Putin, Stone e l’Annunziata: trovate l’intruso
Lo confesso. Per me, la televisione è un curioso pezzo da museo; un oggetto che non uso mai, che tengo addirittura con i cavi staccati per rimarcare il concetto e per non cadere in tentazione. Eppure, giovedì sera, tornato dall’ufficio, ho riattaccato i cavi in fretta e furia, cercato il telecomando che nel mentre era finito in una dimensione parallela e mi sono sintonizzato su Rai Tre. Un canale che, a memoria, ricordavo essere popolato da spettri con il pugno alzato e da mummie con il bavero rosso al collo. Ma, sfidando la mia repulsione per l’horror, ho dovuto farlo: insomma, l’evento era unico. Su Rai Tre davano nientemeno che The Putin Interviews di Oliver Stone.
Da subito ho pensato: “sarà un errore”. Eppure no, i miei informatori erano sicuri: c’era proprio Putin su Rai Tre. Ho googlato su internet e ho scoperto l’esistenza di un sito antidiluviano che informa i telespettatori della programmazione quotidiana; lì, bel bello, c’era il faccione di Putin. Non poteva essere un errore, a meno che i compagni di Rai Tre non fossero tutti ad azzannar braciole alla Festa dell’Unità e ci fosse bisogno di riempire il palinsesto con un programma a caso.
Va bene, per farla breve Putin c’era davvero. Ma, prima di andare alla festa zombie dell’Unità, i compagnoni di cui sopra hanno pensato bene di fare uno dei loro soliti scherzi sinistri. Ecco che, al posto del faccione di Vlad, è comparsa la diversamente sorridente Lucia Annunziata. La comparsa della direttrice dell’HuffPost ha sortito un effetto simile a quello del professor Guidobaldo Maria Riccardelli di fantozziana memoria. Ma come? Un’introduzione prima del film? Eh sì. Era un delirante pippone per spiegarci perché vedere la docu-intervista di Stone. Un po’ come i bollini colorati per i bambini, verde, giallo e rosso: ecco, questo programma era consentito solo previo avvertimento dell’Annunziata. Non so dire se su Rai Tre la chiamano ogni volta che stanno mandando in onda un programma; magari presenta anche Tom&Jerry, vai a sapere. Ma qui siamo andati oltre. L’ex direttrice del Tg3 ci insegna che Stone ha fatto le domande sbagliate. Sbagliate? Quattro ore di domande sbagliate? Sì, Stone avrebbe permesso a Putin di “svicolare”, di dire la sua. Un bravo giornalista avrebbe dovuto puntualizzare, ogni due minuti: “sì, ma gli hacker russi?”; e invece niente, Stone ride e scherza con il pericoloso dittatore che attenta alla democrazia mondiale e che vuole influenzare il voto americano. Se poi uno guarda l’intervista, scopre che Putin cerca davvero di dimostrarsi neutrale sulla materia del voto negli USA. Certo, forse non sopporta troppo la Clinton (ma chi la sopporta?), e con eleganza dimostra la sua distanza etica e culturale dalla candidata dem. Pazienza. Per l’Annunziata il candidato di Putin è Trump.
Il succo della storia, tutto qui: Putin è autoritario, Stone lo intervista ma non deve far vedere che è un cattivone matricolato, altrimenti lo zar gli sequestra baracca e burattini e non gli fa fare l’intervista. Il commento risulta patetico, come patetica è questa prefazione fatta per suggerire una lettura del documentario che è palesemente contraria a quanto dice il presidente russo. Perché Putin può piacere o non piacere, ma è semplicemente l’unico uomo politico della contemporaneità capace di suscitare ancora amore per lo Stato, di influenzare profondamente la politica internazionale e di arginare, per quanto possibile, la deriva disumana che viviamo in Occidente. Volete mettere al suo pari i vari Obama o Trump, o i nostri incolori Renzi, Letta, Gentiloni? Suvvia.
E poi, la mancanza di stile: l’opera di Stone è paragonabile ad un vero e proprio film: nel bugiardino di avvertimento (questo-film-può-avere-effetti-collaterali-anche-gravi), l’Annunziata rivela anche alcuni passaggi ed una risposta di Putin. Cioè: nel gergo dei nerd, ha “spoilerato”. Almeno, Riccardelli apriva il “consueto dibattito” dopo la visione del film. Non prima. In ogni caso, il sottoscritto (spero abbiate perdonato l’uso della prima persona), sapendo già i punti salienti, ha potuto toccare con mano che l’interpretazione data dall’Annunziata era palesemente forzata, se non addirittura capovolta. E così gli altri telespettatori. Bel colpo, non c’è che dire.
Per questo, questa benedetta prefazione non era solo inutile, ma patetica. In soldoni: che senso aveva spiegarci perché ascoltare Putin? Forse, perché è un personaggio infinitamente più importante dei nostri politici, dei nostri commentatori o dei nostri giornalisti? Era necessario marcare il territorio fornendo a tutti i costi un’interpretazione non richiesta? Perché non permettere ai telespettatori di farsi un proprio, personalissimo giudizio? E perché il giudizio dell’Annunziata deve essere più importante di quello di Mario Rossi? Tanto più, che questa prefazione aveva il sapore della lezioncina imparata a memoria, ricca di luoghi comuni ed inacidita dalla supponenza; insomma: una pernacchia nei confronti di due giganti quali Putin e Stone. Una pernacchia ancor più fastidiosa perché pagata da tutti noi. Anche da chi, come me, tiene il televisore spento 364 giorni l’anno.
di Giorgio Enrico Cavallo
Da subito ho pensato: “sarà un errore”. Eppure no, i miei informatori erano sicuri: c’era proprio Putin su Rai Tre. Ho googlato su internet e ho scoperto l’esistenza di un sito antidiluviano che informa i telespettatori della programmazione quotidiana; lì, bel bello, c’era il faccione di Putin. Non poteva essere un errore, a meno che i compagni di Rai Tre non fossero tutti ad azzannar braciole alla Festa dell’Unità e ci fosse bisogno di riempire il palinsesto con un programma a caso.
Va bene, per farla breve Putin c’era davvero. Ma, prima di andare alla festa zombie dell’Unità, i compagnoni di cui sopra hanno pensato bene di fare uno dei loro soliti scherzi sinistri. Ecco che, al posto del faccione di Vlad, è comparsa la diversamente sorridente Lucia Annunziata. La comparsa della direttrice dell’HuffPost ha sortito un effetto simile a quello del professor Guidobaldo Maria Riccardelli di fantozziana memoria. Ma come? Un’introduzione prima del film? Eh sì. Era un delirante pippone per spiegarci perché vedere la docu-intervista di Stone. Un po’ come i bollini colorati per i bambini, verde, giallo e rosso: ecco, questo programma era consentito solo previo avvertimento dell’Annunziata. Non so dire se su Rai Tre la chiamano ogni volta che stanno mandando in onda un programma; magari presenta anche Tom&Jerry, vai a sapere. Ma qui siamo andati oltre. L’ex direttrice del Tg3 ci insegna che Stone ha fatto le domande sbagliate. Sbagliate? Quattro ore di domande sbagliate? Sì, Stone avrebbe permesso a Putin di “svicolare”, di dire la sua. Un bravo giornalista avrebbe dovuto puntualizzare, ogni due minuti: “sì, ma gli hacker russi?”; e invece niente, Stone ride e scherza con il pericoloso dittatore che attenta alla democrazia mondiale e che vuole influenzare il voto americano. Se poi uno guarda l’intervista, scopre che Putin cerca davvero di dimostrarsi neutrale sulla materia del voto negli USA. Certo, forse non sopporta troppo la Clinton (ma chi la sopporta?), e con eleganza dimostra la sua distanza etica e culturale dalla candidata dem. Pazienza. Per l’Annunziata il candidato di Putin è Trump.
Il succo della storia, tutto qui: Putin è autoritario, Stone lo intervista ma non deve far vedere che è un cattivone matricolato, altrimenti lo zar gli sequestra baracca e burattini e non gli fa fare l’intervista. Il commento risulta patetico, come patetica è questa prefazione fatta per suggerire una lettura del documentario che è palesemente contraria a quanto dice il presidente russo. Perché Putin può piacere o non piacere, ma è semplicemente l’unico uomo politico della contemporaneità capace di suscitare ancora amore per lo Stato, di influenzare profondamente la politica internazionale e di arginare, per quanto possibile, la deriva disumana che viviamo in Occidente. Volete mettere al suo pari i vari Obama o Trump, o i nostri incolori Renzi, Letta, Gentiloni? Suvvia.
E poi, la mancanza di stile: l’opera di Stone è paragonabile ad un vero e proprio film: nel bugiardino di avvertimento (questo-film-può-avere-effetti-collaterali-anche-gravi), l’Annunziata rivela anche alcuni passaggi ed una risposta di Putin. Cioè: nel gergo dei nerd, ha “spoilerato”. Almeno, Riccardelli apriva il “consueto dibattito” dopo la visione del film. Non prima. In ogni caso, il sottoscritto (spero abbiate perdonato l’uso della prima persona), sapendo già i punti salienti, ha potuto toccare con mano che l’interpretazione data dall’Annunziata era palesemente forzata, se non addirittura capovolta. E così gli altri telespettatori. Bel colpo, non c’è che dire.
Per questo, questa benedetta prefazione non era solo inutile, ma patetica. In soldoni: che senso aveva spiegarci perché ascoltare Putin? Forse, perché è un personaggio infinitamente più importante dei nostri politici, dei nostri commentatori o dei nostri giornalisti? Era necessario marcare il territorio fornendo a tutti i costi un’interpretazione non richiesta? Perché non permettere ai telespettatori di farsi un proprio, personalissimo giudizio? E perché il giudizio dell’Annunziata deve essere più importante di quello di Mario Rossi? Tanto più, che questa prefazione aveva il sapore della lezioncina imparata a memoria, ricca di luoghi comuni ed inacidita dalla supponenza; insomma: una pernacchia nei confronti di due giganti quali Putin e Stone. Una pernacchia ancor più fastidiosa perché pagata da tutti noi. Anche da chi, come me, tiene il televisore spento 364 giorni l’anno.
di Giorgio Enrico Cavallo
Il Punto di Giulietto Chiesa: "Toglieteceli dai piedi!"
"The Putin Interviews", nuovo film del regista premio Oscar Oliver Stone hanno permesso al pubblico americano di conoscere più da vicino il presidente Vladimir Putin, ma anche in questo caso le corazzate della disinformazione mainstream hanno avuto da obiettare. Ormai la propaganda anti-russa somiglia ad un film comico, anzi a una specifica scena con protagonista Alberto Sordi, magistralmente introdotta dal Giulietto Chiesa nel suo nuovo editoriale.
http://www.raiplay.it/programmi/thepu... - In questa intervista esclusiva per RaiPlay, il regista Oliver Stone parla del rapporto che ha stretto col presidente russo Vladimir Putin, della sua visione della politica internazionale e delle motivazioni che lo hanno portato a girare "The Putin Interviews". Intervista realizzata da Luigi Cazzaniga. "The Putin Interviews", un grande evento televisivo in prima visione assoluta. Il premio Oscar Oliver Stone in una lunga intervista al presidente russo Vladimir Putin. Giovedì 5 e 12 ottobre 2017 su Rai3 alle 21.15
Un vero corpo a corpo, ma anche, in qualche modo, un balletto. Così può essere definito The Putin Interviews, il fluviale (e discusso) film-intervista (ben 4 ore divise in quattro episodi) che Oliver Stone ha realizzato con Vladimir Putin tra il 2015 e il 2017, e che Rai3 trasmette in due parti, questa sera e giovedì 12 ottobre, alle 21.15.
Personaggio controverso, inafferrabile, per molti versi inquietante, ex capo del Kgb sovietico, due volte presidente della Federazione Russa e due volte premier (durante la sua salda permanenza al potere si sono avvicendati ben quattro presidenti americani), Putin apre a Stone luoghi dove nessun giornalista occidentale avrebbe mai neppure sognato di mettere piede: la sua dacia, la sala del trono del Cremlino, i suoi smisurati uffici e sale riunioni, mostrandosi in situazioni inimmaginabili, talvolta spiazzanti: alla guida di un'auto, alle prese con i suoi cavalli, in divisa da hockey e pronto per una partita.
Tra schermaglie, inattesi lampi di ironia, evidenti menzogne e omissioni, domande non fatte, impennate di verità, un memorabile incontro tra due uomini-mondo – l'ex capo dei servizi sovietici e il liberal americano – di cui si parlerà a lungo.
http://www.huffingtonpost.it/2017/10/05/the-putin-interviews-il-corpo-a-corpo-tra-oliver-stone-e-lo-zar-di-russia-in-un-documentario-su-rai-3_a_23233420/
QUANDO SI SPEZZA LA SPINA DORSALE AMERICANA?
In California , fra gli incendi, infuria l’epatite A, seminando vittime tra le tendopoli dei senzatetto disoccupati fra San Diego e Sacramento. Sono 569 gli infetti e 17 i morti finora. La malattia, altamente contagiosa, sarebbe dovuta alle autorità della città di San Diego, che hanno espulso in massa i senzatetto (“e il gran mercato di droga e prostituzione che infuria tra essi”, scrive Breitbart) dal Petco Park in cui erano accampati, nel luglio 2016, dove doveva giocarsi il Major League Baseball All-Star Game, grande attrattiva di turismo. Il metodo usato per “convincere” gli attendati è stato sbarrare i bagni e le toilettes pubblici, di cui la massa dei senzatetto si serviva.
Situazione aggravata immediatamente da una norma molto ecologica ed altamente ambientalista, secondo il più puro spirito californiano, vegano e bio: il bando, deciso dal comune di San Diego, delle buste di plastica da supermercato, ciò che ha privato i senza casa di “un mezzo alternativo di sbarazzarsi delle deiezioni umane dal momento che i WC non erano disponibili”.
In California – il più ricco stato degli Usa – ci sono 115,738 homeless, il 21 per cento di tutti i senzatetto americani. E siccome dal 2006 i gruppi progressisti ideologici di sinistra, coi loro avvocati a (presunta) difesa dei diritti dei senzatetto, hanno impedito alla polizia di applicare le norme per cui gli agenti prima potevano forzare i senza-casa, trovati in giro dopo le 9 di sera, a dormire negli appositi ricoveri, sono quasi tutti attendati e senza strutture igieniche. Adesso le autorità sanitarie cercano disperatamente di vaccinarli, ma siccome questi attendati sono troppo spesso in qualche guaio con la giustizia (magari non hanno più pagato il mutuo…) fanno di tutto per evitare di essere identificati.
La California non è solo lo stato più ricco, è anche quello dove l’economia è più “sofisticata” e di successo; quello dove la lobby LGBT comanda e impone i suoi “stili di vita” nel modo più “libero”; è anche il più progressista e “aperto all’immigrazione”, tanto che il suo governatore Jerry Brown, superdemocratico, ha emanato una serie di norme che vanificano deliberatamente le leggi anti-immigrazione e varate da Trump (ICE Immigration and Customs Enforcement): gli immigrati clandestini sono benvenuti in California, possono accomodarsi fra i campi di tende e ricevere il vaccino contro l’epatite A, invece dei wc.
Quando gli uragani e i cicloni di qualche settimana fa hanno devastato il Texas, non pochi “progressisti” di successo californiani hanno più o meno fatto capire che, essendo nel Texas tutti elettori di Trump, la rovina era quella che s’erano chiamati e meritati. La California è ovviamente esente dai cicloni atlantici. Il suo problema climatico è, se mai, la siccità. Attualmente, infuriano incendi incoercibili nella Napa Valley, la ricca zona vitivinicola, “Sonoma ed altre sei contee”, dove “migliaia di residenti hanno dovuto evacuare le loro case, mentre altre migliaia di preparano ad evacuare, mentre 14 incendi seminano la distruzione nella nord-California, resistendo a tutti gli sforzi per contenerli”. Spinti dal vento, gli incendi avanzano e si estendono con rapidità prodigiosa. Sette i morti finora, ha confermato lo Sceriffo di Sonoma, presi in auto tra le fiamme. Fiamme “come un inferno, mai visto prima”, twittano i testimoni. L’immensa nube di fumo è visibile dai satelliti artificiali. Almeno 1500 abitazioni sono distrutte (e i proprietari avranno i soldi per ricostruirle?). I servizi di comunicazione, internet, sono interrotti in vaste zone, mostrando la fragilità di una economia basta sul digitale e telecom. E’ forse un castigo che i californiani si sono “chiamati “ per aver votato Hillary? Per il loro “stile di vita”?
Se fosse così, si sappia che sono lungi dall’intraprendere la strada del pentimento. “I raccolti di Cannabis son minacciati dagli incendi”, titola il San Francisco Gate, e ci informa che da 3 mila a 9 mila “orti” nella sola Sonoma, perfettamente legali (ça va sans dire), valgono “decine di milioni di dollari” che rischiano di andare in fumo. Toccherà importare la ricreativa sostanza, per i consumatori di San Francisco?
Manca la soluzione salina. Veniva da Portorico
C’è da chiedersi quando finalmente queste vaste distruzioni ad Est e ad Ovest cominceranno a piegare il nerbo economico degli Stati Uniti. Quanto saranno colpite le aziende d’assicurazione, chiamate a rifondere i danni degli incendi e delle alluvioni. Quanto ci metteranno a tornare a funzionare le raffinerie fuori servizio delle zone colpite dai cicloni, quali e quante industrie danneggiate non sono in grado di riprendere a funzionare per settimane o mesi. I dati sono sparsi, sottovalutati dai media, o taciuti.
Solo occasionalmente si viene a sapere, per esempio, che tutti gli ospedali Usa soffrono “disperata carenza di soluzione salina” dopo “la distruzione delle fabbriche di produzione a Porto Rico, azzerate dall’Uragano Maria”. E Porto Rico non è certo una zona ad alta intensità industriale come il Texas o la California. Il capitalismo terminale – in questo caso la Baxter, gigante farmaceutico che , apprendiamo, ha praticamente il monopolio del prodotto – vi ha concentrato per un’ovvia convenienza di costi bassi una industria che invece avrebbe dovuto essere sparsa sul territorio. Ora ospedali di New York mancano dei flaconi di soluzione, essenziali per ogni fleboclisi, infusione endovena di farmaci, per la idratazione e riequilibrare gli squilibri elettrolitici – i flaconi che sono onnipresenti in ogni corsia.
Quando tornerà a funzionare la ditta a Portorico? Forse fra qualche giorno? Non c’è da giurarci. Si apprende che Google sta progettando l’uso di palloni aerostatici da far fluttuare ad alta quota a Portorico, onde riattivare la rete Internet, perché “l’83% delle cellule telefoniche restano fuori uso” nell’isola. La Federal Reserve ha mandato un aereo da carico pieno di banconote perché alla popolazione non sono rimasti i contanti, né (chi li aveva) conti in banca accessibili senza luce e senza web.
Aggiungiamoci le morti per oppioidi, antidolorifici di prescrizione medica. 33.091 americani ne sono morti nel 2015; supereranno i 36 mila nel 2017. Ancor più delle morti pesano sull’economia le centinaia di migliaia di assenze dovute a questi farmaci, denunciate dai datori di lavoro.
I suicidi dei bianchi adulti
Aggiungiamoci le sparatorie sempre più frequenti, dove Baltimora sta per superare Chicago (che ha quattro volte più abitanti) nel numero di omicidi l’anno. Aggiungiamoci l’obesità mostruosa. L’aumento dei suicidi: 121 americani al giorno si tolgono la vita, e 93 sono uomini; ultimamente, con un rialzo spaventoso di uomini bianchi fra i 45 e i 65. Tutte “malattie della disperazione”, ha scritto il saggista Chris Hedge, segno per lui della perdita di senso e anche di reddito in questa recessione-depressione di lunga durata e negata. “Una perdita di lavoro non è solo un malessere finanziario. Taglia i legami sociali vitali, come ha spiegato il sociologo Emile Durkheim, che ci danno un significato. Lo scadimento dallo status sociale e dal potere sociale, l’incapacità di avanzare, la mancanza di istruzione e di cure sanitarie, la perdita di speranza sono forme di umiliazione paralizzante. Questa umiliazione alimenta la solitudine, la frustrazione, e il sentimento di inutilità. Per chi è marginalizzato e rigettato dalla società, la vita non ha più senso”.
Domando: quando finalmente tutto ciò fiaccherà l’economia della superpotenza, romperà la sua spina dorsale tanto da non lasciarle più forze e risorse sufficienti al suo bellicismo imperiale? Me lo chiedo perché ho letto su Sputnik News questa notizia:
Media israeliani invitano Usa a prepararsi per una guerra con Siria, Russia e Iran
“In un recente articolo intitolato “Perché Israele ha bisogno di preparare l’America per la prossima guerra in Siria”, lo scrittore del Jerusalem Post Eric R. Mandel (un sionista americano) propone che il governo americano e le persone devono diventare partner di guerra di Israele disposti alla guerra per eventuali attacchi futuri delle forze di difesa israeliane contro obiettivi militari siriani, russi e / o iraniani.
Scrive il Jerusalem Post:
“La regione del Medio Oriente potrebbe essere incendiata con una sola azione. Tale incendio potrebbe essere un attacco israeliano significativo in Siria in risposta ai crescenti trasferimenti militari facilitati da una permanente presenza iraniana, avviando verso una più ampia conflagrazione regionale. Ecco perché Israele deve preparare il suo alleato americano prima di sapere che Israele non potrà stare in attesa, mentre l’Iran utilizza la sua nuova base per trasferire armamenti più e più potenti a Hezbollah”.
Insomma, Shylock pretende l’ultima libbra di carne dal suo Golem. Ed esso risponde. In un paese socialmente e psichicamente alle corde, devastato da catastrofi, il Senato ha appena stanziato un aumento delle spese militari di ben il 10%; con convinto voto bi-partisan, e concedendo ancor più di quel che chiedeva l’amministrazione Trump per “ricostruire l’apparato militare” usurato in un ventennio di guerre nelle polveri del Medio Oriente.
Trump che aveva promesso “un trilione di dollari di investimenti nelle infrastrutture” interne, anch’esse usurate, adesso offre “un aumento di un trilione di dollari in difesa”, che è la “seconda miglior scelta” perché “garantirà abbastanza posti di lavoro in Stati chiave da garantire la rielezione del 2020”, scrive SouthFront. .
Naturalmente ci vengono a mente le profezie di Teresa Neuman, la beata stimmatizzata: gli Stati Uniti saranno messi a terra economicamente non da un nemico, da una serie di catastrofi naturali. Ma quando?
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