obbligo di essere castigato (reatus poenae) deve essere necessariamente soddisfatto poiché lo esige la Giustizia divina. Dio non sarebbe Dio se l’ordine da Lui stabilito non ricevesse questa tutela infallibile (S. Th., I-II, q. 87, a. 6, in corpore).
Aldo Maria Valli cita frasi ed azioni di Bergoglio in cui egli cerca di dare il primato alla pastorale sulla dottrina, alla compassione sulla giustizia, evitando che la morale prenda il sopravvento sulla prassi e che la legge divina e naturale diventi la norma e il principio in base al quale si può essere solleciti verso le creature e i peccatori, aiutandoli ad uscire dal peccato, conditio sine qua non per ottenere il perdono di Dio. “Ubi justitia et veritas ibi caritas” .
Il suo soggettivismo e relativismo nominalista lo portano immancabilmente a ripudiare la dottrina cattolica, secondo cui ci deve essere una norma o legge universale valida per tutti e vincolante tutti (i 10 Comandamenti). Quella di Bergoglio, secondo Valli, è “una mentalità liquida, senza certezze oggettive e punti immutabilmente fermi di riferimento” (op. cit., p. 28).
Ora una pastorale sganciata dalla verità e dalla giustizia è contraria alla vera carità soprannaturale, non è missionaria e non porta l’uomo sulla strada che conduce in Paradiso. Ma quest’ultima è la natura della vera missionarietà della Chiesa e del Pontifex o Sacerdos, che debbono fungere 1°) da “ponte” tra Dio e l’uomo, affinché la grazia divina giunga all’uomo e affinché l’uomo, con l’aiuto della grazia, ascenda in Cielo; 2°) da colui che trasmette le cose sacre (“sacra dans”) agli uomini e non chiacchiere vuote di nomi cui nulla corrisponde nella realtà, come vorrebbero i nominalisti e i modernisti.
“Il medico è venuto per gli ammalati” (Mc., II, 17) certamente, ma il medico o il dottore è colui che conosce e insegna (“docet”) la scienza per curare i corpi e le anime e la applica ai casi singoli nelle dovute proporzioni e dosi. “Il medico pietoso fa la piaga cancrenosa”. Alcune volte il medico è costretto ad amputare, ad incidere ad operare, ma è per il vero bene dell’ammalato e della sua anima. Se il medico chiude gli occhi sulla realtà o gravità della malattia del suo paziente lo rovina, non lo cura. Per condurre qualcuno in Cielo bisogna conoscere e insegnargli la vera strada che vi porta. Ora con la morale soggettivista e relativista si tende a dire che la pretesa di possedere la verità aderendovi è orgoglio e fanatismo fondamentalista. Così facendo si fa imboccare una strada che, non essendo vera, non conduce a Dio ma all’Io e alla perdita di Dio.
Ora l’età moderna, iniziatasi con il nominalismo e l’umanesimo, è una marcia verso la conquista dell’io, che il Cristianesimo aveva mortificato in omaggio a Dio. Per riconquistare quest’io, mortificato da Dio, l’uomo si mise a percorrere freneticamente le vie dell’emancipazione. Venne Lutero col Protestantesimo, e si ebbe l’emancipazione dell’io dall’autorità religiosa. Venne Cartesio e col suo famoso metodo filosofico segnò l’emancipazione dell’io dalla filosofia perenne; venne Rousseau e con i suoi principi sociali rivoluzionari segnò l’emancipazione dell’io dall’autorità civile. Questa continua, progressiva emancipazione dell’io è poi culminata nella divinizzazione dell’io medesimo (Hegel) e nella conseguente umanizzazione, o meglio, “distruzione” di Dio (Nietzsche). Si è avuta così l’uccisione nicciana di Dio in omaggio all’io. Tolto di mezzo Dio, si è avuto l’uomo totalmente “finito”, ossia un cadavere ambulante: la conquista si è mutata in disfatta. La verità e la giustizia saranno il mezzo più efficace per salvare l’uomo moderno, arrestandolo nella sua folle e rovinosa corsa alla conquista dell’io e spronandolo non meno efficacemente alla sapientissima conquista dell’io a Dio.
Ora la pastorale di Bergoglio segue la strada della modernità più radicale e conduce l’uomo alla rovina evitando “la strada stretta che porta in Paradiso” e portandolo su “una strada larga e spaziosa che conduce alla perdizione” (Mt., VII, 13-14).
Giustamente nota Valli: “il problema è un altro. È che si parla troppo di sola misericordia e troppo poco di come procurarsi la misericordia divina! Dio è misericordioso, ma la sua misericordia occorre chiederla attraverso la nostra libertà responsabile. La vera via è il pentimento. Non mi pare, però, che la seconda parte della questione sia ben presente in tutto questo gran parlare che si fa di misericordia, né da parte del Papa né da parte dei suoi solerti sostenitori” (op. cit., p. 37). S. Agostino ci ricorda: “Qui creavit te sine te, non salvabit te sine te”, Bergoglio non ce lo ricorda!
In breve, la pastorale di Bergoglio è “una pastorale mobile e fluida, dove può essere vero tutto e il contrario di tutto” (op. cit., p. 87).
Misericordia a parole, durezza nei fatti
Padre Reginaldo Garrigou-Lagrange era solito dire: “il cattolico è intransigente nei princìpi perché ha la fede ed è misericordioso nella pratica perché ha la carità, il liberale è largo nei princìpi perché non crede ed è spietato nella pratica perché non ama di amore soprannaturale”.
Questo assioma può essere applicato a Bergoglio. Infatti se da una parte predica la “sola misericordia a chiacchiere”, dall’altra applica la cruda giustizia, che confina con la spietatezza e la crudeltà. Aldo Valli ce ne dà la prova: “Nel gennaio 2013 Francesco riceve in Vaticano Diego Neria Lejarraga, transessuale” (op. cit., p. 128). Invece “il 15 aprile del 2104, alla fine dell’udienza generale in piazza S. Pietro, il Papa si avvicina ad un folto gruppo di persone in attesa. Fra loro ci sono il marito e una figlia di Asia Bibi, la donna cristiana pachistana accusata di blasfemia e per questo incarcerata e condannata a morte. […]. Sono arrivati in Italia per chiedere di prendere iniziative a favore della liberazione della donna. L’incontro, annunciato dalla stampa, è dunque molto atteso, ma a sorpresa Francesco dedica ai parenti di Asia Bibi solo uno sguardo fugace, quasi distratto se non infastidito. Le immagini televisive non lasciano dubbi. Bergoglio questa volta non ascolta le persone che ha davanti a sé, non si ferma, non parla, non le benedice. La figlia di Asia Bibi resta visibilmente sorpresa da tanta freddezza. Perché tanta indifferenza in un Papa noto per la sua misericordia? […]. Perché tanta tenerezza con Diego e così poca con i parenti di Asia Bibi?” (op. cit., p. 119 e p. 129)5.
Quando la soggettività, come in Bergoglio, prevale su tutto si resta in balìa delle impressioni, dei sentimenti, dell’irrazionalismo cieco, manca una ragione e una logica illuminata e solida e si corre il rischio di sbandare “a sinistra” per eccesso di sola misericordia teorica che diventa “flatus vocis” o “a destra” per eccesso di giustizia pratica che diventa crudeltà. Infatti se il metro di ogni cosa è il soggetto, l’io, l’uomo concreto e sganciato dalla ragione che si uniforma e adegua alla realtà oggettiva, allora ci si riduce a istintività animalesca, passionalità selvaggia e si emettono opinioni discutibili in teoria, ma insindacabili in pratica. Si diventa allergici e intolleranti a qualsiasi obiezione ragionata, argomentata e logica, si fa come Pinocchio col grillo parlante: lo si schiaccia (v. Asia Bibi, il card. Edmund Burke, i Francescani dell’Immacolata…). Il soggetto, l’io, specialmente “il proprio Io” sono assolutizzati hegelianamente e divengono principio ingiudicabile di bene e di male, di vero e di falso. Chi osa obiettare ha “una personalità distorta, malata, diabolica…” e tutto in nome della misericordia in astratto, del “misericordioso a parole e duro nei fatti” (op. cit., p. 112). È una parodia della vera misericordia, una bugia incarnata.
Dopo aver studiato il pensiero e la prassi di Bergoglio quanto al soggettivismo relativista e alla “sola misericordia”, prossimamente in un terzo articolo vedremo i temi tanto cari a lui: l’accoglienza indiscriminata, la dottrina secondo cui “Dio non è cattolico” e la volontà di piacere al mondo.
d. Curzio Nitoglia
7/3/2017

https://doncurzionitoglia.wordpress.com/2017/03/08/bergoglio-lapoteosi-del-soggettivismo-emozionalista-2/

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