Il Congresso Sionista di Basilea, Concilio Vaticano II dell'Ebraismo
La storia del popolo d’Israele e quella della Chiesa Cattolica presentano un’analogia che mi pare non sia stata approfondita a sufficienza, specialmente perché non risponde alla vulgata che la società odierna ha imposto tanto a proposito degli Ebrei quanto dei Cattolici.
Questa analogia va ricercata tra il Primo Congresso Sionista, tenutosi a Basilea dal 29 al 31 Agosto del 1897, ed il Concilio Vaticano II: l’uno e l’altro mostrano somiglianze che meritano di esser analizzate.
In occasione del Congresso Sionista, 204 membri venuti dai paesi dell’Europa e dell’Asia si incontrarono per dare inizio ad una nuova era dell’Ebraismo, che trovò l’opposizione del Rabbinato occidentale contro l’idea di separare l’appartenenza religiosa del popolo ebraico (Ebraismo) dal suo impegno politico finalizzato alla rivendicazione di un proprio Stato (Sionismo). Se l’Ebraismo rivendicava a sé l’elezione divina proclamandosi popolo di Dio, il Sionismo abbandonava l’aspetto religioso e si qualificava unicamente come popolo, titolare di diritti che la comunità internazionale avrebbe dovuto riconoscere, permettendogli di costituire una nazione - Sion - in Palestina.
Anche dopo la distruzione del Tempio di Gerusalemme ad opera di Tito nell’anno 70 dell’era cristiana, gli Ebrei continuavano a credere che la ricostituzione di Sion sarebbe avvenuta miracolosamente per opera del Messia inviato da Dio. Le Sacre Scritture e le Profezie indicavano chiaramente in Nostro Signore Gesù Cristo il Salvatore promesso ad Abramo ed annunciato da Mosè, come hanno spiegato con massima chiarezza i fratelli Augustin e Joseph Lehmann (1836 - 1909/1915), convertiti dal Giudaismo al Cattolicesimo e divenuti entrambi sacerdoti, teologi e poi nominati Prelati da San Pio X. Le loro opere, tra le più dotte e complete, rappresentano un compendio impareggiabile di chiara esposizione della dottrina messianica e mostrano lo zelo apostolico della Chiesa nei confronti del popolo che fu l’eletto, «a completamento e coronamento, non a rovesciamento, della religione mosaica».
La dottrina mosaica del Messia venturo si contrapponeva alla dottrina cattolica, che invece riconosceva in Gesù Cristo il Salvatore promesso, e nella Chiesa il nuovo Israele. Ma almeno il popolo ebraico continuava a credere in un Messia personale, mandato da Dio.
Per l’Ebreo, la ricostituzione della propria patria, pur in una dimensione terrena e non nella visione spirituale preconizzata dalla Scrittura, si sarebbe attuata ad opera del Messia: ne troviamo conferma negli scritti del Gran Sinedrio del 1807, che raccomandava ai propri fedeli:
«È dovere religioso di ogni Israelita nato o cresciuto in uno Stato o che ne sia cittadino per residenza, considerare quello Stato come sua patria» e prescriveva di avere «per il suo Principe e le sue Leggi il rispetto, l’attaccamento e la fedeltà che tutti i sudditi gli devono riconoscere».
Quando Napoleone decise di regolare la questione ebraica convocando, per la prima volta dopo la distruzione del Tempio, il Gran Sinedrio, corte suprema giudaica composta da 71 tra rabbini e laici israeliti. Creato il 10 Dicembre 1806, il Gran Sinedrio iniziò le sessioni il 31 gennaio del 1807 a Parigi, nella chiesa sconsacrata di San Giovanni.
Il 5 Febbraio avvenne un fatto che la vulgata moderna si guarda bene dal divulgare. Lo riporta lo storico François Piètri (1882-1966):
«Rabbi Avigdor pronuncia un discorso che costituisce un autentico colpo di scena ma che, dopo un primo movimento di sorpresa, provocherà l'entusiasmo di tutto il Sinedrio. Appoggiandosi su un ricco e preciso apparato di citazioni storiche, la sua allocuzione rende grazie alla Chiesa Cattolica per la protezione che non ha mai cessato di accordare agli ebrei perseguitati. Avigdor dà un lungo elenco di Padri e di Papi che hanno trattato con umanità e ospitato gli israeliti espulsi e tormentati dal potere civile in quasi tutti gli Stati d'Europa. Ricorda che il solo luogo da cui il popolo eletto non fu mai cacciato è quello su cui i Pontefici esercitarono il loro potere temporale. In Francia, le migliori condizioni in assoluto per gli ebrei furono quelle di Avignone e del Contado Venassino, territori soggetti all'autorità papale. Alla fine del suo excursus storico, il rabbino di Nizza - tra gli applausi dei colleghi che lo ascoltano in piedi - domanda al Sinedrio di deliberare “un voto di gratitudine alla Chiesa di Roma per i benefici del Clero cattolico verso gli Ebrei”».
La mozione, testimoniano le cronache, fu votata subito e ottenne l’unanimità dei 71 sinedriti. Osserva Piètri, peraltro studioso rigorosamente laico:
«Un simile omaggio può sembrare sorprendente ad alcuni ma, in realtà, era giustificato. Chi conosce la storia delle persecuzioni antiebraiche sa che queste partivano sempre dal potere laico o dal popolaccio e non dalle autorità ecclesiastiche che, anzi, furono un freno a queste esplosioni di violenza».
Come si vede, la riconoscenza degli Ebrei alla Chiesa non era messa in discussione all’epoca, così come per ogni Ebreo la fede nel Messia aveva un carattere dogmatico,
«che non è dottrina personale di questo o quel Rabbino, ma che compare nel numero dei tredici articoli di fede della Sinagoga, insegnati nei nostri catechismi ai nostri fanciulli» (Zadoc Kahn, Gran Rabbino di Francia dal 1889).
Ma torniamo al Congresso di Basilea, grazie al quale l’idea messianica subì una mutazione radicale, ed il Messia divenne simbolo del progresso, della fraternità umana da conseguirsi, del trionfo delle grandi verità morali e religiose del Giudaismo. Insomma, presso i Giudei molti fedeli considerano il Messia come una speranza lontana, concepita dai profeti d’Israele a vantaggio dell’umanità intera. Per gli scettici, il dogma doveva esser letto con lo stesso approccio con cui, in seno alla Chiesa, i Modernisti condannati da San Pio X consideravano i dogmi cattolici: in continua evoluzione, frutto di una mentalità da inquadrare in un determinato periodo storico, e quindi suscettibili di diversa interpretazione col passare del tempo.
Fu il giornalista viennese Théodore Herzl, assieme ad alcuni notabili ebrei, a lanciare l’idea del Sionismo:
«Non è forse giunto il momento di ricostituire quella nazione giudaica che, dal fondo delle sinagoghe e dei ghetti, Israele non ha mai smesso di desiderare?»
Questa proposta, fatta propria dal Congresso, doveva concretizzarsi in quattro punti:
1- l’incoraggiamento della colonizzazione della Palestina da parte di agricoltori, artigiani ed industriali ebrei;
2- il raggruppamento e la concentrazione di tutti gli Ebrei da parte di organismi locali e generali;
3 - la promozione presso gli Ebrei del sentimento di dignità della persona e dell’idea nazionale;
4 - il compimento di passi preparatori per ottenere il consenso dei poteri pubblici necessari alla realizzazione degli scopi del Sionismo.
Tale risoluzione, che suonava eretica per gli Ebrei ortodossi, suscitò veementi proteste in seno all’Ebraismo.
Nathan Marcus Adler (1845-1891), Gran Rabbino d’Inghilterra, definì il Congresso «un colossale abbaglio» e qualificò come «assolutamente funesta l’idea di stabilire lo Stato ebraico in Palestina». Il Times, riportando una sua dichiarazione, scrisse:
«Il Gran Rabbino Adler e gli Israeliti ortodossi dell’Impero Britannico vogliono conservare la propria nazionalità inglese, pur conservando la religione dei loro padri. L’idea di una Nazione ebraica è nata nella mente degli Ebrei che sono oppressi nei loro paesi; ma in Inghilterra, in Francia, in Italia e negli Stati Uniti, dove gli Ebrei sono cittadini che amano la Patria, nessun Israelita può approvare un sogno simile».
Samuel Kohn (1841–1920), Gran Rabbino d’Ungheria, disse:
«Il Sionismo è un nonsenso per gli Ebrei ungheresi, perché gli Ebrei in Ungheria godono di tutti i diritti civili e non abbiamo bisogno di costituire un nuovo Stato. L’Ungheria è una Nazione con 700.000 Ebrei; nella capitale Budapest vivono 600.000 abitanti, tra cui 120.000 Ebrei; noi abbiamo grazie a Dio tutti i diritti civili; dobbiamo sacrificare la nostra fortuna e la nostra vita per il nostro Imperatore-Re e per la Patria; non abbiamo altro Paese che l’Ungheria; rimarremo nella nostra capitale, perché Budapest è il cuore dell’Ungheria».
Va poi citata la dichiarazione congiunta del Gran Rabbino Gudemann di Vienna e dei Rabbini degli Stati Uniti:
«Abbiamo dichiarato che il Rabbinato di Germania, d’Inghilterra e, possiamo aggiungere, degli Stati Uniti avevano nettamente preso posizione contro le dottrine pericolose di cui il congresso riunitosi a Basilea s’è fatto portavoce».
Ancora più importante l’intervento del Gran Rabbino di Parigi, Dreyfuss:
«Ricostituire il regno di Giuda! Ma che vuol dire? Senza dubbio noi, Ebrei ortodossi, rimaniamo fedeli all’idea messianica; noi crediamo alla venuta del Messia al quale si uniranno gli uomini di tutte le religioni; del Messia fondatore dell’impero universale nel quale si fonderanno fraternamente tutte le nazioni in cui regnerà la pace eterna. Possiamo anche ammettere che il regno d’Israele, divenuto centro spirituale del mondo pacificato, si ricostituisca in questo momento; ma quale rapporto vi può essere tra questo ideale religioso ed il progetto del dottor Herzl e dei suoi amici? Noi approviamo che la carità ebraica assicuri in Palestina o in America del Sud vasti rifugi destinati ad accogliere gli Ebrei perseguitati o, in modo generale, tutti coloro che la legge (come in Russia o in Romania) pone fuori del diritto comune. Ma quale ragione vi è attualmente di ricreare una nazionalità sparita, di rifare una patria a degli uomini che, dopo secoli - in Francia, in Inghilterra, in Germania - hanno una patria, in cui la legge li tutela, in cui i loro interessi più sacri li trattengono?»
È evidente che il Sionismo si è posto come un abbandono, basato su un razionalismo biblico, della fede nel Messia personale, e della sua sostituzione con un’idea di Stato-Messia che ripugna alla dottrina ebraica. E che, se è permesso notarlo, rende impraticabile la conversione alla Chiesa, poiché cancella completamente l’attesa spirituale del Salvatore promesso che pure persiste nella Sinagoga.
L’anno successivo, si svolse il secondo Congresso Sionista (potremmo chiamarla la seconda sessione del medesimo congresso), che propone nuovamente la cancellazione della dottrina di un Messia personale.
Il Gran Rabbino di Vienna Gudemann interviene per protestare:
«Tentare di restaurare oggi la nazionalità ebraica d’Israele rappresenta un’infedeltà alle vere dottrine del Giudaismo, la negazione delle aspirazioni umanitarie della religione ebraica e il disconoscimento della missione di Israele d’esser tra le nazioni l’apostolo della fraternità universale».
E ancora il Gran Rabbino di Londra Adler:
«I Libri profetici non affermano che il nostro ritorno in Palestina avverrà grazie al nostro intervento diretto e quando lo decideremo noi. La nostra redenzione si compirà per intervento divino e quando lo deciderà Dio».
La posizione del Rabbinato occidentale ritiene che l’avvenire d’Israele non consista in una nazionalità distinta frutto di un progetto politico, ma piuttosto in un movimento religioso che non rinneghi le proprie radici spirituali.
Giustamente si faceva osservare che il Sionismo, in quanto movimento ideologico, contraddiceva le promesse contenute nelle Sacre Scritture, e che sarebbe stato assolutamente inutile se il popolo ebraico si fosse dovuto trasferire a Gerusalemme per professarvi lo scetticismo ed il materialismo che stava via via prendendo piede nei paesi europei. Abbiamo quindi un Sionismo avversato dal Rabbinato e dai fedeli, in quanto portatore di un nazionalismo razionalista.
Si tenga presente che, mentre era ancora in corso la discussione sul Sionismo, nel 1898 fu costituita la Compagnia Coloniale Giudaica, una banca dotata di un capitale di 50 milioni di franchi con sede a Londra, il cui scopo dichiarato era quello prestare appoggio finanziario alla realizzazione del Sionismo e contemporaneamente svolgere in tutto il mondo attività bancaria.
Nell’Agosto 1899 si svolge il Terzo Congresso Sionista (o, meglio, la terza sessione). Si decide che il soggetto giuridico che dovrà avviare le trattative sarà la Banca coloniale, che all’epoca ha raggiunto 100.000 azionisti da tutto il mondo. Verrà poi creata una società che acquisterà i terreni in Palestina (25.000 ettari di terreni furono acquistati da Edmond James de Rothschild e trasferiti alla Jewish Colonization Association).
Queste operazioni, che si accompagnavano ad una serie di iniziative volte a sondare l’appoggio delle Nazioni, suscitarono una sempre maggior preoccupazione negli Ebrei osservanti, al punto che si decise di affidare al leader sionista ungherese Max Simon Nordau (1849-1923) il compito di tranquillizzarli con rassicuranti espressioni:
«Il Giudaismo non è solo un culto; esso è una nazione, ma una nazione che ha una base essenzialmente religiosa, una teocrazia, una cristocrazia; senza il Messia, la nazionalità non è più nulla. Se Gedeone ha vinto con un élite di trecento persone la moltitudine dei Madianiti, è per ordine di Dio che gli eroi d’Israele si sono limitati a questo numero insignificante; ed è grazie al diretto intervento divino che ha sbaragliato il nemico».
Una dichiarazione di circostanza, che ricorda il medesimo procédé del Concilio, visto che egli aggiungeva poco dopo: «In seno al Sionismo ognuno può seguire le proprie convinzioni religiose». Significativamente, fu proprio Nordau a qualificare come Giudei assimilati ovittime dell’assimilazione i dissenzienti del Rabbinato occidentale, puntando invece a convincere il Rabbinato orientale.
Alla fine del Terzo Congresso, un commentatore sottolineò che le molte discussioni non erano ancora approdate a nulla di concreto, salvo metter sul chi vive il Gran Turco. E concludeva:
«Il Giudaismo può stabilirsi, praticarsi e durare ovunque; ma se si legherà ad un territorio particolare, farà di noi un popolo a parte, giustificando così attacchi d’ogni specie. Ma si può esser Cattolici lontano da Roma, protestanti lontano da Ginevra, musulmani lontano da Costantinopoli. La fede oggi non può essere per nessun culto - né lo sarà mai più in avvenire - congelata a dei territori privilegiati; le diverse religioni hanno invece tutto l’interesse a mescolarsi sulla faccia della terra, a rendere universale la loro residenza e ad abdicare, grazie a questa diffusione, ad ogni pretesa di monopolizzare l’azione politica».
In quest’ottica si può forse concepire il motivo per cui molte Nazioni protestanti, non escluse quelle che oggi godono della fama di democrazie, fossero tutt’altro che ostili a confinare gli Ebrei in uno stato ben definito, e che lo stesso Nazismo considerasse quest’eventualità come un modo per allontanare pacificamente gli Ebrei. Furono piuttosto le Nazioni cattoliche a non aver particolar interesse a questo esodo.
Lasciamo l’evoluzione del Sionismo agli storici, e concentriamoci invece su questo aspetto che più ci sta a cuore: la significativa analogia tra le tre sessioni del Congresso di Basilea ed il Concilio Vaticano II.
In entrambi i casi, una ristretta élite intellettuale, completamente separata dalla gerarchia, impone una propria visione umana e politica della religione: il Sionismo contrapposto all’Ebraismo da una parte, il Cattolicesimo contrapposto al Modernismo dall’altra. In entrambi i casi, il ruolo svolto dalla stampa fu parimenti importante, per influenzare le masse e dare l’impressione che vi potesse essere un’apertura al mondo, una visione della religione più moderna e meno influenzata dalla dottrina, un approccio pastorale che, pur non negando apertamente le basi teologiche che costituiscono l’essenza propria dell’Ebraismo e del Cattolicesimo, aprisse comunque il varco ad interpretazioni che inevitabilmente avrebbero svuotato l’uno e l’altro della propria essenza. In entrambi i casi, la fede dei custodi dell’ortodossia e del popolo vennero fatti oggetto di scherno e di compatimento, in nome del progresso e dell’ineluttabilità di un destino pianificato da una minoranza priva di senso del soprannaturale ed intenta solo al perseguimento di interessi di parte. In entrambi i casi, laddove si sollevavano con maggior forza motivate critiche alle novità introdotte in seno alla religione, vi fu chi si preoccupò di tranquillizzare gli animi, simulando di tener nella giusta considerazione le rimostranze di chi voleva mantenersi fedele al depositum fidei.
E quel che oggi desta sgomento, è vedere che l’evoluzione della dottrina cattolica sulla Sinagoga a partire dalla dichiarazione Nostra Aetate ed in particolare in questi ultimi anni abbia fatto proprie le istanze eretiche del Sionismo, anziché difendere con coraggio quegli elementi che in seno al popolo ebraico avrebbero permesso in giorno la loro conversione al vero Messia, Nostro Signore Gesù Cristo.
C’è da chiedersi se alla perdita della fede giudaica nella figura di un Messia personale operata dal Sionismo, non abbia corrisposto anche la perdita nella chiesa conciliare della fede cattolica nella Regalità di Cristo, soppiantata da una visione democratica, orizzontale, priva di anelito apostolico e missionario e in ultima analisi altrettanto eretica. Il compimento di una società di matrice massonica, insomma, nella quale si rifiuta l’intervento della Provvidenza nelle vicende della storia non solo del popolo che un tempo fu l’eletto, ma anche di quello che ad esso venne sostituito nei piani di Dio per portare la Luce di Cristo alle genti. Quella Luce che, secondo la nostra santa Religione, vedrà convertirsi gli Ebrei poco prima della fine del mondo.
Ma quale conversione è possibile per i Giudei di oggi, se la chiesa conciliare appoggia il Sionismo, che nega non solo il Messia venuto, ma anche il Messia venturo? La fede nelle promesse del nostro Salvatore ci fa credere non solo alla conversione di Israele, ma anche alla necessaria sconfitta tanto del Sionismo, quanto dello spirito del Concilio.
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