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giovedì 16 novembre 2017

Sensibilità episcopale «new generation»


Su Rivista del Clero il Vescovo “stile don Milani”

(di Mauro Faverzani) A mons. Erio Castellucci, arcivescovo di Modena-Nonantola, don Lorenzo Milani piace. E tanto. Al punto da dedicarvi un lungo saggio, apparso sul numero di settembre della Rivista del Clero Italiano, per spiegare il ministero episcopale alla luce del pensiero del parroco di Barbiana.
Se ne ricava la figura di un Vescovo estremamente contraddittorio: da una parte pronto alle ampie convergenze, attento al «tutto» ovvero all’«intero corpo della Chiesa» e non autoreferenziale; dall’altra invece non un «padre universale», bensì un «cuore singolare», capace di «un amore speciale verso alcune creature».
E verso le altre? Che ne è del «tutto»?

L’Arcivescovo di Modena-Nonantola lamenta fastidi e disagio per i titoli ecclesiastici come «eminenza, eccellenza e monsignore», accusati di creare «un’inutile distanza», ma vorrebbe salvaguardare «i diritti acquisiti per scongiurare reazioni sindacali» (quali siano questi diritti e di che reazioni sindacali stia parlando, non lo specifica…); fantastica tagli al guardaroba ed agli spazi dell’episcopio per renderlo una sorta di centro di prima accoglienza, ma poi sa benissimo d’enunciare sogni irrealizzabili o realizzabili solo a parole, essendo il palazzo (provvidenzialmente, contro ogni tentazione pauperistica) «tutelato dalla Soprintendenza per i Beni culturali», quindi inalienabile; ed è anche difficile, lo dice lui stesso, «evitare le poltrone riservate nelle cerimonie ufficiali e altri piccoli privilegi».

Ergo: dovrà farsi, ahimé, una ragione di tanto struggimento… Ci tiene, tuttavia, ad una sensibilità episcopale «new generation»: così eccolo preferire alle citazioni dei Padri della Chiesa quelle calcistiche, immaginandosi in campo a «costruire un gioco di difesa insieme ai collaboratori diretti, i quali tante volte intercettano il pallone prima di me, anche per evitare che con il mio carattere impulsivo colpisca le caviglie avversarie», quindi prontissimo a fare fallo; e preferisce alle citazioni latine quelle dello slang inglese: così eccolo immaginare la lente che permette la lettura delle avversità come ‘croci’ «non made on Earth, ma made in Heaven». Yeah…
Di don Milani a mons. Castellucci piace la «concretezza», il «parlar franco e sincero». «Franco e sincero» al punto, però, da definire senza mezzi termini, in una lettera all’allievo Francesco Gesualdi, il suo arcivescovo, card. Ermenegildo Florit, «un deficiente indemoniato».
Definizione certamente inappropriata non per questioni formali, bensì sostanziali, di rispetto dei ruoli e dell’autorità. Sincerità e franchezza sono divenuti sinonimi di quella maleducazione, ch’è propria di quei «criticoni» da cui lo stesso mons. Castellucci pure invita a stare in guardia? Coloro, cioè, pronti ad agitare «solo la lingua» ed a non muovere «un dito»? Ma già, le «critiche così forti» dell’intemperante parroco di Barbiana sono state reinterpretate dall’attuale Arcivescovo di Modena-Nonantola come un modo d’esprimersi «provocatorio e profetico» e per questo non capite dal card. Florit, che viceversa ebbe ad annotare: «In parte il sentirti tagliato fuori dalla Diocesi è dipeso da quello che tu chiami il tuo ‘esilio’ a Barbiana, ma in parte dal tuo carattere e dal tuo atteggiamento».
Ed ancora, al termine di un colloquio, Sua Eminenza specificò nel suo diario in data 22 marzo 1966: «È stata una conversazione concitata di oltre un’ora. Momenti angosciosi. È un dialettico affetto da mania di persecuzione. Non preoccupazione di santità fondata sull’umiltà, ma pseudo-santità puntata verso la canonizzazione di sé stesso. Egocentrismo pazzo, tipo orgoglioso e squilibrato».
Alquanto singolare dunque definire profetiche affermazioni, che si compiacciono dell’eccesso al punto da lasciar emergere talvolta, con espressioni assolutamente inequivocabili, rintracciabili nella Lettera a Giorgio Pecorini, quelle che Pier Luigi Tossani ha definito «pulsioni omosessuali e pedofile» in una vana supplica a papa Francesco, inviatagli affinché non si recasse in visita privata a Barbiana.
Secondo taluni sarebbero semplicemente modi di dire, da interpretare e contestualizzare, ma pare una difesa d’ufficio piuttosto ardua e complessa: le parole hanno un senso ed, ordinariamente, mai nessuno si sognerebbe di esprimersi in quel modo, tanto meno lo farebbero candidati santi e beati… Eppure, secondo mons. Castellucci, la visita del Pontefice sarebbe stata “riparatrice” delle presunte ingiustizie patite da don Milani.
Che, già da questo, si può capire come non fosse esattamente quell’«obbediente scomodo», di cui parla Sua Eccellenza. Non ne aveva le caratteristiche, preferendovi la lotta di classe urlata, come gli rimproverò ancora il card. Florit nella lettera del 25 gennaio 1966, lettera in cui definì i suoi interventi come impregnati di un’«atmosfera quasi di lotta classista», occasione o pretesto più per chi «voglia colpire la Chiesa» che per chi voglia abbracciarla.
Concetto, che emerge chiaramente anche nei toni usati nella Lettera ai cappellani militari toscani: «Se voi avete il diritto, senza essere richiamati dalla Curia, di insegnare che italiani e stranieri possono lecitamente, anzi eroicamente squartarsi a vicenda, allora io reclamo il diritto di dire che anche i poveri possono e debbono combattere i ricchi».
Il che par creare difficoltà a mons. Castellucci, inducendolo quasi a scusarsi con don Milani nel ritenere «necessario – e non facoltativo – rapportarsi con le istituzioni», comprese le forze dell’ordine ed i corpi militari: «Lo so, questo non ti piacerebbe, ma a Modena c’è anche una famosa Accademia militare», spiega – dolente? – nel suo ipotetico dialogo col prete di Barbiana. Mons. Castellucci dice di voler costruire, in Diocesi, «uno stile di obbedienza ‘dialogata’» al Vescovo.
Ma c’è il rischio forte che, alla fine, questi siano schemi mentali o giri di parole sostanzialmente vuoti. Un po’ come chi, autorevolmente incoraggiato a parlare con franchezza e senza timori, dica la sua, per poi esser invitato a farsi da parte, in quanto voce scomoda. Il caso di padre Thomas G. Weinandy docet. Precedenti, che segnano. Anche perché dimostrano la teoria dei due pesi e delle due misure. Di don Milani, ferocemente ingiurioso, si esaltano oggi la «libertà di parola ed il dissenso leale e aperto»; ma non pare che ci sia tutta questa voglia di dialogo con chi oggi provi a muover motivatissime obiezioni, non umorali bensì fondate sul Magistero, sulla Dottrina e sul Catechismo…
Perché del parroco di Barbiana si esalta la fregola di «correzione filiale» ed alla «Correctio filialis» non si dà invece risposta (ai «dubia» tanto meno)? Perché, dato che papa Francesco ha definito un «bravo prete» ed un «esempio» da seguire proprio quel don Milani, che giustificò le proprie critiche di fuoco ai vescovi, dicendo di voler «loro bene» e negando esser «superbia voler insegnare» loro? E perché mons. Castellucci sostiene che «un critico intelligente» giovi «alla Chiesa (e al vescovo) più di mille adulatori sciocchi», se poi di fatto si snobbano gli oltre 250 teologi, pastori, docenti e intellettuali che hanno firmato la «Correctio filialis», sottoscritta da decine di migliaia di aderenti? Forse non li si ritiene abbastanza intelligenti? O non si ritengono adeguatamente motivate le loro osservazioni? In tal caso lo si dica apertamente. Ma lo si dimostri e lo si motivi, anche… (Mauro Faverzani)

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