Ho ricevuto questa lettera firmata.
“Ha visto questo?
http://notizie.libero.it/?ch=notizie&guid=fdcc63de61fc7acf2534732bbc51f407&ref=libero
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Contestato il parroco che ha chiesto di pregare anche per il padre che ha commesso questa orribile strage. Che dire? Oramai il popolo pretende che i parroci ragionino secondo la giustizia del mondo (nessuna pietà e nessuna speranza eterna per chi si è macchiato di tale crimine) invece di preoccuparsi di recuperare e salvare l’anima di chi ha sbagliato e la cui salvezza eterna al momento è pregiudicata.
Dispiace che l’ignoranza abbia la meglio, Era chiaro che non si trattasse altro che di una preghiera di conversione affinché l’omicida si possa rendere conto dell’atrocità che ha commesso e poter così intraprendere un percorso di pentimento sincero e, come tale, sofferto. Ma questa è la situazione di oggi”.
No, caro amico e lettore, stavolta non sono d’accordo. La vita è una cosa seria, la morte anche di più. Non molto tempo fa la Chiesa negava ai suicidi la sepoltura in terra consacrata: segnale tremendo ma pedagogia necessaria. Non erano ancora i tempi del “chi sono io per giudicare”, e la sapienza cristiana sapeva che il suicida si è escluso volontariamente dalla possibilità stessa di misericordia e perdono nel Giudizio, con un atto di superbia suprema buttato in faccia al Dio che è Amore.
“Di là” non c’è il buonismo: c’è la Verità, ossia la Giustizia; c’è l’Amore assoluto che è assoluta esigenza, c’è la Maestà. Là è finito il tempo della “prova” in cui il pentimento è possibile, e c’è il Giudizio della Maestà. Offesa.
Quanto l’abbia offesa questo individuo che non voglio nemmeno nominare, è spaventosamente evidente. Ha ucciso le sue stesse bambine, tradendo non solo gli obblighi assoluti che un adulto ha verso innocenti, ma persino gli affetti più naturali. Il tradimento della sua funzione di agente dell’ordine, non è nemmeno il caso di ricordarlo, sparisce ai nostri occhi di fronte ai due infanticidi delle sue stesse figlie: ma anche questo nel Giudizio, viene pesato.
In più, ha trattato per ore, asserragliato, creando false speranze che le avrebbe alla fine lasciate vive: invece le aveva già uccise. Fin dal principio. Aveva premeditato tutto. Anche il proprio suicidio: quelle ultime ore della sua vita, in cui poteva ancora arrendersi e affrontare la pena della giustizia umana, quindi la salita verso l’espiazione e il perdono, le ha sprecate in questa menzogna e finzione. Un atto di suprema, esiziale superbia: ha sputato in faccia alla Carità e alla Verità. Adesso se le vede con la Giustizia.
Ma ha anche sputato in faccia alla comunità della sua cittadina, e questo rende profondamente giusto lo sdegno della gente in quella chiesa. E’ questa una tragedia nel senso vero, greco, precristiano del termine: e allora la folla in chiesa diventa il coro tragico sulla scena di tremila anni fa, il coro che piange sugli innocenti, che esprime cantando il suo orrore per il Fato indecifrabile ed il Male nella forma irrazionale, incomprensibile – che “non si può” perdonare.
Pregare per questo? Non sia mai, ha detto il coro con sacro orrore. Un coro antichissimo poté piangere ancora su Edipo, pur dopo averne conosciuto l’oscena dissacrazione, uccidere il padre e andare a letto con la madre, perché non sapeva, era una vittima del Fato, sulla cui innocenza non si poteva giurare (perché nel Fato agisce una incoercibile giustizia) – ma nemmeno escludere.
Ma qui? Noi no, come comunità, non chiederemo perdono per questo che era dei nostri e ci ha collettivamente oltraggiato, incurante del nostro sdegno e del nostro dolore ci ha esibito oscenamente il suo odio e rifiuto della natura umana, ci ha fatto l’oltraggio che una comunità storica non può capire ed accettare, uccidere il proprio sangue. E tutto con volontà deliberata.
Gesù non ha chiesto di pregare per Giuda.
Se credete che parli di epoche “di prima”, di epoche che non conoscevano misericordia e perdono, ricordate una cosa: Cristo non ha chiesto di pregare per Giuda. Ha solo detto: sarebbe stato meglio per quest’uomo non essere mai nato. Una frase che innumerevoli volte un coro geco pronunciò, misurando la vertigine di una libertà umana che si perde per sua volontà. Dato Colui che l’ha detta, una pietra tombale di sepoltura in un inferno tanto profondo, da non poter essere immaginato.
L’infanticida-suicida aveva un’amante. Non è vero dunque che “non poteva immaginare la propria vita” senza la moglie e le bambine. No, il suo movente era di rovinare la felicità degli altri, della moglie e delle bambine. Attenzione, non un impulso “incoercibile” (che poi non esiste mai), ma un progetto a lungo meditato, elucubrato, goduto in anticipo.
Un abisso di odio nero la cui natura satanica non solo non può, ma non deve essere trascurata: anche perché questo semi-tono luciferino, lo vediamo già troppo spesso negli ultimi fatti di cronaca nera, gli omicidi-suicidi, i cannibali che sezionano corpi e mangiano i cuori, ci devono avvertire che qui non si è più davanti al “normale” malvagio. Costui fa il male alla ricerca di un qualche bene, il piacere, il potere e il denaro. Ma qui sempre più persone fanno il male senz’altro guadagno che il male, senz’altro scopo che godere oscenamente, pregustare la morte dell’altro e il suo spavento, il tradimento della sua fiducia, la potenza della magia nera .
Sempre più frequenti. Per allontanamento di sé da ogni idea di Dio e di bene, per la generale incredulità e apostasia, forse anche per l’indebolirsi delle potenze sacramentali ed esorcistiche di una Chiesa che abbandona il sacro per darsi ai servizi sociali mediaticamente approvati; forse per le Messe tirate lì in qualche modo, i “Credo” non pronunciati, l’abbandono della preghiera, non so. Ma è evidente per me che sono indebolite le protezioni invisibili, e Satana impera su migliaia di anime che stanno ruminando invidia, odio, volontà di nuocere, premeditando il Male, senza controllarsi, senza trattenersi (ciò che è sempre possibile, luomo è libero in questa scelta) dicono “Sì” all’Omicida. E in più un Papa che crede – lo ha detto a Scalfari, e mai corretto – che le anime dei malvagi saranno semplicemente azzerate, annichilite. Massimo incoraggiamento a far il Male. Di fronte a tutto ciò, il coro di Latina ha fatto bene a rumoreggiare, a rivoltarsi. In mezzo a tanta dissoluzione – la dissoluzione nichilista di cui il buonismo fa parte – la trovo una reazione sana.
Il Perdonismo amorale e immorale
Viviamo in un 'epoca dove anche il perdono non è più un sentimento naturale che sgorga dal cuore e che necessita di lunga incubazione, sedimentazione e decantazione per poter essere tale. No, la preoccupazione dell'attuale sistema mediatico-politico (le due cose non sono mai disgiunte) è quella di imporre in modo subdolo il perdono coattivo e, di converso, archiviare in fretta i misfatti dei carnefici. Si fa un gran parlare della reazione della folla a Latina dopo i fatti gravissimi di Cisterna che tutti conoscono, contro un sacerdote "perdonista". Un carabiniere con turbe psichiche assai gravi ha distrutto la sua famiglia, ucciso le sue due bambine, mandato quasi in fin di vita la moglie. Inoltre conduceva una vita parallela e aveva un'amante per la quale ha messo da parte del denaro, poi si è suicidato. Le sue turbe psichiche non gli hanno impedito la crudele premeditazione della strage familiare. Quindi se fosse vissuto, in un paese normale, avrebbe avuto il massimo della pena. Si è tolto di mezzo, ma il prete che ha officiato la messa per le povere innocenti bambinette Alessia e Martina, si è premunito di chiedere il perdono per l'assassino suicida. Quel prete non ha capito l'aria che tira: aria di ribellione e di esasperazione di cittadini che hanno fame e sete di Giustizia vera. In primo luogo umana. Poi per chi è credente, anche Divina, che in ogni caso non regala paradisi agli assassini.
Ne parla Blondet nel suo sito con un pezzo dal titolo "Una reazione sana" a proposito della giusta e legittima reazione cittadina che ha contestato il prete. Ho messo già un breve commento sotto l'articolo che, dato l'interesse per la tematica, intendo sviluppare anche qui.
Aggiungo anche che quella di chiedere (anzi, obbligare) al perdono immediato le vittime di delitti efferati è tipico dell'ipocrisia di quel politicamente corretto (e corrotto) diffusosi in forza dei media. Avrete tutti quanti sentito anche al Tg qualche cronista col microfono in mano chiedere a un povero padre o a una povera madre già straziati dal dolore per i figli uccisi dalla barbarie di questi tempi: "Lei perdonerà l'assassino di suo figlio?".
Sono domande provocatorie, ipocrite e crudeli. La Santa Inquisizione Globalista che sparge a macchia d'olio e innesca conflitti sociali dappertutto (anche in quella famiglia che ha deliberatamente distrutto) si preoccupa poi di verificare che non ci siano rimasugli di eventuale 'hate speech" (parola che piace alla Boldrini). I media e i mezzi busti dei Tg ne sono gli emissari diretti. Quel prete di Latina si è comportato né più né meno secondo il protocollo dei Torquemada mediatici: infliggendo torture e ferite nelle già brucianti ferite.
Ricordo che ugualmente fece il sacerdote (o addirittura vescovo, se non ricordo male) che officiò a Roma la messa funebre per la povera giovanissima Vanessa Russo (anni 23), uccisa su un mezzo pubblico con la punta dell'ombrello negli occhi da due zingare, una delle quali, la più responsabile del delitto (Doina Matei), ha poi violato i domiciliari apparendo in bikini e scrivendo della sua gita al mare su Facebook. Ricordo anche che la citata colpevole avrebbe dovuto scontare solo 16 anni di pena, ma fu subito messa "ai servizi sociali", sicché di prigione ne fece ben poca.
Oggi, la nomade assassina, viene - guarda caso - difesa a spada tratta, coccolata e "reintegrata nel sociale" da Rita Bernardini dei radicali e dai soliti vari "nessuno tocchi Caino".
I sacerdoti sopra citati del quale quello di Latina è solo l'ultimo esempio, hanno per modello i radicali e non la vera parola del Signore. Vogliono che viviamo in un paese senza tetto né Legge. E tutto questo non è Morale né accettabile!
Pubblicato da Nessie
Tony Iwobi e il razzismo degli antirazzisti
Le accuse e gli attacchi rivolti nei confronti di Tony Iwobi svelano il vero volto degli autoproclamati antirazzisti, ipocriti quanto l'ideologia che sostengono.
Un giovane nigeriano proveniente da una famiglia modesta giugne in Italia nel 1976 con un permesso di soggiorno per motivi di studio. È uno dei primi immigrati provenienti dall’Africa nera a giungere nel Bel paese, all’epoca sull’orlo di una guerra civile, dilaniato da attentati, violenze e manifestazioni squadriste da parte dell’estrema destra e dell’estrema sinistra. Testardaggine, volontà di emancipazione e di riscatto sociale e tanta ambizione, questi i moventi che spingono il giovane Tony Chike Iwobi a svolgere qualsiasi lavoro, muratore, stalliere e idraulico, pur avendo in mano una laurea in Scienze informatiche conseguita negli Stati Uniti. Si trasferisce nel profondo settentrione, nella provincia di Bergamo, dove viene assunto dall’Amsa in qualità di operatore ecologico, ma pochi mesi dopo viene promosso agli uffici divenendo impiegato. Cambia tanti lavori, non più umili, ricoprendo mansioni di responsabilità presso aziende italiane e svizzere, continuando allo stesso tempo ad arricchire il suo profilo lavorativo con corsi di specializzazione seguiti in Italia e all’estero.
Nel 1993 si iscrive alla Lega Nord, all’epoca movimento politico a carattere regionale mirante alla secessione delle regioni settentrionali dal resto d’Italia e ad una rivoluzione fiscale basata sul federalismo. Come nel mondo del lavoro, ugualmente Iwobi colpisce e fa carriera anche nella politica, soprattutto quando il partito inizia a perdere i suoi caratteri originari per tentare di diventare una forza nazionale facendo leva sull’euroscettiscismo, sulla minaccia dell’immigrazione incontrollata e sulla difesa dei valori e dell’identità cristiana del Vecchio Continente dal relativismo culturale del liberalismo e dall’estremismo islamico. Il colore della pelle di Iwobi non è mai stato un problema per quello che viene descritto come il principale partito xenofobo del paese, sia in Italia che all’estero, ma anzi viene visto come un elemento di forza: Iwobi raffigura lo straniero che ce l’ha fatta, partendo dal nulla e aiutato solo dalle sue capacità, che si è integrato e ha accolto positivamente valori, costumi e tradizioni del paese in cui ha scelto di vivere, l’immagine perfetta per un partito che viene periodicamente accusato di propagandare idee razziste ed alimentare tensione sociale tra le comunità etniche e religiose presenti nella nazione.
Dal 1993 al 2014 è ininterrottamente consigliere comunale a Spirano, una piccola città del Bergamasco, un decennio nel quale le sue posizioni politiche, specialmente sull’immigrazione, raccolgono l’attenzione dei leader del partito e nel 2014 viene designato responsabile federale del Dipartimento Immigrazione e Sicurezza della Lega Nord su iniziativa di Matteo Salvini. C’è Iwobi dietro alcuni slogan di successo utilizzati dal partito, diventati dei veri e propri tormentoni elettorali, come ‘Aiutamoli a casa loro!‘ e ‘Stop invasione!‘ e al programma riguardante la regolamentazione dell’immigrazione dai paesi extraeuropei, basato sull’applicazione di misure per la selezione e la scrematura delle richieste di permessi umanitari e di soggiorno, sul rimpatrio di tutti quegli immigrati clandestini sbarcati in Italia negli ultimi anni le cui domande d’asilo sono state rifiutate, sulla chiusura dell’accesso ai migranti economici.
L’elezione di Iwobi a senatore della Repubblica italiana – il primo di colore in assoluto – alle recenti elezioni ha scatenato l’ira e l’ironia sui social network, tra i politici e tra il panorama dei vari antirazzisti riciclatisi pseudo-intellettuali dell’ultima ora per deridere la sua candidatura con la Lega Nord. Il clamore suscitato dall’evento ha persino attirato l’attenzione di importanti media globali, come The Guardian, El País, Independent e Times, che ne hanno tratteggiato una breve biografia e raccontato le motivazioni della sua affiliazione ad un partito anti-immigrazione. Addirittura il calciatore Mario Balotelli ha provocatoriamente chiesto, via Instagram, a Iwobi se si fosse accorto d’essere nero; l’ex ministro dell’integrazione Cécile Kyenge ha dichiarato, invece, che l’evento non intacca minimamente la natura razzista della Lega, mentre su Facebook impazzano immagini satiriche che comparano l’accoppiata Iwobi-Salvini alla DiCaprio-Jackson del film Django Unchained.
Un negro di casa come Stephen, lo schiavo domestico della tenuta di Calvin Candie, così la superiore satira liberal ai tempi di Facebook ha dipinto Iwobi, ossia un fratello che – ripercorrendo il pensiero di Malcolm X – si è svenduto ai bianchi, di cui appoggia lotte e rivendicazioni nella convinzione che ciò lo aiuterà ad essere accettato nella società bianca. È proprio in questi momenti che emerge il vero volto delle nuove sinistre occidentali, affiorate nel dopo-guerra fredda come le più importanti manifestazioni politiche della nuova élite borghese globalista; sinistre che hanno vergognosamente abbandonato ogni riferimento al proletariato e alla difesa della classe operaia.
Da anni la propaganda di una certa sinistra martella l’opinione pubblica sulla necessità di una politica fortemente immigrazionista, tuonando slogan come ‘Faranno i lavori che gli italiani non vogliono più fare!‘ o ‘Ci pagheranno le pensioni!‘. Flussi migratori costanti e continui nel tempo come un rimedio alla denatalità e alla carenza di manodopera dequalificata a basso costo, anziché politiche incentrate sull’aiuto alle famiglie e su una reale alternanza scuola-lavoro, questo propone la sinistra, accusando poi di razzismo chiunque ritenga che l’afflusso di milioni di persone provenienti da contesti culturali profondamente differenti – senza un’adeguato meccanismo di integrazione nella società e nel mondo del lavoro, possa alimentare tensioni sociali, il mercato del lavoro nero e la criminalità.
L’assenza di un modello d’integrazione o, meglio, l’assenza di una reale volontà di integrare gli immigrati, ha portato alla proliferazione di ghetti etnici, di no-go zones, all’esplosione della microcriminalità e a sempre più frequenti rivolte razziali. Scenari di disordine ed anarchia che da decenni irrompono nella quotidianità di Francia, Stati Uniti, Gran Bretagna, Germania e Svezia, mai apparsi in Italia, ma a cui il paese dovrebbe iniziare ad abituarsi a meno di un cambio di rotta nel modo di pensare l’integrazione e la convivenza tra etnie e culture. La risposta dei partiti e dei centri sociali di sinistra all’omicidio di Pamela Mastropietro ad opera di un gruppo di nigeriani legati al sottobosco malavitoso di Macerata è stata un corteo antifascista ed antirazzista nel quale i manifestanti hanno lanciato invettive contro i partiti di destra, l’intolleranza e le forze dell’ordine. Un episodio che dovrebbe far riflettere sulla totale alienazione della sinistra dalla realtà e che spiega l’emorragia di voti dal Partito Democratico a partiti anti-sistema come Lega Nord e Movimento 5 Stelle. Iwobi è solo uno dei tanti nuovi italiani che ha preso atto dell’insensatezza delle politiche open borders e refugees welcome sostenute dalle nuove sinistre occidentali, che hanno soltanto esacerbato un clima già teso a causa della decennale crisi economica e delle tensioni inter-etniche causate dal fallimento dei progetti multiculturalisti in salsa anglosassone e scandinava.
Una delle proteste organizzate in tutta Italia in reazione alla sparatoria di Macerata. Massima condanna per Luca Traini, nessun accenno a Pamela Mastropietro
Confindustria, Tito Boeri, Emma Bonino, Laura Boldrini, Paolo Gentiloni, Alessandro Cecchi Paone, Roberto Saviano, tanti coloro che hanno pubblicamente dichiarato di vedere l’immigrazione come una soluzione ai problemi demografici e lavorativi del paese. Nell’immaginario della sinistra l’immigrato ideale dovrebbe costruire famiglie numerose per ripopolare l’Italia (in pratica una sostituzione etnica, ma guai a dirlo) e fare lavori umili, precari e sottopagati come raccogliere pomodori nelle piantagioni del Sud Italia – citando la Bonino, e ovviamente essere ideologicamente allineato a sinistra.
Alla luce di queste cose è facile comprendere perché contro Iwobi sia stata lanciata una campagna denigratoria, oltre che razzista: lo straniero che si integra e non si accontenta dei lavori che gli italiani non vogliono più fare, ma che attraverso le sue capacità si eleva socialmente e vede nell’accoglienza indiscriminata un male per tutti quegli stranieri onesti che a fatica hanno ottenuto dei meriti, è scomodo, non è stato manipolato dal miraggio dell’antirazzismo, quindi è un suffragio perduto.
La comunità senegalese è scesa in piazza a Firenze per protestare contro l’omicidio di un connazionale ad opera di un folle. Il gesto è stato strumentalizzato dalla sinistra e ritenuto un atto razzista.
No, Iwobi non è un negro di casa, e neanche di cortile, è molto più italiano e fiero di esserlo di tutti quelli che si stanno divertendo a denigrarlo, a ritenerlo un burattino dell’uomo bianco ed un venduto, e il suo ‘Aiutamoli a casa loro!‘ non è un’offesa, ma quello che l’Occidente dovrebbe finalmente iniziare a fare dopo anni di politiche neo colonialiste ed imperialistiche nel Sud globale che hanno portato al saccheggio di risorse naturali, al sostegno verso sanguinose dittature militari e a guerre per procura volte all’accaparramento di metalli rari e preziosi che sono alla base dell’odierna crisi migratoria.
di Emanuel Pietrobon - 9 marzo 2018
http://www.lintellettualedissidente.it/italia-2/tony-iwobi-razzismo-lega-nord/
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