I nostri mali partono da lontano:"La Giornata del Perdono" di Giovanni Paolo II e quel "nefasto" 12 marzo 2000. Una duplicazione del Peccato originale, con una interpretazione inaudita e teologicamente sconcertante della storia
di Francesco Lamendola
Il 12 marzo 2000, durante l’anno giubilare - indetto mediante la bolla Incarnationis Mysterium, che ne anticipa i temi - con una iniziativa senza precedenti, Giovanni Paolo II volle che si tenesse in Piazza San Pietro la Giornata del Perdono, gigantesco atto di auto-accusa della Chiesa nei confronti del proprio passato.
Molte delle cose che stanno accadendo oggi nella Chiesa cattolica, e fra essa e gli altri soggetti civili e religiosi, trovano lì la loro radice e la loro logica spiegazione. Vale perciò la pena di leggersi l’omelia tenuta dal papa in quella occasione, la quale, nel breve spazio di una paginetta, faceva strame di duemila anni di storia della Chiesa, dando l’impressione che essa sia intessuta di colpe gravissime per tutti i mali che hanno colpito l’umanità, dall’ateismo all’antisemitismo, passando per il maltrattamento della donna; e che la Chiesa nel suo complesso, pertanto, sia, o almeno che lo sia stata, poco meno d’una gigantesca, spaventosa associazione a delinquere. Riportiamo di seguito, per ragioni di spazio, solamente i punti 3 e 4 di quel documento, invitando il lettore a leggersi il testo completo, consultabile in rete insieme agli altri, relativi al giubileo del 2000.
3. Dinanzi a Cristo che, per amore, si è addossato le nostre iniquità, siamo tutti invitati ad un profondo esame di coscienza. Uno degli elementi caratteristici del Grande Giubileo sta in ciò che ho qualificato come "purificazione della memoria" (Bolla Incarnationis mysterium, 11). Come Successore di Pietro, ho chiesto che "in questo anno di misericordia la Chiesa, forte della santità che riceve dal suo Signore, si inginocchi dinanzi a Dio ed implori il perdono per i peccati passati e presenti dei suoi figli" (ibid.). L'odierna prima Domenica di Quaresima mi è parsa l'occasione propizia perché la Chiesa, raccolta spiritualmente attorno al Successore di Pietro, implori il perdono divino per le colpe di tutti i credenti. Perdoniamo e chiediamo perdono! Questo appello ha suscitato nella Comunità ecclesiale un'approfondita e proficua riflessione, che ha portato alla pubblicazione, nei giorni scorsi, di un documento della Commissione Teologica Internazionale, intitolato "Memoria e riconciliazione: la Chiesa e le colpe del passato". Ringrazio quanti hanno contribuito all'elaborazione di questo testo. Esso è molto utile per una corretta comprensione e attuazione dell'autentica richiesta di perdono, fondata sulla responsabilità oggettiva che accomuna i cristiani, in quanto membra del Corpo mistico, e che spinge i fedeli di oggi a riconoscere, insieme con le proprie, le colpe dei cristiani di ieri, alla luce di un accurato discernimento storico e teologico. Infatti "per quel legame che, nel Corpo mistico, ci unisce gli uni agli altri, tutti noi, pur non avendone responsabilità personale e senza sostituirci al giudizio di Dio che solo conosce i cuori, portiamo il peso degli errori e delle colpe di chi ci ha preceduto" (Incarnationis mysterium, 11). Riconoscere le deviazioni del passato serve a risvegliare le nostre coscienze di fronte ai compromessi del presente, aprendo a ciascuno la strada della conversione.
4. Perdoniamo e chiediamo perdono! Mentre lodiamo Dio che, nel suo amore misericordioso, ha suscitato nella Chiesa una messe meravigliosa di santità, di ardore missionario, di totale dedizione a Cristo ed al prossimo, non possiamo non riconoscere le infedeltà al Vangelo in cui sono incorsi certi nostri fratelli, specialmente durante il secondo millennio. Chiediamo perdono per le divisioni che sono intervenute tra i cristiani, per l'uso della violenza che alcuni di essi hanno fatto nel servizio alla verità, e per gli atteggiamenti di diffidenza e di ostilità assunti talora nei confronti dei seguaci di altre religioni. Confessiamo, a maggior ragione, le nostre responsabilità di cristiani per i mali di oggi. Dinanzi all'ateismo, all'indifferenza religiosa, al secolarismo, al relativismo etico, alle violazioni del diritto alla vita, al disinteresse verso la povertà di molti Paesi, non possiamo non chiederci quali sono le nostre responsabilità. Per la parte che ciascuno di noi, con i suoi comportamenti, ha avuto in questi mali, contribuendo a deturpare il volto della Chiesa, chiediamo umilmente perdono. In pari tempo, mentre confessiamo le nostre colpe, perdoniamo le colpe commesse dagli altri nei nostri confronti. Nel corso della storia innumerevoli volte i cristiani hanno subito angherie, prepotenze, persecuzioni a motivo della loro fede. Come perdonarono le vittime di tali soprusi, così perdoniamo anche noi. La Chiesa di oggi e di sempre si sente impegnata a purificare la memoria di quelle tristi vicende da ogni sentimento di rancore o di rivalsa. Il Giubileo diventa così per tutti occasione propizia per una profonda conversione al Vangelo. Dall'accoglienza del perdono divino scaturisce l'impegno al perdono dei fratelli ed alla riconciliazione reciproca.
Giornata del perdono: inizio del dialogo o del suicidio della Chiesa?
Non si era trattato di un colpo di testa dell’anziano pontefice, ma di un atto lungamente preparato, al quale avevano collaborato alcuni prestigiosi teologi, sulla base del documento intitolato Memoria e riconciliazione, redatto dalla Commissione Teologica Internazionale, che recava il più che eloquente sottotitolo La Chiesa e la colpe del passato. Vi avevano lavorato, fra gli altri, Joseph Ratzinger, Roger Etchegaray, Georges Cottier e Bruno Forte.
Ora, sebbene nel punto 4 si ricordi il fatto, incontestabile e tutt’altro che secondario – anzi, più che mai di attualità in questi nostri giorni – che nel corso della storia innumerevoli volte i cristiani hanno subito angherie, prepotenze, persecuzioni a motivo della loro fede, sicché i cristiani, grazie a Dio, non sono stati solo dei violenti, degli intolleranti e dei seminatori di discordia, ma anche dei testimoni di pace e delle vittime a motivo della loro fede, al punto 3 si afferma: Perdoniamo e chiediamo perdono! E, poco più avanti, si dice che i cristiani, in quanto membra del Corpo mistico (…), devono riconoscere insieme con le proprie, le colpe dei cristiani di ieri, alla luce di un accurato discernimento storico e teologico. Infatti "per quel legame che, nel Corpo mistico, ci unisce gli uni agli altri, tutti noi, pur non avendone responsabilità personale e senza sostituirci al giudizio di Dio che solo conosce i cuori, portiamo il peso degli errori e delle colpe di chi ci ha preceduto. Per la prima volta nella storia del Magistero, la definizione della Chiesa come Corpo mistico di Cristo veniva piegata a trasformarsi in un atto d’accusa, o meglio, di auto-accusa, nei confronti dei cristiani stessi. Cioè: se tutti i cristiani, di ogni tempo e luogo, vivi e passati nell’eternità, formano un unico Corpo, così anche le colpe di quelli vissuti secoli fa si riflettono, sia pure non in maniera personale, sui cristiani di oggi. Interpretazione inaudita, teologicamente sconcertante, difforme da tutto ciò che la Chiesa ha sempre detto e insegnato nel corso della sua storia due volte millenaria: quasi una duplicazione del Peccato originale. Come quest’ultimo, infatti, pesa sull’umanità intera, pur se si è trattato di una colpa individuale, commessa dai nostri progenitori e non dagli uomini venuti dopo di loro, così le colpe, poniamo, dei conquistadores o di certi inquisitori del XVI secolo, ricadono sui cristiani di oggi, per il solo fatto di essere state commesse da cristiani. Cosa ancor più grave, tale duplicazione investiva la sfera della storia profana: perché se è corretto asserire che la colpa di Adamo si ripercuote su tutta l’umanità, a causa della sua dimensione soprannaturale (una disobbedienza e una ribellione avvenute direttamente nei confronti di Dio, da parte del primo uomo e della prima donna), ora si suggerisce che le colpe commesse dai cristianinel corso della storia e sul piano della storia si ripercuotono anche sulle generazioni successive, apparentemente senza una fine, dato che ciò che è accaduto nella storia non può essere rimesso, se non al di sopra del piano della storia, cioè da Dio. Ma se il genocidio degli ebrei, per esempio, ricade, in qualche modo, sui “cristiani”, o, quanto meno, sull’Europa della prima metà del 1900, allora non si vede come il fatto che i cristiani di oggi domandino scusa – ammesso e non concesso che essi, in quanto cristiani, abbiamo qualcosa di cui scusarsi – potrebbe riscattarli e redimerli, visto che il riscatto e la redenzione vengono da Dio, perché, se venissero dagli uomini, nulla vieta che gli ebrei, per esempio, continuino a esigere ammissioni di colpa, contrizione e sottomissione incondizionata dai cristiani di tutte le generazioni che verranno, sino alla fine del mondo. In tal caso, l’ammissione di “colpa”, o, quanto meno, di un certo grado di responsabilità dei cristiani in quanto cristiani nel fatto della Shoah, si tradurrebbe in una loro colpevolizzazione perpetua. Tale è l’inevitabile esito di una simile impostazione della questione del “perdono”, così come viene posta nel discorso di Giovanni Paolo II.
Non a caso abbiamo scelto l’esempio degli ebrei e dell’antisemitismo, perché, nel già citato documento Memoria e riconciliazione (5, 4,), questo tema viene trattato in maniera specifica, mentre non viene trattata in maniera altrettanto specifica, ad esempio, la questione dei contrasti e delle guerre fra cristiani ed islamici:
La Shoah fu certamente il risultato di una ideologia pagana, qual era il nazismo, animata da uno spietato antisemitismo, che non solo disprezzava la fede, ma negava anche la stessa dignità umana del popolo ebraico. Tuttavia, " ci si deve chiedere se la persecuzione del nazismo nei confronti degli ebrei non sia stata facilitata dai pregiudizi antigiudaici presenti nelle menti e nei cuori di alcuni cristiani [...]. I cristiani offrirono ogni possibile assistenza ai perseguitati, e in particolare agli ebrei? ". Senza dubbio vi furono molti cristiani che rischiarono la vita per salvare ed assistere i loro conoscenti ebrei. Sembra però anche vero che " accanto a tali coraggiosi uomini e donne, la resistenza spirituale e l'azione concreta di altri cristiani non fu quella che ci si sarebbe potuto aspettare da discepoli di Cristo ". Questo fatto costituisce un richiamo alla coscienza di tutti i cristiani oggi, tale da esigere "un atto di pentimento (teshuva)", e diventare uno sprone a raddoppiare gli sforzi per essere " trasformati rinnovando la mente " (Rm 12,2) e per mantenere una " memoria morale e religiosa " della ferita inflitta agli ebrei. In questo campo il molto che è già stato fatto potrà essere confermato e approfondito.
Ai cristiani di oggi, dunque, si richiede, anzi, da loro si esige, si pretende, un atto di pentimento. Sarebbe più o meno la stessa cosa dire che dai tedeschi di oggi, di domani e di sempre, si richiede un atto di pentimento per la tragedia simboleggiata da Auschwitz. Tanto varrebbe richiedere un atto di pentimento agli spagnoli, per via delle atrocità commesse da Francisco Pizarro nell’impero degli Incas. Qui c’è una voluta, inaccettabile ambiguità: stiamo esprimendo delle valutazioni sul piano della storia, o su quello della fede? Perché sul piano della storia, tutti i popoli e tutte le religioni hanno, certamente, le loro colpe, il che non significa affatto che esse ricadono sulle generazioni successive, né che gli spagnoli di oggi debbano esprimere pentimento per le azioni di alcuni loro connazionali (parliamo di poche centinaia di persone) cinque secoli fa. Pertanto, sul piano della storia, anche gli ebrei hanno delle colpe e delle responsabilità; anch’essi hanno perseguitato i cristiani, quando ne hanno avuto l’occasione: lo hanno fatto mettendo in croce Gesù Cristo, lapidando santo Stefano, cercando di assassinare san Paolo; e lo hanno fatto quando prima i persiani sassanidi, poi gli arabi musulmani, hanno invaso la Siria, la Palestina e l’Egitto, guidando gli invasori entro le linee cristiane e macchiandosi di propria mano di stragi inaudite di cristiani, come accadde a Gerusalemme nel 614. Se, invece, stiamo parlando sul piano della fede, il cristiano di oggi non ha nulla da rimproverarsi, perché il cristianesimo non nasce come religione anti-giudaica, mentre è il giudaismo che dichiara guerra al cristianesimo fin dal suo nascere. Nel Nuovo Testamento non si dice mai che gli ebrei meritano odio e persecuzioni, al contrario, si riconoscono spesso i loro meriti nel piano della storia della salvezza; mentre nel Talmud e in altri testi religiosi giudaici si lanciano maledizioni implacabili contro i cristiani, quali nemici meritevoli di disprezzo e di odio eterno. E poi, perché confondere l’antigiudaismo come fatto religioso con l’antisemitismo biologico culminato nel nazismo, che è tutt’altra cosa? Sta di fatto che questa attitudine auto-accusatoria dei cattolici, inaugurata dalla svolta “perdonista” di Giovanni Paolo II, ha dato immediatamente i suoi frutti avvelenati, ad esempio con il congelamento fulmineo, e altrimenti inspiegabile, non della causa di beatificazione, già conclusa, ma della cerimonia di beatificazione di padre Léon Dehon, stabilita per il 24 aprile 2005. Ambienti filo-giudaici avevano sollevato la questione di alcuni articoli, a loro dire “antisemiti”, di padre Dehon, pubblicati a suo tempo sul giornale La Croix, e ciò fu sufficiente per sospendere a tempo indeterminato una proclamazione di santità che era già stata decisa e fissata. Si può considerare normale una cosa del genere? In quale altra chiesa o confessione religiosa sarebbe immaginabile?
Molte cose nascono da quella richiesta di perdono
di
Francesco Lamendola
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