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venerdì 5 gennaio 2018

Gesuita sì ma non cieco

Mistero Bergoglio. Perché il generale dei gesuiti non lo voleva vescovo


È in arrivo un nuovo libro su papa Francesco che fa già discutere, prima ancora della sua uscita annunciata per il 26 febbraio:

Il titolo suona decisamente critico. Ma non per pregiudizio. L'autore del libro, Philip Lawler, è negli Stati Uniti una firma cattolica tra le più autorevoli ed equilibrate. È stato direttore di "Catholic World Report", il news magazine di Ignatius Press, l'editrice fondata dal gesuita Joseph Fessio, discepolo di Joseph Ratzinger. E oggi dirige  "Catholic World News". È nato e cresciuto in quel di Boston. È sposato e padre di sette figli.
Nella fase iniziale del pontificato di Francesco, Lawler non ha mancato di apprezzarne le novità. Ma ora, appunto, è arrivato a vedere in lui il "pastore smarrito" di un gregge mandato allo sbando.
E ha maturato questo giudizio critico su Jorge Mario Bergoglio papa anche grazie a una attenta rivisitazione del Bergoglio gesuita e vescovo in Argentina.
Che è esattamente ciò che hanno fatto anche altri biografi dell'attuale papa, sia favorevoli che contrari: ricostruire cioè il suo percorso argentino, per ricavarne da lì una maggiore comprensione del suo agire da papa.

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Un esempio eclatante di questa rivisitazione della fase argentina di Bergoglio è nell'ultimo dei libri finora pubblicati su di lui: "Il papa dittatore", diffuso in forma di e-book in italiano e in inglese dalla fine dello scorso autunno, di autore anonimo, verosimilmente anglofono, che si cela sotto lo pseudonimo di Marcantonio Colonna.
Uno dei passaggi di "Il papa dittatore" che più hanno suscitato scalpore è quello in cui l'autore solleva il velo sul giudizio su Bergoglio scritto nel 1991 dal superiore generale della Compagnia di Gesù, l'olandese Peter Hans Kolvenbach (1928-2016), nel corso delle consultazioni segrete pro o contro la nomina dello stesso Bergoglio a vescovo ausiliare di Buenos Aires.
Scrive lo pseudo Marcantonio Colonna:
"Il testo della relazione non è mai stato reso pubblico, ma il seguente resoconto è stato rilasciato da un sacerdote che ha avuto accesso ad essa prima che scomparisse dall’archivio dei gesuiti. Padre Kolvenbach accusava Bergoglio di una serie di difetti, che vanno dall’uso abituale di linguaggio volgare alla doppiezza, alla disobbedienza nascosta sotto una maschera di umiltà e alla mancanza di equilibrio psicologico. Nell’ottica di una sua idoneità come futuro vescovo, la relazione ha sottolineato che come provinciale era stata una persona che aveva portato divisione nel suo ordine".
Troppo poco e troppo vago. È indubbia, però, l'esistenza di un giudizio su Bergoglio richiesto dalle autorità vaticane a Kolvenbach in vista della sua nomina a vescovo.
Così come è indubbio il forte attrito che intercorreva tra l'allora semplice gesuita e i suoi superiori della Compagnia di Gesù, sia in Argentina che a Roma.
Su questo attrito forniscono informazioni abbondanti, solide e convergenti altre biografie di Bergoglio, non sospettabili d'ostilità preconcetta, perché scritte da autori a lui vicinissimi o persino riviste da lui nel corso della loro stesura.
È quest'ultimo il caso, in particolare, del volume "Aquel Francisco" (in italiano "Gli anni oscuri di Bergoglio"), scritto dagli argentini Javier Cámara e Sebastián Pfaffen con la supervisione del papa, dedicato proprio agli anni di maggiore isolamento di Bergoglio dentro la Compagna di Gesù.
In esso non si tace che i gesuiti suoi avversari arrivarono addirittura a far circolare la voce che Bergoglio fosse stato mandato in esilio a Córdoba "perché malato, pazzo".
Si tace però totalmente del giudizio contrario alla sua nomina a vescovo scritto dal generale dei gesuiti Kolvenbach, il cui nome non compare neppure una volta nelle più di 300 pagine del libro.
E non c'è notizia del rapporto Kolvenbach neppure in quella che è finora la più esauriente e "amica" biografia di Bergoglio, scritta dall'inglese Austen Ivereigh:
Ma sull'origine e sul contesto di quel giudizio negativo di Kolvenbach le informazioni date da Ivereigh/Bergoglio sono numerose e preziose. E meritano di essere qui riprese.
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Ai suoi attriti con i confratelli argentini ha fatto riferimento lo stesso Bergoglio nell'intervista rilasciata a "La Civiltà Cattolica" e ad altre riviste della Compagnia di Gesù poco dopo la sua elezione a papa:
"Il mio modo autoritario e rapido di prendere decisioni mi ha portato ad avere seri problemi e ad essere accusato di essere ultraconservatore. Ma non sono mai stato di destra".
In Argentina, in effetti, a guidare la campagna contro Bergoglio erano i gesuiti del Centro di Ricerca e Azione Sociale, in sigla CIAS, "per lo più appartenenti – nota Ivereigh – all'alta borghesia e all'ambiente accademico" illuminista e progressista, irritati per il successo di questo gesuita "proveniente dal ceto basso e senza nemmeno un dottorato in teologia", che "privilegiava la religiosità popolare trascurando invece i centri di ricerca": un tipo di religiosità "molto vicina alla gente, ai poveri", ma a loro giudizio "più peronista che moderna".
Non bastò, per tranquillizzarli, che Bergoglio, nel 1979, cessasse di essere provinciale dei gesuiti argentini, La sua leadership su una consistente frazione della Compagnia non ne fu per niente diminuita. Anzi, scrive Ivereigh, "aveva più influenza ora di quanta ne avesse avuta come provinciale".
Ma proprio per questo i suoi avversari erano sempre più insofferenti. Le critiche del CIAS e di altri arrivarono a Roma, alla curia generalizia della Compagnia di Gesù, dove anche l'assistente per l'America latina, José Fernández Castañeda, era ostile a Bergoglio, ed evidentemente convinsero il nuovo superiore generale Kolvenbach. Il quale infatti, nel 1986, al momento di scegliere il nuovo capo della provincia argentina, nominò proprio il candidato del CIAS, Víctor Zorzín, che subito si prese come braccio destro "uno dei più feroci critici di Bergoglio", Ignacio García-Mata, che gli succederà.
Ne seguì un repulisti che Ivereigh paragona allo "scontro tra peronisti e antiperonisti" dell'Argentina degli anni Cinquanta, con la differenza che ora "i 'gorilas', i fanatici antiperonisti, stavano con il CIAS, mentre il 'pueblo' stava con Bergoglio e i suoi sostenitori". Insomma: "una radicale pulizia, in cui si ribaltava completamente tutto quanto era associato con il regime deposto".
E Bergoglio? Nel maggio di quello stesso 1986, d'accordo con il nuovo provinciale Zorzín, migrò in Germania, formalmente per un dottorato su Romano Guardini. Ma nel dicembre dello stesso anno era già di ritorno in patria, nel giubilo dei suoi ancor numerosi seguaci. Che infatti riuscirono ad eleggere proprio lui a procuratore della provincia argentina per un summit presso la curia generalizia di Roma nel settembre del 1987.
L'anno dopo fu Kolvenbach a recarsi in Argentina, per un incontro con i provinciali del continente. Ma evitò di incontrare Bergoglio, pur soggiornando a pochi passi da lui. Scrive Ivereigh: "Nei successivi due anni la provincia si spaccò sempre più profondamente" e Bergoglio "fu accusato in modo sempre più insistente di fomentare tale dissenso". Cita un verbale delle riunioni dei consultori del provinciale: "In ogni incontro parlavamo di lui. Era una preoccupazione costante decidere cosa dovevamo fare con quest'uomo".
Nel 1990 esiliarono Bergoglio a Córdoba, senza più alcun incarico, e mandarono all'estero i confratelli a lui più vicini. Ma poco dopo ecco il miracolo. L'arcivescovo di Buenos Aires, Antonio Quarracino, chiese a Roma di avere proprio Bergoglio come suo vescovo ausiliare. E lo ottenne.
Ivereigh non ne fa parola. Ma è qui, nelle consultazioni segrete che precedono la nomina di ogni nuovo vescovo, che il superiore generale dei gesuiti Kolvenbach mise per iscritto il suo giudizio negativo sulla nomina di Bergoglio. Non fu ascoltato. Ma c'è un episodio, subito successivo alla consacrazione di Bergoglio a vescovo, nell'estate del 1992, che mostra quanto aspro continuasse ad essere il disaccordo tra i due.
In attesa che la sua nuova abitazione fosse sistemata, Bergoglio fu ospitato nella casa della curia gesuita di Buenos Aires, dove nel frattempo era diventato provinciale il suo arcinemico García-Mata.
Scrive Ivereigh:
"Ma non era un rapporto facile. Bergoglio accusò García-Mata di averlo diffamato in una relazione che il provinciale aveva mandato a Roma (la relazione era segreta, ma uno dei consultori ne aveva informato Bergoglio), mentre García-Mata si sentiva minacciato dalla popolarità di cui godeva il nuovo vescovo tra i gesuiti più giovani".
Passarono le settimane e Bergoglio era per García-Mata una presenza sempre più "invadente". Finché il 31 luglio, festa di sant'Ignazio, il provinciale gli intimò di andarsene. "Ma qui sto benissimo", rispose Bergoglio.
Prosegue Ivereigh:
"Se voleva che se ne andasse, disse Bergoglio, glielo doveva notificare ufficialmente. Così García-Mata scrisse a Kolvenbach, che appoggiò la sua decisione. La lettera del generale dei gesuiti fu lasciata nella stanza di Bergoglio. E García-Mata ricevette una risposta scritta di Bergoglio, con la comunicazione della sua data di partenza".
Si può capire, con questi precedenti, perché da lì in poi, nei suoi numerosi viaggi a Roma, Bergoglio non abbia mai messo piede nella curia generalizia dei gesuiti, soggiornando invece nella residenza del clero di via della Scrofa, né abbia mai parlato con Kolvenbach.
Per riappacificarsi con la Compagnia di Gesù, insomma, il primo papa gesuita della storia ha appunto dovuto, prima, essere eletto papa.
Ma il precedente conflitto lo conosciamo oggi quasi esclusivamente dal suo punto di vista, mediato dai suoi biografi amici.
Il punto di vista degli altri, a cominciare dal giudizio del suo generale d'un quarto di secolo fa, ancora ci è in larga misura ignoto.

Settimo Cielo 

di Sandro Magister

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