I papi e i gesuiti: quanti cartellini gialli
Paolo VI col gesuita
Arrupe
C'è davvero tanta confusione, nella Chiesa, ma qualcuno in
alto loco, nientemento che il segretario di stato, il cardinale Pietro Parolin,
ha avuto il coraggio di dire che ora, forse, occorre il "dialogo",
perchè la Chiesa non è una caserma nè una teocrazia, ma una monarchia
costituzionale, e, addirittura, elettiva. Non bisognerebbe scordare infatti che
il papa stesso è sì un monarca, ma eletto dai confratelli cardinali, e che il
Vangelo è la Costituzione che nessuno può violare.
Ma perchè siamo finiti in questa situazione? I fatti storici
possono aiutarci a comprendere che la confusione viene da lontano. Le opinioni
eterodosse di padre Antonio Spadaro o di padre James Martin, come le tesi di
altri gesuiti quali Carlo Casalone e Alain Thomasset (entrambi membri della
nuova Pontificia Accademia per la Vita diretta dal filo pannelliano Vincenzo
Paglia), non sono certo nuove, venendo diffuse in vario modo da almeno
quarant'anni. Quello che è nuovo, però, è il fatto che, pur essendo eterodosse
sino a ieri, siano quasi la voce ufficiale della Chiesa oggi.
Per capire quanto sta accadendo bisogna tener presente che
stiamo assistendo ad una sorta di rivincita di chi, per tanti anni, aveva visto
respigere, almeno in parte, i suoi assalti ai fondamenti teologici e morali
della fede cattolica.
Se guardiamo la storia, sono ben 4, tutti e 4 gli ultimi
papi, ad aver ripreso la Compagnia di Gesù per i medesimi motivi: rifiuto della
sana dottrina con conseguenti "ambiguità dottrinali",
secolarizzazione, confusione tra fede e politica ecc.
Il primo ad intervenire è Paolo VI, il 2 dicembre 1974,
allorchè riceve in Vaticano la XXXII congregazione generale dei Gesuiti. Dopo i
rituali saluti, il papa, rifacendosi implicitamente ad una lettera inviata a
padre Arrupe, Preposito Generale della Compagnia di Gesù, nel settembre
dell'anno precedente, riferisce che molti vescovi gli hanno espresso lamentele
nei loro confronti, a causa di "fatti dolorosi che esercitano una triste
influenza sul clero, negli altri religiosi e nel laicato cattolico". Il
papa invita i Gesuiti ad impedire che la loro "disponibilità al
servizio" degeneri "in relativismo, in conversione al mondo e alla
sua mentalità immanentistica, in assimilazione col mondo che si voleva salvare,
in secolarismo, in fusione con il profano" (William B. Bangert, gesuita,
in Storia della compagnia di Gesù, Marietti, 2009).
Pochi mesi dopo Paolo VI deve scontrarsi di nuovo con i
Gesuiti, perchè la Compagnia ha agito "contro le chiare direttive che egli
aveva fornito a voce e per iscritto". Intanto i membri della Compagnia
diminuiscono gradualmente: nel 1971 sono 31 mila, nel 1975 scendono a 28 mila,
nel 1984 sono solo 25 mila...
Dopo Paolo VI, il 26 agosto 1978 diventa papa Giovanni Paolo
I, che in un discorso scritto, che avrebbe dovuto essere pronunciato il 30
settembre 1978, cioè due giorni dopo la sua morte, rinnova stima e soprattutto
preoccupazione nei confronti della Compagnia: incitando i Gesuiti "ad
affrontare onestamente i difetti, le omissioni e le ambiguità della Compagnia,
egli ricordava l'obbligo di mantenere il suo carattere sacerdotale anche
affrontando i moderni problemi economici e sociali, e di attenersi alla
"solida e sicura dottrina" confermata dal magistero della Chiesa, di
opporsi alle tendenze di secolarizzazione, di ripudiare gli usi e i costumi del
mondo".
Giovanni Paolo II diventa papa il 22 ottobre 1978, e già il
21 settembre 1979, certamente preoccupato per le derive pauperistiche e
comuniste di molti gesuiti, parla con un gruppo che Arrupe ha riunito a Roma,
ammonendoli circa i rischi corsi dalla Compagnia.
Nel discorso ufficiale invita a perseguire per i novizi
"formazione dottrinale con solidi studi filosofici e teologici secondo le
direttive della Chiesa, e formazione apostolica indirizzata a quelle forme di
apostolato che sono proprie della Compagnia, aperte sì alle nuove esigenze dei
tempi, ma fedeli a quei valori tradizionali che hanno perenne efficacia".
Come si vede, Giovanni Paolo II si colloca sulla linea dei
suoi predecessori: l'invito è ad evitare che l'adeguamento ai tempi, "alle
nuove esigenze dei tempi", diventi "secolarizzazione" e abbandono
della "solida e sicura dottrina", dei "valori tradizionali che
hanno perenne efficacia".
In altre parole: i Gesuiti vogliono cambiare dottrina e
morale, ma ciò non è possibile, perchè la Verità è eterna e per questo,
trascendendoli, è sempre adeguata ai tempi, ad ogni situazione e ad ogni
circostanza.
Padre Arrupe, che ha ben compreso come dietro il discorso
ufficiale di Giovanni Paolo II vi sia l'ennesimo ammonimento dei papi alla sua
Compagnia, indirizza una lettera ai principali superiori della Compagnia in cui
si legge che "un richiamo da parte di tre papi lascia poco spazio a dubbi
sul fatto che Dio stesso, sicuramente con amore ma con insistenza, si aspetta
qualcosa di meglio da noi".
Infine, dopo Giovanni Paolo II, è la volta di Benedetto XVI,
che da molti Gesuiti fu spesso avversato come il suo predecessore. Alla fine
del 2007, in vista dell'elezione del nuovo preposito generale della Compagnia
di Gesù, Benedetto XVI scrive al generale uscente, Peter-Hans Kolvenbach, e
piuttosto clamorosamente invita i Gesuiti a rinnovare, ad affermare di nuovo la
propria fede cattolica, evidentemente molto vacillante. Scrive Benedetto:
"Per offrire all'intera Compagnia di Gesù un chiaro orientamento che sia
sostegno per una generosa e fedele dedizione apostolica, potrebbe risultare
quanto mai utile che la Congregazione Generale riaffermi, nello spirito di
sant'Ignazio, la propria totale adesione alla dottrina cattolica, in
particolare su punti nevralgici oggi fortemente attaccati dalla cultura
secolare, come, ad esempio, il rapporto fra Cristo e le religioni, taluni
aspetti della Teologia della liberazione e vari punti della morale sessuale,
soprattutto per quel che riguarda l'indissolubilità del matrimonio e la
pastorale delle persone omosessuali".
Anche in questo caso ci sono alcune parole o espressioni
chiave, da sottolineare: dottrina, morale sessuale, indissolubilità della
chiesa, e pastorale.
E' innegabile che da alcuni anni a questa parte il dibattito
interno alla chiesa verta proprio su questi temi. Chi ama la Chiesa se ne
accorge, e chiede di capire, invoca il dialogo, anche alla luce di quanto i 4
pontefici citati gli hanno insegnato; chi finge di non accorgersene si lancia
in campagne inquisitorie (ben poco credibili, per di più, se chi le conduce ha
lo stesso pedigree di acrobata di un Andrea Tornielli, o è al centro di
numerosi scandali e processi, come monsignor Vincenzo Paglia), che però
serviranno solo ad inasprire il dibattito, trasformandolo sempre più in
conflitto aperto.
Francesco Agnoli
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