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venerdì 15 settembre 2017

Cattolici al pari...di chi?

"Il futuro della Chiesa si decide nella liturgia"
Nel decennale del Motu proprio Summorum Pontificum l'ex prefetto della Congregazione ribadisce che "per dare un autentico senso alla propria vita, in tanti cercano un'unione che vada alla sostanza: l'incontro con Gesù Cristo. E questa unione avviene nella liturgia. Il Summorum Pontificum ha portato grandi benefici alla Chiesa". Dubbi sulla riforma dei libri liturgici.
Ha concluso citando il suo maestro, Benedetto XVI, per dire che «nella liturgia si decide il futuro della chiesa». Una indicazione importante e fuori moda quella del cardinale Gherard Muller, ex prefetto della congregazione per la Dottrina della fede, intervenuto ieri al V Convegno sul Motu proprio Summorum Pontificum, il documento che papa Ratzinger donò alla Chiesa 10 anni fa nel settembre del 2007.


In questi giorni a Roma si è dato appuntamento un popolo che segue l'insegnamento di quel Motu proprio, quello che riportava alla luce del sole la liturgia preconciliare del rito romano e dava concretezza alla cosiddetta “riforma della riforma” liturgica. Oggi questo termine sembra non trovare molte simpatie, tanto che recentemente papa Francesco ha detto che «la riforma liturgica è irreversibile», però bisogna riconoscere che un movimento che cerca un reciproco arricchimento fra le due forme del rito romano esiste ed è attivo.

Il cardinale Muller ha esordito mettendo subito in chiaro come la pensa a proposito del Summorum pontificum: «Sappiamo i numerosi benefici che ha portato alla vita della Chiesa questo Motu proprio che regola l’antica liturgia in forma straordinaria, e di questo siamo immensamente grati a Benedetto XVI».

L'intervento dell'ex prefetto, articolato e profondo, si è concentrato sul rapporto tra “dogma e liturgia”, percorrendo una lunga analisi sul ruolo della teologia nel suo rapporto con la prassi e la liturgia nella vita della Chiesa. «Siccome la fede cristiana», ha detto il cardinale, «non è un sistema dottrinale teoretico, ma personale unità di vita con Cristo e con la Chiesa, bisogna intendere la liturgia anzitutto come elemento centrale, costitutivo dell'agire della Chiesa e manifestazione vivente della sua professione, e non come ambito per l'applicazione secondaria dei concetti teoretici-teologici».

Riprendendo il noto assioma “lex orandi, lex credendi”, Muller indica che tale formula tradizionale «è espressione della fondamentale comprensione della natura della liturgia come autorealizzazione della Chiesa e fonte normativa di tutta la teologia». Nelle conclusioni il cardinale ha detto che «il kerigma e la liturgia sono fonti importanti per la teologia, perché sono forme vive di mediazione della traditio. Nella formazione del Canone, ad esempio, i Padri della Chiesa si richiamarono in primo luogo alla liturgia». Infine una citazione dell'allora cardinale Ratzinger: «La liturgia non deve diventare campo sperimentale di ipotesi teologiche. […] La liturgia trae la sua grandezza da ciò che è e non da ciò che noi facciamo con essa. Certo, il nostro agire è necessario, ma come un umile inserirsi nello spirito della liturgia e come servizio a Colui che è il vero soggetto della liturgia: Gesù Cristo. La liturgia non è espressione della coscienza della comunità, coscienza del resto sparpagliata e mutevole. Essa è Rivelazione accolta nella fede e nella preghiera e la sua misura è pertanto la fede della Chiesa che è il “recipiente” della Rivelazione».

A margine della conferenza il cardinale Muller ha risposto a qualche domanda postagli dai giornalisti presenti. A proposito delle traduzioni del messale ha notato che «fino ad ora vi è stata una sostanziale unità nella traduzione nel messale della stessa lingua, nonostante piccole differenze. Però queste lingue, ad esempio l'inglese, non si parlano in unico paese, pertanto vi potrebbe essere una certa difformità se fosse la singola conferenza episcopale a decidere. Avremmo piuttosto bisogno della cooperazione di più conferenze episcopali, per evitare problemi pratici come il caso di messali della stessa lingua differenti».

Tanti giovani sono attratti dal rito romano cosiddetto antico, ma questo non sorprende il cardinale Muller perchè, ha detto,, «tanti cercano una dimensione del mistero che vada alla sostanza, cioè l'incontro e l'unione con Gesù Cristo come segno della speranza. Per dare un autentico senso alla propria vita». Come aveva detto nella sua relazione, «la liturgia è lo strumento per la formazione di un senso ecclesiastico e di un sentimento basilare di fede. Nella liturgia avviene l'unione con Cristo, l'imprimersi della parola di Dio nella ragione dell'uomo, l'indirizzamento della volontà umana, nella forza dello Spirito Santo, alla sequela di Cristo, l'esperienza della comunità dei credenti, la speranza nella manifestazione della comunione di vita con Cristo e tutte le membra del Corpo di Cristo, che è la Chiesa, nella vita eterna».
di Lorenzo Bertocchi15-09-2017

Sarah ai gruppi stabili: "Uscite dal ghetto da cattolici"
di Andrea Zambrano15-09-2017

“Non siete tradizionalisti, siete cattolici al pari mio e del Papa”. Le parole del cardinal Robert Sarah, Prefetto del culto Divino arrivano scandite quasi al termine della relazione tenuta dal porporato nel corso del Convegno a dieci anni dal Summorum Pontificum di Benedetto XVI. E sembrano porre fine a una lunga traversata nel deserto compiuta dai gruppi stabili e dai tanti monaci e religiosi (all’Angelicum di Roma ieri erano soprattutto francesi e italiani) che in questi anni hanno sperimentato i benefici della forma straordinaria del rito romano.
E' la cosiddetta messa in latino o messa tridentina. Un clichè linguistico buono per tenere a bada e inquadrare un fenomeno nato in sordina, ma che oggi è cresciuto a tal punto che il termine tradizionalista sta stretto e per certi versi è ingeneroso dato che la maggior parte dei fedeli che hanno questa sensibilità sono giovani e nostalgici di nulla. A dare piena cittadinanza alla forma straordinaria del rito romano è arrivato anche l’attuale prefetto della disciplina dei Sacramenti che ha colto l’occasione nel corso della lectio magistralis di ieri per chiarire anche alcune sue espressioni che avevano scatenato i sospetti di alcuni guardiani della rivoluzione: l’orientamento in primis e la Riforma della Riforma secondariamente.
Non prima di ricordare che il motu proprio è stato “un segno di riconciliazione nella Chiesa che ha portato molto frutto e che in questo senso è stato fatto anche da Papa Francesco”. Partendo da Ratzinger il cardinale ha ricordato che «la dimenticanza di Dio è il pericolo più incalzante del nostro tempo». “Se la Chiesa di oggi è meno zelante ed efficace nel portare le persone a Cristo – ha detto alla platea dell’Angelicum -, una delle cause può essere la nostra mancata partecipazione alla Sacra Liturgia in modo autentico ed efficace. E ciò forse è dovuto a sua volta ad una mancanza di una adeguata formazione liturgica – di cui è preoccupato anche il nostro Santo Padre, Francesco, quando dice che “una liturgia che fosse staccata dal culto spirituale rischierebbe di svuotarsi”.
Per Sarah “questo può essere anche dovuto al fatto che molto spesso la liturgia, così come viene celebrata, non è celebrata fedelmente e pienamente come la intende la Chiesa, ma depauperandoci o deprivandoci di quel pieno incontro con Cristo nella Chiesa, che è un diritto di ogni battezzato”. Tanto che “molte liturgie sono davvero nient’altro che “antropocentriche”, “un teatro, un divertimento mondano, con tanti rumori, danze e movimenti corporali che assomigliano alle nostre manifestazioni folkloriche”. Invece, la liturgia è il momento di un incontro personale e di intimità con Dio e qui il cardinale ha ammonito Africa, Asia e America Latina a riflettere “sulla loro ambizione umana di inculturare la liturgia, in modo da evitare la superficialità, il folklore e l’autocelebrazione culturale”.
Ma che cosa c’entra questo con la messa in forma tridentina? C’entra perché nel cosiddetto usus antiquior questi rischi vengono notevolmente depotenziati. Come quello di perdere un orientamento liturgico che, lungi dall’essere una questione formale, rappresenta invece un dettaglio fondamentale per parlare con Dio. Dettaglio. Sarah lo ribadisce, ricordando di averne già parlato e di come negli ultimi anni il tornare a “volgersi ad Deum o ad orientem durante la liturgia Eucaristica, sia gestualità quasi universalmente assunta nelle celebrazioni dell’usus antiquior”.
Ma anche la pratica dell’orientamento “è perfettamente appropriata – e io insisto – e pastoralmente vantaggiosa, nella forma più moderna del rito Romano”. Il cardinale è consapevole che questo potrebbe causargli l’accusa di essere attento ai dettagli: “Sì, - ha proseguito - perché come ogni marito e moglie sanno, in ogni rapporto d’amore i più piccoli dettagli sono molto importanti, perché è in essi, e attraverso di essi, che l’amore si esprime e si vive giorno dopo giorno. Le ‘piccole cose’ nella vita matrimoniale esprimono e proteggono le realtà più grandi, tanto che il matrimonio inizia a rompersi quando questi dettagli vengono meno. Così anche nella liturgia: quando i suoi piccoli rituali diventano routine e non sono più atti di culto che esprimono le realtà del mio cuore e della mia anima, quando non mi prendo più cura dei dettagli, allora vi è il grande pericolo che il mio amore a Dio Onnipotente si raffreddi”.
Stesso argomento per il silenzio, il solo che “può edificare ciò che sosterrà la sacra celebrazione perché il rumore uccide la liturgia, assassina la preghiera, ci strappa e ci esilia lontano da Dio”. Si arriva così nel cuore della solenne celebrazione della Santa Messa nell’usus antiquior che “è un ottimo paradigma di questo, poiché, con i suoi livelli di ricco contenuto e i diversi punti di collegamento con l’azione di Cristo, ci permette di raggiungere tale silenzio. Tutto ciò è certamente un tesoro con il quale possono essere arricchite alcune celebrazioni dell’usus recentior, a volte purtroppo orizzontali e rumorose”.
Le riflessioni di Sarah però hanno come protagonista la messa in generale e non soltanto quella in forma straordinaria. Infatti il cardinale ha invitato a “non pregare il breviario con il proprio telefonino o il proprio ipad” perché “non è dignitoso, desacralizza la preghiera. Questo apparecchio non è uno strumento consacrato e riservato a Dio”. Ma anche scattare fotografie durante la Sacra Liturgia da parte di presbiteri.
Sui gruppi stabili Sarah ha espresso tutta la sua gratitudine testimoniando “la sincerità e la devozione di questi giovani uomini e donne, sacerdoti e laici e delle buone vocazioni al sacerdozio e alla vita religiosa che sono nate in comunità che celebrano l’usus antiquior”. E’ la miglior risposta a chi ritiene l’uso della messa tridentina ad un uso passatista o nostalgico: “A coloro che nutrono dei dubbi al riguardo io direi: visitate queste comunità e cercate di conoscerle, specialmente i giovani che vi fanno parte. Aprite i vostri cuori e le vostre menti a questi nostri giovani fratelli e sorelle, e guardate il bene che fanno. Non sono nostalgici né amareggiati né oppressi dalle lotte ecclesiastiche dei recenti decenni; essi sono pieni della gioia di vivere la vita di Cristo in mezzo alle sfide del mondo moderno”. Un appello esteso anche “ai miei fratelli vescovi: questi fedeli, queste comunità hanno una grande necessità di cura paterna. Non dobbiamo lasciare che le nostre preferenze personali oppure le incomprensioni del passato tengano lontani i fedeli che aderiscono alla forma straordinaria del Rito Romano”.
Perché – è il senso delle parole di Sarah - l’usus antiquior dovrebbe essere considerato come una parte normale della vita della Chiesa del ventunesimo secolo. “Statisticamente esso può ben rappresentare e rimanere una piccola parte della vita della Chiesa, come prevedeva Papa Benedetto XVI, ma non per questo è una via inferiore e di “seconda classe”. Non ci dovrebbe essere concorrenza tra la forma ordinaria e quella straordinaria dell’unico Rito Romano: la celebrazione di tutte e due le forme dovrebbe essere un elemento naturale della vita della Chiesa nei nostri giorni”
Infine una parola “paterna” a tutti coloro che sono associati alla forma più antica del Rito Romano. “Alcuni, quando non addirittura voi stessi, vi chiamano “tradizionalisti”. Per favore, non lo fate più. Voi non siete rinchiusi in una scatola su un ripiano di una libreria o in un museo di curiosità. Voi non siete tradizionalisti: voi siete cattolici del Rito Romano come me e come il Santo Padre. Voi non siete di seconda classe o membri particolari della Chiesa Cattolica a motivo del vostro culto e delle vostre pratiche spirituali, che sono state quelle di innumerevoli santi. Voi siete chiamati da Dio, come tutti i battezzati, a prendere il vostro posto nella vita e nella missione della Chiesa nel mondo di oggi, al quale anche voi siete inviati”.
E ancora: “Se voi non avete lasciato ancora le catene del “ghetto tradizionalista”, per favore fatelo oggi. Dio Onnipotente vi chiama a fare questo. Nessuno vi ruberà l’usus antiquior, ma molti saranno beneficati, in questa vita e nella futura, dalla vostra fedele testimonianza cristiana che avrà tanto da offrire, considerando la profonda formazione nella fede che gli antichi riti, e l’ambiente spirituale e dottrinale ad essi connessi, vi hanno dato perché "non si accende una lucerna per metterla sotto il moggio, ma sopra il lucerniere perché faccia luce a tutti quelli che sono nella casa". Questa è la vostra vera vocazione, la missione alla quale vi chiama la Providenza divina nel suscitare in tempo opportuno il Motu Proprio Summorum Pontificum”.

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