Qui io sto fermo
31 ottobre 1517: come Lutero diede avvio 500 anni fa all’epoca moderna
“Sono tenuto saldo dalle Scritture da me addotte, la mia coscienza è prigioniera della parola di Dio ed io non posso né voglio revocare alcunché, vedendo che non è sicuro o giusto agire contro la coscienza. Qui io sto fermo, non posso fare altrimenti, Dio mi aiuti. Amen”: con queste parole, Martin Lutero chiudeva il suo discorso alla Dieta di Worms del 1521, convocata da Carlo V. L’audizione di Lutero avrebbe dovuto nelle intenzioni dell’imperatore provocarne l’abiura; si chiuse invece con la “fermezza” di Lutero sulle sue Tesi, che sfocerà nella Riforma protestante.
La rottura con la Chiesa di Roma era nei fatti iniziata 4 anni prima, esattamente il 31 ottobre 1517, con l’affissione da parte del frate agostiniano di 95 Tesi, fortemente polemiche verso il papa ed anche eretiche, sul portone della chiesa di Ognissanti del castello di Wittenberg. Lutero le aveva poi inviate ai vescovi tedeschi, alle università e agli amici. Per capire il punto critico di distacco dalla Chiesa, può essere utile confrontare la frase di Lutero con la seguente dello statista inglese suo contemporaneo Tommaso Moro, pronunciata in faccia a Enrico VIII: “Se il numero dei vescovi e delle università dovesse essere così importante, come sembra a Vostra signoria, allora io credo che basterebbe poco ad operare un cambiamento nella mia coscienza … Ma se guardo a coloro che sono già morti, di cui molti sono ora santi in cielo, allora sono certo che la gran parte di loro, per tutto il tempo che vissero, pensarono allo stesso modo in cui io penso adesso. E perciò non mi sento legato, mio signore, a conformare la mia coscienza al consiglio di un regno contro il Consiglio Generale della Cristianità”. Questa dichiarazione formalizzò il rifiuto del cancelliere a sottomettersi alla neo costituita Chiesa anglicana e gli costò il martirio.
Entrambi, Lutero e Moro, si appellano alla coscienza: dove sta la differenza? dov’è l’abisso che separa il Protestantesimo dal Cattolicesimo? Il frate Martin Lutero fa appello al primato della coscienza individuale sopra il consenso universale della Chiesa e della tradizione, il laico Tommaso Moro connette l’aderenza della coscienza singola alla fede totale della cristianità, alla storia della Chiesa e dei santi in cielo.
L’essenza del Protestantesimo è tutta qui, nella negazione di un’autorità religiosa stante nella Chiesa visibile. Lutero non promulga una nuova dottrina o una nuova autorità, non crea una contro-chiesa, pone piuttosto per principio la negazione dell’unità. Proclama la negazione del corpo della Chiesa, concepito come organo infallibile, docente, in contatto con Dio. Dal vuoto emergerà l’individuo come fattore esclusivamente responsabile, prima in ambito religioso e poi in quello generalmente culturale ed etico. Il Protestantesimo esploderà all’inizio in dozzine di confessioni e sette diverse, a seconda delle “coscienze” appartenenti alle personalità locali più eminenti della cristianità scismatica…, per atomizzarsi infine nel relativismo moderno.
Martin Lutero è una figura in cui personalità e insegnamento sono così intrecciati da costituire un modello di applicazione del test di Rorschach per uno storico-psicologo. Dove Tommaso d’Aquino argomenterebbe contra, sed contra, Lutero rovescerebbe il tavolo dicendo: si fa così!
Da profondo studioso del rivoluzionario di Eisleben, Benedetto XVI gli diede nei catechismi tedeschi il dovuto affermando che fu “un teologo radicale e polemico, la cui particolare versione della dottrina della giustificazione per fede è incompatibile con la concezione cattolica della fede come co-credente con tutta la Chiesa, all’interno di un’esistenza cristiana composta ugualmente di fede, speranza e carità”. La giustificazione per fede: ecco una posizione eretica, rivelatrice della commistione in Lutero tra le “macchie” (nel senso di Rorschach) del carattere e le linee della dottrina.
È diffusa anche tra i cattolici l’opinione che Lutero avesse il nobile scopo di riformare la Chiesa dai suoi peccati e abusi. E Dio sa quanto ce ne sarebbe stato bisogno nel 1517! La verità è che egli puntava a diffondere le sue posizioni teologiche rivoluzionarie cui era arrivato gradualmente in un’intuizione culminata nel 1516 e alla cui diffusione la crisi morale della Chiesa gli serviva da strumento intelligentemente usato in coppia col carezzamento dei progetti d’indipendenza politica ed economica dall’impero coltivati dai principi tedeschi. Nel 1516, l’“esperienza della torre” al monastero di Wittenberg aveva risolto tutti i suoi dubbi sulla coscienza. Egli aveva visto Dio e i comandamenti come una minaccia: “Io, irreprensibile monaco qual ero, sentii di essere davanti a Dio un peccatore dalla coscienza estremamente travagliata. Dalla mia soddisfazione non potevo sentirmi sicuro che Dio fosse appagato. Non amavo Dio, piuttosto odiavo il Dio giusto che punisce i peccatori. In silenzio, per non bestemmiare, ma certo brontolavo veementemente ed ero arrabbiato con Dio. Dicevo: ‘Come? non basta che noi miserabili peccatori, perduti per tutta l’eternità a causa del peccato originale, siamo oppressi dai dieci comandamenti con ogni tipo di calamità? perché Dio colpisce, un dolore dopo l’altro, col Vangelo e ci minaccia con la sua giustizia e la sua ira?’ Ecco come stavo arrabbiato in preda ad una coscienza selvaggia e tribolata”.
Ed ecco che, nella solitudine della torre di Wittenberg, la Lettera di S. Paolo ai Romani, al capitolo 1, gli aveva spalancato la salvezza. Egli vi aveva trovato nella fede nella grazia di Dio – in questa soltanto – la giustificazione alla sua coscienza selvaggia: “Tutto d’un tratto ho sentito di essere rinato e di essere entrato in paradiso a porte aperte. Immediatamente ho visto l’intera Scrittura in una luce diversa”.
Ora, appartiene certamente alla tradizione della Chiesa la consapevolezza paolina che la giustificazione viene dalla fede, spinta dalla grazia di Dio. Però tutto l’insegnamento e la tradizione cristiana intendono una fede vissuta – o almeno provata a viversi – coerentemente, in una tensione continua all’autoperfezionamento, non una fede teorica a prescindere… dalla carità, dai Sacramentie e dall’assistenza della Gerarchia. Invece la “coscienza tribolata” di Lutero lo aveva portato ad un’interpretazione di S. Paolo che, rompendo ogni legame con la tradizione e l’autorità della Chiesa, gli regalava un’assoluta libertà di coscienza insieme alla promessa del paradiso. Ne seguirà non la riforma della Chiesa, ma lo scisma.
Le implicazioni teologiche, e più in generale morali, filosofiche e culturali traspariranno molto presto, ancor prima della formalizzazione a Worms della rottura, nell’“Appello alla nobiltà cristiana della nazione tedesca”, che Lutero pronuncerà nel 1520: “Se siamo tutti sacerdoti, come è stato detto sopra, e se tutti abbiamo una stessa fede, un Vangelo, un sacramento, perché non dovremmo avere anche il potere di provare e giudicare ciò che è giusto o sbagliato nelle questioni di fede? che ne è delle parole di Paolo (I Corinzi, 2:15) ‘L’uomo mosso dallo Spirito giudica ogni cosa, senza poter essere giudicato da nessuno’? o di quelle altre (II Corinzi, 4:13) ‘Siamo tutti animati dallo stesso Spirito di fede’? perché allora non dovremmo capire che cosa è conforme alla fede e che cosa no, come fa un papa miscredente? Questi testi sacri ed altri ancora ci dovrebbero rendere forti e liberi e non dovremmo permettere che lo Spirito di libertà, come Paolo lo chiama, sia spaventato dalle invenzioni dei papi, ma dovremmo andare avanti per giudicare tutto ciò che fanno o omettono di fare, secondo la nostra interpretazione delle Scritture che posa sulla fede, così da costringerli a seguire non la loro interpretazione, ma quella che è la migliore … Spero così di aver allontanato il falso, bugiardo terrore con cui i romani hanno reso timida e stupida la nostra coscienza”.
Tommaso Moro, suo padre, la sua famiglia e i suoi discendenti (acquerello di Rowland Lockey da un quadro di Hans Holbein, 1593-94)
Chesterton interpretò le macchie di Rorschach dell’ex agostiniano osservando che, sebbene l’intelletto di questi fosse minuscolo rispetto a quello del domenicano Tommaso d’Aquino, “la sua figura massiccia e brutta fu abbastanza grande da bloccare per quattro secoli l’alta montagna umana dell’Aquinate”. Cosicché, continuava Chesterton “è toccato ad uno di questi grandi barbari elementari di cambiare il mondo”. La “barbarie” di Lutero che cambiò il mondo fu quella di confondere la coscienza con l’ego, così spalancando le porte al relativismo, che molto più della scoperta dell’America è la cifra del mondo moderno: è giusto ciò che appare tale alla mia coscienza solitaria, non illuminata da alcuna tradizione comunitaria formativa. Come ebbe a dire Maritain, un’altra “alta montagna” del pensiero cattolico in cui l’innovazione s’innesta nella tradizione, quella di Lutero fu un’idea “molto più sottile, molto più profonda e molto più grave dell’egoismo: fu un egoismo metafisico. L’ego di Lutero divenne praticamente il centro di gravità di tutto, soprattutto nell’ordine spirituale”.
Una delle 95 tesi è: “Coloro che credono di essere sicuri della loro salvezza perché hanno lettere di indulgenza saranno eternamente dannati, insieme ai loro insegnanti”. Evidentemente Lutero non era tipo da chiedersi: chi sono io per giudicare? Eppure la sua sentenza diffuse nel Nord Europa la parificazione dell’insegnamento misericordioso della Chiesa sulle indulgenze con la condotta corrotta dei chierici che le commerciavano. Le Tesi, molte delle quali ragionevoli in sé, gettarono così con l’acqua sporca anche il bambino. Una rivoluzione, non una riforma, fu dunque il Protestantesimo. Una riforma che fallì come progetto di rinnovamento del cristianesimo, anzi che mai fu tale se non nella propaganda, ma non fallì come rivoluzione inseminatrice di un nuovo Occidente.
Che il temperamento passionale di Lutero e le circostanze avessero nelle sue decisioni molto più peso delle meditate convinzioni si può anche capire dal suo atteggiamento verso l’Islam, che allora premeva ai confini labili e permeabili dell’Europa. Lutero aveva all’inizio cose più urgenti all’ordine del giorno e se gli Ottomani rappresentavano una minaccia per il papa e per i “romanisti” tanto meglio: questa era per lui un’occasione di portare avanti in patria più tranquillamente i suoi propositi. Così, nel 1518, quando ancora la rottura con Roma non era stata consumata, nelle sue “Risoluzioni riguardo alle 95 Tesi”, aveva argomentato contro una guerra ai Turchi. 10 anni dopo, a rottura ufficializzata e propositi perseguiti, con gli Ottomani minacciosi anche alle frontiere tedesche, avrebbe cambiato idea, giustificando la sua passata posizione con l’affermazione che i papi “non avevano mai avuto la seria intenzione di far guerra ai Turchi, ma avevano usato l’idea come il cappello del prestigiatore … e condannato le mie Risoluzioni non perché esse avevano bloccato la guerra, ma perché avevano strappato fuori dal cappello il percorso lungo il quale i soldi andavano a Roma”.
Per diversi aspetti, l’Islam e le (da subito frammentate) scuole protestanti presentavano affinità. Lutero guardava all’Islam come ad un’eresia ariana e pensava che ogni papa di Roma fosse peggiore di Maometto. L’Allah come pura Volontà si attagliava poi alla sua teologia dove la ragione era chiamata “quella bella puttana”. Islam e luteranesimo condividevano la stessa fobia verso le immagini e il culto dei santi. Lutero tolse al matrimonio quasi ogni valore sacramentale facendone, similmente all’Islam, un semplice contratto civile, rescindibile col divorzio: questo gli permise d’ingraziarsi Enrico VIII approvandone le seconde nozze (negli stessi giorni in cui Tommaso Moro era rinchiuso nella Torre di Londra in attesa del patibolo), esattamente come aveva fatto col suo protettore Filippo d’Assia. Né trovò scandaloso consigliare Filippo di mentire tatticamente sulla sua bigamia, secondo la logica dell’islamica “taqiyya” che giustifica la menzogna quando serve a promuovere la fede.
di Giorgio MasieroLutero sta quindi allo spartiacque tra il Medio evo cristiano e l’evo moderno laico. Il rifiuto ad ogni guida sulla coscienza personale, la separazione tra fede e ragione (tanto cara allo scientismo dei nostri giorni) e la riduzione (tanto cara al laicismo) della Chiesa entro la sfera spirituale hanno anticipato il secolarismo. Certamente Lutero non riconoscerebbe l’Europa attuale come una sua creatura, ma le sue posizioni sulla coscienza e la fede hanno accelerato l’individualismo, che è il fondamento della cultura moderna.
https://www.enzopennetta.it/2017/10/qui-io-sto-fermo/
Quel 31 ottobre del 1517
“La Discussione sulla dichiarazione del potere delle indulgenze (in latino: Disputatio pro declaratione virtutisindulgentiarum), nota anche come le 95 tesi, fu un elenco di tesi, che il frate agostiniano Martin Lutero propose alla pubblica discussione il 31 ottobre 1517” (così Wikipedia, alla voce 95 Tesi di Lutero).
Il frate agostiniano, “fu accusato e convocato a Roma già nel novembre 1517. Poco dopo Leone X affidò al card. Tommaso de Vio detto il Gaetano (o Cajetano) il compito di indurre Lutero a revocare, ma né l’incontro tra di loro nell’ottobre del 1518 ad Augusta, né la disputa, a cui partecipò anche il riformatore Karlstadt, tenuta nel giugno-luglio 1519 a Lipsia con Giovanni Eck, validissimo difensore del cattolicesimo, portarono ad un accordo” (Denzinger, edizione del 2003, p. 626).
Così il pontefice, dopo dialoghi e dibattiti teologici tesi a trovare una soluzione condivisa, decise di promulgare la Bolla Exurge Domine, il 15 giugno 1520, a quasi 3 anni dalla provocazione luterana.
Il documento pontificio del 1520 (Denz. 1451-1492) – e non le 95 tesi di Lutero – noi dobbiamo ricordare, celebrare e rimeditare. In questa solenne Bolla di 5 secoli fa risuona, nitidamente, la voce dello Spirito Santo, il messaggio intramontabile di Cristo, la definitiva Rivelazione del Padre all’umanità e alla Chiesa.
“Le proposizioni della Bolla riportano quasi sempre con precisione le parole di Lutero” (p. 626): la loro falsità però a volte è palese e conclamata, a volte meno. Tuttavia le 41 proposizioni luterane inserite nella Bolla, sono condannate dalla santa Chiesa coi termini più categorici: “Tutti e ciascuno gli articoli o errori sopra elencati, Noi li condanniamo, respingiamo, e rigettiamo totalmente (…) come eretici, scandalosi, falsi, offensivi per le pie orecchie, o in quanto capaci di sedurre le menti degli uomini semplici e in contraddizione con la fede cattolica” (Denz. 1492).
Mentre moltissimi credenti e prelati, pastori infedeli e cristiani anonimi fanno di tutto per riabilitare Martin Lutero, l’eretico per eccellenza, l’eretico per antonomasia, noi cattolici senza aggettivi, elenchiamo le più assurde affermazioni del rivoluzionario tedesco.
Ricordare gli errori del passato, e la loro condanna solenne e definitiva, sia un monito per il presente e un impegno di amore alla verità per il futuro. Ecco le più oltraggiose affermazioni di Lutero, censurate dallo Spirito Santo, attraverso papa Leone. Si vedrà che la questione delle indulgenze fu solo un pretesto usato dal monaco apostata per distruggere il cristianesimo e fondare il luteranesimo.
Si capirà anche quanto sono nel torto quei cattolici modernisti che credono di poter superare le contraddizioni dottrinali e teologiche con un cammino ecumenico ridotto al minimo comun denominatore: pace, amore e fantasia.
1.E’ sentenza eretica, ma largamente seguita, che i sacramenti della Nuova Alleanza danno la grazia giustificante a coloro che non vi pongono ostacolo
2. Negare che il peccato rimane nel bambino dopo il battesimo, significa disprezzare insieme Cristo e Paolo
5. Che le parti della confessione siano tre: contrizione, confessione e soddisfazione non è fondato nella Sacra Scrittura, né negli antichi santi dottori cristiani
12. Se, per assurdo, colui che si confessa non fosse contrito, oppure il sacerdote assolvesse non sul serio, ma per gioco, se tuttavia egli si crede assolto, è assolto con assoluta certezza
17. I tesori della Chiesa, da cui il papa trae le indulgenze, non sono i meriti di Cristo e dei Santi
20. Si ingannano coloro che credono che le indulgenze sono salutari e utili per il bene dello spirito
23. Le scomuniche sono soltanto pene esteriori, e non privano l’uomo delle comuni preghiere spirituali della Chiesa
25. Il Pontefice romano, successore di Pietro, non è il Vicario di Cristo sopra tutte le chiese del mondo intero, dallo stesso Cristo costituito nel beato Pietro
27. E’ certo che non è affatto in mano della Chiesa o del Papa lo stabilire gli articoli di fede, e anzi neppure le leggi morali o le opere buone
31. In ogni opera buona il giusto pecca
32. L’opera buona compiuta nel modo migliore è peccato veniale
34. Combattere contro i Turchi è opporsi a Dio, che visita le nostre iniquità per mezzo loro
37. Il purgatorio non può essere provato mediante la Sacra Scrittura che si trova nel Canone
38. Le anime nel purgatorio non sono sicure della propria salvezza, almeno non tutte
Per cogliere bene l’eredità sacrilega, secolarizzante e a termine distruttiva di ogni istituzione stabile dell’eresia luterana, si legga l’ottimo libretto di Angela Pellicciari, Martin Lutero. Il lato oscuro di un rivoluzionario, Cantagalli, 2016.
Ecumenismo senza Dio.
L’importante è amare oltre ogni differenza. Amare e basta nel rispetto di tutto e di tutti, aboliamo i confini tra le confessioni religiose, in quanto opinabilissimi prodotti umani.
Ho accettato la provocazione per vedere dove portano le idee, per cercar di capire se sia lecito ancora parlare di verità senza essere tacciati di fondamentalismo. In tempo di ecumenismo spinto, di “beatificazione” di Martin Lutero, di apertura all’ateismo e di rifiuto di ogni dogma in quanto elemento che divide, proviamo a far nostra questa tesi. L’importante è amare.
In ambito cristiano dovrà essere ovviamente il cattolicesimo, in quanto super istituzionalizzato, a fare passi in dietro, privandosi di tutte ” le costruzioni più o meno biblicamente fondate, frutto del tempo e delle interpretazioni”. La pensa così un tal “Grillo parlante”, teologo, convinto sostenitore della infondatezza dottrinale della transustanziazione. Via allora la presenza reale di Cristo nelle specie del pane e del vino; non è possibile mostrare la sostanza, filosoficamente parlando. Via ovviamente i sacramenti come strumenti di salvezza, via il ruolo del Papa, via il ruolo della dottrina ecclesiastica e del magistero, via la metafisica, resti solo la scrittura interpretata liberamente.
I gravami cattolici, infatti, così come tutta la sterile dogmatica sono divisivi, prodotto umano, quindi non certo, quindi relativo, quindi sacrificabile in nome dell’incontro.
Ma attenzione, una volta superate le divisioni in ambito cristiano, restano i confini tracciati dalle altre religioni.
Cristo non è compatibile con la reincarnazione, e neppure con la società divisa in caste, con i milioni di intoccabili e neppure con il karma.
Ancora. Nel rispetto dell’ebraismo dovremo evitate di chiamare Gesù con il titolo di Messia, vero uomo e vero Dio.
Per il vero certi ambienti cattolici progressisti da tempo hanno abbandonato l’idea del miracolo, del soprannaturale, dell’uomo Dio, giudicandoli incompatibili con la scienza.
Cristo, inoltre, non è in sintonia con l’idea del Dio musulmano, infatti, per l’Islam Gesù non può essere il figlio Dio. Per non dire della trinità che in ottica islamica finisce per essere confusa con il triteismo, cioè con il politeismo. Inoltre l’Islam non ha dogmi e classe sacerdotale, fatta esclusione per gli sciiti, che un loro ” clero” lo hanno.
Via dunque Cristo e ovviamente la Chiesa. In questo modo avremo abbattuto le barriere tra le grandi religioni mondiali.
A questo punto non resterà che l’idea di Dio, diversissima tra noi e “gli orientali”. Da una parte un’essere personale, dall’altra “un’energia” sempre nuova che permea il cosmo.
Meno aggressiva, quest’ultima idea d’energia positiva, più in sintonia con l’individualismo contemporaneo; priva di connotati morali, accogliente, sufficientemente vaga da potere essere accolta anche dagli atei.
Eccola la super religione senza dogmi, senza morale, senza confini, tanto simile al sogno massone di un mondo pacificato in nome della ragione e del vago spiritualismo.
Facciamo ora un passo indietro; torniamo a Cristo. Cosa ha fatto Gesù, ha forse egli “rotto” con una parte dell’ebraismo? Direi di si; due punti soltanto, a legge”, come presenza del Regno; “il regno di Dio è qui”, “Io illa ridefinizione del Sabato, Gesù si è posto come Signore del Sabato e ha posto se stesso oltre Mosè, ponendosi come “nuovo Signore del sabato, egli ha detto: ” io e il Padre mio siamo una cosa sola”, devo continuare?
Gesù dunque ha diviso, ha indicato una precisa direzione, ha posto in essere l’istituzione. Quella che noi riteniamo di dover abbattere. Tutto ciò che è venuto dopo di lui è umanamente relativo, ma non eliminabile, relativo non significa falso. Gli “interpreti umani di Cristo,” la prima tradizione, che nasce da loro prima dei Vangeli, ha fondato il proprio agire convinta di essere assistita dallo Spirito Santo; divisivo anche lui?
Cogliere l’essenziale nella storia della teologia e della Chiesa non significa sbarazzarsi del dogma e dei principi fondanti la Chiesa cattolica.
Il dialogo vero e fecondo non può e non deve fondarsi sulla rinuncia a se stessi, anzi, il dialogo fiorisce dove le identità restano tali.
Nel confronto ciascuno può purificare il proprio essere, crescere. Dal confronto con il mondo pagano e con l’ellenismo, il cattolicesimo ha tratto fecondi strumenti per meglio comprendersi.
Questa dovrebbe essere la via del vero ecumenismo. Quando si rimuovano le differenze che non possono essere rimosse, si danneggiano tutte le religioni. Gesù non accolse tutto l’Ebraismo, tanto per cominciare criticò la centralità del Tempio, l’ossessione della legge nominalisticamente intesa…
Altrimenti, come credo di aver dimostrato, in nome del rigoroso rispetto dovremmo giungere a non parlare più di Dio, sostituito dal termine amore. Ma quale amore? Lo spirito, l’ amore, senza la “carne delle istituzioni, senza la carne dei dogmi, senza la carne dei sacramenti”, cosa diventa? Un ecumenismo senza Dio, una lotta per il potere dentro quelle istituzioni che in nome dello spirito si vorrebbero negare.
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