Era il 376 dopo Cristo, quando i primi barbari chiesero “asilo” come profughi
Non è la prima volta, che noi italiani abbiamo a che fare con la calamità chiamata ‘immigrazione’. C’è una potente analogia che possiamo fare, volgendo lo sguardo al passato. Esercizio fondamentale per chi non vuole commettere errori già commessi.
Alla fine del IV secolo dC, l’impero romano era la più grande civiltà del pianeta. Ma nell’estate del 376, registra lo storico Ammiano Marcellino, ‘voci terrificanti si diffondono lungo i confini occidentali che i popoli del nord, i barbari, stanno creando nuovi e insolitamente grandi tumulti‘.
Sulle rive del Danubio, lungo la frontiera balcanica dell’impero, funzionari romani segnalano l’arrivo di decine di migliaia di uomini, donne e bambini: saranno noti ai posteri come i Goti. A differenza di quelli di oggi, almeno, ebbero il ‘buongusto’ di portarsi donne e bambini.
Vengono descritti come poveri, spaventati e affamati. Erano stati spinti ad ovest dalle guerre con un’altra nazione barbara, gli Unni. Chiesero riparo all’interno dell’Impero, come profughi.
I Romani – non i cittadini, ma il governo romano, la classe privilegiata – spinti dall’idea di importare nuova manodopera a basso costo e riscuotere nuovi tributi, acconsentirono. Dall’altra parte del fiume, in scene simili a quelle alle quali stiamo assistendo in un crescendo catastrofico questi giorni nei porti del Sud Italia, arrivarono i Goti, a migliaia. Molti annegarano nella corsa per attraversare la frontiera, non abbastanza. Proprio come oggi.
Molti storici ritengono che questo sia stato uno dei grandi punti di svolta nella storia dell’Impero, sia effetto che causa di decadenza: causa perché ruppe l’identità etnica delle provincie; effetto perché solo una società in declino lascia entrare stranieri entro i propri confini. Da quel momento, a ondate successive e in crescendo senza fine, decine di migliaia di immigrati attraversarono le sue frontiere, fu l’inizio del collasso. A breve, nei decenni, l’immigrazione si sarebbe moltiplicata.
Le invasioni barbariche non furono – o non furono soltanto – infatti, guerre tra l’Impero e i Barbari, soprattutto all’inizio, furono ‘immigrazione’. L’Impero Romano crollò a causa dell’immigrazione. E di altri fattori correlati.
Perché quando i Barbari iniziarono ad essere arruolati nell’esercito, divenne difficile fare loro combattere contro altri barbari. I governanti pensarono di poter sostituire i nativi con i ‘nuovi romani’. Non accadde. La sempre più massiccia presenza soprattutto in zone oltre le Alpi finì per indebolire la società romana dall’interno: poi furono lutti e catastrofi. Furono scorribande e assassini contro le ville isolate di campagna. Infine, fu Caracalla e la sua legge sulla Cittadinanza, chiamatelo Ius Soli. E poi fu il crollo definitivo.
E furono secoli bui. Oggi, la Storia si ripete. Oggi, altri barbari si affollano lungo le nostre coste, e altri traditori li vanno a prendere e li fanno entrare. Oggi è il 376 dC, l’anno maledetto, l’anno in cui la civiltà iniziò la sua caduta. Ancora.
Fonte: VoxNews.it
https://gloria.tv/article/PNxnUTUh3hwB4EeqJc2CqdkeA
Tutti i numeri segreti sull'invasione dell'Italia
Dal 2012 a oggi gli allontanamenti nell'Ue sono rimasti a quota 400mila l'anno, mentre i clandestini superano i 2 milioni. E Bruxelles ha regalato 1,2 miliardi alle Ong
Dal 2012 a oggi gli allontanamenti nell'Ue sono rimasti a quota 400mila l'anno, mentre i clandestini superano i 2 milioni. E Bruxelles ha regalato 1,2 miliardi alle Ong
Marco Cobianchi - Dom, 02/07/2017 -
Non ne servono molti. Per capire l'origine e la conseguenza dell'emergenza sbarchi bastano due numeri: 1,2 miliardi e 2,1 milioni. Partiamo da quest'ultimo.
Due milioni e centomila è il numero di persone illegali che sono sul territorio europeo. Il dato proviene dall'Eurostat ed è stato pubblicato dal sito Truenumbers.it.
Come si vede nel grafico pubblicato nella pagina a fianco la crescita di clandestini in Europa inizia a partire dal 2012. Fino ad allora i decreti di espulsione emessi dai Paesi europei sono rimasti stabili a quota di 500mila circa l'anno. Il numero delle espulsioni effettive è sempre stato leggermente inferiore, intorno a 400-450mila. Poi, dal 2012 inizia il boom degli sbarchi e gli Stati, Italia compresa, vanno in tilt: mantengono stabile il numero dei decreti di espulsione mentre la marea umana che approda in Europa aumenta in modo incontrollato. Restando stabili anche le espulsioni effettive, nel 2015 il fenomeno va fuori controllo e i clandestini arrivano a quota, appunto, di 2,1 milioni. Si tratta di persone delle quali nessuno sa praticamente nulla se non, forse, il giorno e il luogo dello sbarco e la struttura di accoglienza nella quale sono state ospitate fino al giorno in cui hanno deciso di rendersi irreperibili.
Veniamo al secondo numero. I 2,1 milioni di clandestini sono la conseguenza (anzi, una delle conseguenze) della politica europea sull'immigrazione e, in particolare del rapporto assolutamente opaco che l'Ue ha deciso di intavolare con le Organizzazioni non governative. Se molte di queste, impegnate nel recupero degli immigrati e del loro trasporto sulle coste italiane con delle navi di loro proprietà, non accettano di mostrare nemmeno i loro bilanci, altrettanto, però, l'Europa che le finanzia. Nel 2015 (mancano dati più recenti) l'Ue ha versato alle Ong europee qualcosa come un miliardo e 248 milioni di euro, come mostra il grafico nella pagina qui accanto. Ma è un dato parziale perché i finanziamenti alle Ong provengono da decine e decine di capitoli di spesa dell'Unione e se l'Ue stessa non si decide a un'operazione trasparenza, sapere quanta parte di questi 1,2 miliardi finisce alle Ong che trasportano gli immigrati è impossibile. Quello che si sa è che sono senza dubbio la maggior parte e che a incassare questi soldi sono state 570 organizzazioni che hanno stipulato con i vari uffici europei 1.239 contratti per realizzare altrettanti progetti.
In altre parole: da una parte Bruxelles finanzia organizzazioni non governative per svolgere un compito che dovrebbe essere svolto da lei stessa. Oltre il 93% dei finanziamenti alle Ong, infatti, proviene dal capitolo di spesa chiamato Global Europe il cui budget viene usato per le attività extra Ue, spesso identificate come attività di «buon vicinato» tra le quali è compreso anche il traghettamento dei profughi. Appena 46,74 milioni di euro finiscono alle Ong per realizzare progetti interni ai confini europei come l'assistenza ai poveri, sanità e cultura. Significa che l'Europa ha deciso di appaltare a soggetti terzi una fetta importante della sua politica estera e di sicurezza (ma si può affidare a organizzazioni private non trasparenti la politica di sicurezza esterna di un continente?) sapendo benissimo di non avere l'autorità per imporre agli Stati membri di accogliere l'incredibile onda di immigrati che arrivano proprio in seguito anche ai suoi finanziamenti. Il risultato sono quei 2,1 milioni di persone di cui le autorità statali e comunitarie non sanno nulla e che vagano senza documenti, senza permessi e senza lavoro in giro per il continente.
Le persone sbarcate in Italia tra il primo gennaio e il 26 maggio sono state 60.200 dei quali appena 6.193 ricollocati presso altri Paesi europei che, spesso, frappongono una serie di motivi burocratici per rifiutare l'accoglienza. La maggior parte, 2.299, li ha presi in carico la Germania mentre la Romania, in 5 mesi, ne ha accettati appena 45. L'Ungheria zero. A fronte di questa situazione ciò che finora il governo Gentiloni ha ottenuto è la promessa del commissario europeo all'immigrazione Dimitris Avamopoulos di sbloccare subito 35 milioni a favore dell'Italia per aiutarla a sostenere l'emergenza di questi giorni. Per dare un'idea: considerando che, ufficialmente, le persone sbarcate tra il primo gennaio e il 27 giugno (esclusi quindi i 12.500 sbarchi stimati tra il 28 e il 29 giugno) sono 73.380 e che per ognuno si spendono 35 euro al giorno, con 35 milioni possiamo garantire loro vitto e alloggio per i prossimi 14 giorni. Poi?
Frontex svela il bluff del governo «Chiudere i porti? Non ci risulta»
La portavoce: "Lavoriamo per il Viminale, saremmo i primi a saperlo. Di foreign fighters in Italia non posso parlare..."
La portavoce: "Lavoriamo per il Viminale, saremmo i primi a saperlo. Di foreign fighters in Italia non posso parlare..."
Chiara Giannini - Dom, 02/07/2017 -
L'idea del governo di chiudere i porti alle navi delle Ong estere cariche migranti non è altro che un bluff.
La conferma arriva da Frontex, la cui portavoce, Izabella Cooper, dice a chiare lettere: «Non c'è alcuna comunicazione ufficiale». Insomma, le solite chiacchiere per tenere buoni gli italiani.
Signora Cooper, qual è la posizione ufficiale di Frontex di fronte all'ipotesi che l'Italia possa chiudere i porti agli immigrati in arrivo?
«Non abbiamo ricevuto alcuna notifica ufficiale su questa cosa. Noi lavoriamo per il ministero degli Interni e qualsiasi cambiamento dovrebbe essere prima comunicato da loro».
Frontex, oltretutto, è stata la prima ad accusare le Ong di entrare in acque libiche per recuperare i migranti. Giusto?
«Non abbiamo mai accusato le Ong, ma ubblicato un rapporto che diceva che le organizzazioni non governative operavano a poche miglia dal territorio libico. Possiamo dire, però, che i nostri apparati, durante ogni salvataggio, raccolgono prove anche fisiche di come si muovono i trafficanti di esseri umani. Tutte queste prove le passiamo alla Polizia di Stato. Pensate che solo 2015 i trafficanti hanno fatto affari che si aggirano tra i 4 e i 6 miliardi di euro».
Come si sta operando nell'ambito dell'operazione Triton?
«La zona operativa è molto vasta e copre i flussi da Tunisia, Algeria, Libia, Turchia, Egitto, fino all'Albania. Impieghiamo 12 navi, 3 aerei, 3 elicotteri e 400 guardie costiere e guardie di frontiera che operano sia come equipaggi dei mezzi tecnici appena citati, sia assistendo le autorità italiane nei vari hotspot per l'identificazione e le registrazioni dei migranti, sia per l'individuazione dei trafficanti attraverso operazioni di intelligence. Dallo scorso anno abbiamo anche la possibilità di trattare i dati personali e quindi ci occupiamo anche di altre forme del crimine transfrontaliero, come terrorismo, foreign fighters».
Quindi siete in grado di dirci se tra i migranti in arrivo in Italia c'erano anche foreign fighters?
«Non ne posso parlare, sono dati che non possiamo dare, ma posso dire che è una situazione che stiamo guardando con grande attenzione».
Qual è l'utilità sostanziale dell'operazione Triton?
«Sorveglianza delle frontiere, assistenza Sar, che è una priorità assoluta, considerando che i trafficanti mettono sui gommoni sempre più persone. Prima facevano partire una ventina di persone, in media, ora ne vediamo anche 160-170. Siamo un'agenzia che collabora con le istituzioni e siamo attenti che nessuno entri in modo inosservato. Dalla Turchia, ad esempio arrivano migranti nascosti sulle imbarcazioni a vela. Vengono condotte da ucraini addestrati sul Mar nero a condurre le barche e dietro ci sono organizzazioni criminali egiziane. Ci dobbiamo assicurare che siano tutti identificati. Se ci sono persone che arrivano nascosti la domanda è "perché?"».
É facile identificare la provenienza degli immigrati?
«La registrazione parte dalle impronte digitali, attraverso il sistema Eurodac, serve al di là dell'identità dichiarata. E poi si vagliano le dichiarazioni dei migranti grazie all'operato da agenti delle varie polizie europee, il cui compito è quello di accertarne la provenienza. Alcuni possono avere documenti falsi».
http://www.ilgiornale.it/news/politica/frontex-svela-bluff-governo-chiudere-i-porti-non-ci-risulta-1415406.html
Inutile negarlo, parlano le cifre: ieri l’Italia si è fermata per Vasco Rossi. Erano in 230mila al Modena Park e oltre 5 milioni di mezzo davanti ai televisori (oltre il 36% di share) per il concerto-evento che ha festeggiato i quaranta anni di carriera del rocker di Zocca: chapeau, piacciano o no lui e la sua musica. Paradossalmente, il fulcro mediatico e social della serata è stata la patetica presenza da voce narrante di Paolo Bonolis, uno che sta al concetto di vita spericolata come Trump e Briatore al pauperismo. Con indosso una camicia da codice penale, il noto conduttore aveva un ruolo fondamentale a livello tecnico: tappare i buchi della diretta, visto che la RAI non poteva mandare in onda l’intero concerto e serviva qualcuno che riempisse gli spazi tra un blocco di canzoni in chiaro e uno vietato.
Il problema è che – come ha scritto un utente su Twtter – la sua presenza è stata tra il patetico e l’irritante: “Come se in un porno ogni due minuti apparisse Piero Angela a spiegare la riproduzione”. Geniale. Ed estremamente social, visto che al netto del successo dell’evento, sono stati gli insulti a Bonolis a prendersi la scena. E non altro, il quale è passato bellamente sottotraccia ma è diventato il vero motivo dominante della serata: la lotta alla paura. Ovvero, il terrorismo come componente assolutizzante del presente occidentale. Lo ha detto Vasco Rossi, dal palco: non ci chiuderanno in casa per paura, l’amore batte la paura. L’ha ribadito, cosa più importante, il Viminale, dicendo che l’appuntamento modenese era il più a rischio di tutto il cartello di eventi estivi. E poi, il sindaco della città emiliana, Gian Carlo Muzzareli, a detta quel quale “questa serata diventerà un esempio per tutta Europa. A Modena lavoriamo da sempre anche sull’integrazione”.
fresco fresco di giornata, penso che sarà presto disponibile anche la versione per Calais, visto che – complice anche il Brexit – migliaia di risorse sono tornate in quel che resta della “Giungla”, dando sfogo alle loro naturali inclinazioni. Capito perché a Ventimiglia, Macron non fa passare nemmeno l’aria?
Vasco, Bonolis e la paura sono il paradigma dei nostri tempi: ogni messaggio, necessita di filtro
Inutile negarlo, parlano le cifre: ieri l’Italia si è fermata per Vasco Rossi. Erano in 230mila al Modena Park e oltre 5 milioni di mezzo davanti ai televisori (oltre il 36% di share) per il concerto-evento che ha festeggiato i quaranta anni di carriera del rocker di Zocca: chapeau, piacciano o no lui e la sua musica. Paradossalmente, il fulcro mediatico e social della serata è stata la patetica presenza da voce narrante di Paolo Bonolis, uno che sta al concetto di vita spericolata come Trump e Briatore al pauperismo. Con indosso una camicia da codice penale, il noto conduttore aveva un ruolo fondamentale a livello tecnico: tappare i buchi della diretta, visto che la RAI non poteva mandare in onda l’intero concerto e serviva qualcuno che riempisse gli spazi tra un blocco di canzoni in chiaro e uno vietato.
Il problema è che – come ha scritto un utente su Twtter – la sua presenza è stata tra il patetico e l’irritante: “Come se in un porno ogni due minuti apparisse Piero Angela a spiegare la riproduzione”. Geniale. Ed estremamente social, visto che al netto del successo dell’evento, sono stati gli insulti a Bonolis a prendersi la scena. E non altro, il quale è passato bellamente sottotraccia ma è diventato il vero motivo dominante della serata: la lotta alla paura. Ovvero, il terrorismo come componente assolutizzante del presente occidentale. Lo ha detto Vasco Rossi, dal palco: non ci chiuderanno in casa per paura, l’amore batte la paura. L’ha ribadito, cosa più importante, il Viminale, dicendo che l’appuntamento modenese era il più a rischio di tutto il cartello di eventi estivi. E poi, il sindaco della città emiliana, Gian Carlo Muzzareli, a detta quel quale “questa serata diventerà un esempio per tutta Europa. A Modena lavoriamo da sempre anche sull’integrazione”.
E cosa cazzo c’entra l’integrazione in tutta questa vicenda? C’entra. Eccome. Quello andato in onda ieri sera, dal vivo come sulla RAI, è stato oltre che un concerto rock anche un enorme esperimento di condizionamento sociale, solo falsamente sovrastato dall’ironia su Bonolis e la sua imbarazzante performance: i protagonisti non sono stati Vasco, le canzoni, il pubblico, la coreografia. No, sono stati la paura e la sua quotidiana presenza nella nostra vita, ancorché declinata in lotta contro la stessa. Le ragioni reali per cui l’Italia, culla del cristianesimo, non sia ancora stata colpita dal terrorismo sono profonde e, temo, inconfessabili ma occorre che i messaggi passino comunque, soprattutto ora: chi si preoccupa della crisi dei migranti, quando c’è Vasco che ci incita a combattere la paura e, così facendo, ne rafforza la presenza e la minaccia mentale collettiva? L’Europa ci ha detto chiaro e tondo che questa settimana al vertice dei ministri dell’Interno a Tallin ascolterà il resoconto delle autorità italiane ma non prenderà alcun provvedimento: altro schiaffone, dopo quello di Berlino. Ma non importa, la notizia è già scivolata di pagina in pagina, de-priorizzata. E de-emergenzializzata. Guardate le prime pagine di “Repubblica” e “Stampa” di oggi,
nel richiamare i servizi sul concerto: ovunque è presente il concetto di paura. “Il Foglio”, poi, notoriamente grancassa italica delle peggio pulsioni neo-con, è andato oltre, lamentando la poca eco avuta in Europa dal concerto di Vasco: e non per come ha interpretato “Sally” o “Gli spari sopra” ma per l’organizzazione e il coraggio dimostrati nell’affrontare la paura del terrorismo. Edoardo Bennato diceva che erano “solo canzonette” ma non è così: è molto di più. E’ la veicolazione di un messaggio, è un lavaggio del cervello innocuo e leggero. Come una canzone.
nel richiamare i servizi sul concerto: ovunque è presente il concetto di paura. “Il Foglio”, poi, notoriamente grancassa italica delle peggio pulsioni neo-con, è andato oltre, lamentando la poca eco avuta in Europa dal concerto di Vasco: e non per come ha interpretato “Sally” o “Gli spari sopra” ma per l’organizzazione e il coraggio dimostrati nell’affrontare la paura del terrorismo. Edoardo Bennato diceva che erano “solo canzonette” ma non è così: è molto di più. E’ la veicolazione di un messaggio, è un lavaggio del cervello innocuo e leggero. Come una canzone.
Guardate questo grafico,
preparato da Statista su un’elaborazione di Dyfed Loesche: cosa ci dice? Che, al netto del picco reso possibile dalla continua strage in Siria, il mondo non è mai stato un luogo così pacifico come la prima decade del nuovo millennio. Già, quella di fatto iniziata con l’11 settembre: eppure, partendo dal 1945, il numero di morti ogni 100mila abitanti su base annua parla chiaro: viviamo tempi tranquilli. Perché quindi così tanta gente ha l’impressione del contrario? Sostanzialmente per un punto, sentenzia lo studio: la copertura mediatica, ossessiva, degli eventi. E, non secondario, l’avvento dei social media. Già, perché troppe persone non pensano abbastanza a cosa postano, lo fanno e basta. Ma per qualcuno quelle sono tracce, sono briciole al pari di quelle lasciate da Pollicino per tornare a casa. Briciole per predire. O per indirizzare.
Stando a uno studio della Pacific Northwest National Laboratory in collaborazione con la University of Washington, ciò che scriviamo sui social può essere utilizzato da software per predire gli eventi futuri. Twitter, ad esempio, funziona da ottimo proxy attraverso i trend topic degli hashtag, come ad esempio accadde per le primavere arabe. Esiste un sistema chiamato EMBERS (Early Model Based Event Recognition using Surrogates), il quale non solo ha ottenuto straordinari risultati nell’indagare gli eventi ma anche nell’indagare e riconoscere specifiche proprietà di quegli eventi. Finora è stato usato in Sud America e ha portato all’80% di accuratezza rispetto alla previsione di eventi in Brasile e al 50% in Venezuela. E non pensiate a tesi complottiste, ci sono aziende private che stanno lavorando per governi a programmi di previsione: lautamente pagate. E’ chiamata “Sentiment World Simulation” e la finalità del programma, a detta del suo stesso inventore, è “quello di essere un modello a specchio del mondo reale in continuo aggiornamento e in continua funzione, un qualcosa che può essere usato per predire e valutare futuri eventi e il corso dell’azione”.
Insomma, una simulazione com miliardi di “nodi” che rappresentano virtualmente ogn persona sulla terra. Il progetto è basato sul lavoro del Synthetic Environment for Analysis and Simulations Laboaratory della Purdue University in Indiana, guidato da Alok Chaturvedi, il quale oltre a lavorare per l’università ha reso il progetto commercialmente disponibile per la sua azienda, la Simulex Inc., la quale può vantare clienti del calibro di Dipartimento della Difesa e della Giustizia o privati come la Lockheed Martin. Tutto questo, a vostro modo di vedere, serve per cercare di fermare qualche decina di migliaia di fanatici terroristi operativi o c’è dietro dell’altro? Ad esempio, uno strumento di controllo sociale e indirizzamento/previsione di eventi, alla base del quale soggiace un business miliardario per aziende tech e del comparto bellico-industriale?
Vi pare strano che venerdì scorso, il disegno di legge presentato dalla deputata democratica Tulsi Gabbard e dal senatore repubblicano, Rand Paul, finalizzato a rendere illegale il fatto che agenzie federali usino denaro pubblico per armare, addestrare e fornire intelligence a gruppi terroristici, sia stato appoggiato solo dal 13% dei congressisti USA? Qualche lobby con forti interessi e agganci al Pentagono lo ha stroncato sul nascere? Ovviamente, sì: guerra, commercio d’armi e paura servono. Anzi, sono l’unica dinamica della crescita. E quale è stato, ad esempio, il trend topic dopo la fine del concerto di Vasco? Bonolis e la sua camicia? No, l’amore batte la paura. Ma, nominandola di continuo in contesti così social, la legittima. E la fa crescere.
preparato da Statista su un’elaborazione di Dyfed Loesche: cosa ci dice? Che, al netto del picco reso possibile dalla continua strage in Siria, il mondo non è mai stato un luogo così pacifico come la prima decade del nuovo millennio. Già, quella di fatto iniziata con l’11 settembre: eppure, partendo dal 1945, il numero di morti ogni 100mila abitanti su base annua parla chiaro: viviamo tempi tranquilli. Perché quindi così tanta gente ha l’impressione del contrario? Sostanzialmente per un punto, sentenzia lo studio: la copertura mediatica, ossessiva, degli eventi. E, non secondario, l’avvento dei social media. Già, perché troppe persone non pensano abbastanza a cosa postano, lo fanno e basta. Ma per qualcuno quelle sono tracce, sono briciole al pari di quelle lasciate da Pollicino per tornare a casa. Briciole per predire. O per indirizzare.
Stando a uno studio della Pacific Northwest National Laboratory in collaborazione con la University of Washington, ciò che scriviamo sui social può essere utilizzato da software per predire gli eventi futuri. Twitter, ad esempio, funziona da ottimo proxy attraverso i trend topic degli hashtag, come ad esempio accadde per le primavere arabe. Esiste un sistema chiamato EMBERS (Early Model Based Event Recognition using Surrogates), il quale non solo ha ottenuto straordinari risultati nell’indagare gli eventi ma anche nell’indagare e riconoscere specifiche proprietà di quegli eventi. Finora è stato usato in Sud America e ha portato all’80% di accuratezza rispetto alla previsione di eventi in Brasile e al 50% in Venezuela. E non pensiate a tesi complottiste, ci sono aziende private che stanno lavorando per governi a programmi di previsione: lautamente pagate. E’ chiamata “Sentiment World Simulation” e la finalità del programma, a detta del suo stesso inventore, è “quello di essere un modello a specchio del mondo reale in continuo aggiornamento e in continua funzione, un qualcosa che può essere usato per predire e valutare futuri eventi e il corso dell’azione”.
Insomma, una simulazione com miliardi di “nodi” che rappresentano virtualmente ogn persona sulla terra. Il progetto è basato sul lavoro del Synthetic Environment for Analysis and Simulations Laboaratory della Purdue University in Indiana, guidato da Alok Chaturvedi, il quale oltre a lavorare per l’università ha reso il progetto commercialmente disponibile per la sua azienda, la Simulex Inc., la quale può vantare clienti del calibro di Dipartimento della Difesa e della Giustizia o privati come la Lockheed Martin. Tutto questo, a vostro modo di vedere, serve per cercare di fermare qualche decina di migliaia di fanatici terroristi operativi o c’è dietro dell’altro? Ad esempio, uno strumento di controllo sociale e indirizzamento/previsione di eventi, alla base del quale soggiace un business miliardario per aziende tech e del comparto bellico-industriale?
Vi pare strano che venerdì scorso, il disegno di legge presentato dalla deputata democratica Tulsi Gabbard e dal senatore repubblicano, Rand Paul, finalizzato a rendere illegale il fatto che agenzie federali usino denaro pubblico per armare, addestrare e fornire intelligence a gruppi terroristici, sia stato appoggiato solo dal 13% dei congressisti USA? Qualche lobby con forti interessi e agganci al Pentagono lo ha stroncato sul nascere? Ovviamente, sì: guerra, commercio d’armi e paura servono. Anzi, sono l’unica dinamica della crescita. E quale è stato, ad esempio, il trend topic dopo la fine del concerto di Vasco? Bonolis e la sua camicia? No, l’amore batte la paura. Ma, nominandola di continuo in contesti così social, la legittima. E la fa crescere.
Altrimenti, se non avessi paura di finire nella tua personalissima versione del Bataclan o di Manchester, magari ti porresti il problema del fatto che da inizio anno sono oltre 83mila i clandestini arrivati in Italia, contro i poco più di 6mila in Grecia e 4mila in Spagna.
E al netto della psicosi, è più facile che la tua sicurezza personale sia messa a repentaglio da questo che dall’ipotesi di un pazzo che si lancia con la macchina sulla folla, visto anche da dove arriva la stragrande maggioranza di chi sbarca. E l’operazione in atto è importante, perché le rivolte nei centri di accoglienza a causa del sovraffollamento si stanno susseguendo – pur nel silenzio dei media – in questi giorni e comincia a succedere anche questo:
meglio stemperare, meglio dare in pasto la camicia di Bonolis, l’inno alla libertà dalla paura di Vasco e l’ansia da kamikaze. Altrimenti, potresti accorgerti di questo,
ovvero che a Parigi, nonostante il sindaco Anne Hidalgo ne neghi l’esistenza stessa, le no-go areas legate all’afflusso indiscriminato e incontrollato di clandestini e immigrati sono talmente un problema reale da aver portato alla nascita di un applicazione ad hoc per smartphone: vuoi evitare rapine, scippi e stupri? Scarica la app per sopravvivere a Parigi. E ho detto Parigi, non Kinshasa. E al netto di questo video,
E al netto della psicosi, è più facile che la tua sicurezza personale sia messa a repentaglio da questo che dall’ipotesi di un pazzo che si lancia con la macchina sulla folla, visto anche da dove arriva la stragrande maggioranza di chi sbarca. E l’operazione in atto è importante, perché le rivolte nei centri di accoglienza a causa del sovraffollamento si stanno susseguendo – pur nel silenzio dei media – in questi giorni e comincia a succedere anche questo:
meglio stemperare, meglio dare in pasto la camicia di Bonolis, l’inno alla libertà dalla paura di Vasco e l’ansia da kamikaze. Altrimenti, potresti accorgerti di questo,
ovvero che a Parigi, nonostante il sindaco Anne Hidalgo ne neghi l’esistenza stessa, le no-go areas legate all’afflusso indiscriminato e incontrollato di clandestini e immigrati sono talmente un problema reale da aver portato alla nascita di un applicazione ad hoc per smartphone: vuoi evitare rapine, scippi e stupri? Scarica la app per sopravvivere a Parigi. E ho detto Parigi, non Kinshasa. E al netto di questo video,
combats entre migrants stopper ensuite par les crs a calais, merci aux assocs qui ont crée un point de fixation
fresco fresco di giornata, penso che sarà presto disponibile anche la versione per Calais, visto che – complice anche il Brexit – migliaia di risorse sono tornate in quel che resta della “Giungla”, dando sfogo alle loro naturali inclinazioni. Capito perché a Ventimiglia, Macron non fa passare nemmeno l’aria?
E negli USA, il Paese che la guerra permanente al terrorismo l’ha lanciata con grande successo e ora sta facendo di tutto per perpetuarla per un altro decennio, cosa potrebbe scoprire la gente, una volta calata la tensione da attentato? Forse questo,
ovvero lo straordinario modello di società statunitense, talmente basato sul debito che il cittadino medio quando schiatta si lascia alle spalle in media 61.500 dollari di prestiti da onorare? Oppure questo,
il fatto che nel primo trimestre di quest’anno a fungere da salvatore del Pil ci hanno pensato gli acquisti di beni ricreativi? Direte voi, sintomo che la gente ha soldi da spendere, se acquista beni non certamente di prima necessità. E invece no, perché la parte del leone l’hanno fatto proprio i camper e per un motivo molto chiaro: in ossequio al dato del debito, questi acquisti vengono fatti per assicurarsi i cosiddetti RV loans, contratti di credito al consumo che garantiscono lauti guadagni a sempre più aziende e finanziarie del ramo ma che, a loro volto, offrono al cliente un’enorme privilegio.
Riclassificare il camper in cosiddetta “tiny house” di residenza: ovvero, se vado in ripossessione o pignoramento della casa perché non riesco a pagare le rate del mutuo, ho un tetto sulla testa assicurato. E in grado di spostarsi ovunque. Anche perché l’orgia subprime è ripartita a pieno regime negli USA, questa volta non legata agli immobili ma, come vi dico da tempo, alle autovetture: guardate qui, ad esempio,
tipica promozione commerciale di un Paese con economia e salari solidi e in ripresa, vero? Come d’altronde ci testimoniano questi grafici,
i quali ci dicono che proprio in questi giorni e nel silenzio più totale dei media, lo Stato dell’Illinois sta fallendo, letteralmente schiacciato dai debiti legati al programma Madicare di quel genio di Barack Obama. Senza scordare che stiamo parlando di un Paese con un trend demografico simile,
quindi potenzialmente a rischio implosione socio-economica. Soprattutto a fronte di questo,
ovvero lo straordinario modello di società statunitense, talmente basato sul debito che il cittadino medio quando schiatta si lascia alle spalle in media 61.500 dollari di prestiti da onorare? Oppure questo,
il fatto che nel primo trimestre di quest’anno a fungere da salvatore del Pil ci hanno pensato gli acquisti di beni ricreativi? Direte voi, sintomo che la gente ha soldi da spendere, se acquista beni non certamente di prima necessità. E invece no, perché la parte del leone l’hanno fatto proprio i camper e per un motivo molto chiaro: in ossequio al dato del debito, questi acquisti vengono fatti per assicurarsi i cosiddetti RV loans, contratti di credito al consumo che garantiscono lauti guadagni a sempre più aziende e finanziarie del ramo ma che, a loro volto, offrono al cliente un’enorme privilegio.
Riclassificare il camper in cosiddetta “tiny house” di residenza: ovvero, se vado in ripossessione o pignoramento della casa perché non riesco a pagare le rate del mutuo, ho un tetto sulla testa assicurato. E in grado di spostarsi ovunque. Anche perché l’orgia subprime è ripartita a pieno regime negli USA, questa volta non legata agli immobili ma, come vi dico da tempo, alle autovetture: guardate qui, ad esempio,
tipica promozione commerciale di un Paese con economia e salari solidi e in ripresa, vero? Come d’altronde ci testimoniano questi grafici,
i quali ci dicono che proprio in questi giorni e nel silenzio più totale dei media, lo Stato dell’Illinois sta fallendo, letteralmente schiacciato dai debiti legati al programma Madicare di quel genio di Barack Obama. Senza scordare che stiamo parlando di un Paese con un trend demografico simile,
quindi potenzialmente a rischio implosione socio-economica. Soprattutto a fronte di questo,
Shocking Video Exposes Tent City Crisis In Failing California
Pharmaceutical Companies Have Turned Baltimore Into An Opioid Hellhole
un qualcosa che socialmente possiamo chiamare una bomba ad orologeria che si avvia all’ultimo giro di ticchettio. Non penso che quei filmati meritino o necessitino commenti.
E se il gigante della grande distribuzione Wal-Mart è sceso sul piede di guerra, minacciando i camionisti di chiusura del rapporto se consegnano merci anche per Amazon, direi che anche la guerra deflattiva dei prezzi sta per partire negli USA, il tutto con la FED impegnata in un ciclo di rialzo dei tassi e il mercato in bolla totale. Meno male che c’è il terrorismo e la paura perenne, meno male che a giorni la Siria e la sua ultima false flag, preparata da Israele sulle alture del Golan, garantiranno un bel casus belli da giocarsi come un jolly (caso strano, sono tornate le autobombe a Damasco e, in vista della scadenza dell’ultimatum saudita di domani, il Qatar si è detto “pronto ad affrontare le conseguenze).
Meno male che ci sono Vasco e la camicia di Bonolis, simboli viventi del fatto che l’amore batte la paura. Ma non la fa scomparire, anzi. Perché per tranquillizzare occorre che quella partita a due continui, concerto dopo concerto, hashtag dopo hashtag, dichiarazione dopo dichiarazione, controllo dopo controllo ai varchi e agli ingressi. Business dopo business, tutto sulla pelle delle nostri menti, ormai controllate come un televisore dal telecomando.
Meno male che ci sono Vasco e la camicia di Bonolis, simboli viventi del fatto che l’amore batte la paura. Ma non la fa scomparire, anzi. Perché per tranquillizzare occorre che quella partita a due continui, concerto dopo concerto, hashtag dopo hashtag, dichiarazione dopo dichiarazione, controllo dopo controllo ai varchi e agli ingressi. Business dopo business, tutto sulla pelle delle nostri menti, ormai controllate come un televisore dal telecomando.
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