E' la sindrome di Caffarra? Accusiamo il neoclero, i neoteologi, i neopreti, i neovescovi e tutti i neocattolici di aver provocato la morte di quel santo sacerdote di 97 anni e di aver provocato la morte di molti altri come lui
di Francesco Lamendola
In linea generale, non ci piacciono, né mai ci sono piaciuti, quelli che puntano il ditino contro qualcun altro e lo accusano di questo e di quello. Non ci piace personalizzare oltremodo le discussioni di carattere universale, e non ci piace la saccenteria della maestrina che vuole sempre aver ragione, anche se non è neppure in grado di capire tutta l’ampiezza e la profondità di ciò di cui si sta parlando. E quindi non ci piace il J’accuse di Émile Zola, e non ci piacciono gli articoli di Pier Paolo Pasolini, nei quali scriveva: Io so. Io so i nomi dei responsabili di quello che viene chiamato "golpe" (e che in realtà è una serie di "golpe" istituitasi a sistema di protezione del potere). Io so i nomi dei responsabili della strage di Milano del 12 dicembre 1969. Io so i nomi dei responsabili delle stragi di Brescia e di Bologna dei primi mesi del 1974. Io so i nomi del "vertice" che ha manovrato, dunque, sia i vecchi fascisti ideatori di "golpe", sia i neo-fascisti autori materiali delle prime stragi, sia infine, gli "ignoti" autori materiali delle stragi più recenti. E avanti di questo passo per un bel pezzo, ad libitum: meravigliosa onnipotenza dell’intellettuale “contro” (ma è davvero “contro”, poi?), che può scagliare strali in qualsiasi direzione, fin che gli pare e piace, e che va sempre a segno, perché, anche se facesse collezione di querele – e Pasolini ne aveva collezionate parecchie – i suoi lettori sono comunque milioni, e quindi le sue parole restano impresse a fuoco nella coscienza di un’intera generazione, con tutto il carico di odio e disprezzo che producono, e forse anche per più di una. Per la stessa ragione, non ci piace don Lorenzo Milani e non ci piace la Lettera a una professoressa, uno dei libri più ingiustamente celebri e uno di quelli che hanno fatto più male alla coscienza delle persone, e specialmente dei cattolici, come è provato dal fatto che don Milani, oggi, oltre a essere stato pienamente riabilitato da papa Francesco e dalla sua neochiesa, viene insegnato dalle cattedre universitarie come il non plus ultra del pensiero pedagogico dell’ultimo millennio, di fronte al quale la pedagogia di un san Giovanni Bosco o di un san Filippo Neri sono bazzecole, per giunta venate d’un certo qual conservatorismo.
Ciò non toglie che, in casi estremi, accusare e puntare il dito è non solo un diritto, ma un preciso e ineludibile dovere. In casi estremi, ripetiamo: chi lo fa con superficialità non possiede alcuna autorevolezza, come chi grida sempre al lupo non può aspettarsi di esser preso sul serio dagli altri. Ebbene, quello in cui si è venuta a trovare la nostra generazione è un caso estremo. È un caso estremo quello di una nave che fila dritta verso gli scogli, perché il capitano e gli ufficiali si sono ubriacati e non si curano più né di tenere la rotta, né della sicurezza delle persone e dei beni; ed è un caso estremo quello che sta vivendo oggi la Chiesa cattolica, la Sposa di Cristo, che un papa eletto a nome e per conto della massoneria ecclesiastica, attorniato da cardinali e da vescovi che nutrono le sue stesse intenzioni, vuol stravolgere ed usare come un’arma per distruggere la fede nel cuore dei credenti. Sono parole gravissime, queste che abbiamo ora scritto: lo sappiamo; ci sono costate molti mesi, anzi, alcuni anni di profonda sofferenza interiore; ci siamo chiesti, più e più volte, dapprima se per caso non ci stessimo, noi, sbagliando, e poi se avessimo il diritto di comunicare agli altri la nostra profonda convinzione, una volta giunti alla conclusione che, purtroppo, non ci stavamo sbagliando affatto. E ci siamo da ultimo persuasi che non solo chi ha compreso quel che sta accadendo nella Chiesa, oggi, lo deve dire con voce forte e chiara, affinché lo odano tutti; ma che se non lo facesse, verrebbe meno a un preciso dovere: si comporterebbe come un vile, come un traditore, allo stesso modo che una sentinella, se vedesse il nemico entrare di notte, silenziosamente, nella cittadella, e non lanciasse l’allarme, agirebbe da vile e da traditrice, e si caricherebbe sulle spalle una responsabilità immensa: quella del destino dei suoi compagni. Noi, infatti, possiamo anche scegliere di suicidarci, benché il suicidio sia un gravissimo peccato davanti a Dio; ma certo non abbiamo il diritto di esporre alla rovina quelli che non sospettano la gravità e l’imminenza del pericolo che incombe su tutti.
Il "santo"ditino di Bergoglio: il suo sciagurato pontificato sta mettendo a dura prova l'intera Cristianità e molti dei suoi "santi" sacerdoti
Conoscevamo un sacerdote della vecchia generazione: un sant’uomo. Tutti quelli che l’hanno conosciuto, che l’hanno avvicinato, sono rimasti colpiti dalla sua purezza, dalla sua lucidità, dalla sua ricchezza umana, dalla sua fede. Aveva novantasette anni e ancora officiava la santa Messa, conduceva una vita attiva; aveva guidato l’automobile fino a pochi mesi prima. Aveva visti gli orrori della guerra civile, impartito la benedizione ai cadaveri, accompagnato i morituri verso il loro tragico destino. Mai dalla sua bocca erano uscite parole d’odio o di rancore; sempre aveva benedetto, sempre aveva esortato alla riconciliazione: ma sulla base della verità. Onesto intellettualmente come pochi, chiamava le cose col loro nome, non ci girava attorno. La sua vita era un libro aperto, uno specchio trasparente: nessuno poteva scorgervi il minimo iato fra ciò che diceva e quel che faceva. Lui non predicava la bontà, la comprensione, l’aiuto morale e materiale verso i bisognosi: lui queste cose le faceva, con semplicità, ogni santo giorno, come cose assolutamente normali, parte integrante del suo ministero sacerdotale. Non andava continuamente in televisione, come don Fabio Corazzina, a parlare di politica, o a fare il gigione, come certi preti del pomeriggio domenicale, che da anni ci perseguitano dal piccolo schermo, proclamandosi “preti di strada” e facendo a gara coi laici nel mostrarsi spigliati e disinvolti, per non dire narcisisti e sconvenienti, sulle cose di Dio. Eppure ne avrebbe avute, di cose da dire. Ma la sobrietà, la misura, la discrezione, il parlar sottovoce, erano il suo abito mentale: non avrebbe potuto essere altrimenti. Il suo carisma, la sua autorevolezza, venivano proprio da lì: da quella sobrietà, da quella discrezione, da quel parlar sottovoce, ma tuttavia chiaro e senza giri di parole. Era una persona schietta e detestava l’ipocrisia; pure, non è mai caduto nella tentazione dell’amarezza, della negatività: le sue parole erano sempre positive, d’incoraggiamento, di sostegno morale a tutti quanti, di profonda umanità: ma una umanità illuminata e trasportata in alto dalla fede.
È morto all’improvviso, così, da un giorno all’altro. Stava bene, aveva un fisico integro e una salute ammirevole; un giorno si è sentito male, è stato ricoverato e si è spento, nel giro di poche ore. Avevamo parlato con lui non molto tempo prima, e aveva espresso il desiderio di riprendere e approfondire alcune questioni; e anche noi ne avevamo un profondo desiderio. Il destino, o piuttosto la provvidenza, ha deciso altrimenti: riprenderemo il discorso lassù, forse, quando Dio vorrà (il dubbio, se c’è, riguarda noi, non lui, che certo è volato in Cielo senza neanche passare per il Purgatorio). Ebbene: lasciateci dire una cosa: a uccidere quel santo prete, ne siamo profondamente convinti, è stato quel che i neopreti e il neoclero stanno facendo, da alcuni anni a questa parte; è stato il dolore di vedere il pervertimento della vera Sposa di Cristo, trasformata, giorno per giorno, in una meretrice bistrata e imbellettata, sfacciata e lasciva nei suoi atteggiamenti; sono stati i Paglia, con le loro lodi a Pannella; i Galantino, con le loro lodi a Lutero; i Sosa, con la loro negazione del diavolo; i De Kesel e i Martin, con la loro proposta che la Chiesa riconosca le unioni omosessuali; e i Bergoglio, soprattutto, con la loro opera diabolica, scientifica, implacabile, di demolizione della fede nel cuore dei credenti. Per questo, noi accusiamo: accusiamo il neoclero, i neoteologi, i neopreti, i neovescovi e tutti i neocattolici, di aver provocato la morte di quel santo sacerdote; e di aver provocato la morte anche di altri come lui - ne conosciamo almeno tre o quattro, ma chissà quanti ce ne sono, nel mondo - ai quali costoro hanno voluto strappare la cosa più preziosa, la loro (e nostra) ragione di vita: la giusta prospettiva religiosa, il giusto rapporto con Dio, la giusta trasmissione della Parola di Dio, per sostituirli con una falsa chiesa bugiarda e apostatica, che è solo la diabolica contraffazione di quella vera. E qui ci fermiamo, facciamo un grosso respiro e rileggiamo le ultime frasi. Di nuovo, sono terribili: ci sembra quasi impossibile che qualcuno possa dire simili cose. E quel qualcuno siamo noi. Eppure, quelle cose sono vere: bisogna dirle; bisogna che qualcuno le dica. Non avremmo mai creduto che, un giorno, avremmo detto e scritto simili cose; che avremmo espresso simili concetti, formulato simili accuse. Se qualcuno ce lo avesse profetizzato, allorché, bambini, andavano a servir Messa, o ascoltavamo il prete sui banchi del catechismo; se qualcuno ce lo avesse detto, non ci avremmo creduto, ci sarebbe parsa una cosa impossibile, inimmaginabile. E invece è accaduta: sta accadendo. Noi diciamo quelle frasi, le ripetiamo, e continueremo a ripeterle sinché avremo fiato; non taceremo mai, non permetteremo a quei signori di proseguire nella loro opera sinistra, senza opporci in tutte le maniere possibili.
L'ex arcivescovo di Bologna Carlo Caffarra, uno dei 4 firmatari dei Dubia a cui Bergoglio non ha mai risposto: morì improvvisamente la mattina del 6 settembre 2017
Vogliamo che lo sappiano. Vogliamo che sappiamo che li abbiamo riconosciuti, che abbiamo compreso chi sono e quel che stanno facendo, e siamo ben decisi a gridarlo a gola spiegata, affinché tutti ci sentano, e tutti lo sappiano e scelgano come regolarsi. E tanto per cominciare, accusiamo quei signori di aver provocato la morte del santo sacerdote di novantasette anni. Qualcuno penserà che a novantasette anni è ben naturale morire, e che Dio ha chiamato a sé quell’anima buona, per darle il premio meritato. Certo, è così. Ma la vita umana non si misura in termini quantitativi: causare la morte di un centenario non è cosa meno grave di causare la morte di un bambino, o di un nascituro. Forse lui sarebbe morto comunque entro poche settimane, o forse avrebbe vissuto ancora per qualche anno. Era sano, forte, apparentemente indistruttibile. Ma il punto non è questo. Il punto è che, secondo noi, una terribile tristezza deve essere entrata nel suo cuore, vedendo incrinarsi e crollare tutto ciò in cui aveva creduto, e quella Chiesa che aveva santamente servito, per così tanti decenni, con fede incrollabile e con ammirevole coerenza. Siamo perciò convinti che è stato ucciso: è stato ucciso dalla tristezza, anche se si sforzava di tenerla per sé, dato che mai, nella sua vita, aveva messo se stesso davanti agli altri; e quella tristezza è stata causata dal comportamento, deliberatamente contrario al Vangelo, dei neopreti e di tutto il neoclero. Ne renderanno conto a Dio, nell’altra vita: renderanno conto anche di questo.
Io vi accuso
di Francesco Lamendola
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