Diego Fusaro: “Prima la comunità e i beni comuni. Con Tommaso d’Aquino”
di Francesco Lamendola
Fede e carità; fede e dottrina; dottrina e carità: sono queste le variabili del cristianesimo; per sapere se siamo ancora al suo interno, o se ne siamo usciti, magari senza rendercene ben conto, bisogna vedere se la loro reciproca relazione è rimasta impostata nei termini corretti.
Si consideri quest’affermazione di Giovanni XXIII nel discorso d’apertura del Concilio Vaticano II:
Nell’indire questa grandiosa assemblea, il più recente e umile Successore del Principe degli Apostoli, che vi parla, si è proposto di riaffermare ancora una volta il Magistero Ecclesiastico, che non viene mai meno e perdura sino alla fine dei tempi; Magistero che con questo Concilio si presenta in modo straordinario a tutti gli uomini che sono nel mondo, tenendo conto delle deviazioni, delle esigenze, delle opportunità dell’età contemporanea (2, 2). […]
Per intavolare soltanto simili discussioni non era necessario indire un Concilio Ecumenico. Al presente bisogna invece che in questi nostri tempi l’intero insegnamento cristiano sia sottoposto da tutti a nuovo esame, con animo sereno e pacato, senza nulla togliervi, in quella maniera accurata di pensare e di formulare le parole che risalta soprattutto negli atti dei Concili di Trento e Vaticano I; occorre che la stessa dottrina sia esaminata più largamente e più a fondo e gli animi ne siano più pienamente imbevuti e informati, come auspicano ardentemente tutti i sinceri fautori della verità cristiana, cattolica, apostolica; occorre che questa dottrina certa ed immutabile, alla quale si deve prestare un assenso fedele, sia approfondita ed esposta secondo quanto è richiesto dai nostri tempi. Altro è infatti il deposito della Fede, cioè le verità che sono contenute nella nostra veneranda dottrina, altro è il modo con il quale esse sono annunziate, sempre però nello stesso senso e nella stessa accezione. Va data grande importanza a questo metodo e, se è necessario, applicato con pazienza; si dovrà cioè adottare quella forma di esposizione che più corrisponda al magistero, la cui indole è prevalentemente pastorale (6, 5).
Ecco cosa dice, per esempio – uno fra i tanti: ormai è questa la linea prevalente della neochiesa - don Vincenzo Vitale, vicedirettore della rivista Credere, nell’ultimo numero, rispondendo a un lettore che chiedeva chiarimenti su Amoris laetitia e che, in particolare, desiderava sapere se l’indissolubilità del matrimonio sia ancora il punto fermo della dottrina morale cattolica sul sacramento matrimoniale:
La dottrina della Chiesa non è un patrimonio statico e monolitico nel tempo: la comprensione della fede e delle sue implicazioni per la vita cresce e si approfondisce nel tempo, sostenuta dallo Spirito (Giovanni 16, 13): “vi guiderà a tutta la verità”) e sollecitata anche dalle diverse situazioni e problemi che si presentano.
Dall’affermazione di Giovanni XXIII, che la dottrina è certa e perfetta in se stessa, siamo passati all’affermazione che la dottrina non è qualcosa di statico e monolitico, dunque, evidentemente, deve essere qualcosa di fluido e di parcellizzabile: il doppio salto mortale è stato eseguito con successo, e, oplà!, ci troviamo fra le mani una dottrina cattolica che cambia secondo i tempi e secondo gli umori: cosa, del resto, perfettamente dichiarata dal papa Francesco nella omelia di Santa Marte del 19 maggio scorso: la dottrina, egli ha detto, è buona solo se unisce; se crea divisioni, è “ideologia” ed è una cosa negativa, adatta alle persone rigide e fanatiche, non ai veri cristiani. Stupefacente: la dottrina fluida, la dottrina mutevole, la dottrina che è buona solamente se unisce, ma guai se divide: ma che razza di dottrina sarà mai, allora? Come la si potrebbe ancora chiamare una dottrina, una dottrina qualsiasi, a queste condizioni? Una dottrina, per definizione, è un corpus coerente ed unitario di credenze, che non sono passibili di negoziazione: o la si accetta, o la si rifiuta; la accettano i suoi seguaci, la rifiutano gli altri. Ora, siamo in presenza di un concetto assolutamente inedito di dottrina: non più un insieme di principi non negoziabili, ma un arcipelago disorganico di idee, per ciascuna delle quali si può trovare l’eccezione, e quindi il suo contrario. Per esempio: il matrimonio è indissolubile, lo ha detto Gesù Cristo. Però, se il tal dei tali si è separato dalla legittima moglie, sposata in chiesa, e ha formato una nuova famiglia con un’altra donna, bisogna vedere, discernere il caso particolare, delicato e complesso (soprattutto complesso: quante truffe concettuali sono state perpetrate, all’ombra della pretesa complessità), essere misericordiosi, valutare con molta comprensione, accompagnare con dolcezza: insomma, alla fine dei conti, può anche succedere che il sacerdote Pinco Pallino lo assolva dal suo peccato e lo autorizzi ad accostarsi alla santa Eucarestia, come se costui fosse perfettamente in grazia di Dio. Il che è esattamente il contrario di quanto Gesù Cristo ha insegnato. In che modo si è giunti a questo abile, sottile, tenace capovolgimento? Semplice: confondendo deliberatamente i due piani, quello della carità e quello della dottrina, dai quali scaturisce la fede. In quanto alla carità, questo è certo, il cristiano non finisce mai di apprendere, crescere,approfondire: non arriverà mai il momento in cui un cristiano, per quanto santo, possa dire di se stesso d’aver raggiunto la pienezza e la perfezione della carità; sarà sempre ben al di sotto di esse, perché, pur prendendo a modello unico e insostituibile Gesù Cristo, nessun uomo arriverà mai neanche lontanamente ad assomigliare alla sua perfezione di carità. Ma quanto alla dottrina, le cose stanno ben diversamente. La dottrina è quella, e non cambia: è stata definita, una volta per tutte, mediante il Magistero, attraverso l’esame congiunto delle Scritture e della Tradizione, beninteso sotto l’azione illuminante e vivificante dello Spirito Santo e non solamente con le forze umane e con l’intelligenza umana. Si sono impegnati a definirla, in maniera chiara e non equivoca, gli Apostoli, poi i Padri della Chiesa, infine i primi grandi concili ecumenici, di carattere teologico e dottrinale. Il Concilio Vaticano II, l’ultimo, venuto dopo duemila anni di dottrina e di vita della Chiesa, fu convocato da Giovanni XXIII, per sua stessa esplicita dichiarazione, non per ragioni dottrinali, pertanto non aveva e non ha il potere di mutare la dottrina neppure d’una virgola. La dottrina è unica e definitiva: non è oggetto di mediazione o di negoziazione; nulla vi può essere aggiunto, nulla vi può essere tolto. Ora, la fede è formata da queste due componenti: la dottrina e la carità: Senza la dottrina, la carità girerebbe a vuoto: sarebbe qualcosa di empirico e indistinto, paragonabile alla buona volontà di qualsiasi altra fede, o anche alla buona volontà di coloro che non hanno alcuna fede. D’altra parte, senza la fede, anche la dottrina sarebbe solo un contenitore vuoto, una facciata senza spessore, un edificio cui manca la cosa principale: il calore scoppiettante del fuoco e la presenza viva di quanti ci abitano. Sarebbe un palazzo tristemente vuoto, un sepolcro imbiancato. Sia la carità che la dottrina sono necessarie, anzi, indispensabili per formare la vera fede. La fede deve essere fede in qualcosa, e cosa sia questo qualcosa, lo indica la dottrina; a sua volta, la dottrina deve essere animata dalla carità, perché, come dice san Paolo, senza la carità, noi siamo solo dei bronzi che risuonano o dei cembali che tintinnano, ma ci manca la cosa essenziale. È un inganno far credere che alla fede basta la carità, ed è un inganno dire che è sufficiente la dottrina: la fede è fede nella dottrina, ma animata dal soffio vivificante della carità. Questo è il cattolicesimo, e non altro, Ma quel che dicono i preti modernisti della neochiesa gnostica attuale, che si spaccia per Chiesa cattolica, è ben diverso: essi dicono che la fede si approfondisce mano a mano, il che è falso, completamente falso. È la carità che si approfondisce, mentre la dottrina resta ferma e immutabile, salda come una roccia nel marasma incessante della storia. È questo che distingue il cattolicesimo dalle altre dottrine: il fatto della sua saldezza, della sua perfezione, del suo carattere definitivo e assoluto. Le dottrine e le fedi di questo mondo mutano e passano, perché sono solo dottrine umane; la fede cristiana, fondata su una dottrina assoluta, in quanto soprannaturale, permane in saecula saeculorum. Per nostra fortuna, e per grazia di Dio: grazia acquistata a prezzo del sangue preziosissimo dell’Agnello, venuto a sacrificarsi per noi. Ma come è stato possibile che i cattolici smarrissero così clamorosamente il senso della loro stessa dottrina? La dottrina, qualunque dottrina, non è solo un corpus di credenze, ma di credenze che rispecchiano la verità; e ciò vale in misura eminente per la dottrina cattolica, secondo la quale la Verità è una Persona: il Verbo incarnato. Dunque, è semplicemente inconcepibile che qualche cattolico abbia potuto smarrire il concetto della dottrina come verità.
Stanno sovvertendo la fede cattolica con una voluta confusione di piani tra carità e dottrina
di Francesco Lamendola
Del 31 Agosto 2017
continu su:
Nessun commento:
Posta un commento
Nota. Solo i membri di questo blog possono postare un commento.