GESU' LUCE DEL MONDO
Gesù luce del mondo e testimone della Verità: sono le affermazioni che Gesù fa di sé e della propria missione. Concetti chiari e semplicissimi ma per una pseudo teologia modernista e progressista non è così
di Francesco Lamendola
Gesù è la luce del mondo e il testimone della Verità. Questo non lo diciamo noi; lo ha detto Lui di se stesso; e, per noi, ciò basta e avanza. Per un cattolico, quindi, credere in Gesù Cristo significa credere che Egli ha portato la luce in un mondo di tenebre, che è il nostro; e che è venuto a rendere testimonianza alla Verità, che è Dio. Sembrerebbero concetti semplicissimi e addirittura scontati; chiunque abbia letto il Vangelo, e lo prenda sul serio (e non faccia come padre Arturo Sosa Abascal, il quale sostiene che nessuno sa esattamente cosa Gesù abbia detto, perché ai suoi tempi non era stato ancora inventato… il registratore) dovrebbe averli perfettamente chiari nella mente e nel cuore. Eppure, non è così: sta venendo avanti una fangosa marea di pseudo teologia modernista e progressista, impregnata di relativismo, la quale prende perfino queste esplicite affermazioni di Gesù come delle colorite metafore, degli svolazzi poetici: il cattivo seme sparso dalla scuola di Ernest Renan è germogliato e sta dando, purtroppo, copiosi frutti.
E allora diciamolo chiaro e tondo: o si è cristiani, oppure si è relativisti; tertium non datur. Il relativismo è incompatibile con il cristianesimo, figuriamoci con il cattolicesimo, che ammette una, ed una sola, interpretazione delle Scritture e della Tradizione: quella del sacro Magistero (quello vero, però, quello di sempre, dei Padri della Chiesa, dei teologi scolastici, dei grandi Santi e delle grandi Sante; quello testimoniato, con il sangue, dai martiri della fede; e non quello di Sosa Abascal, né quello di padre James Martin, il gesuita che vorrebbe il riconoscimento delle coppie gay da parte della Chiesa, e che tanto piace alle organizzazioni LGBT). Il problema è che, oggi, la cultura profana dominante è radicalmente relativista: il relativismo è nel suo DNA, e nessun pensiero politically correct può esser preso in considerazione se non rende preventivamente omaggio al dogma fondamentale del relativismo: ossia che non esiste alcuna Verità assoluta, ma che tutte le verità sono parziali e relative, storiche, psicologiche, temporanee, soggettive. Succede, pertanto, che settori sempre più ampi della cultura cattolica, del clero, dei fedeli, si stanno orientando in senso relativista: se non per intima convinzione, quanto meno per “opportunità” (si stava scivolando dalla penna: per opportunismo). Ed allora eccoli lì, a rileggere con pignoleria ogni passo dei quattro Vangeli, confrontandoli – si capisce - con gli apocrifi (Dan Brown docet, di questi tempi…), e trovarvi dei significati nuovi, interpretabili in senso relativista; eccoli reinterpretare tutta la liturgia, tutta la pastorale, tutta la dottrina, in senso larvatamente relativista, di un relativismo spicciolo, di basso profilo, poco rumoroso, quasi discreto e, si direbbe, democratico e alla mano. Strategia abile, per non dire perfida, la quale, dopo alcuni decenni d’intenso lavorio, sta dando i suoi frutti avvelenati: sta trascinando, infatti, gran parte della Chiesa verso l’apostasia, ma in maniera così dolce e così subdola, così beatamente indolore, da far sì che la maggioranza dei fedeli non se ne rendono neppure conto.
Alla radice di questo fenomeno vi è una progressiva perdita della fede, accompagnata da una ripugnanza a riconoscerlo, per superbia intellettuale, non meno che per ipocrisia ed umana vanità. Per superbia, perché, quando la fede vacilla, esiste una sola medicina efficace: la preghiera, la richiesta d’aiuto a Dio: cosa che richiede, evidentemente, un minimo di umiltà. Tuttavia, se questo minimo di umiltà non alberga nell’anima del cristiano, esiste un’altra strada per reagire alla perdita delle fede: relativizzare la fede stessa, mediante la relativizzazione del Vangelo, spacciando questa operazione per una cosa diversa da quel che realmente è, e cioè facendola passare per un “approfondimento”, per una “rilettura più consapevole”, per una coscienza da “cattolici adulti”. Come dire che la Chiesa, i Santi, i Padri, il Magistero stesso, per quasi duemila anni, si sono sbagliati, o sono stati imperfetti, manchevoli, “ingenui”, “immaturi”, insomma creduloni e un po’ superstiziosi; ma adesso, per fortuna, sono arrivati loro, i cattolici “adulti” e “consapevoli”, e avremo una versione idonea del Vangelo, adatta alla comprensione e soprattutto alle necessità e alle aspirazioni (legittime, per carità!; pienamente legittime) dell’uomo moderno, il quale, a quanto pare, ritiene d’essere la misura di tutte le cose, di tutte le civiltà e di tutte le forme di pensiero e di morale, e si sente in diritto di guardare dall’alto in basso le generazioni che l’hanno preceduto, tanto più “primitive” e più rozze della sua.
Rileggiamoci, dunque, il memorabile capitolo ottavo del Vangelo secondo Giovanni (12-59), omettendo solo l’episodio iniziale, quello, peraltro famosissimo, della donna adultera, perché esso costituisce un capitolo a sé, che non rientra nella nostra presente riflessione, ossia Gesù come luce del mondo e come testimone della Verità:
Di nuovo Gesù parlò loro e disse: “Io sono la luce del mondo; chi segue me, non camminerà nelle tenebre, ma avrà la luce della vita”. Gli dissero allora i farisei: “Tu dai testimonianza di te stesso; la tua testimonianza non è vera”. Gesù rispose: “Anche se io do testimonianza di me stesso, la mia testimonianza è vera, perché so da dove sono venuto e dove vado. Voi invece non sapete da dove vengo o dove vado. Voi giudicate secondo la carne; io non giudico nessuno. E anche se io giudico, il mio giudizio è vero, perché non sono solo, ma io e il Padre che mi ha mandato. E nella vostra Legge sta scritto che la testimonianza di due persone è vera. Sono io che do testimonianza di me stesso, e anche il Padre, che mi ha mandato, dà testimonianza di me”. Gli dissero allora: “Dov’è tuo padre?”. Rispose Gesù: “Voi non conoscete né me né il Padre mio; se conosceste me, conoscereste anche il Padre mio”. Gesù pronunciò queste parole nel luogo del tesoro, mentre insegnava nel tempio. E nessuno lo arrestò, perché non era ancora venuta la sua ora.
Di nuovo disse loro: “Io vado e voi mi cercherete, ma morirete nel vostro peccato. Dove vado io, voi non potete venire”. Dicevano allora i Giudei: “Vuole forse uccidersi, dal momento che dice: ‘Dove vado io, voi non potete venire’?”. E diceva loro: “Voi siete di quaggiù. Io sono di lassù; voi siete di questo mondo, io non sono di questo mondo. Vi ho detto che morirete nei vostri peccati; se infatti non credete che Io Sono, morirete nei vostri peccati”. Gli dissero allora “Tu, chi sei?”. Gesù disse loro: “Proprio ciò che io vi dico. Molte cose ho da dire di voi, e da giudicare; ma colui che mi ha mandato è veritiero, e le cose che ho udito da lui, le dico al mondo”. Non capirono che egli parlava loro del Padre. Disse allora Gesù: “Quando avrete innalzato il Figlio dell’uomo, allora conoscerete che Io Sono e che non faccio nulla da me stesso, ma parlo come il Padre mi ha insegnato. Colui che mi ha mandato è con me: non mi ha lasciato solo, perché faccio sempre le cose che gli sono gradite”. A queste parole, molti credettero in lui.
Gesù allora disse a quei Giudei che gli avevano creduto: “Se rimanete nella mia parola, siete davvero miei discepoli; conoscerete la verità e la verità vi farà liberi”. Gli risposero: “Noi siamo discendenti di Abramo e non siamo mai stati schiavi di nessuno. Come puoi dire: ‘Diventerete liberi’?”. Gesù rispose loro: “In verità, in verità io vi dico: chiunque commette il peccato è schiavo del peccato. Ora, lo schiavo non resta per sempre nella casa; il figlio vi resta per sempre. Se dunque il Figlio vi farà liberi, sarete liberi davvero. So che siete discendenti di Abramo. Ma intanto cercate di uccidermi perché la mia parola non trova accoglienza in voi. Io dico quello che ho visto presso il Padre; anche voi dunque fate quello che avete ascoltate dal padre vostro”. Gli risposero: “Il padre nostro è Abramo”. Disse loro Gesù: “Se foste figli di Abramo, fareste le opere di Abramo. Ora invece voi cerate di uccidere me, un uomo che vi ha detto la verità udita da Dio. Questo, Abramo non l’ha fatto. Voi fate le opere del padre vostro”. Gli risposero allora: “Noi non siamo nati da prostituzione; abbiamo un solo padre: Dio!”. Disse loro Gesù: “Se Dio fosse vostro padre, mi amereste, perché da Dio sono uscito e vengo; non sono venuta da me stesso, ma lui mi ha mandato. Per quale motivo non comprendete il mio linguaggio? Perché non potete dare ascolto alla mia parola. Voi avete per padre il diavolo e volete compiere i desideri del padre vostro. Egli era omicida fin dal principio e non stava saldo nella verità, perché in lui non c’è verità. Quando dice il falso, dice ciò che è suo, perché è menzognero e padre della menzogna. A me, invece, voi non credete, perché dico la verità. Chi di voi può dimostrare che ho peccato? Se dico la verità, perché non mi credete? Chi è da Dio ascolta le parole di Dio. Per questo voi non ascoltate: perché non siete da Dio”. Gli risposero i Giudei: “Non abbiamo forse ragione di dire che tu sei un Samaritano e un indemoniato?”. Rispose Gesù: “Io non sono indemoniato: io onoro il Padre mio, ma voi non onorate me. Io non cerco la mia gloria; vi è chi la cerca, e giudica. In verità, in verità vi dico: se uno osserva la mia parola, non vedrà la more in eterno.”. Sei più grande del nostro padre Abramo, che è morto? Anche i profeti sono morti. Chi credi di essere?”. Rispose Gesù: “Se io glorificassi me stesso, la mia gloria sarebbe nulla. Chi mi glorifica è il Padre mio, del quale voi dite: è nostro Dio!”, e non lo conoscete. Io invece lo conosco. Se dicessi che non lo conosco, sarei come voi: un mentitore. Ma io lo conosco e osservo la sua parola. Abramo, vostro padre, esultò nella speranza di vedere il mio giorno; lo vide e fu pieno di gioia”. Allora i Giudei gli dissero: “Non hai ancora cinquant’anni e hai visto Abramo?”. Rispose loro Gesù: “In verità, in verità io vi dico: prima che Abramo fosse, Io Sono”. Allora raccolsero delle pietre per gettarle contro di lui; ma Gesù si nascose e uscì dal tempio.
Due sono le affermazioni che Gesù fa di sé e della propria missione, in questa pagina del Vangelo: di essere la luce del mondo e di essere il testimone della Verità.
La prima di queste affermazioni sembra avere, anacronisticamente, un sapore quasi “illuministico”: Egli è venuto a portare la luce nel cammino della vita, dissipando le tenebre: chi lo accoglie, avrà la via rischiarata, ma chi lo rifiuta seguiterà a brancolare nel buio. In effetti, l’analogia con l’illuminismo è puramente esteriore: gli illuministi ritengono di essere i portatori dei lumi della Ragione, con i quali verranno dissipate le tenebre dell’ignoranza e della superstizione. Gesù, invece, è venuto a portare la luce dell’Amore: l’Amore di Dio Padre per le sue creature; un amore così grande da essersi fatto Verbo, da essersi fatto carne, da essere venuto in mezzo agli uomini, divenuto uomo anche Lui, allo scopo di ricondurli a Sé, mediante la perfetta adesione alla volontà del Padre: sino al sacrificio totale di sé stesso. E le tenebre che Gesù è venuto a rischiarare non sono quelle dell’ignoranza, ma quelle del peccato, cioè della lontananza da Dio. Gli illuministi vogliono liberare l’uomo dalla schiavitù dell’uso inadeguato della Ragione; Gesù li vuole liberare dalle catene del peccato, dal male morale che li tiene vincolati a una vita di dolore e d’ingiustizia, nella quale essi fanno e subiscono continuamente il male che deriva dall’egoismo. Per gli illuministi, il male è essenzialmente quello che viene da fuori: la cattiva organizzazione della società, del lavoro e della proprietà; l’arretratezza legislativa e culturale; lo strapotere ecclesiastico, l’assolutismo tirannico, il feudalesimo e la servitù; per Gesù il male è essenzialmente quello che viene da dentro, dalla inclinazione al peccato che deriva dalla colpa originaria di Adamo ed Eva, dall’amore smodato di sé e dalla brama disordinata del possesso. Gli illuministi sono fiduciosi di poter instaurare un mondo felice e armonioso con le sole forze dell’uomo; Gesù sa che il male, nel mondo, è profondamente radicato, e concepisce tutta la sua vita come una battaglia contro di esso: ma il suo Regno, se incomincia quaggiù, si realizza pienamente solo nell’altra vita, quando i veli cadranno e noi potremo vedere le realtà invisibili, ed essere giudicati secondo le nostre opere, chi all’eterna beatitudine e chi alla dannazione eterna.
La seconda affermazione equivale a una rivendicazione della propria natura divina, accanto a quella umana. Gesù dice di esser venuto a rendere testimonianza alla verità, a nome del Padre suo e nostro, uniformandosi in tutto al suo volere; e poi aggiunge che vedere Lui, è come vedere il Padre, perché Lui e il Padre sono una cosa sola; infine, a scanso di qualsiasi equivoco, sostiene di esistere da prima che nascesse Abramo. Dicendo: Io Sono, Gesù tronca ogni possibile dubbio: rivendica la propria filiazione divina ed esige per sé tale riconoscimento. I giudei, allora, tentano addirittura di lapidarlo, scandalizzati dalle sue parole che reputano sacrileghe: sono figli di Abramo, loro, e non intendono prendere lezioni da nessuno, tanto meno da un rabbi in odore di essere un miscredente, un samaritano (evidentemente era giunta a Gerusalemme un’eco della sua predicazione a Sichem, dopo il colloquio con la donna samaritana presso il pozzo), e un indemoniato; Gesù, da parte sua, dice loro apertamente che essi hanno per padre il diavolo, signore della menzogna. Chi rifiuta Gesù, rifiuta la Verità, che Egli è venuto a testimoniare; e il rifiuto deliberato della verità è cosa diabolica. Lo dirà fino all’ultimo, davanti a Ponzio Pilato: Per questo sono nato e per questo sono venuto nel mondo: per dare testimonianza alla verità. Chiunque è dalla verità, ascolta la mia voce (Gv 18,37).
Gesù, luce del mondo e testimone della Verità
di Francesco Lamendola
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