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Il 22 maggio del 1978, quarant’anni anni fa, un governo ancora turbato dal rapimento e dall’uccisione di Aldo Moro, in un’Italia sotto la spada di Damocle del terrorismo, lacerata da conflitti e tensioni sociali, pensava bene di approvare una legge che introduceva la legalizzazione dell’aborto procurato. Una legge che non era stata voluta dai medici, per i quali da secoli esisteva il vincolo del giuramento di Ippocrate che impone di non sopprimere la vita dei pazienti, tantomeno con l’aborto, né dei giuristi, né dall’opinione pubblica. La Legge 194 sulla cosiddetta “interruzione di gravidanza” fu voluta da una piccola ma agguerrita minoranza poltica, che agiva in un’ottica non scientifica, non umanitaria, ma puramente ideologica, che si seppe imporre su una più vasta maggioranza di politici affetti da ignavia, pigrizia, ignoranza. Fu così approvata questa legge firmata da esponenti della cultura laicista e socialista, ma avallata da ministri democristiani che da lì a pochi anni sarebbero stati spazzati via da note vicende giudiziarie, in una sorta di terribile nemesi storica.
L’occasione di questo triste e amaro anniversario ci consente di fare qualche riflessione e di ribadire la nostra posizione a riguardo delle tematiche della difesa della vita e della dignità dell’essere umano fin dallo stato embrionale.
In questi quarant’anni, nella mentalità dominante, la “qualità della vita” è diventato un concetto più importante della vita stessa. Ma si pone un problema: chi decide della qualità della vita? L’affermarsi di un’“etica delle opportunità” apre prospettive inquietanti: la scienza moderna, forte del metodo positivistico e dei suoi dogmi efficientisti, ha conseguito eccellenti risultati sul piano tecnico con innegabili progressi nella diagnosi e nella terapia delle malattie. Ma, mentre molti scienziati si sono impegnati efficacemente nella difesa della vita, da altre parti si è lavorato secondo una logica diversa, che considera indegne di essere vissute le vite di determinate persone, secondo una filosofia “utilitaristica”, che tuttavia non può fare a meno di regole e limiti.
Nell’elaborazione di strategie a favore della vita occorre che siano presi in considerazione i grandi contrasti e le contraddizioni del XX secolo che hanno portato all’affermarsi dell’attuale cultura della morte. Contro tale cultura occorre operare nel senso dell’educazione.
Vogliamo sottolineare con forza l’importanza di agire nei confronti di quella parte della società umana più sensibile e più esposta ai condizionamenti culturali: la gioventù. A fronte di una indiscriminata informazione sessuale, fondamentalmente orientata ad imporre una visione edonistica che vuole fare delle nuove generazioni dei “consumatori di sesso”, occorre rispondere con una pedagogia dell’amore che introduca i giovani in questo grande mistero come portatori di vita.
Il diritto alla vita, inoltre, non è una concessione data dallo Stato: è un diritto anteriore a esso. Occorre arginare tutte le tendenze neo-malthusiane e neo-darwiniste che vanno diffondendosi attualmente nelle legislazioni dei diversi Paesi. Forse sarebbe giusto pensare, dopo cinquant’anni di retorica sui diritti, a una carta dei doveri dell’uomo. Doveri davanti a se stesso e alla comunità umana. La visione individualista che permea le varie legislazioni fa sì che, in pratica, all’enunciazione teorica dei grandi princìpi non segue una applicazione pratica nei casi concreti.
Così dal 1978 a oggi il diritto fondamentale alla vita è andato progressivamente negato. A questa tendenza qualcuno ha cercato di opporsi. La Chiesa, anni fa, durante il pontificato di Papa Giovanni Paolo II, aveva fermamente ricordato che è necessario opporsi non solo al crimine, ma anche alle legislazioni criminose. Pertanto, se un governo legifera criminalmente, bisogna andare contro questa legislazione difendendo sempre il comandamento “non uccidere”.
La voce della Chiesa cattolica, tuttavia, è diventata progressivamente più flebile su questi temi. Qualcuno potrebbe obiettare che il numero di aborti in questi anni è andato progressivamente diminuendo, ma ciò è dovuto soprattutto al calo demografico e alla diminuzione notevole di natalità, per cui al diminuire di gravidanze ha corrisposto un calo di aborti, ma il probleme resta, e anzi, la diffusione dell’aborto precoce attraverso ritrovati biochimici (non ci sentiamo di definirli farmaci) come la famosa RU-486, fa intravedere la nuova strategia della mentalità anti-natalista e anti-vita: l’aborto chimico, non traumatico, invisibile e soft, un aborto fai-da-te che passa inosservato, che riduce i costi per i ricoveri, che elimina le complicazioni di tipo psicologico e morale.
Si realizza, su un piano metafisico ed etico, un’operazione subdola e terrificante, tale da far pensare all’operato del “Principe della menzogna”: il peccato di pensare che il peccato non esiste. Attorno al piccolo embrione, inoltre, si giocano altre partite con alte poste in palio: l’aborto legalizzato rientra nella strategia di distruzione della coscienza cristiana.
Infine è stata importante, in questi quarant’anni, la testimonianza recata da chi a favore della vita si è impegna sotto diversi aspetti e su vari fronti, dal volontariato alla politica. Il livello minimo dell’amore al prossimo è il rispetto, ma il rispetto della vita umana sembra non contare più, sembra sceso al gradino più basso della considerazione tanto di chi uccide con le bombe e i carri armati tanto di chi vuole la soppressione di un bimbo nell’utero di sua madre. Scriveva Giovanni Lanza del Vasto, profeta della non-violenza: “Se il rispetto della vita umana potesse essere posto, come la logica esige, a fondamento di ogni politica, di ogni morale, di ogni legge, di ogni istituzione sociale! Se ogni autorità rinunciasse ad arrogarsi il diritto di uccidere e di permettere l’omicidio! Quale rivoluzione ne risulterebbe, o meglio, quale rinnovamento e quale conversione!”.
Eppure si continua a sostenere che la Legge 194 fu un passo avanti nell’ambito dei diritti umani. “L’utero è mio e lo gestisco io!” gridavano le femministe nelle strade. Uno slogan surreale, e allo stesso tempo falso. Noi non siamo nostri, non ci siamo fatti da soli.
Scriveva più di un secolo fa lo scrittore scozzese George Mac Donald che il principio primo dell’Inferno è: “io sono mio”. L’ideologia dell’autoreferenzialità, “io sono mio”, è portatrice solo di morte, di oscurantismo. Ha prodotto ieri la cultura di morte dell’aborto, e oggi lo stesso delirio di onnipotenza pretende la manipolazione genetica, la clonazione, l’ingegneria genetica per “produrre” figli. Una cultura priva di pietà e generosità verso l’umano che abbiamo constatato anche recentemente nelle vicende di Charlie Gard e Alfie Evans.
Con la pretesa di voler affermare, codificare e rafforzare diritti considerati inalienabili dell’uomo, si riesce a violarne nella forma più drammatica la sua dignità e il suo diritto alla vita, ignorando la solidarietà tra le persone e le generazioni.
La Legge 194, in anticipo sui tempi, ci aveva peraltro “messo al passo con l’Europa”. Da anni il Parlamento Europeo tenta in tutti i modi – anche coercitivi – di imporre a tutti gli Stati Ue la legalizzazione dell’interruzione di gravidanza, come la diffusione gratuita dei contraccettivi e la promozione dell’educazione sessuale nelle scuole di ogni ordine e grado, rendendo disponibili agli adolescenti tutti i metodi contraccettivi e abortivi, anche senza il consenso dei genitori.
È quanto chiese la Risoluzione che il Parlamento europeo su proposta della Commissione per i diritti della donna e le pari opportunità, – denominata “Sulla salute e i diritti sessuali e riproduttivi” del 2012.
Oggi in Europa solo Malta e l’Irlanda – e in parte la Polonia – hanno legislazioni non abortiste, e la conquista dell’Irlanda sappiamo quanto stia a cuore alle organizzazioni abortiste che hanno voluto il referendum che si terrà il prossimo 25 maggio.
Nonostante tutto, nonostante la diffusione di questo male e i milioni di morti – oltre sei – provocati dalla Legge 194, c’è una nota positiva e di speranza che viene dall’esperienza di questi 40 anni: in questi anni, mentre la politica si allontanava inesorabilmente da questa pur così logica visione, è toccato ai tanti volontari, alle tante persone buone difendere la bellezza e la dignità della vita umana, attraverso l’accoglienza di madri in difficoltà, attraverso i Progetti Gemma di adozione a distanza, attraverso tanti piccoli ma generosi gesti di rispetto e di amore che hanno continuato a dare sostegno alla cultura della vita.
C’è qualcosa di molto bello che leggiamo nella Sacra Scrittura, lì dove Dio assicura: “Anche se una madre potesse dimenticarsi di suo figlio, Io non mi dimenticherò di te. Io ti tengo scolpito sul palmo della mia mano. Sei prezioso per Me. Io ti ho chiamato con il tuo proprio nome”. Questo è il motivo per cui, appena nasce un bambino, gli diamo un nome: il nome con il quale Dio lo ha chiamato da tutta l’eternità, per amare ed essere amato. Ma rivolgendo oggi lo sguardo al mondo, ci rendiamo conto che questo piccolo bambino, non ancora nato, lo si è trasformato spesso in bersaglio di morte, di distruzione: è di impiccio, è scomodo e quindi va sterminato. E pensare che a fare questo è proprio la sua stessa madre! Per tutto questo, la difesa della vita deve continuare.
– di Paolo Gulisano
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