METICCIATO E FUTURO DELL'ITALIA
Monsignor Perego non solo predice, ma prescrive il meticciato quale futuro dell’Italia. E' evidente che, se il popolo italiano si sta estinguendo, l’ingresso di un incessante flusso di migranti ne affretterà solo la fine
di Francesco Lamendola
Non perdono un’occasione per sparare le loro bordate; non trascurano il più piccolo spiraglio per andare all’attacco e imporre con prepotenza, e con assoluto disprezzo delle opinioni altrui, la loro visione della società futura, anche molto al di là e molto al di fuori dell’ambito di loro competenza, che è, o dovrebbe essere, quello spirituale e religioso: tale è lo stile dei cardinali e dei vescovi della neochiesa massonica al tempo di papa Bergoglio.
Le ultime bordate le ha sparate il nuovo vescovo di Ferrara, Gian Carlo Perego, che è anche il Direttore generale della fondazione Migrantes, organismo della Conferenza Episcopale Italiana che si occupa dei “migranti” e dei “profughi” – ci sia lecito virgolette queste due parole, visto l’abuso inaudito che se ne fa nel linguaggio corrente del buonismo politicamente corretto – che giungono in Italia. A Ferrara, monsignor Perego c’è andato in sostituzione del vescovo Luigi Negri, sostenitore di una linea più vicina al sentire del pontificato di Benedetto XVI e, dunque, rappresentante del “vecchio”; mentre Perego è un uomo del nuovo corso bergogliano, e papa Francesco ha voluto metterlo proprio lì per sottolineare una rottura, una netta discontinuità rispetto al suo predecessore.
Fra l’altro, il vescovo emerito Negri si è permesso di dire che le dimissioni di Ratzinger hanno probabilmente a che fare con un complotto ordito negli Stati Uniti, alla Casa Bianca, da parte dell’amministrazione democratica di Barack Obama: affermazione gravissima, dalle devastanti implicazioni anche per quel che riguarda la legittimità dell’elezione di Francesco, e che la stampa, naturalmente, ha fatto di tutto per silenziare o per minimizzare.
Dunque, il baldo neovescovo ferrarese, nel più perfetto stile bergogliano, cioè sparando con tono apodittico e tracotante considerazioni personali fatte passare per verità oggettiva, indiscussa e indiscutibile, si è presentato alla trasmissione televisiva Coffe Break, su La 7, il 1° maggio scorso, e, dopo aver dichiarato che contro le Organizzazioni Non Governative che prendono a bordo i “profughi” e li sbarcano in Italia, è stato aperto “un fuoco politico ipocrita e vergognoso” (non è chiaro se si riferisca alle dichiarazioni del Procuratore della Repubblica di Catania, Carmelo Zuccaro, il quale ha denunciato le connivenze e le complicità, anche finanziarie, tra alcune di esse e gli scafisti della Libia, o a chi altro), ed auspicato che i “migranti”, sono parole sue, non siano “due volte vittime”, ha poi testualmente proseguito:
Sono troppi coloro che stiamo accogliendo? 175.000 persone se accolte in maniera diffusa negli ottomila comuni italiani, valorizzando percorsi personali di accompagnamento e di integrazione, utilizzando le risorse disponibili per un servizio nuovo e per figure – educatori, mediatori, ecc. – che possono essere utili per creare e favorire dialogo e inserimento sociale sul territorio credo sia un atto intelligente e di responsabilità. Tanto più in un Paese che sta morendo – nel 2016, 150.000 morti in più rispetto alle nascite e che può trovare un suo futuro in percorsi di “meticciato” - come più volte ha detto il cardinale Angelo Scola - come è sempre avvenuto nella storia italiana, questa volta in maniera pacifica. È chiaro che anche nell’accoglienza diffusa dei migranti l’Europa deve finalmente svegliarsi dal sonno e promuoverla in tutti e 27 i Pesi europei.
Ancora una volta, dunque, costoro, i cardinali e i vescovi buonisti e progressisti, che parlano sempre dei ”migranti” e mai di Nostro Signore Gesù Cristo, rivendicano l’esclusiva dell’intelligenza e della responsabilità; come sempre, tracciano una linea netta fra chi ha capito e chi non ha capito, fra chi è buono e chi è cattivo, fra chi è aperto e chi è chiuso, fra chi getta ponti e chi innalza muri, e si scelgono un posto in prima fila nello schieramento dei buoni: quello, guarda caso, politicamente corretto, cioè sostenuto dall’alta finanza, dai media, dalla maggior parte delle forze politiche e dell’establishment intellettuale, o pseudo-intellettuale; ma non quello dei milioni di italiani poveri, dei piccoli risparmiatori rovinati dalle banche, degli operai che hanno perso il posto di lavoro, dei pensionati costretti a vivere nei quartieri sfigurati da spaccio, prostituzione e criminalità, ostaggi in casa loro, esposti a violenze e rapine quotidiane: tutta gente che, su questo tema dei cosiddetti migranti, così come su diversi altri temi molto cari ai vertici della neochiesa bergogliana, la pensano in tutt’altro modo, e, se fosse data loro la possibilità di far sentire la loro voce, forse manderebbero a quel paese sia il cardinale Angelo Scola che il neovescovo Gian Carlo Perego, e tutti i cattolici progressisti, massoni e semiradicali che vogliono somministrare al popolo italiano, che piaccia o che non piaccia, una minestra indigeribile in salsa modernista.
Ma venendo ai contenuti del bel discorsetto di monsignor Perego, quello che balza all’occhio, e lo vedrebbe anche un bambino, è la stridente contraddizione logica fra la constatazione che il popolo italiano “sta morendo” per il crollo verticale delle nascite, e la volontà di minimizzare il fenomeno delle odierne migrazioni, con relativa sostituzione di popolazione, sul nostro territorio, laddove egli dice che il popolo italiano ha subito continui fenomeni di meticciato nel corso della storia, solo che questa volta, per fortuna, si tratta di un processo che avviene in maniera pacifica. Ma è evidente che, se il popolo italiano si sta estinguendo, l’ingresso di un incessante flusso di migranti ne affretterà la fine; e che, se pure il meticciato fosse la “soluzione” al crollo demografico, com’egli sembra voler dire, il risultato sarà, comunque, la scomparsa del popolo italiano, Peraltro, il buon vescovo si è scordato di dire che le precedenti invasioni – i goti, i longobardi, i normanni – erano, per lo più, di buon ceppo europeo, e la civiltà latina, insieme alla Chiesa cattolica, furono capaci di assimilare quei popoli, convertirli, trasformarli in parte integrante della società; mentre il 90% dei cosiddetti migranti attuali sono di religione islamica, tenacemente attaccati ai loro usi e alle loro tradizioni, e moltissimi di essi non mostrano alcun desiderio, né alcuna volontà d’integrarsi, semmai il contrario, di convertire, un po’ alla vota, gli italiani alla loro religione e ai loro valori, e di sovrapporre la loro civiltà, i loro stili di vita, le loro convinzioni profonde, ai nostri. Non si capisce, pertanto, da quale colpo di bacchetta magica, da quale abracadabra dovrebbe scaturire la “salvezza”, o anche semplicemente il “futuro”, del popolo italiano: sommando le nostre culle vuote e l’alta prolificità degli immigrati, non occorre esser dei geni della statistica per capire che nel giro di neppure tre generazioni noi verremo comunque spazzati via, cancellati dal nostro territorio, e che la nostra tradizione e la nostra civiltà saranno votate all’estinzione, così come è accaduto alle civiltà dei maya, degli aztechi, degli incas, e di parecchi altri popoli del passato.
Le dichiarazioni di monsignor Perego, espresse con tanta decisione e quasi con aria di provocazione e di sfida, come se il meticciato fosse il destino storico e inevitabile del nostro popolo, e quasi che il compito della Chiesa fosse quello di favorirlo e, per usare le sue parole, “accompagnarlo”, denotano oltretutto una totale mancanza di realismo, visto il quadretto idilliaco che egli dipinge delle strategie per accogliere e integrare questo incessante flusso umano. Si direbbe che monsignore non sia mai stato a vistare un centro di accoglienza, o che lo abbia fatto con il paraocchi ideologico impostogli dal suo buonismo a tutto campo. Non ha mai sentito dire che molti di codesti “migranti”, mentre sono ancora in attesa di sapere se la loro richiesta di asilo verrò accolta, se ne vanno in giro a commettere ogni sorta di reati, dalla rapina, allo spaccio, allo stupro, all’omicidio? Non sa che basta il minimo contrattempo perché diano luogo a delle vere e proprie ribellioni, sequestrando il personale che si occupa di loro e minacciando violenze, se le loro richieste non verranno accolte? Non sa che si rifiutano perfino di raccogliere le foglie dei viali, se non ricevono, prima, la garanzia che le loro domande di soggiorno verranno accolte? Ma in che mondo vive, monsignor Perego? Si dà le arie di essere capace di guardare le cose in faccia come sono, senza illusioni, senza veli, e poi dimostra di vivere letteralmente in un altro mondo, dove bastano quattro chiacchiere sui percorsi di accompagnamento per trasformare in rose e fiorellini l’inferno quotidiano di queste migliaia di persone quasi sempre indisciplinate, spesso malavitose, violente, senza voglia di lavorare, senza alcun rispetto per il Paese che le ha salvate, accolte e sfamate; gente che non esita a rovesciare in terra il piatto della pastasciutta, perché pretende un menu più vario: e questo mentre milioni di italiani vivono in povertà e non ricevono nessuna forma di sostegno da parte dello Stato, ma solo l’aiuto dei parenti e degli amici. E in quale Europa vive, monsignor Perego, quando dice che essa dovrebbe darsi una svegliata e distribuire fra tutti gli Stati il flusso dei migranti? Non sa, o finge di non sapere, che gli altri Paesi d’Europa non li vogliono, puramente e semplicemente; e che, forse, sono loro ben più svegli di noi, dato che hanno valutato a colpo d’occhio cosa significherebbe aprire le frontiere a qualunque numero di stranieri richiedenti asilo: cioè venire espropriati della propria identità e della propria sopravvivenza?
Era perfettamente naturale che le sue parole suscitassero delle reazioni, anche a livello politico, e così è stato. Ma monsignor Perego non è uno che si prende il tempo di riflettere; proprio come il papa, è uno che passa continuamente all’attacco, che gioca sempre a centrocampo, che non arretra di un passo, anzi, raddoppia ogni volta la posta, e, se necessario, la triplica o la quadruplica. Detto, fatto: a strettissimo giro di posta, ha voluto far sapere che le reazioni di perplessità e di critica, suscitate dal suo discorso, non lo hanno minimamente turbato o intimidito; tutt’altro. Ed ecco la seconda serie di bordate: questa volta, usando di nuovo parole e concetti cui siamo già abituati da papa Francesco, ha affermato che ascolterà Salvini, ma che, comunque, indietro non si torna. Chi sia lui per dire e per decider una cosa simile, che indietro non si torna, e con quale autorità o legittimità lo dica, nessuno lo sa. Poi, sempre parlando con i giornalisti de La Nuova Ferrara, il 6 maggio (non si è preso nemmeno una settimana di tempo per riflettere), ha ribadito testualmente:
Il meticciato è una realtà ineludibile. Non sono opinioni, ma dati certi. Neppure l’immigrazione risolverà il problema demografico. Non correggo il tiro, indietro non si torna. Se Salvini chiederà un’udienza, gliela darà volentieri. Ma non si può travisare la realtà per fini politici. Siamo un Paese che sta invecchiando rapidamente, se ci chiudiamo moriamo. Penso a Ferrara che ha quattordici morti ogni sette nascite, o a Bondeno, quindici su quattro. E parlo di realtà attuali, non di prospettive. Come dice anche il cardinale Scola, se non siamo capaci di promuovere una cultura dell’incontro, non abbiamo speranza.
Una cultura dell’incontro: che belle parole! Ma monsignor Perego legge i giornali, conosce i fatti di cronaca? Ha mai sentito parlare di quella coppia di anziani che abitava a Mineo e che è stata uccisa in casa sua da un “profugo” del vicino centro di accoglienza, lei gettata dal balcone? Ha mai sentito parlare di padre Hamel, sgozzato nella sua chiesa da due ragazzi che gridavano: Allah akbar? Ha mai sentito dire che in Africa e nel Vicino Oriente i cristiani sono uccisi, violentati, derubati, costretti a fuggire a milioni dalle loro case e dalla loro patria, per mano di quelli che lui si propone di accompagnare ed integrare, come fosse la cosa più logica e naturale del mondo? Chi è, allora, che travisa la realtà: coloro che avanzano dubbi, che sono giustamente preoccupati, che ormai vivono come ostaggi in casa propria, oppure lui e i cardinali e vescovi progressisti e massoni, islamofili e buonisti a un tanto il chilo? Quanto all’affermazione che il meticciato è una realtà ineludibile, ha pesato bene le parole, prima di ribadirle con tanta sicumera? Se sì, allora si tratta dell’ennesima conferma che la neochiesa bergogliana, rappresentata da lui e tanti altri come lui, ha definitivamente gettato la maschera: non ha niente a che fare con la vera Chiesa cattolica, perché ha sostituito al Vangelo il naturalismo. Naturalismo è accettare il fatto come qualcosa di definitivo e indiscutibile; naturalismo è considerare i fatti sociali alla stregua di fatti naturali. C’è un determinato fenomeno, dunque esso è indiscutibile. Non desideriamo essere offensivi nei confronti di nessuno, ma, tanto per capirci: il fatto che ci sia la droga, che ci siano i delinquenti, gli aborti, l‘eutanasia, che ci sia la prostituzione, che ci siano i sodomiti, i pedofili, è, dunque, qualcosa che non può essere “discusso”? Qualcosa che va accettato e basta, in nome del realismo? Dunque la sola cosa che si può fare di fronte ai fenomeni sociali è accettarli e, al più, attuare percorsi di accompagnamento e integrazione? No, questo non è il Vangelo. Gesù Cristo non parlava così; non diceva: Siccome ci sono gli adulterî, dobbiamo accettare la realtà dell’adulterio; ma disse, invece, all’adultera: Va’, e non peccare più…
Monsignor Perego non solo predice, ma prescrive il meticciato quale futuro dell’Italia
di Francesco Lamendola
http://www.ilcorrieredelleregioni.it/index.php?option=com_content&view=article&id=11947:meticciato-nel-futuro-dellitalia&catid=114:civiltaoccidentale&Itemid=145
Perchè è caduto l'impero romano?
Meditate gente...
FALSI PASTORI TRADISCONO GREGGE
Falsi pastori della neochiesa massonica e progressista: nessuno parla mai del peccato tanto meno del giudizio e dell’inferno sono dei commedianti che recitano a soggetto bramosi solo di lodi e delle luci della ribalta
di Francesco Lamendola
L’ultimo che ha fatto parlare di sé è il neovescovo di Ferrara, Gian Carlo Perego, che anche il Direttore generale della Fondazione Migrantes, organo della C.E.I. che si occupa dei cosiddetti profughi: ha dichiarato che il solo futuro possibile, per l’Italia è il meticciato; che il popolo italiano sta morendo, e che forse non basteranno neppure gl’immigrati a salvarlo dall’estinzione: dunque, a quanto si deduce secondo la logica, e stando al suo ragionamento, bisognerebbe accelerare gli ingressi, favorire in ogni modo le partenze, potenziare le flottiglie delle O.N.G. che vanno fin davanti ai porti della Libia per prenderli a bordo e trasportarli da lì in Sicilia. E ha detto tutto questo con tono secco e decisi, quasi di sfida; ha precisato che questa sarebbe la sola linea intelligente da seguire. Dunque, chi la pensa in altro modo è uno stupido; oltre, naturalmente, a essere un razzista e, per soprammercato, un cattolico indegno, un cristiano di seconda scelta, meritevole d’una solenne ammonizione, se non proprio della scomunica. È lo stile di papa Francesco: secco, imperioso, intransigente, sprezzante verso le critiche, insofferente delle possibili obiezioni, pronto a lanciare anatemi contro i cristiani egoisti, rigidi, tradizionalisti, chiusi, poco accoglienti, all’insegna del motto: indietro non si torna. Vogliono cambiare la Chiesa, vogliono cambiare il mondo. Detestano il clericalismo, lo considerano la peggiore pestilenza che abbia mai infestato il cattolicesimo (mentre vanno più che d’accordo con massoni, radicali, abortisti, omosessualisti, atei, post-marxisti, luterani, giudei e islamici, che, anzi, considerano tutti assai migliori e più “puliti”), e intanto osano ciò che i clericali non avevano mai osato, neppure ai tempi d’oro di quella tendenza: entrano a gamba tesa nella politica interna delle nazioni sovrane, lanciano solenni scomuniche nei confronti di candidati alla presidenza e capi di governo, incitano i popoli a fare questo oppure quello, sfruttando il pulpito delle chiese e il balcone di Piazza san Pietro, nonché la cassa di risonanza della stampa cattolica e, ancor più, quella della stampa non cattolica, ma anticattolica, massonica e radicale, che però, chi lo sa come mai, parteggia compatta per loro, fa il tipo per loro, inneggia al papa Francesco e alle sue riforme, lo esalta, lo glorifica, specialmente quando dice: Voglio cambiare la Chiesa, in modo tale che non si possa più tornare indietro, come se ciò fosse un suo diritto legittimo, come se questa fosse la funzione di un sommo pontefice: cambiare la Chiesa che gli è stata affiata da Gesù Cristo, invece allo scopo di rafforzarla, custodirla, ampliarla.
Ma ogni giorno, si può dire, ce n’è uno nuovo, di codesti pastori del gregge che, invece di custodire le pecorelle, le confondono e le spingono lontano, a disperdersi fa mille pericoli, dove i lupi sono in agguato per divorarle; sempre sull’esempio del papa, il quale praticamente ogni giorno deve dire la sua, con quel tono di sicumera e di sfida; che ogni giorno deve trovare il modo di confondere, turbare, scandalizzare i buoni cattolici; che ogni giorno deve insinuare un dubbio, mettere in crisi una certezza, incrinare una verità, far vacillare un dogma, stravolgere una forma liturgica, rivoluzionare la pastorale (anche esaltando e glorificando i rivoluzionari della pastorale, come don Lorenzo Milani: quello stesso che Giovanni XXIII aveva definito: un povero pazzerello scappato dal manicomio), sostituire al sacro Magistero di sempre, e alla vera dottrina, un nuovo magistero, tutto ispirato alla dimensione mondana, e una nuova dottrina: immanente, naturalista, sincretista, relativista. Monsignor Galantino, monsignor Paglia, padre Sosa Abascal, padre Martin, il cardinale Kasper, il falso prete e pseudo teologo Enzo Bianchi: si considerano il nuovo che avanza, hanno un’altissima opinione di se stessi e una bassissima opinione di quanti non li applaudiscono; e hanno tutti uno stile inconfondibile, un modo di parlare e di muoversi, di dire le cose e anche di tacerle certe altre. È uno stile falsamente popolare, molto demagogico, molto umorale, almeno all’apparenza, molto schietto e spontaneo, molto “verace”, perfino sgrammaticato per la smania di mescolarsi alla folla, di odorare, o meglio puzzare, di pecora, per la fregola di apparire illetterati, ma, in compenso, vicini alla gente comune, di essere uomini fra gi uomini, uomini come gli altri, cin le stesse speranze, le stesse attese, gli stessi timori, lo stesso orizzonte quotidiano. Ma tutto ciò è falso, è doppiamente falso. Prima di tutto, non sono cos’ì rozzi e ignoranti, e soprattutto non sono così spontanei e “veraci”, come vorrebbero far credere: parlano così per dare una simile impressione, e poter far passare più facilmente i loro progetti, studiati a lungo a tavolini, con freddezza, con precisione quasi scientifica, allo scopo di programmare una mutazione genetica della Chiesa cattolica, e di sostituirne le cellule, una per una, parrocchia per parrocchia, diocesi per diocesi, sino a trasformarla in qualcosa di completamente diverso, d’irriconoscibile, ma senza che i fedeli se ne accorgano, secondo la tecnica della “finestra di Overton”, o, se si preferisce, della “rana bollita”. Si tratta di alzare la temperatura dell’acqua a poco a poco, in modo che la vittima non se ne accorga, e poi, quando se ne accorgerà, perché l’acqua prenderà a bollire, sarò troppo tardi, e non ci sarà più nulla da fare.
In breve, anche se sono monsignori e cardinali, ostentano quasi tutti dei modi da prete di strada, e come tali amano definirsi: preti di strada, per dire che loro stanno sulle strade, mica nei palazzi, anche se poi non è affatto vero, anche se vivono proprio nei palazzi, però in strada, effettivamente, ci vanno, ci vanno spesso che possono, per far vedere che loro sono dalla parte del popolo, dei poveri, degli ultimi. Guarda caso, codesti poveri e codesti ultimi sono, in proporzione, dieci volte più spesso dei “migranti” stranieri, dei falsi profughi provenienti da zone dell’Africa ove non vi è alcuna guerra in corso, e molti, troppi di loro vengono qui a spacciare, a rubare, a stuprare, a mendicare, insomma tutto, tranne che cercare e accettare un lavoro nesto, tranne che a tenare d’inserirsi, rispettando le leggi e le consuetudini di casa nostra. Però, in quella espressione, preti di strada, c’è anche una segreta, perversa civetteria della trasgressione, e sia pure giocando con le parole: preti di strada come ci sono le ragazze di strada e i ragazzi di vita, insomma un qualcosa che ricorda Anna Magnani e Pier Paolo Pasolini, il neorealismo e la pornografia di Alberto Moravia. Sì, anche la pornografia: perché le loro aperture, a volte entusiastiche, alla liberalizzazione della morale, e specialmente della morale sessuale, comprese la sodomia, la pederastia e l’utero in affitto, sanno più di Boccaccio che di Vangelo, e bisogna anche dire che, se lo si fa loro notare, se ne compiacciono, come se trovassero la cosa molto divertente, forse paradossale, ma, in fin dei conti, sin troppo vera. Forse che monsignor Paglia si è offeso o risentito, quando gli si è fatto notare che l’affresco da lui commissionato per il duomo di Terni è sconcertante, non solo dal punto di vista iconografico, ma proprio per l’impostazione teologica di fondo, con tutti quegli omosessuali, quei transessuali, quelle prostitute e quegli spacciatori che Gesù Cristo si porta in cielo così come sono, senza redenzione, senza pentimento, senza confessione della colpa? E forse che monsignor Galantino se l’è presa, quando gli è stato fatto notare che, sulla Bibbia, a differenza di quel che pensa e dice lui, sta scritto che Dio distrusse Sodoma per la gravità del peccato dei suoi abitanti, e non la risparmiò affatto, benché Abramo gli avesse strappato la promessa di farlo, se vi avesse trovato anche solo dieci giusti? E forse che monsignor Cipolla, il vescovo di Padova, nella cui città, sotto il suo naso, un prete indegno e dissoluto, don Andrea Contin, trasformava la canonica in un antro di orge perverse, e la parrocchia in una riserva di caccia sessuale, forse che ha fatto una piega quando abbiamo chiesto le sue dimissioni, dato che, per sua stessa ammissione, sapeva tutto questo da sette mesi, e non ha fatto assolutamente nulla per porvi rimedio, neppure chiamare quel prete, o andarlo a trovare, e parlargli faccia a faccia, come un padre dovrebbe fare con il suo figlio scapestrato, prima che diventi un vero e proprio criminale? No: nessuno di costoro si è offeso, nessuno ha protestato. E perché avrebbero dovuto farlo, poi, visto che nella neochiesa bergogliana nessuno parla mai del peccato, tanto meno del giudizio e dell’inferno, e visto che, anzi, gesuiti in vista, come padre James Martin, auspicano apertamente un sollecito riconoscimento dei cosiddetti matrimoni omosessuali anche in sede religiosa? Costoro, anzi, si sentono investiti d’una nobile missione: rinnovare una chiesa vecchia e stanca, metterla al passo con i tempi, gettare ponti e abbattere muri? E poco importa se stanno gettando dei ponti verso una sponda popolata di belve feroci: l’importante, si sa, è dialogare. Oh, dialogo, dialogo: quante sciocchezze sono state dette in tuo nome; quanti veri e propri delitti sono stati perpetrati! Tutti gl’incoscienti e tutti gl’imbecilli si riempiono la bocca con questa espressione, con questo slogan: Bisogna dialogare, con tutti, a qualsiasi costo; e anche i traditori ce l’hanno sempre sulle labbra, perché sembra così innocente, così candido, che a fatica ci si sente la puzza del tradimento. Ma il tradimento c’è: eccome, se c’è. Come altro si dovrebbe chiamare l’auto-demolizione consapevole, ostinata, imperterrita, quotidiana, della dottrina cattolica, della pastorale e della liturgia, da parte di codesti signori del nuovo che avanza, di codesti preti di strada, i quali, diventati vescovi e cardinali, altro non fanno se non criticare, deridere e sminuire quel che sempre il Magistero ha detto e insegnato, quello che sempre i pastori hanno predicato, quello che per generazioni le famiglie cattoliche, i nostri nonni, i nostri bisnonni, hanno fatto, e ciò in cui hanno creduto, e il modo in cui hanno agito e creduto? Come definire, se non tradimento, l’invito ad accogliere sempre più stranieri di dubbia provenienza, sempre più islamici, come se ciò fosse l’unica risposta possibile al calo delle nascite? E, intanto, dichiararsi favorevoli alle unioni omosessuali e ad ogni sorta di relativismo etico e sessuale, come se la diffusione della pratica omosessuale non avesse niente a che fare con le culle vuote e come se gli aborti, dei quali codesti monsignori hanno smesso da un pezzo di parlare, non contribuissero potentemente al suicidio biologico del nostro popolo? Anzi, non solo non parlano più, e da moltissimo tempo, del dramma della interruzione volontaria della gravidanza, mostrano anche un aperto fastidio per quelle famiglie cattoliche le quali, invece, vorrebbero fare qualcosa, se non altro per porre un argine alla penetrazione ufficiale dell’ideologia gender nelle scuole, mediante la quale verrà fatto il lavaggio del cervello ai bambini e verrà insegnato loro che non esistono il genere maschile e quello femminile, ma che ciascuno può sentirsi maschile o femminile, e comportarsi di conseguenza, a seconda del suo umore e del suo stato d’animo, nelle modalità di una sessualità “fluida”, decisa volta per volta, non in base a fattori oggettivi, ma al proprio insindacabile desiderio. E non basta ancora. Codesti signori, codesti Paglia, per esempio, non si vergognano d’intonare le più alte lodi di un Marco Pannella, il campione del divorzio, dell’aborto, dell’eutanasia, delle unioni civili, dei matrimoni omosessuali e della droga libera; non arrossiscono a portarlo ad esempio di tensione etica e di profonda spiritualità. In un momento così drammatico per la nostra società e per la nostra Chiesa, questi falsi pastori non rivolgono al gregge parole di consolazione, di fede, di speranza e carità. Si uniscono alle voci del mondo, gridano quasi più forte del mondo, stabiliscono, a maggioranza e a furor di popolo, quello che è giusto e quello che non lo è. Alla Humanae vitae di Paolo VI avevano risposto con il voto a favore del divorzio e dell'aborto; ora, fatti più arditi, modificano la dottrina morale e il Magistero, in modo da accontentare le richieste del pubblico. Il pubblico ha deciso che l'esclusione dai sacramenti è una pena troppo severa per i divorziati che si sono risposati? Benissimo: si cambia la dottrina, si allargano le maglie della "misericordia", si assolvono tutti, pentiti e non pentiti. Non è vero ciò che è vero, ciò che la Chiesa ha insegnato per duemila anni, sulla base della Rivelazione: oggi c'è la nuova teologia, che riparte da zero, perché Sosa Abascal ha detto che non si sa cosa abbia realmente insegnato e fatto Gesù, dunque il Vangelo è lì per essere riempito di contenuti nuovi, secondo i gusti del XXI secolo. Anzi, essi invocano sempre nuovi diritti per il singolo individuo, come se proprio l'individualismo esasperato non fosse all'origine della crisi morale che stiamo vivendo; accusano gli oscurantisti, i passatisti, tutti quelli che si tengono saldi alla tradizione; fanno tutto quel che sta in loro per spezzare gli ormeggi, proprio mentre il mare è in burrasca e solamente un pazzo porterebbe la sua nave verso il mare aperto: poi, non ancora soddisfatti, si mettono a lacerare le vele, a scardinare il timone, a sfasciare, a colpi di scure, le scialuppe di salvataggio. Davanti a un'Italia che si spopola, non predicano il ritorno alla famiglia, ai valori, alla sacralità del matrimonio, alla trasmissione della vita come impegno dell'uomo e come dono di Dio: no, invocano i matrimoni omosessuali, tacciono sull'aborto, propongono un indulto generale per i divorziati risposati, e... prescrivono una sempre maggiore accoglienza d'immigrati africani di religione islamica. Perfetto: non c'è nulla da aggiungere. Se questo non si chiama tradimento della propria Chiesa, dei propri valori, del proprio popolo e della propria civiltà, allora le parole non hanno più un senso logico, e ciascuno può considerarsi libero di dire tutto e il contrario di tutto, felice e contento, e confidare nell'applauso della platea. Sì, questo sono, in fondo, i pastori della neochiesa massonica e progressista: dei commedianti che recitano a soggetto, bramosi di lodi e delle luci della ribalta. Altro che predicare il Vangelo di Gesù Cristo...
Falsi pastori che tradiscono il gregge
di Francesco Lamendola
Sì il meticcio è già realtà purtroppo, ma anche il non dare il mio 8×1000 a questa chiesa massonica lo è.
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