ACTA APOSTATICAE SEDIS : come, cambiando un po' qua e un po' la, si può cambiare tutto...

venerdì 12 gennaio 2018

Settimane dell'l'unità degli eretici

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Sionismo cristiano: l’eresia preferita dei neocon

di Stephen Sizer
Russia Insider,  gennaio 2018
Per ogni sionista ebreo ci sono dieci sionisti cristiani evangelici fuori di testa
Almeno uno su quattro cristiani americani intervistati di recente dalla rivista Christianity Today ha detto di ritenere che sia la propria responsabilità biblica sostenere la nazione di Israele. Questa visione è conosciuta come sionismo cristiano. Il Pew Research Center ha posto la cifra al 63% tra gli evangelici bianchi. Il sionismo cristiano è pervasivo all’interno delle principali denominazioni evangeliche, carismatiche e indipendenti americane, incluse le Assemblee di Dio, i pentecostali e i battisti del Sud, così come in molte delle mega-chiese indipendenti. È meno prevalente all’interno delle denominazioni storiche, che mostrano un maggiore rispetto per il lavoro delle Nazioni Unite, un sostegno ai diritti umani, allo stato di diritto internazionale e un’empatia con i palestinesi.

Le origini del movimento possono essere ricondotte all’inizio del XIX secolo, quando un gruppo di eccentrici leader cristiani britannici iniziò a fare pressioni per la restaurazione degli ebrei in Palestina, come precondizione necessaria per il ritorno di Cristo. Il movimento acquisì slancio fin dalla metà del XIX secolo quando la Palestina divenne un punto strategico per gli interessi coloniali britannici, francesi e tedeschi in Medio Oriente. Il sionismo proto-cristiano ha quindi preceduto il sionismo ebraici da oltre 50 anni. Alcuni dei più forti sostenitori di Theodore Herzl erano chierici cristiani.
Il sionismo cristiano come moderno movimento teologico e politico abbraccia le posizioni ideologiche più estreme del sionismo. È diventato profondamente dannoso per una giusta pace tra Palestina e Israele. Propaga una visione del mondo in cui il messaggio cristiano si riduce a un’ideologia dell’impero, del colonialismo e del militarismo. Nella sua forma estrema, pone un accento sugli eventi apocalittici che portano alla fine della storia piuttosto che sul vivere l’amore e la giustizia di Cristo oggi.
I seguaci del sionismo cristiano sono convinti che la fondazione dello Stato di Israele nel 1948 e la conquista di Gerusalemme nel 1967 furono il miracoloso adempimento delle promesse di Dio fatte ad Abramo di stabilire Israele come nazione ebraica per sempre in Palestina.
I famigerati romanzi del ciclo Left Behind di Tim LaHaye, insieme ad altre speculazioni sulla fine dei tempi scritte da autori come Hal Lindsey, John Hagee e Pat Robertson, hanno venduto oltre 100 milioni di copie. Questi sono integrati da libri per bambini, video e persino videogiochi violenti.
Le fiorenti organizzazioni sioniste cristiane come l’Ambasciata cristiana internazionale (ICEJ), Christian Friends of Israel (CFI) e Christian United for Israel (CUFI) esercitano un’influenza considerevole sul Campidoglio, sostenendo una base di supporto di oltre 50 milioni di veri credenti. Ciò significa che ora ci sono almeno dieci volte più cristiani sionisti che ebrei sionisti.
E i loro cugini europei non sono meno attivi nella Hasbarafia sionista, facendo pressioni per Israele, attaccando i suoi critici e ostacolando il processo di pace. Gli Stati Uniti e Israele sono spesso raffigurati come gemelli siamesi, uniti nel cuore, che condividono comuni valori storici, religiosi e politici.
Il pastore John Hagee è uno dei leader del movimento sionista cristiano. È il fondatore e pastore anziano della Cornerstone Church, una chiesa evangelica di 19.000 membri a San Antonio, in Texas. I suoi programmi settimanali sono trasmessi su 160 stazioni TV, 50 stazioni radio e otto reti in circa 99 milioni di case in 200 paesi. Nel 2006 ha fondato in movimento Christian United for Israel ammettendo: “Per 25 anni e mezzo, ho martellato la comunità evangelica alla televisione. La Bibbia è un libro molto pro-Israele. Se un cristiano ammette “Credo nella Bibbia”, posso farne un sostenitore pro-Israele o altrimenti fargli rinnegare la sua fede. Quindi tengo i cristiani dala parte del manico, si potrebbe dire”.
Nel marzo 2007, Hagee ha partecipato alla conferenza politica dell’American Israel Public Affairs Committee (AIPAC). Ha esordito dicendo: “Il gigante addormentato del sionismo cristiano si è risvegliato. Ci sono 50 milioni di cristiani che applaudono attivamente lo Stato di Israele…”
Come ha sottolineato il Jerusalem Post, il suo discorso non mancava di chiarezza. Ha proseguito avvertendo: “Siamo nel 1938. L’Iran è la Germania e Ahmadinejad è il nuovo Hitler. Dobbiamo fermare la minaccia nucleare iraniana e stare con coraggio con Israele, l’unica democrazia in Medio Oriente… Pensate al nostro potenziale futuro insieme: 50 milioni di evangelici che si uniscono in una causa comune con 5 milioni di ebrei in America per conto di Israele come in un’unione stabilita nei cieli”.
I sionisti cristiani hanno mostrato diversi gradi di entusiasmo per l’attuazione di sei convinzioni politiche di base che derivano dalla loro teologia ultra-letterale e fondamentalista:
  1. La convinzione che gli ebrei rimangono il popolo eletto di Dio conduce i sionisti cristiani a cercare di benedire Israele in modi materiali. Tuttavia, questo comporta inevitabilmente anche l’approvazione acritica e la giustificazione delle politiche razziste e di apartheid di Israele, nei media, tra i politici e attraverso i tour di solidarietà in Israele.
  2. Come popolo scelto da Dio, la restaurazione finale degli ebrei in Israele è quindi attivamente incoraggiata, finanziata e facilitata attraverso la collaborazione con l’Agenzia ebraica.
  3. Eretz Israel, come delineato nelle Scritture, dal Nilo all’Eufrate, appartiene esclusivamente al popolo ebraico, quindi la terra deve essere annessa e i palestinesi cacciati dalle loro case e gli insediamenti illegali ebraici espansi e consolidati.
  4. Gerusalemme è considerata la capitale eterna ed esclusiva degli ebrei e non può essere condivisa con i palestinesi. Pertanto, strategicamente, i sionisti cristiani hanno fatto pressioni sull’amministrazione statunitense per trasferire la propria ambasciata a Gerusalemme e garantire in tal modo che Gerusalemme sia riconosciuta come capitale di Israele.
  5. I sionisti cristiani offrono vari gradi di sostegno a organizzazioni come il Jewish Temple Mount Faithful, impegnate a distruggere la Cupola della Roccia e a ricostruire il Tempio ebraico sull’Haram Al-Sharif (il nobile santuario di Al-Aqsa).
  6. I sionisti cristiani hanno invariabilmente una visione pessimistica del futuro, essendo convinti che ci sarà una guerra apocalittica di Armageddon nell’imminente futuro. Sono profondamente scettici sulla possibilità di una pace duratura tra ebrei e arabi e quindi si oppongono al processo di pace. In effetti, sostenere un compromesso israeliano di “terra in cambio della pace” con i palestinesi è visto come un rifiuto delle promesse di Dio a Israele e quindi un sostegno ai suoi nemici.
All’interno della visione del mondo cristiano-sionista, i palestinesi sono considerati residenti alieni in Israele. Molti sionisti cristiani sono restii a riconoscere l’esistenza dei palestinesi come popolo distinto, sostenendo che sono emigrati in Israele dalle nazioni arabe vicine per ragioni economiche dopo che Israele era prosperato. Una paura e un profondo odio per l’islam pervade allo stesso modo la loro teologia manichea dualistica. I sionisti cristiani hanno poco o nessun interesse nell’esistenza dei cristiani arabi indigeni, nonostante la continuità di questi ultimi con la Chiesa primitiva.
Nel 2006 ho redatto quella che è divenuta nota come la Dichiarazione di Gerusalemme sul sionismo cristiano firmata da quattro dei capi delle Chiese a Gerusalemme: sua Beatitudine il patriarca Michel Sabbah, patriarca latino di Gerusalemme; l’arcivescovo Swerios Malki Mourad, del patriarcato ortodosso siriano di Gerusalemme; il vescovo Riah Abu El-Assal, della Chiesa episcopaliana di Gerusalemme e del Medio Oriente; e il vescovo Munib Younan, della Chiesa evangelica luterana in Giordania e Terra Santa. In esso hanno insistito: “Rifiutiamo categoricamente le dottrine sioniste cristiane come un falso insegnamento che corrompe il messaggio biblico di amore, giustizia e riconciliazione.
Rifiutiamo inoltre l’alleanza contemporanea dei leader e delle organizzazioni sioniste cristiane con elementi nei governi di Israele e degli Stati Uniti che stanno attualmente imponendo i loro confini unilaterali di prelazione e di dominio sulla Palestina. Ciò porta inevitabilmente a cicli infiniti di violenza che minano la sicurezza di tutti i popoli del Medio Oriente e del resto del mondo.
Rifiutiamo gli insegnamenti del sionismo cristiano che facilitano e sostengono queste politiche mentre promuovono l’esclusività razziale e la guerra perpetua piuttosto che il vangelo dell’amore universale, della redenzione e della riconciliazione insegnati da Gesù Cristo. Piuttosto che condannare il mondo al destino di Armageddon, invochiamo tutti a liberarsi dalle ideologie del militarismo e dell’occupazione. Che perseguano invece la guarigione delle nazioni!
Invitiamo i cristiani nelle Chiese di ogni continente a pregare per i popoli palestinese e israeliano, che soffrono entrambi come vittime dell’occupazione e del militarismo. Queste azioni discriminatorie stanno trasformando la Palestina in ghetti impoveriti circondati da esclusivi insediamenti israeliani. L’instaurazione degli insediamenti illegali e la costruzione del muro di separazione sulle terre palestinesi confiscate mina la vitalità di uno stato palestinese e la pace e la sicurezza nell’intera regione”.
I patriarchi hanno concluso: “Dio chiede che sia fatta giustizia. Nessuna pace duratura, sicurezza o riconciliazione è possibile senza il fondamento della giustizia. Le richieste di giustizia non scompariranno. La lotta per la giustizia deve essere perseguita con diligenza e perseveranza, ma non con violenza”. Il profeta Michea chiede: “Il Signore richiede da te di agire con giustizia, amare la misericordia e camminare umilmente con il tuo Dio”. (Michea 6:8).
È mia opinione, dopo più di 10 anni di ricerca post-laurea, che il sionismo cristiano sia la più grande, controversa e distruttiva lobby del cristianesimo. Ha la responsabilità primaria di perpetuare le tensioni in Medio Oriente, giustificando l’ordine del giorno colonialista dell’apartheid di Israele e minando il processo di pace tra Israele e i palestinesi.
Il capitolo conclusivo del Nuovo Testamento ci riporta all’immagine del Giardino dell’Eden e alla rimozione della maledizione che scaturisce dalla caduta: “Allora l’angelo mi mostrò il fiume dell’acqua della vita, chiara come il cristallo, che scorre dal trono di Dio e dell’Agnello… A ogni lato del fiume c’era l’albero della vita, con dodici raccolti di frutti, che producevano il proprio frutto ogni mese. E le foglie dell’albero sono per la guarigione delle nazioni”. (Apocalisse 22: 1-2) Sicuramente questo era quello che Gesù aveva in mente quando istruiva i suoi seguaci ad agire come ambasciatori di pace e riconciliazione, a lavorare e a pregare che il regno di Dio venga sulla terra come in cielo.
* * *
Il rev. dr. Stephen Sizer è il rettore della Christ Church in Virginia Water e l’autore di Christian Zionism: Road-map to Armageddon? (InterVarsity Press, 2004); Zion’s Christian Soldiers?(2007) e di In the Footsteps of Jesus and the Apostles (Eagle, 2004). Per maggiori informazioni si veda www.stephensizer.com
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https://www.maurizioblondet.it/sionismo-cristiano-leresia-preferita-dei-neocon/


La ricetta di Israele contro i migranti tra deportazioni e “cittadini soldato”


Le problematiche relative al flusso di migranti provenienti dall’Africa, negli ultimi anni ha interessato ogni paese europeo. Quotidianamente i giornali e le televisioni sono impegnati nel dibattito riguardo la possibilità e la capacità di ogni singolo stato di accogliere o meno una quantità così numerosa di richiedenti asilo. Il problema però non è soltanto europeo. Anche dall’altra parte del Mediterraneo, in Israele, da tempo si discute riguardo alle tante incognite legate all’immigrazione. Negli ultimi mesi il governo Nethanyahu pare aver trovato una soluzione che sta facendo molto discutere.
Tristemente note sono le rotte mediterranea e balcanica che dal Nord Africa e dalla Turchia portano centinaia di migliaia di persone sul suolo europeo. In pochi però sono a conoscenza di una terza rotta, frequentata in maggioranza da cittadini Sudanesi ed Eritrei che valicando la frontiera Egiziana si dirigono diretta verso Israele. Secondo la Population and Immigration Authority (PIBA) dal 2006 ad oggi in Israele sono arrivati circa 39mila richiedenti asilo, esclusi i bambini nati in questi anni nel paese ospitante (circa 5mila).  La maggior parte di essi gode soltanto di visti temporanei che devono essere rinnovati ogni tre mesi. L’arrivo di un così alto numero di migranti ha fin da subito messo in allerta diversi esponenti del governo israeliano, in particolare quelli più legati agli ambienti dell’estrema destra che insieme al Likud di Netanyahu godono della maggioranza dei seggi nella Knesset.
I richiedenti asilo sono in maggioranza cristiani e provengono soprattutto da Eritrea e Sudan, due Paesi straziati rispettivamente da dittature e guerre civili a carattere confessionale. Malgrado ciò, come dichiarato dal responsabile della Commissione per i Rifugiati dell’Onu William Spindler, “dei 27mila eritrei e dei 7mila sudanesi che si trovano in Israele, soltanto 11 sono stati coloro che dal 2009 hanno ricevuto lo status di rifugiato”.
Il demografo israeliano Arnon Soffer ha espresso la sua ferma opposizione al fenomeno dell’immigrazione illegale africana per diverse ragioni. Afferma che dal punto di vista della sicurezza, i migranti potrebbero agire come “informatori” o come “agenti operativi di stati ostili o organizzazioni terroristiche”. Socialmente, afferma che stanno contribuendo alla congestione nelle città e all’aumento della criminalità. Dal punto di vista demografico, invece, percepisce i richiedenti asilo e gli immigrati illegali come una minaccia demografica per la maggioranza ebraica. Secondo Sofer, non riuscire a fermare le ondate migratorie illegali in una fase iniziale porterà solo a ondate di immigrazione clandestina molto più grandi in futuro.
Già nel Dicembre del 2011, anche il sindaco di Tel Aviv, Ron Huldai si era rivolto al primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu chiedendo “azioni urgenti e immediate” contro gli immigrati: “Israele non può continuare a ignorare la crescente ondata di immigrati, che a questo punto è chiaro a tutti che si infiltrano in Israele come lavoratori illegali e che non sono veri profughi. Dobbiamo proteggere i confini di Israele contro queste infiltrazioni”.
Dopo qualche tentennamento, Netanyahu ha risposto alle pressioni del suo elettorato dichiarando: “Se non fermiamo l’ingresso dei migranti, il problema delle attuali 60mila unità potrebbe arrivare a 600mila, e questo minaccia seriamente la nostra esistenza come Stato ebraico e democratico”. Dalle parole si è subito passati ai fatti. In primo luogo è stata eretta, nel 2012 una barriera per impedire ad ulteriori persone di entrare in Israele illegalmente. Oltre alla barriera di filo spinato la Knesset ha votato a favore di un controverso emendamento alla legge sulla Prevenzione dell’infiltrazione risalente al 1954 rendendo così possibile la detenzione fino a tre anni per gli immigrati africani senza possibilità di processo. Sono iniziati quindi i primi rimpatri verso i paesi d’origine spesso e volentieri non accettati dai migranti, difficilmente un cristiano sudanese sarebbe disposto a tornare nel Darfour dove le milizie islamiste imperversano e dove la fame e la carestia mietono vittime quotidianamente. Per ovviare a questo problema Netanyahu ha quindi chiesto ad altri Paesi africani come Uganda e Rwanda di farsi carico dei richiedenti asilo in cambio di sostanziosi aiuti economici e militari. Nella primavera del 2012 è stata inoltre avviata la costruzione della prigione di Saharonim, esentata dalla maggior parte delle normative locali e nazionali, come espressamente richiesto dall’allora Ministro della Difesa Ehud Barak. La prigione è situata nel bel mezzo del deserto del Negev al confine con l’Egitto. Da Saharonim sono transitati migliaia di immigrati irregolari tra cui moltissimi bambini al di sotto dei 10 anni. A seguito di numerose inchieste condotte in particolare dal noto quotidiano israeliano Ynet, che denunciavano le terribili condizioni in cui erano detenuti i richiedenti asilo, e dopo un’imponente sciopero della fame avviato dai migranti detenuti, la Suprema Corte Israeliana ha dichiarato la detenzione nella suddetta prigione come “incostituzionale”. Il governo israeliano ha risposto approvando una legge modificata per ridurre il periodo di detenzione a un anno e proporre la detenzione indefinita in centri di detenzione “aperti” senza revisione giudiziaria. 
Questa decisione ha senza dubbio reso più umano il trattamento riservato ai migranti africani, ma ha nello stesso tempo diminuito la capacità dello stato di sorvegliare e controllare i richiedenti asilo. Soprattutto nell’area metropolitana di Tel Aviv, e nelle periferie delle grandi città israeliane si sono quindi venuti a creare dei veri e propri ghetti che hanno spesso portato allo scontro i cittadini israeliani con i nuovi arrivati stranieri. Un film già visto in molti Stati europei, una guerra tra poveri che getta nel caos le periferie. Per evitare una banlieue in salsa kosher Netanyahu ha deciso quindi di chiudere definitivamente la questione.
Il 3 gennaio, nel corso di una conferenza stampa, il premier dello stato ebraico ha illustrato brevemente il piano d’azione del governo: “Ogni Paese deve difendere i propri confini. Custodire le frontiere contro l’infiltrazione illegale è sia un diritto che un obbligo fondamentale di uno stato sovrano”. Dopo i soddisfacenti risultati ottenuti dalla costruzione della barriera al confine con l’Egitto, “la seconda missione del governo è quella di deportare gli immigrati irregolari”. Israele offre un volo pagato dallo Stato verso i Paesi d’origine (o verso un Paese terzo) e 3.500 dollari a tutti i richiedenti asilo che accettano l’uscita volontaria. “Gli immigrati devono fare una scelta” ha continuato Netanyahu durante la conferenza stampa: “O cooperano con noi e se ne vanno volontariamente, rispettosamente, umanamente e legalmente, o dovremo usare altri strumenti a nostra disposizione, strumenti che sono anche legittimi. Spero per loro che sceglieranno di collaborare con noi”. Chiunque non sarà disposto a partire volontariamente dovrà affrontare il carcere e i datori di lavoro israeliani che fanno lavorare illegalmente lavoratori stranieri dovranno subire pesanti sanzioni a livello economico.
Per riuscire a rintracciare tutti i migranti che in questi anni si sono sparpagliati sul territorio israeliano, il governo ha pensato ad un incremento del personale e dei funzionari statali addetti a quella che a tutti gli effetti è diventata una “caccia al migrante”. Giovedì 11 gennaio 2018 il Ministero dell’Interno israeliano ha pubblicato sul proprio sito un bando per l’assunzione di 140 nuovi ispettori suddivisi in tre differenti aree: settanta ispettori dell’immigrazione per svolgere compiti di controllo contro gli stranieri clandestini; trenta ispettori dell’immigrazione per svolgere compiti come parte dell’attuazione del sistema di “uscita volontaria” e quaranta dipendenti per l’unità RSD (Refugee Status Determination) che esaminerà le domande di asilo. La durata del lavoro sarà di 12 o 24 mesi a seconda delle aree di competenza. Sul volantino ben visibile nella homepage del sito del ministero si legge anche a quanto dovrebbe ammontare la paga. Il nuovo riceverà un “pagamento appropriato” insieme a ingenti bonus fino a un massimo di 30mila shekel (circa 7mila euro).
Accedendo al sito del ministero nella sezione “lavori volontari”  è possibile leggere anche le mansioni che si andranno a svolgere, i requisiti richiesti, le esperienze lavorative pregresse e tutte quelle abilità in possesso del candidato definite “desiderabili”. I settanta ispettori all’immigrazione e i trenta responsabili dell’attuazione del sistema di “uscita volontaria” dovranno “svolgere compiti di esecuzione di ordini nei confronti degli stranieri e i dei loro datori di lavoro illegali, comprese attività sul campo e attività d’ufficio; individuazione, detenzione e scorta di immigrati clandestini, indagini e raccolta di informazioni”.
Le unità RSD avranno compiti più burocratici, dovranno infatti: “Condurre interrogazioni e indagini approfondite sui richiedenti asilo in Israele; ricevere richieste di asilo politico ed esaminare la veridicità delle affermazioni e la rilevanza della domanda in virtù dei principi stabiliti dalla Convenzione sui rifugiati. Dovranno infine accertarsi del reale pericolo di vita del richiedente asilo qualora questi tornasse nel paese d’origine”.
Tutti compiti questi, che solitamente vengono svolti da appartenenti forze dell’ordine o da funzionari amministrativi formati precisamente per questo tipo di impiego burocratico. Nel caso di Israele invece, qualunque normale cittadino in possesso di una laurea breve (così è indicato dal Ministero) potrà svolgere questi delicati accertamenti. Un normale cittadino, dopo sole due settimane di formazione potrà dare il via a delle indagini non meglio specificate e si occuperà perfino di rintracciare e scortare i rifugiati. Per questo una delle abilità richieste è una “preferibile esperienza in tecniche di combattimento”.
In molti hanno storto il naso davanti a questa decisione israeliana sottolineando come il rischio sia quello di una vera caccia alle streghe. Episodi di violenza contro gli immigrati non sono una novità in Israele e il rischio è che questa nuova decisione del governo possa aumentare il livello di xenofobia nel Paese. La campagna di Israele contro i richiedenti asilo preoccupa anche l’agenzia per rifugiati dell’Onu, che ieri ha fatto appello alle autorità israeliane perché abbandonino il progetto. “In un momento in cui l’Unhcr e le agenzie partner sono impegnati in evacuazioni di emergenza dalla Libia – afferma la dichiarazione – il ricollocamento forzato in Paesi che non garantiscono un’effettiva protezione e i successivi spostamenti di queste persone verso la Libia e l’Europa sono particolarmente preoccupanti”. Molti di coloro che sono usciti volontariamente da Israele non vengono accolti dai Paesi terzi come loro promesso e non ricevono nessun tipo di aiuto, per questo riprendono il cammino verso l’Europa attraversando il deserto, la Libia e il mar Mediterraneo.
Israele ha voluto subito rassicurare l’Onu dichiarando attraverso Yossi Eldestein ( a capo dell’amministrazione delle forze armate e degli affari esteri) che lo Stato ebraico e i nuovi ispettori che verranno assunti serviranno proprio a “mantenere i contatti con le persone che lasciano Israele per garantire loro benessere e una vita migliore”. “Gli ispettori”, ha detto Eldestein al giornale Ynet, “sono responsabili del controllo del comportamento dei Paesi terzi verso i rifugiati, rimaniamo in contatto con loro e ci assicuriamo che ottengano tutto ciò di cui hanno bisogno”.

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