Che cos'è la libertà religiosa? due sono gli errori teologici del Concilio Vaticano II: la pretesa di poter approfondire e quindi meglio comprendere il senso della Rivelazione e la scelta del disarmo unilaterale verso i nemici
di Francesco Lamendola
Due, a nostro avviso, sono gli errori teologici di fondo del Concilio Vaticano II, le cui velenose conseguenze stanno giungendo a maturazione nella neochiesa dei nostri giorni: la pretesa di poter "approfondire" e quindi "meglio comprendere" il senso della Rivelazione cristiana, e la scelta del disarmo unilaterale verso i nemici - perché di nemici si trattava e si tratta, alla faccia del politicamente corretto -, sia esterni sia, ancor di più, interni, vale a dire gli eretici (una parola tabù, caduta completamente in disuso). Entrambi gli errori, che sono le due facce di un unico errore, cioè il modernismo, hanno in sé i germi delle due malattie che stanno distruggendo il cattolicesimo: il soggettivismo della coscienza rispetto alla oggettività della dottrina, e un sedicente "dialogo" con l'altro che si risolve, in ultima analisi, e dietro la maschera della "tolleranza" (tipico atteggiamento volterriano, cioè illuminista, cioè dichiaratamente anticristiano) in agnosticismo e indifferentismo di fronte alla Verità. Entrambi gli errori erano più che prevedibili, erano perfino annunciati, dal momento che entrambi erano già contenuti, in nuce, nel discorso di apertura del Concilio, tenuto da Giovanni XXIII l'11 ottobre 1962. Infatti, dopo un'aspra rampogna (4, 2) contro i profeti di sventura, e una vera e propria dichiarazione di fede nello storicismo, poiché i profeti di sventura non imparano nulla dalla storia, che è maestra di vita (ma quando mai?), si passa a una dichiarazione di fede nel progresso, definendo il momento presente particolarmente fausto e propizio per lo svolgimento del Concilio: il che equivale a inscrivere immediatamente un grande papa, come Pio XII, fra i detti profeti di sventura, dato che anche lui aveva pensato alla eventualità di convocarlo, ma vi aveva rinunciato, ben sapendo quanto il momento fosse, invece, pericolosissimo, proprio per l'infiltrazione massonica nei livelli più alti della Chiesa. E dopo lo storicismo e il progressismo, l'affondo, molto ben dissimulato dietro una cortina fumogena di belle parole: il Concilio non viene convocato per motivi dottrinali, ma solo pastorali; nulla vi è da discutere quanto alla dottrina, ma solo da renderla più comprensibile ai "tempi nuovi" (6, 5):
occorre che la stessa dottrina sia esaminata più largamente e più a fondo e gli animi ne siano più pienamente imbevuti e informati, come auspicano ardentemente tutti i sinceri fautori della verità cristiana, cattolica, apostolica; occorre che questa dottrina certa ed immutabile, alla quale si deve prestare un assenso fedele, sia approfondita ed esposta secondo quanto è richiesto dai nostri tempi. Altro è infatti il deposito della Fede, cioè le verità che sono contenute nella nostra veneranda dottrina, altro è il modo con il quale esse sono annunziate, sempre però nello stesso senso e nella stessa accezione. Va data grande importanza a questo metodo e, se è necessario, applicato con pazienza; si dovrà cioè adottare quella forma di esposizione che più corrisponda al magistero, la cui indole è prevalentemente pastorale.
Insomma: da un lato si rassicura che che nulla verrà minimamente modificato di ciò che pertiene al Deposito della fede; dall'altro, si introduce l'ambiguo concetto del modo di annunziare le verità della fede, che può e deve cambiare col mutare dei tempi (secondo quanto è richiesto dai nostri tempi), e che, in particolare, deve tener conto delle esigenze, delle aspettative, della particolare psicologia e sensibilità dell'uomo moderno (come se il Vangelo non fosse rivolto agli uomini di tutti i tempi e indipendentemente dal tempo). In pratica, il secondo concetto neutralizza e fagocita il primo. E così, pian pianino, un passetto dopo l'altro, ci si accinge a mutare la dottrina, facendo sembrare che a cambiare sia solo il modo di annunciarla.
Ancora più sconcertante l'annunzio che è finito il tempo in cui la Chiesa combatteva l'eresia; tanto più stupefacente, in quanto si ammette che il temo delle eresie non è finito per niente, anzi, essa è più viva che mai, in molteplici forme (7,2):
Non c’è nessun tempo in cui la Chiesa non si sia opposta a questi errori; spesso li ha anche condannati, e talvolta con la massima severità. Quanto al tempo presente, la Sposa di Cristo preferisce usare la medicina della misericordia invece di imbracciare le armi del rigore; pensa che si debba andare incontro alle necessità odierne, esponendo più chiaramente il valore del suo insegnamento piuttosto che condannando. Non perché manchino dottrine false, opinioni, pericoli da cui premunirsi e da avversare; ma perché tutte quante contrastano così apertamente con i retti principi dell’onestà, ed hanno prodotto frutti così letali che oggi gli uomini sembrano cominciare spontaneamente a riprovarle, soprattutto quelle forme di esistenza che ignorano Dio e le sue leggi, riponendo troppa fiducia nel progressi della tecnica, fondando il benessere unicamente sulle comodità della vita.
La cosa più incredibile, di questo bislacco ragionamento - il pericolo dell'errore c'è, eccome; però non vale la pena di combatterlo e condannarlo, basta usare la misericordia - è la sua giustificazione: ossia che oggi gli uomini sembrano cominciare spontaneamente a riprovare quelle dottrine le quali contrastano così apertamente con i retti principi dell’onestà. Spontaneamente? Vale dire, in base a una visione laica e agnostica, e non a una visione spirituale e religiosa, non in base alla visione cristiana della vita. A parte la temerarietà di questa asserzione, che a noi pare del tutto infondata proprio sul piano del giudizio storico (nonostante l'asserita necessità di imparare ciò che la storia insegna), è proprio la consequenzialità logica che viene meno: si ammette che le dottrine erronee esistono, ma non si chiarisce se si sta parlando della dottrina cattolica o delle varie "dottrine" umanitarie; e si conclude che il pericolo non è poi tanto grave e che si può affrontarle con le armi della misericordia invece che quelle del rigore: si dà torto a millenovecento anni di Magistero e di prassi della Chiesa cattolica e si proclama che, d'ora in poi, la Chiesa non vuol più opporsi all'errore, ma fronteggiarlo con una non meglio definita misericordia". Ma una misericordia che accetta l'errore come un dato di fatto, come una realtà con la quale si deve "dialogare", e, fondamentalmente, accettare, non è la misericordia cristiana: non è la misericordia di Gesù Cristo, attestata dai Vangeli. Gesù Cristo era misericordioso con i peccatori pentiti, non già con la diffusione dell'errore; al contrario: aveva parole di fuoco contro i seminatori di scandali, augurando loro di legarsi una pietra al collo e di gettarsi nel mare. In queste parole di Giovanni XXIII sono già presenti le deviazioni e le deformazioni della neochiesa odierna: un falso concetto della libertà, un falso concetto del dialogo, un falso concetto della misericordia; e, cosa più grave di tutte, un falso concetto dell'amore. Il vero amore del prossimo non è lasciare che costui perseveri nell'errore; il vero amore è cercare di portarlo verso la Verità, per il suo bene e nel suo interesse, anche a costo di farsene un implacabile nemico.
Ma la neochiesa non la vede così. Per la neochiesa, figlia del Concilio e in particolare della Nostra aetate e della Dignitatis humanae, le altre religioni e le altre verità meritano lo stesso rispetto dovuto al Vangelo, per cui non se ne parla nemmeno di mettere in pratica le parole di Gesù Cristo: Andate in tutto il mondo e predicate il Vangelo; nossignori, quel che il cristiano “maturo” e “moderno” deve fare, è rispettare tutte le fedi e accettare tutte le altre verità (relativismo), perché, come ha detto Bergoglio senza mezzi termini (intervista a Scalfari), il proselitismo è una solenne sciocchezza. Stesso discorso per gli errori interni alla religione cattolica: non è il caso di parlare di eresie, si tratta solo di “errori”, e la sola risposta verso di essi è un atteggiamento misericordioso; perché la verità è che i cattolici progressisti, compreso Giovanni XXIII, si vergognavano e si vergognano più che mai del passato della Chiesa, un passato nel quale gli eretici venivano combattuti apertamente e l’eresia veniva considerata, anzi, in maniera ancor più severa dei nemici esterni, perché era considerata l’equivalente di un inquinamento deliberato della Verità: come se dei malintenzionati avvelenassero l’acqua dei pozzi in mezzo al deserto, condannando alla morte tutti i viaggiatori che si trovino in cammino entro un ampio raggio attorno a quell’unica oasi. E, se si vuole andare alla radice di questo nuovo orientamento, che emerge dal discorso dell’11 ottobre 1962, si rifletta su queste parole di Karol Wojtyla, rilasciate al giornalista Vittorio Messori, a trent’anni di distanza dal Concilio (da: Giovanni Paolo II, Varcare la soglia della speranza, Milano, Arnoldo Mondadori Editore, 1994, pp.171-17; le parole evidenziate sono nel testo):
Che cos'è la libertà religiosa?
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