ORA TOCCA A WEINANDY
Ora tocca all'illustre e conosciuto teologo Thomas Weinandy. Epurato perchè ha avuto il coraggio e l’onestà di scrivere una lettera al papa spiegandogli i motivi del suo profondo disagio che poi è quello di moltissimi cattolici
di Francesco Lamendola
La “tenerezza” e la “misericordia” di papa Francesco, che già hanno colpito i Francescani e le Francescane dell’Immacolata, i Legionari di Cristo e i Cavalieri di Malta, per ragioni diverse, mai però ben chiarite; poi i quattro cardinali dei dubia su Amoris laetitia, ai quali mai ha risposto e mai ha accordato la richiesta udienza privata; poi i sessantadue teologi e sacerdoti della Correctio filialis, ai quali è stato riservato lo stesso trattamento; poi il teologo domenicano Cavalcoli, punito e cacciato dai microfoni di Radio Maria per aver detto che certe catastrofi naturali sono una punizione divina per i peccati degli uomini (troppo poco misericordioso, evidentemente); poi il cardinale Müller, cacciato dalla Congregazione per la Dottrina della Fede, reo di aver difeso l’indissolubilità del matrimonio contro il relativismo e il “situazionismo” del gesuita Sosa Abascal, che vorrebbe cambiare anche le parole di Gesù Cristo; poi il filosofo Josef Seifert, cacciato dalla sede spagnola dell’Accademia Internazionale di Filosofia, per le sue critiche, sempre al capitolo ottavo diAmoris laetitia; poi il cardinale Sarah, rimproverato e umiliato pubblicamente per aver difeso la sacra liturgia; poi il teologo Antonio Livi, ostacolato nella sua attività di conferenziere, con l’ordine di non partecipare a certi incontri con il pubblico, reo di combattere il relativismo che imperversa nella Chiesa: ora queste tenerezza e questa misericordia sono arrivate a colpire anche un illustre e assai conosciuto teologo cattolico statunitense, Thomas G. Weinandy, che aveva avuto il coraggio e l’onestà di scrivere una lettera al papa, spiegandogli i motivi del suo profondo disagio, che poi è quello di moltissimi cattolici, e chiedendogli di non favorire ulteriormente la confusione dottrinale, pastorale e liturgica che, al presente, sta dilagando nella Chiesa.
La lettera di padre Weinandy, classe 1946, cappuccino, autore di numerosissimi libri e pubblicazioni e voce assai autorevole nella Chiesa degli Stati Uniti, era stata concepita nel mese di aprile ed era stata scritta e inoltrata in luglio; non ricevendo, come al solito, alcun cenno di risposta (questa, ormai, è la prassi del papa nei confronti di chi gli rivolge critiche, o sollecitazioni, o richieste di chiarimenti, o gli propone suggerimenti e correzioni), è stata resa pubblica adesso, sul portale Crux e sul blog di Sandro Magister,Settimo Cielo, e immediatamente, al principio di novembre del 2017, il suo autore è stato cacciato dalla Commissione Teologica Internazionale, della quale faceva parte dal 2014, in seguito a un colloquio con il presidente della stessa, il cardinale Daniel D. Di Nardo, nel corso del quale è dato di credere che sia stato invitato a presentare le sue immediate dimissioni. Motivo (come si può leggere in rete nella versione in lingua inglese della sua biografia, curata da Wikipedia): aver abusato della propria posizione per criticare il Santo Padre on weird and false grounds, su di un terreno erroneo e improprio, nel senso di ambiguo o, forse, di cospirativo. Ci sembra perciò che valga la pena di riportare integralmente, e di meditare a fondo, la lettera di padre Weinandy, che è stata causa della sua pronta punizione; laddove, giova del pari ricordarlo, nessuna punizione, anzi, incoraggiamento e segnali di apprezzamento sono giunti a padre Sosa, quello che ha cercato di modificare le parole di Gesù sull’indissolubilità del matrimonio, con l’argomento che nessuno sa cosa disse realmente, dato che allora non c’erano i registratori; al vescovo di Anversa, Johann Bonny, che propone di benedire in chiesa le coppie omosessuali, i divorziati e i conviventi; a monsignor Galantino, che afferma aver Dio “risparmiato” Sodoma, e che fa propaganda tutti i giorni per l’immigrazione/invasione islamica e per la legge sullo ius soli; a monsignor Vincenzo Paglia, che loda fino alle stelle il defunto Marco Pannella e lo porta ad esempio di tutti i cattolici, quale persona dalla spiritualità “altissima”; e l’elenco potrebbe continuare a lungo, comprendendo, oltre ai vivi, anche i morti, come quel don Lorenzo Milani che è stato recentemente riabilitato con un apposito “pellegrinaggio” papale a Barbiana, anche se don Milani, a suo tempo, fu un personaggio assai controverso, e ciò per svariati motivi (ma il papa non ha detto più volte che è bene ciò che unisce ed è male ciò che divide?):
Santità, scrivo questa lettera con amore per la Chiesa e rispetto sincero per il suo ufficio. Lei è il Vicario di Cristo sulla terra, il pastore del suo gregge, il successore di san Pietro e quindi la roccia su cui Cristo costruisce la sua Chiesa. Tutti i cattolici, clero e laicato assieme, devono guardare a lei con fedeltà e obbedienza filiali, fondate sulla verità. La Chiesa si rivolge a lei in uno spirito di fede, con la speranza che lei la guiderà nell’amore. Tuttavia, Santità, una confusione cronica sembra contrassegnare il suo pontificato. La luce della fede, della speranza e dell’amore non è assente, ma troppo spesso è oscurata dall’ambiguità delle sue parole e delle sue azioni. Ciò alimenta nei fedeli un crescente disagio. Indebolisce la loro capacità di amore, di gioia e di pace. Mi consenta di offrire alcuni brevi esempi.
In primo luogo c’è il controverso capitolo 8 di “Amoris laetitia”. Non c’è bisogno qui di dire le mie personali preoccupazioni riguardo al suo contenuto. Altri, non solo teologi ma anche cardiali e vescovi, lo hanno già fatto. La fonte principale di preoccupazione è il modo con cui lei insegna in “Amoris laetitia”, le sue indicazioni a volte sembrano intenzionalmente ambigue, e in questo modo indirizzano sia a un’interpretazione tradizionale dell’insegnamento cattolico sul matrimonio e il divorzio, sia a un’altra interpretazione che potrebbe implicare un cambiamento in quell’insegnamento. Come lei nota giustamente, i pastori dovrebbero accompagnare e incoraggiare le persone in situazioni matrimoniali irregolari, ma l’ambiguità persiste sul vero significato di questo “accompagnamento”. Insegnare con una tale mancanza di chiarezza, per di più apparentemente voluta, inevitabilmente conduce al pericolo di peccare contro lo Spirito Santo, lo Spirito della verità. Lo Spirito Santo è dato alla Chiesa, e in particolare a lei, per sconfiggere l’errore, non per favorirlo. Inoltre, solo dove c’è verità può esserci amore autentico, perché la verità è la luce che rende liberi uomini e donne dall’oscurità del peccato, una cecità che uccide la vita dell’anima. Eppure sembra che lei censuri e persino derida coloro che interpretano il capitolo 8 di “Amoris laetitia” in accordo con la tradizione della Chiesa, come se fossero dei farisei che tirano le pietre e incarnano un rigorismo privo di misericordia. Questo tipo di calunnia è alieno dalla natura del ministero petrino. Alcuni dei suoi consiglieri, purtroppo, sembrano impegnarsi in azioni del genere. Tale comportamento dà l’impressione che i suoi punti di vista non possano sopravvivere a delle verifiche teologiche, e quindi debbano esser tenuti in piedi da argomenti “ad hominem”.
In secondo luogo, troppo spesso la sua maniera d’agire sembra declassare l’importanza della dottrina della Chiesa. Ripetutamente lei descrive la dottrina come una cosa morta e libresca, lontana dalle preoccupazioni pastorali della vita quotidiana. I suoi critici sono stati accusati, stando alle sue stesse parole, di fare della dottrina un’ideologia. Ma è precisamente la dottrina cristiana – comprese le distinzioni sottili fatte a riguardo di credenze centrali come la natura trinitaria di Dio, la natura e le finalità della Chiesa, l’incarnazione, la redenzione, i sacramenti – che libera le persone dalle ideologie mondane e garantisce che effettivamente predichino e insegnino l’autentico e vivificante Vangelo. Coloro che svalutano le dottrine della Chiesa si separano da Gesù, autore della verità. Ciò che essi possiedono, e solo questo possono possedere, è un’ideologia che si conforma al mondo del peccato e della morte.
In terzo luogo, i fedeli cattolici possono essere solo sconcertati dalle sue nomine di certi vescovi, uomini che non solo appaiono aperti verso quanti hanno una visione contrapposta alla fede cristiana, ma addirittura li sostengono e difendono. Ciò che scandalizza i credenti, e anche alcuni colleghi vescovi, non è solo il fatto che lei ha scelto tali uomini per essere pastori della Chiesa, ma anche che lei sembra stare in silenzio di fronte a ciò che insegnano e alla loro pratica pastorale. Questo indebolisce lo zelo di molti uomini e donne che hanno sostenuto l’insegnamento cattolico autentico per lunghi peridi di tempo, spesso a rischio della loro reputazione e serenità. Il risultato è che molti dei fedeli, che incarnano il “sensus fidelium”, stanno perendo fiducia nel loro supremo pastore.
Quarto, la Chiesa è un corpo unico, il Corpo mistico di Cristo, e lei ha il mandato dal Signore stesso per promuovere e rafforzare la sua unità. Ma le sue azioni e parole troppo spesso sembrano intente a fare il contrario. Incoraggiare una forma di “sinodalità” che permette e promuove diverse opzioni dottrinali e orali all’interno della Chiesa può solo portare a una maggior confusione teologica e pastorale. Una tale sinodalità è insipiente e di fatto agisce contro l’unità collegiale tra i vescovi.
Padre Santo, questo mi porta alla mia preoccupazione finale. Lei ha parlato spesso della necessità della trasparenza all’interno della Chiesa. Lei ha incoraggiato spesso, soprattutto durante i due sinodi passati, tutte le persone, specialmente i vescovi, a parlare francamente e a non aver paura di ciò che il papa potrebbe pensare. Ma lei ha notato che la maggioranza dei vescovi di tutto il mondo stanno fin troppo in silenzio? Perché è così? I vescovi imparano alla svelta, e ciò che molti di loro hanno imparato dal suo pontificato non è che lei è aperto alla critica, ma che lei non la sopporta. Molti vescovi stanno in silenzio perché desiderano essere leali con lei, e quindi non esprimono – almeno in pubblico, in privato è un’alta cosa – le loro preoccupazioni che il suo pontificato alimenta. Molti temono che se parlassero con franchezza sarebbero emarginati o peggio.
Mi sono spesso chiesto: “Perché Gesù ha lasciato che tutto questo accada?”. L’unica risposta che m viene in mente è che Gesù vuole manifestare proprio quanto debole sia la fede di molti all’interno della Chiesa, anche fra troppi dei suoi vescovi. Ironia della sorte, il suo pontificato ha dato a coloro che sostengono punti di vista teologici e pastorali rovinosi la licenza e la sicurezza di uscire in piena luce e di esibire la loro oscurità precedentemente nascosta. Ne riconoscere questa oscurità, la Chiesa umilmente sentirà il bisogno di rinnovare se stessa e così continuare a crescere in santità. Padre Santo, prego per lei costantemente e continuerò a farlo. Che lo Spirito Santo la guidi alla luce della verità e alla vita dell’amore, così che lei possa rimuovere l’oscurità che ora nasconde la bellezza della Chiesa di Gesù.
Sinceramente in Cristo, Thomas G. Weinandy, O. F. M., Cap.
Abbiamo letto e riletto questo documento, e riteniamo che invano qualcuno potrebbe ravvisarvi un atteggiamento irrispettoso o pregiudizialmente oppositivo nei confronti del papa: è la lettera accorata, commovente, quasi un grido di dolore, di un sacerdote che soffre davanti allo scempio della dottrina cattolica e che con pacatezza, ma anche con sincerità e fermezza, rifiutando qualunque servilismo e qualunque facile accomodamento, fa presente al capo della Chiesa tutta la sua tristezza, che è quella di tantissimi cattolici, e chiede un cambio di rotta, per il bene del Vangelo e per la salvezza delle anime. Se papa Francesco non fosse così notoriamente superbo e insofferente di qualsiasi critica; se non arrivasse al punto di deridere i suoi oppositori; se non si servisse della sua autorità per ridicolizzare i buoni cattolici che restano fedeli al Magistero di sempre, e che lui non cessa di dipingere come bigotti, ottusi, farisei ipocriti o teologi da biblioteca, lontani dalla vita e dai problemi veri del popolo di Dio; se il papa fosse una persona in buona fede, trovatasi a disagio di fronte a delle responsabilità molto più grandi e più complesse di quelle che immaginava, e se avesse l’umiltà di ascoltare non solo i suoi stretti consiglieri, non solo quelli che la pensano come lui, ma tutti, e quindi anche gli altri, con pazienza, con rispetto, e si degnasse di dar loro una riposta, cosa che non ha fatto coi quattro cardiali dei dubia, due dei quali sono passati a miglior vita senza ottenere nemmeno un’udienza provata, come avevano chiesto: se, dunque, il papa sentisse, pensasse e agisse veramente da papa, e non da nemico della Tradizione e del clero - che non smette di dipingere come affetto da cecità e insensibilità verso le “ferite” della gente -, da amico degli eretici luterani e degli immorali divorzisti, abortisti, omosessualisti, eccetera, da compagnone dei radicali, e se non inseguisse continuamente una troppo facile popolarità, assumendo atteggiamenti istrionici e clowneschi e incoraggiando un inverecondo culto della personalità, che fa impallidire quelli dei dittatori del XX secolo, in tal caso la lettera di padre Weinandy gli avrebbe toccato il cuore. Invece non lo ha neppure sfiorato; e non solo non ha risposto, ma ha deciso, o autorizzato – perché è impossibile che, quanto meno, la cosa non sia stata portata alla sua attenzione – la rimozione dal suo prestigioso incarico di un sacerdote dell’autorevolezza e della serietà di questo cappuccino di settant’anni suonati, il quale certo non ha preoccupazioni di carriera da difendere e che, se parla, lo fa unicamente per amore della Chiesa e di quel Gesù Cristo che, fino a prova contraria, ne è il solo ed unico capo, tutti gli altri essendo – papa compreso - solo dei servi inutili, degli operai nella vigna del Signore, ciascuno dei quali è necessario, ma nessuno indispensabile.
Ora tocca al teologo Thomas Weinandy
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