Questa dichiarazione di intenti di Avvenire, non nuova a dire il vero, ma in qualche modo “ufficializzata” sul quotidiano dei vescovi italiani, è interessante prima di tutto perché confuta definitivamente l’idea di chi continua a dire: la dottrina non cambia, il documento è solo pastorale.
Quante volte lo abbiamo sentito: la dottrina non cambia, bisogna solo instaurare una relazione nuova, di accompagnamento e discernimento, nei confronti dei divorziati rispostati. Ora, se si afferma che da Amoris laetitia deve iniziare un processo di rinnovamento della teologia morale, si riconosce che essa non si pone all’origine solo di nuovi atteggiamenti pastorali, ma che pone nuovi problemi dottrinali. I teologi moralisti, che dovranno condurre avanti in collaborazione con i pastori, questo rinnovamento della teologia morale, dovranno infatti fornire gli strumenti concettuali per una nuova e diversa dottrina. Questo è un primo punto di particolare importanza: si va verso una nuova dottrina morale e, quindi, verso un nuovo magistero morale.
L’ultimo documento pontificio che aveva dato una sistemazione alle problematiche della teologia morale è stato la Veritatis splendor (1993) di Giovanni Paolo II. Quell’enciclica – si badi bene - non intendeva trattare qualche aspetto particolare della morale, ma affrontava i problemi di impianto e di quadro della morale cattolica, confutando e condannando anche alcuni errori di impostazione allora piuttosto diffusi tra i teologi moralisti, ed oggi ancor di più. Se, quindi, come dice l’inserto di Avvenire, si vuole andare verso un rinnovamento della teologia morale, bisogna mettere in conto una revisione più o meno profonda degli insegnamenti della Veritatis splendor. Che la revisione del magistero di Giovanni Paolo II ci sarà non è quindi in discussione, semmai ci si interroga su quanto profonda essa potrà essere. E anche questo secondo punto che possiamo derivare dall’inserto di Avvenire mi sembra di notevole importanza.
A questo punto, però, bisogna anche procedere coerentemente verso un altro conseguente motivo di importanza. Alcuni dei cinque dubia dei quattro Cardinali sono strettamente connessi con il contenuto della Veritatis splendor di Giovanni Paolo II. Anzi, possiamo anche dire che a seconda di come si risponda a quei dubia si prenda posizione sull’intero suo magistero morale. Nella loro lettera al Papa, i cinque cardinali citano espressamente ben tre paragrafi della Veritatis splendor - 79, 81 e 56 – da cui si capisce che tutto il contenuto dei dubia riguarda in fondo l’impianto del magistero morale di Giovanni Paolo II. L’intento segnalato da Avvenire di iniziare un rinnovamento della teologia morale ha l’effetto, quindi, di riportare alla ribalta proprio i dubia, evidenziando la loro plausibilità. Brutalmente, la domanda diventa la seguente: cosa ne facciamo del magistero di Giovanni Paolo II in materia morale? Se l’intento è di rinnovare la teologia morale, a questa domanda, prima o dopo, esplicitamente o implicitamente, si dovrà rispondere.
Il punto delicato è, ovviamente, quello del rinnovamento nella continuità. Si dirà che il rinnovamento della teologia morale non vuol dire rinnegare il magistero precedente, ma farlo evolvere, o cose di questo genere. Quello che diceva Giovanni Paolo II resta, ma non possiamo fermarci a quello che diceva Giovanni Paolo II: questo potrebbe essere la sintesi del progetto. Però, se ora si conviene, come dice Avvenire, che non si tratta più solo di pastorale ma di dottrina, perché si invoca un rinnovamento della teologia morale che prelude ad un rinnovamento del magistero morale, allora esaminare il problema della continuità dottrinale con la Veritatis splendor e, quindi, con l’intera tradizione della Chiesa, diventerà obbligatorio e, con questo, anche la risposta ai dubia che, come dicevamo, proprio questo problema ponevano.
Sembra allora che l’inserto di Avvenire da cui siamo partiti e secondo il quale gli effetti e la storia di Amoris laetitia sono solo all’inizio, renda impossibile trascurare i dubia dei cinque cardinali. Il motivo, come abbiamo visto, è molto semplice. Se si avvia un processo di rinnovamento teologico e magisteriale, come Avvenire dichiara, il fedele ha diritto che i Pastori – non i teologi, i Pastori … - lo confermino su un punto fondamentale: che le cose nuove insegnate sono in continuità con quanto la Chiesa ha sempre confessato. Ed ecco che tornano i dubia, così potentemente rievocati e quindi legittimati indirettamente da Avvenire.
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