Dietro le bombe di San Pietroburgo c'è il paradosso della Russia putiniana. Fulvio Scaglione
di Fulvio Scaglione, Avvenire*Dietro le bombe di San Pietroburgo, e quel rozzo ordigno che ha fatto strage nel cuore sotterraneo della città, in uno dei 1.600 vagoni che ogni giorno trasportano 2,3 milioni di persone, c’è tutto il paradosso della Russia putiniana. Perché questo è il Paese che ogni giorno dipingiamo retto da un’autocrazia senza meriti e senza princìpi, corrotta e incapace di avviarlo sulla strada di un corretto sviluppo economico. Una petromonarchia dominata da gruppi di banditi e funzionari corrotti forti solo della benedizione del Cremlino. Uno Stato canaglia pure incline alla guerra e ora intento a preparare piani di battaglia che riguardano mezzo mondo. La culla degli hacker, il laboratorio di progetti politici che mirano a soggiogare gli Usa e a lanciare una specie di “scontro di civiltà” con l’Europa delle democrazie.
Una Tortuga che non funziona. Non lo diciamo così, ma lo pensiamo così. Eppure la Russia, e qui sta il paradosso, è oggi il centro politico del mondo. In Medio Oriente ha giocato carte decisive in Siria, e altre le butta ogni giorno sui tavoli dell’Iran, della Turchia, della Libia. Ha un rapporto strategico con la Cina, la grande potenza che sempre meno nasconde le proprie ambizioni. Ha tenuto in scacco gli Usa di Obama e ha sfidato tutti in Ucraina. Si fa beffe, almeno a parole, delle sanzioni economiche varate dall’Europa. È disposta ad affrontare il confronto politico-militare con la Nato sui delicati confini di quella che chiamavano Europa dell’Est e che tale è tornata a essere.
L’ombra di questo paradosso, dunque, si proietta anche sull’ordigno artigianale, potente come 300 grammi di tritolo, che ha fatto strage nel convoglio affollato dell’ora di punta. Poco prima dello scorso Natale, fu intercettato a Mosca un commando di jihadisti e simpatizzanti del Daesh che voleva colpire durante le feste. Potrebbero essere stati i loro “colleghi” a insanguinare San Pietroburgo, magari per lanciare un sinistro messaggio a Vladimir Putin, che era appena stato in città.
Una Tortuga che non funziona. Non lo diciamo così, ma lo pensiamo così. Eppure la Russia, e qui sta il paradosso, è oggi il centro politico del mondo. In Medio Oriente ha giocato carte decisive in Siria, e altre le butta ogni giorno sui tavoli dell’Iran, della Turchia, della Libia. Ha un rapporto strategico con la Cina, la grande potenza che sempre meno nasconde le proprie ambizioni. Ha tenuto in scacco gli Usa di Obama e ha sfidato tutti in Ucraina. Si fa beffe, almeno a parole, delle sanzioni economiche varate dall’Europa. È disposta ad affrontare il confronto politico-militare con la Nato sui delicati confini di quella che chiamavano Europa dell’Est e che tale è tornata a essere.
L’ombra di questo paradosso, dunque, si proietta anche sull’ordigno artigianale, potente come 300 grammi di tritolo, che ha fatto strage nel convoglio affollato dell’ora di punta. Poco prima dello scorso Natale, fu intercettato a Mosca un commando di jihadisti e simpatizzanti del Daesh che voleva colpire durante le feste. Potrebbero essere stati i loro “colleghi” a insanguinare San Pietroburgo, magari per lanciare un sinistro messaggio a Vladimir Putin, che era appena stato in città.
Se non loro, perché non qualche fanatico nazionalista ucraino? O un irredentista baltico davvero convinto che l’Armata Rossa sia di nuovo in marcia? O un figlio di quel Caucaso irrequieto da sempre, pacificato con la forza, e patria nel 1997 del primo Califfato?
Il protagonismo crea nemici, procura nuove sfide. Che non è sempre possibile combattere in casa d’altri. La metropolitana è un luogo d’elezione per gli attentati, ben lo sanno i moscoviti colpiti due volte, nel 2004 e nel 2010. Ma la bomba di San Pietroburgo ha la potenza giusta per incrinare quel clima di ottimismo naziona-lista, di presunta invincibilità, che negli ultimi tempi ha sollevato Vladimir Putin ai vertici del gradimento da parte degli elettori. I morti in guerra si possono celebrare o nascondere, i cittadini straziati nel metro si possono solo piangere, al riparo dell’infima consolazione che offrono le ipotesi sui colpevoli.
All’inquietudine per il nemico esterno si aggiunge quella per il tarlo interno. La Russia ha appena vissuto, grazie all’infaticabile agitatore Alekseij Navalny, la più imponente e meglio organizzata ondata di proteste degli ultimi vent’anni. Proteste, vale la pena notarlo, che alla base non avevano una scadenza o un voto (come fu nel 2011 con le elezioni politiche, nel 2012 con le presidenziali, nel 2013 con la scelta del sindaco di Mosca) ma una parola d’ordine: no alla corruzione. E i protagonisti di queste proteste sono stati i millennials, che per la Russia vuol dire i giovani nati subito prima o subito dopo il crollo dell’Urss. Il dilemma del Cremlino, ora, è come fronteggiare questa doppia promessa di disordine evitando la facile tentazione di mettere l’infiltrazione esterna e la contestazione interna nello stesso paniere. È una sfida nuova e più sottile, per Vladimir Putin. Che tra un anno, non dimentichiamolo, andrà alle elezioni presidenziali, per quel secondo mandato della seconda volta al Cremlino che dovrebbe decretare la sua uscita di scena. In teoria.
*Pubblichiamo su gentile concessione dell'Autore
I MANDANTI MORALI DOVREMMO CONOSCERLI
In serata, tale Emanuela Falcetti su Rai 1 già diffondeva il noto dubbio: “E’ stato Putin”. Ora dopo ora, sta diventando il mainstream. E’ stato Putin perché preoccupato del rivale Navalny. Il rivale del 5%.
Ha ragione Mauro Bottarelli: “Miracolo a San Pietroburgo! Se le bombe sono per Putin, il complottismo va in onda tra gli applausi”.
Lo riprendo: “Sette ore prima dell’attentato, su un profilo Instagram registrato da un utente a nome “Sdegno” compariva la fotografia di un involucro di cartone e la seguente scritta: “Da tempo qui non accade un attentato, oggi accadrà. Aspettatevelo”.
Mentre su Telegram da qualche giorno campeggiava questa immagine:
Che vi ricorda questa immagine? A me ricorda “Dabiq”, la celebre rivista dell’ISIS, patinata, hollywoodiana, introvabile nelle edicole ( meno male che Rita Katz viene in possesso di una copia e la diffonde sul web). Stessa grafica sapiente. Stesso stile. Stessi retorici slogan in inglese. Perché la rivista dello Stato Islamico è in inglese?
..
Vediamo alcune notizie di questi giorni che possono dare una mano:
Katar: 200 milioni per ammazzare Al Sissi
L’emiro del Katar ha stanziato 200 milioni di dollari per far assassinare il presidente egiziano Abdel Fattah Al Sissi: lo ha rivelato il giornale libanese Ad-Diyar, che fornisce i particolari. I servizi del Katar avrebbero mobilitato per la bisogna un gruppo di Fratelli Musulmani, incaricandoli di dinamitare la vettura del presidente egiziano.
Messo in allarme dopo la neutralizzazione di un gruppo di terroristi katari ed egiziani, Al Sissi ha lanciato un ultimatum, minacciando di bombardare Doha. L’emiro del Katar, Tamim ben Hamad, ha ricevuto l’ultimatum “attraverso un paese terzo”.
Effettivamente si è notato che al 28 mo vertice della Lega Araba, tenutosi in Giordania dal 29 marzo scorso, al-Sissi ha abbandonato la sala quando l’emiro Tamim ben Hamad ha presola parola.
Secondo il giornale libanese, i servizi Usa avrebbero ingiunto al Katar di tagliar corto con questa iniziativa, senza essere obbediti. Dal luglio 2013, quando Al Sissi ha detronizzato in Egitto Mohammed Morsi, capo dei Fratelli Musulmani, i rapporti col Katar – che sostiene apertamente i Fratelli e le loro iniziative terroristiche anche in Siria – si sono degradate al punto, che autorità dei due paesi spesso litigano in pubblico su temi apparentemente secondari.
Mosca ed Ankara di nuovo ai ferri corti.
“I turchi si ostinano a ostacolare il regolare svolgimento dell’esportazione dei nostri convogli di grano e cereali”, ha dichiarato sabato Arkady Dvorkovich, vice primo ministro russo, “potrebbe seguire una reazione da parte nostra ad ogni momento. Tuttavia si spera in un ritorno alla ragione da parte turca. Del resto dovrebbero cominciare colloqui per la soluzione dei problemi e noi lavoriamo perché un incontro abbia luogo”. Il fatto paradossale è che la Turchia è il primo importatore di cereali russi (l’Egitto è il secondo) , le cui esportazioni sono vitali per la Russia.
Alcune ore dopo, nella notte di domenica, raid russi hanno colpito in Siria, ad Idlib, i terroristi Jaïsh al-Islam et Ahrar al-Cham nella località di Babasqa, tanto vicine al confine turco che alcuni osservatori ritengono i caccia russi abbiano sconfinato. Quelli sono i terroristi su cui Ankara contava per ritagliarsi un pezzo di Siria da smembrare. Erdogan, sconfitto nel suo doppio gioco, sta di nuovo cambiando cavallo, facendo il nemico di Mosca e avvicinandosi al Pentagono.
Come si sa, il generale Mattis ha mandato silenziosamente 400 Marines in Siria a metà gennaio, senza chiedere permesso al governo di Damasco, pretesamente per assistere con l’artiglieria le milizie siriane che “combattono l’ISIS”, ovviamente con l’accordo con Erdogan, perché le truppe sono passate dalla Turchia. Poi, il 30 marzo, un portavoce del Pentagono ha annunciato: manderemo altre truppe, ma d’ora in poi senza rivelare il dove e il quanto, per mantenere “la sorpresa tattica”.
“Washington si serve delle opearzioni di Rakka per smembrare la Siria”, ha denunciato a Sputnik News Halaf al Miftah, membro del direttivo del partito Baas siriano: “Lo scopo non è la lotta contro i terroristi, ma di modificare le frontiere in Medio Oriente, annientare lo stato siriano e creare entità federali”. Il Progetto Kivunim.
D’altra parte il 22-23 marzo, durante la riunione a Washington della cosiddetta “Coalizione anti-Daesh”, i 68 stati riuniti dagli Usa per questa finzione, gli europei si sono opposti alla idea di Tillerson (il segretario di Stato di Trump), una volta liberata Rakka, di restituirla alla sua popolazione oggi sfollata e fuggiasca: siccome quella popolazione è massicciamente pro-Assad, la cocnlusione è che la città verrebbe restituita al governo di Damasco. Come?, s’è indignato a nome degli europei,il ministro degli esteri del Portogallo Augusto Santos Silva: L’Europa “ha il dovere morale di proseguire il suo sforzo di protezione dei rifugiati che sono fuggiti “dalla dittatura sanguinaria”, non possono permette che Rakka sia liberata per poi cadere nelle mani dell’esercito siriano, che è peggio di Daesh. Insomma la stessa posizione da cinque anni. La scelta di far parlare il portoghese non è casuale, secondo Meyssan: Santos Silva è stato ministro di Antonio Gutierrez, il socialcomunista che oggi – per volontà di Obama – è segretario generale delle Nazioni Unite.
Sempre secondo Meyssan, i britannici e i francesi sono dietro a questa uscita; e sul campo avrebbero coordinato i recenti attacchi a Damasco e Hama per indebolire la forza siriana attorno a Rakka: “Gli europei sperano di organizzare la fuga dei jihadisti verso la frontiera russa”. I loro jihadisti. Quelli che “sul terreno fanno un buon lavoro” , come disse a suo tempo Laurent Fabius, il ministro di Hollande.
E’ appena il caso di ricordare gli attacchi aerei israeliani in violazione di ogni diritto in Siria, secondo Damasco sarebbero un “tentativo disperato”, da parte di Tel Aviv, di “sollevare il morale” di Daesh, “distogliendo l’attenzione dalle vittorie che l’Esercito Arabo Siriano sta ottenendo contro le organizzazioni terroristiche”, si legge in un comunicato ripreso da Press TV. Sembra che un caccia israeliano sia stato abbattuto dureante queste operazioni; cosa che Sion nega. Ricordiamo anche il recente colloquio voluto da Netanyahu con Putin, pieno di coperte minacce.
“Abbiamo creato un Frankenstein”
Lo disse – ricordo ancora una volta – il generale Wesley Clark – l’ex comandante supremo NATO in Europa, quello che guidò la guerra alla Serbia ai tempi di Clinton . Alla CNN il 21 febbraio 2015, disse: “..Abbiamo reclutato Zeloti e estremisti takfiri”, creato “un Frankenstein”; in quell’intervista spiegò anche: “L’ISIS è stato creato dai nostri alleati per battere fino alla morte Hezbollah”. Intendeva: creato dalla monarchia Saudita per debellare la componente sciita che vive in Libano, Hezbollah. Intendeva anche lo stato sionista. https://www.youtube.com/watch?v=QHLqaSZPe98
Chi sia stato a mettere le bombe per uccidere inermi nella metropolitana di San Pietroburgo, non so. Ma sui mandanti ho qualche sospetto. Cercate uno Stato, o un superstato, che ha l’abitudine di ammazzare all’estero. Che da vent’anni destabilizza, sovverte, arma terroristi. Che anche in questi giorni fa strage di civili in Yemen. Che infrange e calpesta il diritto internazionale, e non riconosce la legittimità di Stati che, a a suo arbitrio, definisce nemici. Cercate uno stato o un superstato che compie false flags, che impone sanzioni alla Russia, che ha creato il Frankenstein e l’IS; che ha dato l’esempio malvagio, spingendo altri stati alla certezza che si può violare il diritto internazionale impunemente.
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