BEATISSIMO PADRE
Beatissimo Padre la nostra coscienza ci spinge: la lettera con la richiesta di udienza al papa da parte del cardinale Caffarra mancato il 6 settembre. È giusto ricordare alcune cose ai tanti entusiastici ammiratori di Bergoglio
di Francesco Lamendola
Il 6 settembre 2017 è venuto a mancare, improvvisamente, Carlo Caffarra, arcivescovo emerito di Bologna: era uno dei quattro firmatari della lettera, consegnata il 19 settembre 2016, e contente i dubia circa l’esortazione apostolica Amoris laetitia, lettera che non ha mai ricevuto alcuna risposta da parte del papa Francesco. Qualche tempo prima, il 5 luglio, era venuto a mancare un altro dei quattro, il tedesco Joachim Meisner. Ora di vivi ne restano solo due, lo statunitense Raymond Burke e un altro tedesco, Walter Brandmüller. Caffarra, parmigiano, classe 1938 e, dunque, ormai settantanovenne, era probabilmente il più colto del gruppo: un filosofo morale come, oggi, non ce sono più tantissimi in giro, autore di numerose opere di grande valore, specie sui temi della famiglia, della sessualità e della educazione cristiana.
Non avendo ricevuto risposta, se non il commento velenoso di monsignor Pio Vito Pinto, decano della Rota, secondo il quale essi meritavano che il papa, per punirli, togliesse loro il cappello cardinalizio, i quattro cardinali, dopo un’attesa di circa sette mesi, avevano scritto una seconda lettera, questa volta per chiedere almeno una udienza privata. Rifiutata anche quella: o meglio, nessuno risposta anche allora. Il papa “misericordioso” e pieno di tenerezza, non si era degnato neppure di dare un cenno di riscontro alla loro lettera. È giusto ricordare queste cose ai tanti entusiastici ammiratori di Bergoglio, che essi vedono come il prefetto tipo del papa “francescano” (anche se è gesuita fino alla radice dei capelli), pieno di bontà e di compassione per tutti; ammiratori fra i quali non mancano i laici, da Andrea Grillo ad Alberto Melloni, e senza scordare Franco Cardini, storico esponente della cultura di destra, anch’egli folgorato sulla via di Damasco da questo papa ultra-progressista, che si è circondato di teologi della liberazione, cardinali modernisti e massoni e vescovi “di strada”, i quali tutti insieme fanno a gara nel rinverdire la tradizione comunisteggiante di Dossetti e compagni, quella pseudo profetica di Turoldo e anche quella cripto libertaria e contestatrice di Lorenzo Milani, recentemente riabilitato in pompa magna con tanto di “pellegrinaggio” riparatore del papa in quel di Barbiana, lo squallido luogo del suo sofferto “esilio” da parte della Chiesa brutta e cattiva di prima del Concilio.
A tutti costoro ci piacerebbe domandare quel che ne pensano della lettera del 25 aprile 2017, con la quale Caffarra chiedeva, anche a nome degli altri tre, quella udienza privata dal papa “che sa ascoltarla gente”, udienza che non sarebbe mai stata loro accordata. Vale la pena di ricordare che, pochi giorni prima di redigere quel documento, Caffarra aveva incontrato il papa, per puro caso, durante una visita di quest’ultimo presso la diocesi di Bologna, e che, a tavola, si era trovato a sedere vicino al Santo Padre; il quale, però, non gli aveva dedicato alcuna attenzione, mentre aveva parlato tutto il tempo con altre persone. Esiste una fotografia, a nostro parere drammatica, che rappresenta il momento del loro incontro, mentre si abbracciano: il volto di Caffarra è tutto teso verso l’interlocutore, cerca il suo sguardo, si vede che soffre intensamente, ma che è sorretto dalla speranza di stabilire un dialogo, almeno visivo, di strappare almeno un cenno di cristiana comprensione da parte del pontefice; mentre questi, a dispetto di tutta la sua sbandierata misericordia, guarda in basso, forse imbarazzato, forse infastidito, è tanto rigido quanto l’altro è vibrante di emozione, più che un uomo pare una statua, chiusa, indecifrabile, enigmatica: nessun sorriso, nessuna occhiata chiarificatrice, nessun accenno di disgelo e di umana simpatia, al di là delle differenti opinioni in materia di dottrina. La scena non era sfuggita ai presenti e, ad un giornalista che la descriveva, più o meno, nei termini da noi adoperati, e chiedeva a Caffarra se la sua impressione era giusta, questi aveva risposto al giornalista che aveva colto perfettamente il clima e il senso del loro incontro.
Ed ecco la lettera con la richiesta di udienza, pubblicata in esclusiva su Settimo Cielo:
Beatissimo Padre,
è con una certa trepidazione che mi rivolgo alla Santità Vostra, durante questi giorni del tempo pasquale. Lo faccio a nome degli Em.mi Cardinali: Walter Brandmüller, Raymond L. Burke, Joachim Meisner, e mio personale.
Desideriamo innanzitutto rinnovarle la nostra assoluta dedizione ed il nostro amore incondizionato alla Cattedra di Pietro e per la Vostra augusta persona, nella quale riconosciamo il Successore di Pietro ed il Vicario di Gesù: il “dolce Cristo in terra”, come amava dire S. Caterina da Siena. Non i appartiene minimamente la posizione di chi considera vacante la Sede di Pietro, né di chi vuole attribuire anche ad altri [qui il riferimento è a Benedetto XVI] l’indivisibile responsabilità del “munus” petrino. Siamo mossi solamente dalla coscienza della responsabilità grave proveniente dal “munus” cardinalizio, essere consiglieri del Successore di Pietro nel suo sovrano ministero. E dle Sacramento dell’Episcopato, che ci ha posti vescovi a pascer la Chiesa, che Egli si è acquistata col suo sangue” (At 20, 28).
Il 19 settembre 2016 abbiamo consegnato alla Santità Vostra e alla Congregazione della Dottrina della Fede cinque “dubia”, chiedendoLe di dirimere incertezze e fare chiarezza su alcuni punti dell’Esortazione Apostolica post-sinodale “Amoris laetitia”.
Non avendo ricevuto alcuna risposta da Vostra Santità, siamo giunti alla decisione di chiederLe, rispettosamente ed umilmente, Udienza, assieme se così piacerà alla Santità Vostra. Alleghiamo, come è prassi, un Foglio di Udienza in cui esponiamo i due punti sui quali desideriamo intrattenerci con Lei.
Beatissino Padre, è trascorso ormai un anno dalla pubblicazione di”Amoris laetitia”. In questo periodo sono state pubblicamente date delle interpretazioni di alcuni passi obiettivamente ambigui dell’Esortazione post-sinodale, non divergenti dal, ma contrarie al permanente Magistero della Chiesa. Nonostante che il Prefetto della Dottrina della Fede abbia più volte dichiarato che la dottrina della Chiesa non è cambiata, sono apparse numerose dichiarazioni di singoli Vescovi, di Cardinali, e perfino di Conferenze Episcopali, che approvano ciò che il Magistero della Chiesa non ha mai approvato. Non solo l’accesso alla Santa Eucarestia di coloro che oggettivamente e pubblicamente vivono in una situazione di peccato grave, ed intendono rimanervi, ma anche una concezione della coscienza morale contraria alla Tradizione della Chiesa. E così sta accadendo – oh quanto è doloroso constatarlo! – che ciò che è peccato in Polonia è bene in Germania, ciò che è proibito nell’Arcidiocesi di Filadelfia è lecito a Malta. E così via. Viene alla mente l’amara constatazione di B. Pascal: “Giustizia al di qua dei Pirenei, ingiustizia al di là, giustizia sulla riva sinistra del fiume, ingiustizia sulla riva destra”.
Numerosi laici competenti, profondamente amanti della Chiesa e solidamente leali verso la Sede Apostolica, si sono rivolti ai loro Pastori e alla Santità Vostra, per essere confermati nella Santa Dottrina riguardante i tre sacramenti del matrimonio, della Confessione e dell’Eucarestia. E proprio in questi giorni, a Roma, sei laici provenienti da ogni Continente hanno proposto un Seminario di studio assai frequentato, dal significativo titolo: “Fare chiarezza” [qui il riferimento è all’iniziativa lanciata da “La Nuova Bussola Quotidiana” e da “Il Timone”, entrambi diretti da Riccardo Cascioli].
Di fronte a questa grave situazione, nella quale molte comunità cristiane si stanno dividendo, sentiamo il peso della nostra responsabilità, e la nostra coscienza ci spinge a chiedere umilmente e rispettosamente Udienza.
Voglia la Santità Vostra ricordarsi di noi nelle Sue preghiere, come noi La assicuriamo che faremo nelle nostre. E chiediamo il dono della Sua Benedizione Apostolica.
Carlo Card. Caffarra
Roma, 25 aprile 2017 Festa di San Marco Evangelista
***
Foglio d’Udienza
- Richiesta di chiarificazione dei cinque punti indicati dai “dubia”, ragioni di tale richiesta.
- Situazione di confusione e smarrimento, soprattutto nei pastori d’anime, “in primis” i parroci.
Non so che impressione faccia, a voi che leggete, questo documento; forse l'avete già letto: a noi riesce difficile capire come il papa, un papa che ha sempre in bocca la misericordia e la tenerezza, possa aver deciso non solo di non concedere l'udienza, ma di non rispondere nemmeno alla lettera. Ora Caffarra è morto ed è troppo tardi perché riceva una risposta dal pastore del gregge: la pecora ha cercato di attirare la sua attenzione, ma è stata ignorata; il pastore non l'ha cercata, non l'ha degnata di uno sguardo, ha chiuso gli orecchi ai suoi belati. Eppure è un pastore molto, molto loquace; un pastore che, a parole, non ha altra preoccupazione che quella di medicare le ferite, al punto da voler trasformare la Chiesa in un gigantesco ospedale da campo, dove si medicano le ferite dei soldati dopo la battaglia. In questo caso, la ferita era stata provocata proprio da lui: una doppia ferita: sia per le ambiguità - certamente volute - di Amoris laetitia, che mettono in uno stato di angoscia e confusione i vescovi e i sacerdoti nell'esercizio del loro ministero, sia per non aver risposto né alla lettera con i dubia, né a quella con la richiesta di un colloquio privato. Eppure, il papa aveva incontrato Caffarra, a parecchi mesi di distanza da quando gli era stato consegnato il primo di quei due documenti, a Bologna, in un clima di familiarità con il clero della diocesi: e Caffarra era l'arcivescovo emerito della città, colui che aveva retto, con dignità e competenza, quella importante diocesi italiana, per ben dieci anni, dal 2003 al 2013, quando aveva raggiunto i limiti di età! Eppure il papa l'ha ignorato per tutto il pranzo, ha parlato ostentatamente con gli altri, benché gli fosse seduto accanto, poi ho ha abbracciato, sì, ma in maniera rigida e distaccata, e non gli ha rivolto una parola, né uno sguardo, per alleggerire quella pena, per medicare quella doppia ferita.
Ora, il modello perenne del cristiano è Gesù Cristo: Gesù Cristo si sarebbe comportato così? Se uno dei dodici, anche durante l'Ultima Cena, gli avesse chiesto una parola chiarificatrice, uno sguardo di apertura, Lui si sarebbe rifiutato? Ma se ha tollerato di cenare tranquillamente anche con Giuda Iscariote, che si apprestava a tradirlo per trenta denari! E poi, sappiamo dal Vangelo che ha risposto, fino all'ultimo, alle domande dei suoi discepoli: alla domanda di Tommaso: Signore, non sappiamo dove vai e come possiamo conoscere la via; alla domanda di Filippo: Signore, mostraci il padre e ci basta; alla domanda di Giuda, non l'Iscariota: Come mai ti manifesti a noi e non al mondo?: sempre con pazienza, con amore, con dolcezza, senza stancarsi mai. Gesù, dunque, che era buono, ma non voleva essere chiamato buono (Perché mi dici buono? nessuno è buono, se non Uno solo: Luca, 18, 19):), rispondeva sempre alle domande dei suoi, e anche a quelle degli altri, anche a quelle degli scribi e dei farisei perfidi, che gliele facevano solo per tendergli dei tranelli, come quando gli chiesero se fosse lecito pagare il tributo a Cesare, cercando palesemente il pretesto per poterlo accusare, o di blasfemia davanti a Dio, o d'infedeltà davanti all'imperatore; perfino a Pilato rispose, a poche ore dalla morte, quando questi gli chiese se Egli fosse re. Perché allora il suo vicario sulla terra non dovrebbe rispondere? Perché dovrebbe ignorare le domande? Perché dovrebbe lasciare che un anziano cardinale scenda nella tomba senza la consolazione di essere stato ascoltato da lui, di avergli potuto parlare, in forma privata, di cose della massima importanza, cose attinenti la dottrina e la fede?
Beatissimo Padre, la nostra coscienza ci spinge…
di Francesco Lamendola
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