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sabato 22 luglio 2017

Differenze colossali

Il Generale dei Gesuiti, il buddismo e il cristianesimo 


Sono rimasto alquanto perplesso quando ho recentissimamente visto una foto del generale dei Gesuiti, Padre Arturo Sosa Abascal che in Cambogia in un tempio pregava insieme ai monaci buddisti. Il gesto di Padre Sosa  alimenterà una grande confusione….
In Italia e in altri paesi di antica tradizione Cattolica, come la Francia e la Spagna, da qualche tempo sembra esserci un certo interesse da parte dei giovani e dei ceti colti verso il Buddismo. In certi ambienti “in” dichiararsi oggi buddisti è molto alla moda. Il film di Bernardo Bertolucci, “Piccolo Buddha”, di qualche anno fa ebbe un grande successo di pubblico e di critica, e ha ulteriormente moltiplicato le inchieste sul Buddismo occidentale.


Il regista Bertolucci, per illustrare la grande religione del momento,  scelse l’ottica di un bambino americano identificato da un gruppo di monaci buddisti come la possibile reincarnazione di un Santo. Sul filo della singolare avventura che coinvolge profondamente i suoi genitori e li porta da Seattle fino ad un monastero dell’Himalaya, il fanciullo visualizza i racconti di un monastero che gli evoca la vita del principe Siddharta, dalla gioventù ricca e dissipata alla svolta ascetica e alla successiva illuminazione esistenziale.

Il Buddismo ha sempre affascinato gli occidentali, da Schlegel a Schleiermacher e a Hesse, ma solo di recente è riuscito a penetrare nei circuiti culturali di massa. In Italia sono 30.000 le persone che ruotano intorno alla unione buddisti italiani,fondata nel 1985 e riconosciuta dal Governo nel 1988. Prestigiosi testimonial come l’ex calciatore Roberto Baggio contribuirono a dare al Buddismo una certa aria di moda. I buddisti tradizionali italiani, prescindendo dalla più vasta cerchia degli altri 100.000 simpatizzanti, sono valutati tra i 3.000 e i 6.000, a cui si aggiungono altri 4-5.000 aderenti alle nuove religioni neo-buddiste come la Soka Gakkai, un movimento laico culturale giapponese sbarcato in Italia nel 1981, e che in Giappone addirittura ispira un partito presente in Parlamento (il Komeito). Certamente in Italia il Buddismo influenza molte più persone di quante non formalizzino la loro simpatia in una conversione, ed è inquietante per la Chiesa Cattolica il sapere da statistiche sicure che un quarto della popolazione e un  terzo dei giovani non soltanto sanno definire in modo corretto la dottrina della reincarnazione, ma affermano di crederci. Negli Stati Uniti si contano almeno 300.000 “euro-buddisti”, cioè convertiti provenienti da tradizioni giudaico-cristiane, e contando anche l’immigrazione asiatica si arriva ad una decina di milioni di fedeli. In Europa invece i buddisti sarebbero complessivamente 2.000.000, di cui oltre 600.000 nella sola Francia e 120.000 in Gran Bretagna. In tutto il mondo i buddisti sono circa 300 milioni.

A scanso di equivoci sarà opportuno specificare subito che il termine Buddha non è tanto un nome di persona, ma è l’appellativo che indica un essere umano che abbia raggiunto la più profonda consapevolezza; Buddha significa infatti Risvegliato, Illuminato. La tradizione indiana afferma che ogni grande ciclo storico vedrà l’apparizione di buddhità e potrà trasmettere agli altri esseri la via che conduce alla realizzazione. L’ultimo uomo del genere comparso sulla terra è stato il principe Siddharta Gautama, nato verso il 560 a.C. nel nord dell’India. Principe ereditario al trono di un’antica casta di guerrieri, sposato e con un figlio, il principe lascia famiglia e potere a seguito dell’impatto con la sofferenza umana avuto nel corso di quattro incontri rivelatori: con un vecchio, un malato, un monaco e un corteo funebre. Siddharta visse così in volontario esilio e per sei anni si sottopose alle più terribili macerazioni ascetiche, fino alla soppressione delle stesse funzioni fisiologiche, tanto da raggiungere una condizione di morte apparente. Siddharta però si rese conto che non avrebbe mai raggiunto l’Illuminazione attraverso la mortificazione del corpo e abbandonò l’asceticismo rigoroso e concentrò i suoi sforzi nella meditazione, finchè nel 531, mentre si trovava ai piedi di un albero di pippala, scoprì la soluzione del problema del dolore: aveva così raggiunto il “risveglio” (bodhi), diventando un “risvegliato” (Buddha) , cioè era finalmente entrato nella pace dell’estinzione dei desideri e delle passioni, che sono all’origine del dolore. Ormai libero dalla sofferenza, egli comprese di essersi liberato dall’esistenza e di non dover più rinascere, era entrato nel Nirvana. Poco dopo il Buddha davanti a cinque compagni pronunciò il discorso delle quattro nobili verità: la realtà del mondo è dolore, l’origine del dolore è l’attaccamento, l’arresto dell’attaccamento porta all’estinzione, la via che conduce all’arresto del dolore è il Dharma, cioè la Legge. Inaugurava così la sua predicazione che doveva proseguire per oltre quarant’anni, facendo molte conversioni e creando la comunità dei monaci buddisti.

Dopo la morte del Buddha, avvenuta verso il 480 a.C., si formarono sulla sua persona molte leggende ed ebbe così inizio un processo di glorificazione che portò a fare del Buddha storico un essere divino. Il Dharma (oltre che legge significa anche Dottrina o Verità) che il Buddha ha insegnato, nega che esiste un sé, il buddismo si pone in radicale contrasto con l’Induismo. Tale dottrina è talmente fondamentale che, secondo che la si accetta o la si rifiuta, il Buddismo sta in piedi o crolla. Per il Buddha l’idea del sé e una credenza falsa e immaginaria ed è la causa dell’attaccamento alle cose, dell’orgoglio e di altre brutture. Il Buddha accetta però le nozioni mediche di Karma e Samara e le adatta però alla sua dottrina della Anatta. L’Induismo intende per Karma la condizione umana asservita alla necessità ineluttabile di rinascere in condizione animale, umana o divina, secondo che nella vita precedente si è fatto il male o si è compiuto il bene. Quindi il Karma è la legge della retribuzione degli atti, poiché le nostre azioni portano frutti, se non nella vita presente, certamente in quella futura. In tal modo il Karma mette in moto il ciclo delle rinascite. La fonte della sofferenza è quindi nel desiderio avido e appassionato che incatena l’essere umano al suo stato di condizionamento. Il Nirvana sta ad indicare l’estinzione assoluta del desiderio del vivere che fa essere l’uomo prigioniero della  trasmigrazione dell’anima. Il Nirvana è quindi nel Buddismo la dissoluzione del Karma e l’uscita definitiva dalla sofferenza e dal dolore. Il Buddha non ha mai detto che cosa positivamente sia il Nirvana, ha insegnato solo la via per prepararsi ad entrare, cioè il sentiero che conduce alla cessazione del dolore. Il Buddha insegnò ai suoi fedeli l’Ottuplice Sentiero della Legge: retta revisione, retto pensiero, retta parola, retta azione, retto modo di vivere, retta applicazione, retta azione, retta meditazione. Il Buddismo nei 25 secoli della sua esistenza, non si è sviluppato in maniera omogenea. Esso si è diffuso in tre forme di vita spirituale o “veicoli”, cioè tre sentieri per raggiungere alla liberazione. Ci troviamo di fronte a veicoli tanto diversi, che si deve parlare non più di un unico Buddismo, ma di tre Buddismi che divergono tra essi in modo essenziale, e sono: Hinayana (piccolo veicolo ), Mahayana (grande veicolo ), Vajarayana (via dei Tanta). Il Hinayana è principalmente diffuso nel sud-est asiatico: Birmania, Thailandia, Cambogia, Laos, Vietnam e Sri-Lanka. Il piccolo Veicolo è la forma più antica e pura di Buddismo. Nel corso dei secoli esso si è diviso in molte scuole, sia per mancanza di un’autorità dottrinale suprema, sia per l’individualismo asiatico che cerca la salvezza individuale ponendosi alla scuola di un maestro rinomato. Per il piccolo Veicolo, che ha composto e tramandato il canone delle scritture buddiste, il vero devoto è il monaco, perché a differenza del laico, ha scelto un genere di vita che gli consente di fuggire dal mondo e di darsi alla pratica della meditazione; per conseguenza solo il monaco può raggiungere al Nirvana. Il Mahayana, invece, è nato nel nordovest dell’India, un centinaio di anni circa dopo l’inizio della nostra era e si è diffuso in Cina, nel Tibet, in Corea, in Giappone. Il grande Veicolo si è chiamato “grande  mezzo di progresso”, perché al contrario del piccolo Veicolo, che è riservato a pochi, esso può essere praticato anche dai laici. L’ideale del grande Veicolo non è più il monaco solitario, ma il Bodhi sativa, cioè colui che avendo raggiunto l’illuminazione, non va nel Nirvana, ma fa voto di restare sulla terra per aiutare gli uomini a giungere alla salvezza. Questa corrente dà molto spazio a pratiche devozionali rivolte al Buddha e ad altri illuminati, visti come esempi da imitare e beati da invocare. Infine, il Vajarayana (Veicolo dei Tantra o del diamante) è la corrente meno diffusa che più si scosta dalle origini, insistendo proprio sui punti che il Buddha aveva maggiormente criticato: la magia e il ritualismo. Il Veicolo del diamante si afferma verso il VI secolo e si diffonde prevalentemente in Mongolia e nel Tibet. Esso si basa sui mantra (formule magiche composte da una serie di sillabe sanscrite) e raggiunge il Nirvana combinando il metodo dei sutra (discorsi del Buddha) con l’uso dei mantra, cioè servendosi di incantesimi e di riti magici.

Notiamo bene come tra queste tre correnti principali del Buddismo ci siano delle differenze colossali, più profonde delle distinzioni tra Cattolicesimo, Protestantesimo e Ortodossia. Riguardo al rapporto tra Cristianesimo e Buddismo mi sembra che la grande differenza di fondo sia nel modo di vedere la realtà fenomenica che per il Cristianesimo è alquanto positiva, mentre per il Buddismo è alquanto negativa. Per il pensiero cristiano l’esistere è un bene e la pienezza dell’Essere stesso è Dio. Invece per il pensiero buddista la realtà è essenzialmente dolore e lo scopo a cui bisogna tendere è la soppressione della sofferenza e quindi dello stesso esistere fenomenico, perciò l’ideale da raggiungere non è la pienezza della propria persona, ma è il  “vuoto di sé” . Le applicazioni pratiche di queste due visioni del mondo sono che mentre nel Cristianesimo vi è l’impegno nella storia perché l’uomo viene visto come collaboratore di Dio nel portare a termine l’opera della creazione, nel Buddismo vi è la fuga dal mondo perché la realtà è dolore e non si può migliorarla, ma occorre dissiparne l’illusoria bontà. Non vale allora la pena di impegnarsi a migliorare il mondo, ciò che conta è liberarsi dalle sue illusorie attrattive. Certamente questo modo di interpretare la realtà ha avuto un notevole influsso sull’immobilismo tecnico-scientifico e sociale dei paesi buddisti. Il Buddismo e il Cristianesimo hanno due fondatori storici e tra questi due uomini vi sono molte analogie, ma anche alcune radicali dissomiglianze. Gesù fu un uomo religioso, Buddha , invece, se non si dichiarò personalmente ateo, si mostrò agnostico verso ogni forma di divinità. L’impressione è che il Buddha piuttosto che negare Dio non si curò di tale nozione, ma la ignorò come inutile, perché per Buddha ognuno deve fidarsi solo di stesso; divinità o demoni non possono né servire né nuocere. Ho l’impressione che proprio tali dottrine abbiano enormemente agevolato la diffusione in Asia del Marxismo e dell’Ateismo comunista. Gesù dichiarò la sua natura divina trascendente di figlio di Dio e di annunciatore nella sua persona del Regno di Dio. Buddha invece non si considerò mai Dio, ma solo un semplice uomo che aveva indicato all’umanità il Nobile Ottuplice Sentiero della liberazione dal ciclo delle rinascite e la legge contenuta nelle Quattro Nobili Verità, che sono l’unica guida dei discepoli. Gesù ebbe una vita molto tribolata e dopo tre anni circa di predicazioni fu crocifisso; Buddha predicò per 45 anni, ebbe una vitalunga e coronata da grandi successi, morì vecchio, circondato dalla venerazione dei suoi monaci.

Il Buddismo e il Cristianesimo si presentano entrambi come via di salvezza, tuttavia differiscono radicalmente sia nel modo di concepire la salvezza , sia nei mezzi per raggiungere il Nirvana, che è la realtà assoluta, l’unica capace di calmare tutte le aspirazioni della felicità, ma non è Dio, né di ordine divino. Il Buddhismo ammette un assoluto che è il Nirvana, ma non ammette un Dio personale, questo perché per la filosofia indiana “persona” e “individuo” sono la stessa cosa. Perciò secondo tale filosofia se il Nirvana fosse Dio, bisognerebbe considerarlo come una persona; ma se esso fosse personale, apparterrebbe all’ordine delle realtà individuali, che sono realtà relative, si avrebbe allora l’assurdo di un “Assoluto-relativo”, che è una contraddizione, quindi è impensabile. Tutto il Buddismo si fonda sulla dottrina del Non-Sé (anatta) , per cui non può concepire l’Assoluto come il sé Assoluto e quindi come Dio personale. Per il Cristianesimo Dio è tripersonale ed è assolutamente libero da ogni necessità sia esterna che interna. Dio, pur restando l’ineffabile, si è rilevato agli uomini come amore nella persona di Gesù di Nazareth. Quindi il Cristianesimo, oltre che la personalità di Dio, professa l’umanità di Dio in Gesù, che è il  mediatore della salvezza tra Dio e gli uomini e al di fuori del quale l’uomo senza la sua grazia non può raggiungere la salvezza. Nel Buddismo, invece, gli uomini si salvano per virtù propria se seguono la legge insegnata dal Buddha. Il Buddismo non conosce né il peccato, né la grazia, né la fede, né i peccati, né i sacramenti, non c’è il peccato da cui si debba essere liberati, ma solo il ciclo delle rinascite da cui ci si salva estinguendo il desiderio attraverso l’ascesi e la meditazione. Con il “ risveglio” si raggiunge il Nirvana, uno stato ineffabile di vuoto assoluto d’essere, che è totalmente diverso dal Paradiso cristiano, che è invece la pienezza d’essere nella partecipazione all’Essere stesso di Dio. In conclusione nel Buddismo non si parla di Dio, al centro della sua ricerca vi è l’uomo del quale si promuove la crescita interiore e la liberazione psico-spirituale dalla sofferenza. La centralità dell’uomo e l’assenza di Dio fanno del Buddismo una religione perlomeno anomala. Il Nirvana è visto come liberazione perfetta dal dolore ed è quindi concepito come traguardo, non come origine, e tanto meno come persona, con la quale ci si mette in rapporto e dalla quale ci si mette in rapporto e dalla quale si è aiutati. Per il Buddismo l’importante è superare la sofferenza. Per i buddisti c’è la meditazione ma non la preghiera, c’è la responsabilità delle proprie azioni, ma non la grazia divina.

Tra Buddismo e Cristianesimo c’è un enorme divario che fa emergere tutta la profonda novità e originalità di Gesù Cristo nostro Signore e Salvatore. Possibile che un generale dei Gesuiti non sappia queste cose?
di Don Marcello Stanzione

Redazione22/7/2017
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