VIAGGI "APOSTOLICI"
PERCHE'?
Viaggi "Apostolici" o per i "Diritti umani"? Qual è la ratio dei viaggi del papa ed è normale che vada in Myanmar ed elogi Buddha e mai Gesù? sotto la dicitura "Diritti umani" oggi se ne contrabbandano molti di anti-cristiani
di Francesco Lamendola
Ormai
ci siamo abituati, o ci stiamo abituando; e proprio questo è il male:
che non ci facciamo più caso e consideriamo, più o meno, come "normale"
quel che normale non è, assolutamente. Non è affatto normale che il papa vada in Myanmar ed elogi Buddha,
ma non faccia neppure il nome di Gesù Cristo. Tuttavia, penserà
qualcuno, ha nominato san Francesco d'Assisi: non è la stessa cosa?
Certo che non lo è: la religione cattolica fa perno su Gesù Cristo, è la
fede in Gesù Cristo, e solamente in Gesù Cristo; non nei Santi, pur
tributando, e a ragione, un culto e una devozione per ciascuno di essi, e
anche per loro tutti insieme (la comunione dei Santi). Oltre a questo,
dalle parole del papa sembrava che Buddha e san Francesco fossero un po' equivalenti,
due guide spirituali di valore equiparabile: il che, per un cattolico, è
quanto meno fuorviante. Ma, obietterà ancora qualche irriducibile
ottimista, il papa non si rivolgeva tanto ai cattolici, bensì agli
"altri", visto che era in visita a ad un Paese non cristiano, e dove i
cattolici sono veramente pochi. Già, il punto è proprio questo: cosa era andato a fare, il papa, nel Myanmar?
Cosa va a fare, un sommo pontefice romano, nei Paesi del mondo, specie
quelli di tradizione non cattolica? Va a fare del turismo culturale,
della promozione filantropica, va a tenere discorsi sull'ambiente, la
giustizia sociale, la pace nel mondo, come potrebbe fare un qualsiasi
membro del Club di Roma, o del Club di Budapest, o magari del Gruppo
Bilderberg?
Vale
la pena di porsi queste domande, proprio perché ci stiamo abituando un
po' troppo ad accettare ogni cosa come se fosse perfettamente naturale,
mentre molte cose innaturali ci vengono propinate e spacciate per
normalissime. Perciò, domandiamoci: qual è la ragion d'essere dei viaggi di un papa?
Ricordiamo che, fino a qualche decennio fa, i papa non viaggiavano
affatto: stavano a Roma, e chi voleva vederli coi suoi occhi, e udire la
loro voce, andava a Roma. In tempi di radio, televisione e computer, la
cosa è ancora più ovvia: non ci sarebbe alcun bisogno che il papa
viaggiasse, perché basta accendere un pulsante per vederlo e per udire i
suoi discorsi. Ammesso e non concesso che ciò sia così necessario, così
importante: non basta leggere i suoi discorsi? E, soprattutto, non è
più importante leggere e meditare il Vangelo? Qual è la Parola di cui il
cristiano non può fare a meno: quella del papa o quella di Dio? Quel
che dice il papa è importante, certo; ma cosa può dire di diverso da
quel che dice il Vangelo? Nulla, assolutamente nulla. E se dice qualcosa
di diverso, allora si può star certi che si tratta di un'eresia: perché
il servo non può dire nulla di diverso dall'insegnamento del padrone.
Il capo della Chiesa è Cristo, non il papa, il papa è solo il suo
vicario. Non è poi così importante, quindi, pendere dalle labbra del
papa; quanto al fatto di fare di lui una star, una superstar, di
stampare addirittura dei giornali a lui specificamente dedicati,
giornali dall'impostazione sfacciatamente adulatoria (come Il mio papa, cosa che appare già nel titolo), qui siamo in un terreno anormale, pericoloso, forse malsano: il terreno di una possibile idolatria.
Il papa non è il modello a cui il cristiano deve ispirarsi; il modello è
sempre e solo Gesù Cristo. Semmai, in seconda istanza, i modelli sono i
Santi. Ma il papa, questo papa, non è santo, anche se ha preso,
immodestamente, il nome di un grande santo, cosa che nessun papa prima
di lui aveva osato fare; ma lui non è ancora santo, per lo meno. Non c'è
nulla, in lui, che meriti più attenzione di quella che possiamo
riservare a qualsiasi altro cristiano, se non quando parla come vicario
di Cristo in terra: cioè quando parla ai cattolici e quando parla del
cattolicesimo. Non quando parla di ambiente, di ecologia, d’immigrazione
o di diritti sociali: in ciascuno di tali casi, la sua parola e le sue
opinioni valgono quanto quelle di chiunque altro, a meno che faccia esplicitamente e direttamente riferimento a Gesù Cristo.
Parrebbero cose ovvie, eppure è diventato necessario precisarle:
prendiamo atto dell’anomalia, e andiamo avanti. Per un cattolico, né
l’ambiente, né l’ecologia, né l’immigrazione, né qualsiasi altra
questione sociale possono essere discussi facendo astrazione dal Vangelo
di Gesù Cristo. Per un cattolico, qualsiasi cosa e qualsiasi situazione
fanno riferimento a Gesù Cristo e interpellano la sua fedeltà a Gesù
Cristo. E questo non è fanatismo o integralismo: questo è il
normalissimo essere cattolici. Oppure qualcuno si scandalizzerebbe se un
ebreo, un musulmano, eccetera, facessero altrimenti? Qualcuno
troverebbe strano, indelicato, privo di tatto, il fatto che ad un
ingegnere, guardando un fiume, venga in mente il pensiero istintivo di
un ponte che lo possa scavalcare, o che un musicista, parlando con altre
persone di educazione scolastica, pensi e dichiari che la musica
dovrebbe assolutamente far parte di essa? Da quando in qua un
cattolico dovrebbe astenersi dal pensare da cattolico, dal sentire da
cattolico, ed auto-censurarsi in omaggio alle fedi altrui e al dialogo
con gli altri? Ma questo è un vero e proprio capovolgimento del
Vangelo! Gesù Cristo non ha mai insegnato ai suoi seguaci a comportarsi
in una tale maniera; al contrario, ha imposto loro di andare a
predicare il Vangelo, anche a rischio della vita; anzi: con la certezza
di andare incontro a delle persecuzioni, proprio come è accaduto a Lui; e
ha aggiunto che, se una città non li vuole ascoltare, essi devono
andarsene, scuotendo la polvere dai loro calzari. Perciò, anche nel caso
in cui un papa ritenga necessario parlare di questioni come l’ambiente,
la politica, i diritti umani, le sue parole non possono essere difformi
da quelle del Vangelo. È ben per questo che padre Sosa Abscal, nella
sua malizia, ha insinuato che noi non sappiamo con certezza quel che
Gesù ha detto a suo tempo; oltretutto, con quel discorso, egli ha fatto
di Gesù un personaggio puramente storico, che parla in un certo
contesto, e che si rivolge a un interlocutore specifico. Ma ciò è falso.
Gesù si rivolge agli uomini di sempre, non solo a quelli del suo tempo,
ma anche di oggi e di domani: la sua Parola è universale ed eterna. Chi
nega questo, è fuori del cristianesimo e non è cattolico. Inoltre, Gesù
non è un personaggio puramente storico per il fatto che ogni giorno,
ogni ora, ogni minuto, in qualche luogo, dove c'è un sacerdote che
celebra la santa Messa e anche un solo fedele che si reca a
parteciparvi, lì, nel mistero del Sacrificio eucaristico, si rinnova la
sua Presenza Reale. Dunque Gesù non è un uomo, e sia pure divino,
vissuto in Palestina duemila anni fa; Gesù è Colui per mezzo del quale
il mondo è stato creato, ed è Colui che è sempre presente accanto alle
creature, sino alla fine del mondo, quando verrà per giudicare i vivi e i
morti. Questo recita il Credo che ogni
cattolico conosce e ripete nel corso delle santa Messa; che ciò piaccia o
non piaccia ai falsi sacerdoti della neochiesa gnostica e massonica,
come padre Sosa Abascal, che il papa non si è sentito in dovere di
correggere prontamente, quando costui ha fatto quelle scandalose
affermazioni, deleterie per milioni di credenti. Pertanto, il paradosso è questo:
il papa che tace allorché dei membri in vista del clero dicono delle
cose assolutamente non cattoliche, fuorvianti e persino contrarie al
Vangelo di Gesù Cristo, poi, quando si tratta di rendere testimonianza a
Gesù Cristo, per esempio nel corso dei suoi viaggi apostolici, o che
tali dovrebbero essere (se i nomi delle cose hanno un senso, e quindi
anche la parola “apostolico”), allora si rifiuta di farlo, tace, si
auto-censura. Dunque, tace sia quando dei cardinali, dei vescovi o dei
superiori di ordini religiosi pronunciano a sproposito il nome di Gesù,
sia quando lui stesso dovrebbe fare quel nome, in quanto vicario di
Cristo sulla terra. Oppure qualcuno s’immagina san Pietro che, recandosi
in una città, in un Paese dove solo pochi hanno sentito nominare Gesù
Cristo, si astiene dal nominarlo anche una sola volta? Sì: noi sappiamo
quando san Pietro ha taciuto il nome di Gesù, anzi, quando ha negato di
conoscerlo: allorché si trovava nel cortile del sommo sacerdote, la sera
dell’arresto di Gesù, ed egli lo ha rinnegato, spergiurando, per tre
volte.
Padre Sosa Abascal capo dei gesuiti, (come Francesco) è ancora Cattolico?
E adesso torniamo ai viaggio del papa. Sono viaggi "apostolici"? Ebbene, in tal caso devono ispirarsi all'insegnamento preciso di Gesù Cristo: Andate in tutto il mondo a battezzare e predicare il Vangelo: chi crederà sarà salvo, ma chi non crederà sarà condannato.
Gesù non ha raccomandato ai suoi discepoli di andare in giro per il
mondo ad altro scopo se non quello di annunciare il Vangelo. Inoltre,
come abbiamo visto, non è necessario che i viaggi apostolici li faccia
il papa; il papa, stando a Roma, può fare tutto quello che è necessario
per essere un buon papa. Tutti i papi, prima del Concilio Vaticano II,
nessuno escluso, sono rimasti a Roma o, comunque, in Italia, a meno che
non fossero trascinati fuori con la viva forza (come accadde, per
esempio, sotto Napoleone). Oppure qualcuno si sente in diritto di
affermare che Pio XII, per esempio, non sia stato un buon papa, per il
fatto che non compì alcun viaggio al di fuori dell’Italia (e che, fra
parentesi, non fece nessuna delle riforme della Chiesa che i cattolici
progressisti desideravano, e che gli suggerivano di fare)? Papa Giovanni
XXIII arrivò fino a Loreto e Assisi: e parve già tanto. Eravamo al
principio di ottobre del 1962. Il primo papa ad uscire dall’Italia è
stato Paolo VI: dunque, per millenovecento anni, nessun papa ha sentito
la necessità di viaggiare all’estero per predicare la Buona Novella. E
tuttavia ammattiamo che ciò, ai nostro tempi, sia considerato
assolutamente indispensabile: resta da vedere quanto e, soprattutto, a
quale scopo. Giovanni Paolo II ha stabilito un primato: ben centoquattro
viaggi apostolici fuori dell’Italia, e per la maggior parte fuori
dell’Europa, nel corso del suo pontificato. Papa Francesco non sembra
volergli restare indietro: ne ha fatti, sinora, venti; venti viaggi,
compreso l’ultimo nel Myanmar, ad un ritmo estremamente sostenuto.
Francesco è stato eletto papa quattro anni e mezzo fa; il pontificato di
Giovani Paolo II era durato ventisette anni: dunque, facendo le
proporzioni, questo papa sta viaggiando ad un ritmo ancora più sostenuto del pontefice polacco.
Il quale ultimo, introducendo una tale frequenza nei viaggi apostolici
da parte del santo padre, ha creato un precedente: ed è stata una delle
tre cose più negative del suo pontificato (le alte due sono state la
deliberata spettacolarizzazione della sua stessa figura, spostando
l’attenzione dei media e delle folle su se stesso anziché su Gesù
Cristo, e il coinvolgimento della Chiesa, altrettanto deliberato, nelle
trame politiche miranti a scalzare il comunismo in Polonia, attraverso
il sindacato Solidarnosc: il che ha comportato tutta una serie
di compromessi e di ambigue transazioni con il mondo sinistro della
massoneria e dei banchieri criminali, Calvi, Ortolani, Sindona, e la
contaminazione del Vaticano con operazioni finanziarie assolutamente non
evangeliche, come nel caso di Paul Marcinkus). Il papa attuale ha
ereditato le due tendenze suddette, quella di viaggiare molto, anche in
maniera un po’ convulsa e confusa, e di porre la propria immagine al
centro di tutto, fino ai limiti dell’incoraggiamento all’idolatria delle
folle verso lui stesso. Resta perciò la domanda: questi
viaggi hanno, almeno, una ragion d’essere condivisibile o, per non dir
altro, che sia compatibile con i fini e la natura della Chiesa, e
particolarmente con le specifiche funzioni del sommo pontefice?
Qual è la ratio dei viaggi apostolici del papa?
di Francesco Lamendola
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