E’ passato qualche mese, quindi non è più argomento di attualità. Ma è impossibile non commentare, anche in ritardo, certi accadimenti.
Piacevolmente travolti dal tifone estivo “Vasco”, noi cattolici modenesi ci siamo dimenticati di leggerne il significato. Prima impauriti, poi sorpresi, infine entusiasmati (o quasi) dal Modena Park, non ci siamo chiesti quale messaggio la nostra chiesa abbia ricevuto da Vasco.
Questo, ci si creda o no, è l’inizio di una riflessione pubblicata sul Nostro Tempo, settimanale della Diocesi di Modena-Nonantola. Vinto lo sconcerto, azzardiamo subito la prima, istintiva risposta. Non è che ci fosse bisogno del concerto di Modena per capire cosa la chiesa abbia ricevuto da Vasco: nella migliore delle ipotesi, nulla.
Secondo il giornale della diocesi, invece, è necessario abbeverarsi a questa immensa fonte di saggezza; se necessario, dovendo scegliere, rinunciando anche a una qualche celebrazione. Quella di Modena Park ovviamente aveva la precedenza:
Abbiamo detto chiaro che Vasco val bene una messa (Nostro Tempo, 02.07.17).
Con una premessa così, o si getta il giornale, o si continua nella lettura con la curiosità di sapere fin dove hanno il coraggio di spingersi gli articolisti della diocesi. Dopo aver correttamente specificato che “non si deve cristianizzare Vasco a tutti i costi” (unica affermazione sensata dell’articolo), il testo poteva finire lì. Invece l’autore, tale Paolo Boschini, smentendosi una riga dopo, continua proprio nel tentativo (disperato) di cristianizzare Vasco a tutti i costi, e anche oltre.
Vasco ha cantato il disincanto, il suo e il nostro. “Voglio trovare un senso a questa sera, anche se questa sera un senso non ce l’ha”. È un bellissimo commento al tragitto dei discepoli verso Emmaus; ecco, in tutta sincerità, la Chiesa in uscita: stanca, delusa, nostalgica, appesantita.
Immagino che l’autore della canzone fosse in ritiro spirituale meditando appunto su questo episodio dei vangeli quando ha avuto l’ispirazione per scrivere questa interessante canzone, su cui ritorneremo. Se la chiesa in uscita è questa, che scambia un testo di Vasco per un commento ai Vangeli, non ci si può meravigliare come ne possa facilmente rimanere delusa, stanca, abbacchiata, eccetera.
Ci scappa un amaro sorriso, ma proseguiamo, e ci accorgiamo che fanno sul serio.
È questa vicinanza che mi fa accettare l’“ogni volta che non sono coerente”, l’ogni volta dell’assenza e della solitudine, l’ “ogni volta che torna la sera e mi prende la paura”. È una potente metafora dei Getsemani, quando la fatica di vivere è troppo pesante per le nostre povere spalle. Questa intimità carica di presenza dà senso anche all’“ogni volta che rimango con la testa tra la mani e rimando tutto a domani”.
Certo, la cosa si fa oltremodo interessante: pare che ci sia materiale per un Vasco sing Bible in cattedrale. Da prendere in considerazione, potrebbe persino fare meno danni di una lectio magistralis di Enzo Bianchi.
“Vivere è come stare sempre al vento”, esposti alle folate pungenti del non-ancora e alle inquietudini di una promessa. “Senza perdersi d’animo mai”. Senza rinunciare a ciò in cui si crede: “combattere e lottare contro tutto!”, con la tenacia del profeta.
Sì caro Vasco, alla tua tenera età lo puoi anche accettare: una volta eri un profeta per gente un po’ spostata, maledetta, che faceva uso di strane sostanze solide e liquide, che si voleva divertire tutta la notte a suon di “sesso droga & rock’n roll” rilasciando completamente i freni inibitori. Ora sei diventato profeta della diocesi di Modena-Nonantola. Come, non ne sei felice?
Regalarsi il tempo “per vivere una favola”, per sognare a occhi aperti un mondo diverso. Che cosa raccontava Gesù ai suoi discepoli, se non questo? Li esortava a volere “proprio quello che non si potrebbe”: essere suoi amici (e non suoi servi), vivere da figli del Dio-Abbà (e non da sudditi dell’Essere Supremo). Insegnava loro a fare “quello che non si farebbe”: prodigarsi per i poveri e gli esclusi. E a dire “quello che non si direbbe”: gridare il Vangelo dai tetti.
Nel quale passaggio si fatica addirittura ad individuare il tono della scrittura? Starà dicendo sul serio il sig. Boschini, o ci sta prendendo per mammalucchi? Temo sia serio, allora prendiamo atto di non avere mai compreso l’altruismo e l’abnegazione francescana per gli altri che trasuda dai testi del cantautore di Zocca, la sua passione per i poveri, gli esclusi, e la sua bramosia di “gridare il Vangelo dai tetti”. Sarà veramente questo “quello che non si farebbe” per Vasco?
“Ogni cosa resta qui”: la morte è perdersi nel nulla. “Qui si può solo piangere”: ma che cosa diciamo di diverso nel Salve Regina?
Il brano “Il mondo che vorrei” viene accostato nientemeno che al Salve Regina. In fondo è chiaro a tutti che dicono più o meno le stesse cose no? Immagino che il richiamo sia a “questa valle di lacrime” che è la nostra vita terrena. Solo che hanno omesso di spiegare che il “qui si può solo piangere” è grido di disperazione nichilista fine a sé stesso, inutile e improduttivo, tanto che “alla fine non si piange neanche più”, le lacrime finiscono e rimane una tristissima rassegnazione; mentre nella preghiera cristiana il fedele si rivolge a Maria perché ci faccia da “avvocata”, dandoci una speranza di redenzione nella visione finale di Gesù.
Altro accostamento da brividi è quello con Sant’Agostino. Ma quale trasgressione, i testi del nostro rocker, affermano sul settimanale, equivalgono ad una versione aggiornata delle Confessioni.
Il disincanto cantato da Vasco non è disillusione, ma inquietudine. Assomiglia a quella raccontata dal giovane Agostino nelle Confessioni: “Ed è sempre quando sono lì, che io ritornerei. Ed è sempre quando sono qui, che io ripartirei”. Moto perpetuo. Una vita senza patria e senza pace. La vita interiore è ricerca infinita di “quello che non c’è”.
Ma Agostino l’aveva trovato “quello che non c’è”, perché aveva scoperto che in realtà “c’era”. Ed aveva trovato la pace dopo anni di tormenti. Confidiamo che possa accadere, ma ad oggi non risulta che Vasco abbia trovato alcunché di significativo al di là dei soliti due o tre fallaci piaceri, che anziché placare la fame di vero e di buono rendono sempre più insaziabili nel vizio.
Ci siamo raccontati per anni che Vasco è il vate della trasgressione e della vita spericolata, dell’individualismo tormentato e gaudente. Lo stupore del Modena Park ha fatto cadere un po’ di pregiudizi e di chiusure. E ci ha fatto finalmente assaporare la sua poesia leggera e tragica a un tempo, che canta un mondo di relazioni vere, di emozioni profonde, di persone ferite (Sally) e trasuda di tenerezza per la vita (Albachiara).
In realtà non cambia nulla: nonno Vasco è stato e rimarrà sempre uno dei tanti alfieri dell’individualismo spericolato, tormentato e, soprattutto, gaudente. Lo “stupore”, tale da lasciare a bocca spalancata, c’è casomai nei confronti della diocesi di Modena che si lascia irretire da questo personaggio definitosi da sè “Un esperimento da non ripetere a casa”, e che riconosce correttamente “Non sono un esempio da seguire”, “Non sono un maestro di vita”.
Ma i cattolici neomisericordiosi e superaccoglienti, si sa, sono sempre pronti a dare patenti di guida in particolare a chi non sa nemmeno dove si trova il volante.
Non che questo sia il primo o l’unico tentativo di arruolare Vasco, suo malgrado, tra le file dei cristiani.
Don Ciotti intravede nelle canzoni di Vasco pillole del Vangelo, mentre Vasco in definitiva pur da non credente, da darwiniano convinto che l’uomo sia nato dalla selezione naturale e anche un po’ dal caso, ha ritrovato nella propria morale tanti principi anche propri del cristianesimo.
Sarebbe interessante capire quali. Dalle dirette parole del vate sappiamo inoltre che:
L’umanità è un miracolo di questa natura che era inerte e poi è diventata viva e autocosciente: siamo coscienti di vivere, creiamo noi il mondo, non abbiamo bisogno di un Dio che ci ha creato. Io sono molto darwiniano, siamo nati per caso ma questo non vuol dire che la vita valga meno.
Ma ormai questi spezzoni di chiesa impazzita sono pronti a uniformarsi e salire sul carro di chiunque prometta di racimolare un po’ di consenso tra le folle che preferiscono vite spericolate (molto più comodo) a vite virtuose (più faticoso, nemmeno di moda).
Tra l’altro giova ricordare che proprio nel megaconcerto di quest’estate il rocker ha abbondantemente preso per i fondelli uno dei pochi politici (forse l’unico?) che ha tentato di fare qualcosa di vagamente cattolico in parlamento negli ultimi anni, l’incolpevole conterraneo Giovanardi: troppo deciso nel combattere droghe e alcolismo.
Le folle che seguono Vasco, da molti definiti il suo popolo, in realtà sono assimilabili più ad una massa, essendovi del tutto assente la componente spirituale, religiosa e tradizionale, l’unica in grado di dare veramente “un senso” al tutto.
La massa è un concetto tratto dalla fisica e applicato all’umanità per sottolineare la mutazione antropologica e la sua rilevanza puramente materiale: se il popolo è massa più energia spirituale, e nella vox populi ancora vive la vox dei, la massa è invece il popolo che ha perduto Dio e il senso religioso, che non ha volto e identità ma solo peso e volume. Senza spirito, il popolo degrada a massa, la persona si riduce a individuo, perdendo ambedue il volto, l’anima e la storia. È quella la vera, gigantesca alienazione del nostro tempo.
Vasco è la colonna sonora, oltre che la rappresentazione plastica, di tutto ciò.
A Vasco, oltre a quella di far sragionare i cattolici, va riconosciuta una certa abilità “estetica” che si esercita nel mettere in fila parole semplici che suonano bene su musiche accattivanti, condite con arrangiamenti gradevoli, suonate da musicisti di mestiere e interpretate col caratteristico timbro vocale che odora di alcool e notti brave lontano un miglio. Punto. Il pensare che queste parole possano avere “un senso” inteso come significato profondo che va al di là di un contingente sentimentalismo emozionale, è pura illusione che sconfina nel ridicolo, e probabilmente va anche oltre le intenzioni dell’autore.
Se volessimo veramente trovare un significato ai testi di Vasco ci sarebbe da mettersi le mani nei capelli. Volendo ad esempio verificare la retorica sulla sua “poesia leggera e tragica” e il suo cantare di “relazioni vere”, “emozioni profonde” (parole di Nostro Tempo), potremmo ascoltare canzoni come quella che dice:
quest’avventura e’ stata una follia
e’ stata colpa mia
tu hai sedici anni ed io… ed io.
e’ stata colpa mia
tu hai sedici anni ed io… ed io.
Nella canzone “Gabry” (il nome della sedicenne) ovviamente Vasco non lo dichiara, ma all’uscita dell’album “Gli spari sopra” (1993) che conteneva il brano, di anni ne aveva 41; se non altro ammette che è stata una follia. Ricordando sempre “relazioni vere” ed “emozioni profonde”, la canzone continua:
con le mie mani tra le gambe
diventerai piu’ grande
e non ci sara’ piu’ dio…..
perche’ ci sono io!
diventerai piu’ grande
e non ci sara’ piu’ dio…..
perche’ ci sono io!
Beh, più che vate qua Vasco si autoproclama il dio della gaudenza, e per chiarire bene il concetto alla fine della canzone vengono dissipati eventuali dubbi o rimorsi di coscienza, che si potevano intuire all’inizio, con un urlato:
domai sara’ tardi
per rimpiangere la realta’
E’ MEGLIO VIVERLA…
E’ MEGLIO VIVERLA!
per rimpiangere la realta’
E’ MEGLIO VIVERLA…
E’ MEGLIO VIVERLA!
D’altronde la sua poetica considerazione del gentil sesso l’aveva già espressa in duetto con Gaetano Curreri, quest’ultimo facente la parte dell’uomo fedele.
[Rossi]: invece noi che ogni donna e’ un’altra
un’altra donna ancora
e’ un biglietto della lotteria
e’ volerla a tutti i costi
anche solo per un’ora
e sperare poi che se ne vada via
un’altra donna ancora
e’ un biglietto della lotteria
e’ volerla a tutti i costi
anche solo per un’ora
e sperare poi che se ne vada via
Certo, la donna usa e getta, che oltre a piacere tanto alle femministe autodeterminate & inacidite forse presto diventerà anche un must della curia Modenese.
[Curreri]: Io, io mi innamorerei…
[Rossi]: Invece io, io prima me la farei…
[Rossi]: Invece io, io prima me la farei…
Infatti si sa che, almeno ufficialmente, Vasco ha tre figli da tre donne diverse. Tutto lineare, tutto logico secondo questo stile di vita spericolata. Un po’ meno logico il fatto che venga suo malgrado elevato a maestro dal Nostro Tempo.
In “Fegato spappolato”, nel ’79, cantava:
ci vuol qualcosa per tenersi a galla
sopra questa merda, sopra questa merda
e non m’importa se domani mi dovrò svegliare ancora con quel gusto in bocca, gusto in bocca…
sopra questa merda, sopra questa merda
e non m’importa se domani mi dovrò svegliare ancora con quel gusto in bocca, gusto in bocca…
Dove appariva in modo esplicito l’inderogabile necessità di abuso alcolico per riuscire a sopportare il male di vivere.
Passiamo a “Mi piaci perché”, dall’album “Bollicine”, 1983, un vero incentivo alle ragazze perbene:
Mi piaci perché sei sporca,
perché sei sporca
mi piaci perché sei porca, perché sei porca
mi piaci perché sei falsa, perché sei falsa
mi piaci perché sei bastarda,
perché sei bastarda!!!
perché sei sporca
mi piaci perché sei porca, perché sei porca
mi piaci perché sei falsa, perché sei falsa
mi piaci perché sei bastarda,
perché sei bastarda!!!
Poi c’è “Cosa ti fai”, dal disco “Vado al massimo”, dove si mescolano i due ingredienti principali delle delicate liriche del rocker:
Dimmi quando fai l’amore fingi
dimmi che cosa che cosa ti fai
Non dirmi che non ti droghi mai! – Dai!?!
dimmi che cosa che cosa ti fai
Non dirmi che non ti droghi mai! – Dai!?!
Non possiamo non citare poi quel capolavoro di “Rewind” che raggiunge il suo apice con:
vorrei possederti…
sulla poltrona di casa mia
con il Rewind
…
La La La La La Fammi godere
La La La La La Fammi vedere
sulla poltrona di casa mia
con il Rewind
…
La La La La La Fammi godere
La La La La La Fammi vedere
Che è stato il tormentone del 1998, ristampato per l’occasione e distribuito su qualche migliaio di reggiseni in quel di Modena.
Si vede che non doveva essere molto comodo, perché alcune simpatiche signorine dopo poco l’hanno disinvoltamente gettato.
Traiamo qualche spunto anche dal brano apertamente autobiografico “Blasco Rossi”, da “C’è chi dice no”.
Si diceva che quel Blasco fosse stato prima un rospo tramutato non so come e anche male
in uno strano animale con delle voglie straaane
in uno strano animale con delle voglie straaane
in uno strano animale con delle voglie straaane
in uno strano animale con delle voglie straaane
E dal brano che dà il titolo all’album, anno 1987:
Tanta gente e’ convinta che ci sia nell’aldilà
qualche cosa e chissà
quanta gente comunque ci sarà
che si accontenterà
qualche cosa e chissà
quanta gente comunque ci sarà
che si accontenterà
Anche se non si è mai capito bene a cosa “diceva di no” il nostro eroe, perché ricordiamo benissimo che in un altro pezzo cantava “Non ho saputo dir di no, lo sai che storia c’era”. Era “Quanti anni hai” (1998), e continuava così:
Quanti anni hai, stasera
Sai che non lo so, bambina
Forse ne ho soltanto qualcuno, qualcuno, più di te
Ma è la curiosità
Che non so più cos’è
Sai che non lo so, bambina
Forse ne ho soltanto qualcuno, qualcuno, più di te
Ma è la curiosità
Che non so più cos’è
Speriamo almeno che questa “bambina” avesse qualche anno in più di “Gabri”, e non in meno…
Ma forse la più significativa, nel capire l’insignificanza di contenuti pur ben confezionati, è “Un senso”, che riassumiamo nei tratti salienti:
Voglio trovare un senso a questa sera
Anche se questa sera un senso non ce l‘ha
Sai che cosa penso
Che se non ha un senso
Domani arriverà
Domani arriverà lo stesso
Voglio trovare un senso a tante cose
Anche se tante cose un senso non ce l‘ha
Anche se questa sera un senso non ce l‘ha
Sai che cosa penso
Che se non ha un senso
Domani arriverà
Domani arriverà lo stesso
Voglio trovare un senso a tante cose
Anche se tante cose un senso non ce l‘ha
Dire che questa canzone, pur gradevole all’orecchio come molte altre, è un inno al nichilismo è forse una sopravvalutazione eccessiva che probabilmente va molto al di là delle intenzioni stesse dell’autore; ma per favore, lasciamo perdere i discepoli di Emmaus.
Ricordiamo con simpatia quell’episodio di ilare autolesionismo di Pierluigi Bersani quando per la campagna congressuale del PD del 2009 scelse come colonna sonora della sua candidatura proprio questo brano.
Fu facile allora, e lo è ancora più oggi, ironizzare che:
Voglio trovare, un senso a ‘sto partito
Anche se ‘sto partito, un senso non ce l’ha
Anche se ‘sto partito, un senso non ce l’ha
E quel senso effettivamente non è ancora stato trovato. Né da Vasco, né da Bersani (non parliamo poi di Renzi).
Infine la canzone più citata, a sproposito:
Voglio una vita spericolata
voglio una vita come quelle dei film
voglio una vita esagerata
voglio una vita come Steve McQueen
voglio una vita come quelle dei film
voglio una vita esagerata
voglio una vita come Steve McQueen
I nuovi catto-prog-rock all’aceto balsamico vogliono farci credere che la vita di cui si vaneggia in queste righe sia spericolata o esagerata nel senso che non ci si debba risparmiare ma spendere il più possibile per gli altri. Apprezziamo l’ottimismo e le buone intenzioni, ma non c’è bisogno di conoscere l’opera omnia del nostro autore per capire che qua si sta parlando di tutt’altro tipo di dedizione. Steve McQueen viene posto a modello di vita, a maestro del maestro, perché gli elementi con cui il nostro ambiva ad esagerare erano sempre quelli: donne (l’attore ebbe tre matrimoni e ovviamente un numero inconteggiabile di relazioni, tra cui praticamente tutte le sue partner nei film), droghe, alcool, motori (amava partecipare a vere gare motociclistiche e automobilistiche, e recitare in azioni pericolose senza controfigura), in breve la bella vita. C’è da riconoscere che lo studente ha reso ampio onore al maestro.
Abbiamo sentito Guccini far morire Dio, Ligabue che voleva offrirGli da bere, Finardi preoccupato che nessuno Lo chiamasse mai, ma forse non tutti sanno che nel suo delirio di ingenua onnipotenza il Sig. Rossi Lo voleva addirittura processare:
Metteteci Dio
sul banco degli imputati
metteteci Dio
e giudicate anche lui… con noi
e difendetelo voi… voi
“buoni cristiani”!
sul banco degli imputati
metteteci Dio
e giudicate anche lui… con noi
e difendetelo voi… voi
“buoni cristiani”!
Portatemi Dio
lo voglio vedere
portatemi Dio
gli devo parlare
gli voglio raccontare
di una vita che ho vissuto
e che non ho capito
a cosa è servito
che cos’è cambiato, anzi
e adesso cosa ho guadagnato
adesso voglio esser pagato!!!
Portatemi Dio!
lo voglio vedere
portatemi Dio
gli devo parlare
gli voglio raccontare
di una vita che ho vissuto
e che non ho capito
a cosa è servito
che cos’è cambiato, anzi
e adesso cosa ho guadagnato
adesso voglio esser pagato!!!
Portatemi Dio!
Sentito? Nel disco “Bollicine”, del 1983, pretende nientemeno che un risarcimento da Dio per averlo messo al mondo, in una vita che non ha capito. Anche qui niente di strano, per carità; è il normale, a tratti banale, sfogo dell’ateo che rifiuta la divinità poi si accorge che senza Dio la vita non ha senso. Omettendo di fare l’ultimo collegamento, evidentemente troppo oneroso, soprattutto per una star.
Se le canzoni di Vasco possono essere lette come commento ai Vangeli allora il Capitale di Marx potrebbe apparire come un trattato di spiritualità, e i libri del marchese De Sade manuali per una vita casta e continente.
Sicuramente molti dei lettori non vorrebbero rivedere certi volti che hanno popolato per anni i nostri incubi, ma visto che erano grandi amici e condividevano le loro (diciamo così) idee, eccoli qua insieme.
E su Facebook il vecchio Giacinto veniva ricordato da Vasco così:
Quando io incominciavo la mia avventura rock e scrivevo e cantavo le mie prime provoCanzoni, Non siamo mica gli americani, Sensazioni forti, Colpa d’Alfredo, Albachiara, Marco Pannella e i radicali conquistavano le prime roccaforti di una civiltà libera: il divorzio e l’aborto.
Sarà per questo che a Modena parlano di Vangelo secondo Vasco? Mah.
Le idee radicali di Pannella, per combinazione, erano molto simili alle mie, ai temi delle mie canzoni: abbattere il pregiudizio, sospendere il giudizio, tolleranza, anticlericalismo e (cosa non da poco..) antiproibizionismo.
Sarà per questo che il Vescovo di Modena ha scritto in un messaggio al sindaco che “finalmente anche le cose belle fanno notizia” riferendosi al concertone?
Avevo praticamente il mio alter ego politico: anticonformista, contro l’ipocrisia. Un provocatore di coscienze.
Anticonformista, ma “di regime”, come quasi tutti gli altri cantautori italiani; e le coscienze più che provocate venivano anestetizzate da questo abominevole duo. Qualche artista però è riuscito persino a far di peggio: De André per esempio, che sfoggiando una superbia tuttora inarrivata credeva di aver confutato i dieci comandamenti con la noiosissima “Il testamento di Tito” . Lo stesso De André che da giovane andava in giro a dire che la canzone Quando l’aveva scritta lui, e allorché il vero autore, Luigi Tenco, gli chiese spiegazioni, lui rispose con eleganza:
Sì, l’ho detto in giro per prendere f..a.
Non per niente il suo straordinario successo venne icasticamente spiegato da un Guccini forse un po’ alticcio, perciò quantomai sincero, con:
De André piace a tutti perché parla della f..a.
Ma quella era una frase detta privatamente estrapolata dal contesto, si obietterà. Mica tanto. Al di là degli ammiccamenti più o meno velati in tante canzoni, nel brano “Princesa”, Fabrizio cantava esplicitamente:
e io davanti allo specchio grande
mi paro gli occhi con le dita a immaginarmi
tra le gambe una minuscola f..a.
mi paro gli occhi con le dita a immaginarmi
tra le gambe una minuscola f..a.
Ovviamente per gli ammiratori anche questa è pura poesia. Per fortuna che anche al sud c’era chi parlava chiaro; Pino Daniele non prendeva lezioni di quella roba là da nessuno, e pure lui cantava:
Che Dio ti benedica, che f..a.
Il più modesto Vecchioni se la cavava descrivendo fantasie ispirate al lato B:
ragazza mia,
grande donna mia,
non farti mai portare via
la gioia del tuo c..o
e del tuo cuore!
grande donna mia,
non farti mai portare via
la gioia del tuo c..o
e del tuo cuore!
Tornando a Vasco, per uno del suo calibro non c’è nemmeno bisogno di esprimerli a parole certi concetti. Bastano i gesti.
Ecco spiegato, come in un rituale primitivo, il centro gravitazionale di tutta la speculazione teoretica del Komandante. Sotto questo simbolo la penisola è più che mai unita: da Modena a Genova, Bologna, Napoli e Milano, i veri artisti, siano pop o rock, impegnati o no, alti o bassi, belli o brutti, di sinistra o di sinistra, hanno sempre avuto ben chiaro i valori prioritari, quelli non discutibili: in particolare uno, due per chi aveva studiato. Sono gli stessi che interessano ai produttori di Hollywood, e il secondo sono i soldi; i sedicenti ribelli, alla fin fine, cascano sempre lì. Solo che mentre gli altri si coprivano con alibi cultural-politici (l’anarchia, il sessantotto, il comunismo, i diritti civili), Vasco, più genuinamente ed essendo arrivato un po’ dopo, con la strada spianata, non ha nemmeno avuto bisogno di quelli. La trasgressione del fare i propri comodi, bella fatica eh?
Comunque una parola definitiva sull’argomento l’aveva già incisa nel marmo Veneziani qualche anno fa, in modo quasi aforistico:
Molti pensano che il ribelle sia lui, Vasco, ma lui in realtà induce a conformarsi a questa società emotiva e disperata, che vuol vivere al massimo e pensare al minimo.
Cosa che riesce bene a molti dalle parti di Modena. Perché diciamoci la verità, vivere alla Vasco Rossi “è un po’ come perder tempo”.
E anche come leggere Nostro Tempo.
di Marco Manfredini
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