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sabato 24 febbraio 2018

Esiste una storia dimenticata

 



SONO I CRISTIANI I PIÙ PERSEGUITATI NEL MONDO. A ORIENTE E IN OCCIDENTE. STASERA IL COLOSSEO È ROSSO DEL LORO SANGUE.

 Oggi, questa sera, Il Colosseo si colora di rosso per ricordare il martirio dei cristiani nel mondo; non quello di secoli fa, ma quello di oggi. Come scriveva il Rapporto di Aiuto alla Chiesa che soffre, sintetizzato dal Servizio Informazione Religiosa:
La persecuzione dei cristiani è più grave oggi che il qualsiasi altro periodo storico.
Non soltanto, infatti, i cristiani sono più perseguitati di qualsiasi altro gruppo religioso, ma un numero crescente di loro sta sperimentando le peggiori forme di persecuzione. Conseguenze dirette di questa grave condizione sono “l’esodo, la destabilizzazione e la perdita di speranza”.  In Siria i cristiani sono passati da 1,2 milioni a 500mila in cinque anni, nella sola città di Aleppo il numero è sceso di oltre il 75%, da 150mila a 35mila. In Iraq, si legge nel Rapporto, i cristiani lamentano una diminuzione da 275mila (metà 2015) a meno di 200mila di due anni dopo. “Non è da escludersi una possibile estinzione dei cristiani iracheni entro il 2020”

Se questa riduzione continuasse con lo stesso ritmo. Considerati nel loro insieme, i fatti accaduti in Siria e in Iraq mostrano come i cristiani locali siano stati vittime da parte dell’Isis di un genocidio, così come definito dalla Convenzione per la prevenzione e la repressione del delitto di genocidio adottata dalle Nazioni Unite. Lo stesso è accaduto in Nord Nigeria dove Boko Haram, affiliato allo Stato islamico ha messo in atto una campagna di violenze per assicurare che i fedeli non siano in grado di rimanere.
L’incapacità dei governi, denuncia il Rapporto, di intraprendere le azioni necessarie a fermare il genocidio e assicurarne i perpetratori alla giustizia – così come indicato dalla Convenzione sul genocidio – ha rappresentato un significativo passo indietro per i cristiani sofferenti.
 I risultati principali. Il Rapporto mostra che in Arabia Saudita “il Cristianesimo è illegale. Lo Stato sostiene di tollerare il culto privato dei non musulmani, ma le conversioni dall’Islam sono punite con la pena di morte”; in Cina“nuove norme hanno portato ad un maggior numero di chiese distrutte e croci rimosse. Le Chiese domestiche sono sotto crescente pressione affinché si conformino all’ideologia comunista o si sciolgano”; in Corea del Nord “i cristiani arrestati, considerati spie degli Usa, sono inviati automaticamente nei campi di internamento dove vengono uccisi o subiscono lavori forzati, torture, persecuzione, privazione di cibo, stupri, aborti forzati e violenze sessuali”; in Egitto “più di 100 cristiani sono morti in tre attentati a Tanta, Alessandria e Minya. Vi sono inoltre continui casi di copti uccisi da estremisti”; in Eritrea “misure ancor più repressive nei confronti dei cristiani, carcere per quanti si oppongono al crescente controllo governativo dei gruppi religiosi”; in India “drastico aumento degli attacchi anticristiani in seguito alle elezioni del marzo 2017. Nei primi mesi di quest’anno sono stati riportati 316 atti commessi ai danni dei cristiani”; in Iran “la Chiesa ha subito confische di terreni, rifiuti di visti e forme di sorveglianza e intimidazione”; in Iraq lo “Stato islamico ha cercato di eliminare il Cristianesimo nelle aree sotto il proprio controllo, facendo anche ricorso alla distruzione delle chiese e alle conversioni forzate”; in Nigeria“oltre all’azione di Boko Haram, un numero crescente di attacchi da parte dei pastori fulani ha devastato villaggi cristiani e ucciso molti fedeli. Rapporti della Chiesa locale indicano prove della complicità di governo locale ed esercito nella fornitura di armi e denaro agli estremisti”;
in Pakistan “la discriminazione ordinaria ai danni dei cristiani è in aumento, nelle scuole (i libri di testo incitano all’odio verso le minoranze), sul posto di lavoro (molti cristiani svolgono le mansioni più umili) e in ambito giudiziario”. In Siria “sono emersi racconti agghiaccianti di atrocità genocidarie commesse da Isis tra il 2015-2017. Un numero sproporzionato di fedeli ha lasciato il Paese, fino a metà della popolazione cristiana”. In Sudan“la persecuzione ai danni dei cristiani è aumentata, le leggi di pianificazione edilizia sono utilizzate come pretesto per distruggere le chiese e gli edifici di proprietà dei cristiani, nel tentativo di schiacciare il Cristianesimo” e, infine, in Turchia dove “tra gli edifici confiscati dallo Stato anche 50 proprietà della Chiesa siro-ortodossa. Presenti indicazioni di una continua intolleranza che si concretizza anche nell’islamizzazione di storici siti cristiani, come ad esempio l’Hagia Sophia”.

Aggiungiamo che mentre i mass media si occupano ampiamente dei morti del quartiere di Al Ghouta, in mano a terroristi islamici, fatti passare per “ribelli moderati” appoggiati dall’Occidente e da Israele, si dimentica di dire che da quel quartiere si bombardano quotidianamente i quartieri cristiani di Damasco, all’ora dell’uscita dalle scuole, per cercare di fare quante più vittime possibili fra genitori e bambini.
Per non tacere poi della persecuzione silenziosa e della discriminazione che in Occidente – e anche in Italia – basta vedere gli ostacoli frapposti al Bus della Libertà a Reggio Calabria e a Torino – in atto verso chi difende valori cristiani, o si batte contro l’ideologia Gender portata avanti dal governo e dal partito di governo, senza una risposta forte da parte della Chiesa italiana.
Vi invitiamo a vedere questo video preparato da ACS.


Marco Tosatti
http://www.marcotosatti.com/2018/02/24/sono-i-cristiani-i-piu-perseguitati-nel-mondo-a-oriente-e-in-occidente-stasera-il-colosseo-e-rosso-del-loro-sangue/ 
Ghouta orientale, così i ribelli 
stanno massacrando i cristiani
Esiste una storia dimenticata. Una storia che in questi giorni i quotidiani non stanno raccontando: il bombardamento  diDamasco da parte dei ribelli della Ghouta orientale. Da più di due settimane, infatti, i jihadisti di Faylaq al Rahman, Tahrir al Sham e Jaysh al Islam stanno bombardando la capitale siriana, lasciando a terra parecchi morti, tra cui anche molti bambini. Su Twitter i jihadisti hanno diffuso anche alcune immagini dei missili che hanno lanciato contro la città.
                                    L’immagine del missile diffusa dai ribelli su Twitter
Rana, che vive in centro a Damasco, ci racconta: “I missili dei ribelli ci colpiscono da ogni direzione. È dal 2012 che ci bombardano e noi non abbiamo altra scelta se non quella di rimanere. Dove potremmo andare? Il nostro lavoro, le nostre case e la nostra terra sono qui. Non lasceremo mai le nostre terre ai terroristi”. Molti pensano che la guerra stia per finire, che dopo la battaglia nella Ghouta orientale i ribelli verranno spazzati via, ma per Rana tutto questo sarà possibile solamente quando “gli Stati stranieri, come gli Usa, smetteranno di aiutare i terroristi”.
Youssef ha da poco perso tre amici. I ribelli li hanno centrati con un colpo di mortaio: “La maggior parte delle persone qui è abbastanza coraggiosa – ci dice – da continuare a sorridere. Oggi, nonostante la morte di tre amici, sono riuscito a ridere tre volte. Questo accade perché la vita non si può fermare”. E poi continua: “Quelli che stanno soffrendo di più oggi sono i cittadini siriani, da qualunque parte si trovino. Ed è per questo che bisogna porre fine a questa folle guerra”.

 Il racconto dei cristiani

Ma è padre Amer Kasser a mettere in guardia l’Occidente: “Solamente ieri ci sono stati 13 morti e 75 feriti a Damasco. Nella Ghouta orientale ci sono tanti gruppi jihadisti. Tutti i media parlano di ciò che succede lì e nessuno di ciò che sta accadendo qui. A colpirci sono quelli che voi chiamate ribelli e che pensate siano angeli venuti dal cielo. Per i vostri media è solo il regime ad uccidere i civili. Le nostre zone, quelle cristiane, si trovano in prima linea e i colpi dei mortai jihadisti colpiscono le nostre chiese. Poche settimane fa una ragazza di 15 anni è stata uccisa mentre usciva da scuola e una sua amica ha perso una gamba”.
Suor Yola, delle missionarie del Cuore Immacolato di Maria di Damasco, ci spiega: “Non abbiamo dormito tutta la notte. Dalle 2 alle 5 ci sono state continue esplosioni. Circa un mese fa era tutto tranquillo, sembrava quasi che la guerra fosse finita. Tranne che a Bab Touma, dove comunque continuavano a piovere missili. Dopo l’arrivo dell’esercito i lanci dei missili sono però aumentati. I missili ci terrorizzano perché provocano enormi esplosioni”. Una settimana fa, la situazione è però peggiorata: “I ribelli hanno infatti colpito Jaramana provocando molti morti”.
A Bab Touma è stato colpito anche Lias, di otto anni. I suoi genitori hanno lottato per anni prima di averlo, poi però i missili dei ribelli lo hanno portato via con un colpo di mortaio. “Ora Bab Touma è il posto più pericoloso. Due settimane fa dovevo andare lì e sono partita molto presto per cercare di evitare i missili. Sono stata fortunata: poco dopo la mia partenza i ribelli hanno lanciato 11 missili. Era un vero e proprio incubo”.

Don Munir, sacerdote salesiano di Damasco, ci racconta: “Nelle ultime due settimane sono aumentati i missili provenienti dalla Ghouta orientale. Cercano di colpirci negli orari in cui i ragazzi escono da scuola e in cui le persone vanno al lavoro per fare più morti possibili. La città è paralizzata. E questo è il loro obiettivo: rendere tutto triste”.

Ma il prete è chiaro: “L’esercito deve liberare la Ghouta perché non è la prima volta che i ribelli ci costringono a fermare ogni attività in città. Quante volte i ribelli hanno provato ad entrare a Damasco? È dovere del governo siriano, come ha spiegato il rappresentante all’Onu Bashar Jaafari, fermare gli islamisti: ‘Se avete un parco nel centro di Parigi che è pieno di jihadisti, cosa fai?’ Tutti parlano dei 400mila civili della Ghouta, ma nessuno parla degli 8 milioni di cittadini a Damasco. L’esercito deve difendere i nostri figli”.
Mentre stiamo finendo la conversazione, don Munir ci ricorda: “Molto di quello che è stato raccontato sulla Siria in questi anni è stato manipolato. Perché nessuno ci chiede cosa sta accadendo qui? Vi prego, raccontate solamente ciò che stiamo vivendo da sette anni a questa parte”.

 MATTEO CARNIELETTO GIAN MICALESSIN

“Vi prego, raccontate la verità: i terroristi occupano la Ghouta”

“Vi prego, raccontate la verità:  i terroristi occupano la Ghouta”

“Bisogna raccontare tutta la verità. Ghouta è un’area di 1800 chilometri quadrati, occupata dai terroristi fin dall’inizio della guerra. In questi sette anni, i razzi da loro lanciati hanno provocato più di mille morti tra i civili nella sola Damasco"


di Fulvio Scaglione - Gli Occhi della Guerra
 
Ci sono momenti in cui anche una raffica di kalashnikov sembra nulla. Quella che risuona nel telefono, mentre sono in linea con Damasco e parlo con suor Yola Girges, è la sparatoria rituale che accompagna il funerale di un soldato siriano morto nella battaglia per Ghouta, il sobborgo ancora controllato dai terroristi islamisti. Suor Yola, nata a Damasco in una famiglia originaria però di Ghassanieh (provincia di Idlib), un villaggio cristiano del Nord dove nel 2013 fu ucciso il francescano padre Francois Mourad e dove tuttora sono insediati i terroristi di Al Nusra, è una delle missionarie del Cuore Immacolato di Maria che lavorano nella casa della Custodia di Terra Santa presso il Memoriale delle Conversione di San Paolo, nella capitale siriana. Siamo nei quartieri di Tabbaleh, Bab Touma e Dawaleh, dove si concentrano i cristiani. E come molti altri cristiani e religiosi di Siria, anche suor Yola è indignata per il modo in cui la guerra viene raccontata in Europa.

“Oggi, nel quartiere Taramana, si svolgono i funerali di dodici civili ammazzati dai missili sparati dai ribelli di Ghouta. Due settimane fa un colpo di mortaio è esploso nel giardino della nostra casa. Qualche giorno fa un altro razzo ha colpito un edificio sull’altro lato della strada e tutte le nostre finestre sono esplose. Da settimane, ormai, quando usciamo di casa non sappiamo se faremo ritorno. In questo periodo, inoltre, i terroristi hanno cominciato a colpire proprio quando nelle scuole finiscono le lezioni, per creare ancora più panico. Solo nel nostro asilo, l’anno scorso abbiamo perso quattro bambini, uccisi da un mortaio insieme con il loro papà, e nel 2012 una bambina, ammazzata da un missile per strada insieme con la mamma, che era una nostra catechista. Per non contare i bambini feriti o traumatizzati Eppure nessuno ne parla, nessuno dice niente. Chi si occupa dei nostri morti?”.

Adesso tutta l’attenzione è concentrata su Ghouta e le organizzazioni umanitarie parlano di molti morti tra i civili…

“Bisogna raccontare tutta la verità. Ghouta è un’area di 1800 chilometri quadrati, occupata dai terroristi fin dall’inizio della guerra. In questi sette anni, i razzi da loro lanciati hanno provocato più di mille morti tra i civili nella sola Damasco. Per quanto tempo ancora si poteva sopportare tutto questo? Inoltre, tutti sanno che i militanti dell’Isis e di Al Nusra che si sono concentrati a Ghouta hanno portato con sé le famiglie, che ora usano come scudi umani.

Sia per fermare gli attacchi dell’esercito sia per destare la reazione compassionevole del mondo. Nessuno vuole che muoiano dei civili, da nessuna parte. Ma il meccanismo è chiaro”.

La Casa della Custodia di Terra Santa presso il Memoriale di San Paolo è stata testimone fedele, in questi anni, del martirio della Siria. Fondata come casa di accoglienza per i pellegrini, con l’arrivo della guerra si è messa a disposizione di chi più soffriva.

“All’inizio”, spiega suor Yola, “abbiamo accolto 30 famiglie di rifugiati da Homs, dove c’era un quartiere con 75 mila cristiani. Passata quella fase, ci siamo messi a disposizione dei malati, soprattutto quelli di tumore, che dalle più diverse zone della Siria, a causa della guerra, potevano seguire le terapie solo a Damasco. Infine, abbiamo dato alloggio alle famiglie, e purtroppo sono state tante, che avevano deciso di emigrare e dovevano fermarsi qui nella capitale per ottenere i visti. Alcune di quelle famiglie, purtroppo, sono state inghiottite dal Mediterraneo”.

Negli ultimi anni, comunque, la Casa ha cercato di provvedere ai bisogni dei più deboli e indifesi, i bambini. “Abbiamo un asilo con 150 bambini”, racconta suor Yola, “in maggioranza di famiglie povere o rifugiate a Damasco da zone occupate dai terroristi o investite dai combattimenti. Poi abbiamo un centro catechistico che segue 400 bambini e ragazzi, da quelli delle scuole elementari agli universitari. L’anno scorso, poi, abbiamo avviato un’attività di sostegno psicologico ai bambini traumatizzati dalla guerra che quest’anno, su sollecitazione degli stessi genitori, abbiamo allargato e approfondito. Lavoriamo con bambini fino ai 13 anni e con l’aiuto di dodici volontari, studenti universitari che abbiamo preparato con appositi corsi tenuti da specialisti. Infine, due mesi fa, abbiamo varato anche dei corsi di educazione musicale, anche per dare ai giovanissimi un’alternativa rispetto alle interminabili giornate passate in casa perché è troppo pericoloso giocare fuori. Si sono iscritti in cinquanta ma siamo sicuri che il numero crescerà”.

Adesso, però, le attività della Casa, come quelle di tutte le altre Chiese cristiane rappresentate a Damasco, sono bloccate. Piovono missili e, come dice suor Yola, “non potevamo chiedere ai genitori di rischiare la vita dei figli per portarli qua”. È la Siria, da troppi anni in guerra.


I non detti di Ghouta


La meccanica della disinformazione continua. Ecco come.
Tutto ciò che accade in queste ore nella periferia di Damasco, di preciso a Ghouta, è filtrato da una sconcertante quanto irresponsabile narrativa. In Siria c’è la guerra da oltre sette anni eppure i grandi e autorevoli mezzi d’informazione sembrano accorgersene solo ora perché gli ingredienti per la mistificazione della realtà non mancano affatto.
La meccanica comunicativa è più o meno sempre la stessa: una produzione di notizie scollegate fra loro e confezionate dentro un frame, cioè la cornice giornalistica da cui è impossibile sfuggire, in questo caso “la mattanza di Ghouta perpetuata dall’aviazione del governo siriano”. Seguono immagini  scioccanti – in larga parte riportate dai “White Helmets”, il braccio umanitario e mediatico dei gruppi terroristici- che mostrano le tragiche conseguenze “dell’offensiva”, intere abitazioni rase al suolo, cadaveri sulla strada, donne in lacrime, ambulanze, soccorritori che in cerca di cadaveri tra le macerie. Le riprese sono di qualità, il logo con l’elmetto bianco appare di continuo, le fotografie vengono scattate con cura. Nell’album emerge un’istantanea che diventa il simbolo di un assedio: una bambina col pigiama rosa – la scelta del pigiama non è casuale e richiama di riflesso i campi di concentramento nazista – che viene tratta in salva da casa sua. Esattamente come ad Aleppo, quando il piccolo Omran Daqneesh fu immortalato coperto di sangue e polvere nell’ambulanza, peccato che poco tempo dopo il padre svelò la tecnica dei White Helmets i quali presero il bambino ancora sporco e scosso dai bombardamenti e lo gettarono in mondovisione sul loro profilo Twitter certi che le agenzie occidentali lo avrebbero alzato come trofeo. Alla sequenza di immagini trasmesse a ripetizione – peraltro sempre le stesse – seguono i dati. 
A contare i morti ci pensa il generatore di notizie diretto da un solo uomo che vive in Inghilterra: l’Osservatorio Siriano dei Diritti Umani. Ad accodarsi a questo macabro spettacolo del dolore sono le organizzazioni non governative occidentali – UnicefSave The ChildrenMédecins Sans Frontières–  che mentre mettono in primo piano i cadaveri putrefatti di donne e bambini raccolgono donazioni – tramite squallidi banner pubblicitari – dai lettori distratti e travolti da un flusso ininterrotto di lacrime.  Nessuno vuole negare le conseguenze immonde della guerra, il problema, ancora una volta, sono i non detti dell’offensiva di Ghouta.  Chi vive nel sobborgo di Damasco? Chi sono questi ribelli (che se ci fate caso non vengono più nemmeno definiti “moderati”)? Come agiscono? E come fa un’enclave, senza sbocchi autostradali, a fornirsi di armi e munizioni?
di Sebastiano Caputo

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