ACTA APOSTATICAE SEDIS : come, cambiando un po' qua e un po' la, si può cambiare tutto...

sabato 2 giugno 2018

Fatima-Padre Pio: due centenari uno dopo l’altro

,AD 2017/2018, due Centenari e un "rimedio" per il tempo della grande apostasia: Fatima, Padre Pio e le anime-vittima

Amici e fratelli, offro alla vostra attenzione un mio saggio scritto in occasione del centesimo anniversario dell’impressione delle stimmate visibili di San Pio da Pietrelcina (1918-2018).
Il testo è abbastanza lungo (6000 battute) motivo per cui ho voluto offrirne una versione ridotta (con i passaggi che ritengo più importanti) che risulta da una lettura continuata delle parti marcate in grassetto.
Chi avesse tempo e desiderio di leggere il saggio integralmente non potrà che trarne giovamento.
Fatima-Padre Pio: due centenari uno dopo l’altro. Qual è il messaggio che Dio vuole dare alla Chiesa? E’ esattamente la domanda a cui ho cercato di dare una risposta nel testo.
Buona lettura…

......



FATIMA, PADRE PIO E LE ANIME VITTIMA:
UN RIMEDIO NEL TEMPO DELLA GRANDE APOSTASIA

«Maria è l’unica sorgente che ha fatto sgorgare padre Pio e Fatima. Sua è la mano che descrive le meraviglie di Fatima come le meraviglie di padre Pio: due momenti di un’unica azione soprannaturale gestita da Maria, che ha il fine di stabilire il Trionfo del suo Cuore Immacolato, perché si realizzi il Regno di Cristo. E’ il fine per cui lavorò padre Pio, gloria vivente di Maria, in riparazione degli eventi futuri»[1]. Si potrebbe dire, in modo programmatico e aforistico, che «Fatima e Padre Pio insieme sono la grande risposta del cielo all'origine del secolo del male»[2].

Del resto mi sembra particolarmente significativo – e sinceramente la riflessione mi sembra quasi che fluisca ovvia e facile – che se AD 2017 è stato l’anno di Fatima con l’Anniversario centenario delle apparizioni della Bianca Signora alla Cova da Iria, AD 2018 è l’anno di Padre Pio la cui memoria è ripresentata da ben due anniversari: il centesimo dell’impressione delle stimmate e il cinquantesimo della morte. Considerando come Dio si serva volentieri dei “giochi di date” per offrire segni e trasmettere messaggi agli uomini, i tre anniversari concatenati (uno dopo l’altro) incentrati sull’evento-Fatima e l’evento-Padre Pio mi sembra siano l’occasione di cui Dio si serva per ricordare a tutti la grandissima attualità di questi due “segni” nel quadro dei problemi del mondo e della Chiesa odierni; d’altra parte si tratta di un’attualità congiunta e non disgiunta, nel senso che da Fatima e da Padre Pio parte un messaggio unico e consimile. Quale? E’ proprio di questo che vorrei parlare e su cu vorrei invitare a riflettere nelle pagine che seguono
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Il sacerdote padovano don Attilio Negrisolo, intimo figlio spirituale di san Pio da Pietrelcina, in una sua catechesi sul Santo del Gargano, sosteneva che i secoli peggiori della storia dell’umanità sono tre: il II, il XV ed il XIX. Ma oltre questi tre ve ne è stato uno ancora peggiore: il XX. “Oggigiorno – affermava – in modo particolare, vi è davvero una ‘corrente satanica’ che sconvolge tutto!”. Una lettura teologica della parabola storica dell’umanità, tuttavia, permette di notare come il declino del mondo prenda le mosse da un momento ben preciso. In un memorabile discorso risalente al 1952, il Venerabile Papa Pio XII presentava in poche battute, in modo penetrante ed efficace, il piano diabolico steso a tavolino e portato avanti dalle forze nemiche di Dio e della Chiesa:

«Oh, non chiedeteci qual è il “nemico” né quali vesti indossi. Esso si trova dappertutto e in mezzo a tutti; sa essere violento e subdolo. In questi ultimi secoli ha tentato di operare la disgregazione intellettuale, morale, sociale dell'unità nell'organismo misterioso di Cristo. Ha voluto la natura senza la grazia; la ragione senza la fede; la libertà senza l'autorità; talvolta l'autorità senza la libertà. È un “nemico” divenuto sempre più concreto, con una spregiudicatezza che lascia ancora attoniti: Cristo sì, Chiesa no. Poi: Dio sì, Cristo no. Finalmente il grido empio : Dio è morto; anzi: Dio non è mai stato. Ed ecco il tentativo di edificare la struttura del mondo sopra fondamenti che Noi non esitiamo ad additare come principali responsabili della minaccia che incombe sulla umanità: un’economia senza Dio, un diritto senza Dio, una politica senza Dio. Il “nemico” si è adoperato e si adopera perchè Cristo sia un estraneo nelle Università, nella scuola, nella famiglia, nell'amministrazione della giustizia, nell'attività legislativa, nel consesso delle nazioni, là ove si determina la pace o la guerra. Esso sta corrompendo il mondo con una stampa e con spettacoli, che uccidono il pudore nei giovani e nelle fanciulle e distruggono l'amore fra gli sposi; inculca un nazionalismo che conduce alla guerra»[3].

In queste poche battute, il grande Pontefice coglieva l'essenza velenosa del processo rivoluzionario che dura ormai da secoli. Quell'attacco coordinato di forze avverse alla Fede cristiana e alla Chiesa cattolica a cui fa riferimento Papa Pio XII ha, infatti, i suoi prodromi già nel XV-XVI sec. nel fenomeno dell’Umanesimo-Rinascimento che preparò in il terreno a Lutero (1° Rivoluzione), lavorò a piene mani nel XIX sec. dopo la tragica esperienza della Rivoluzione anticristiana in Francia (2° Rivoluzione) per poi inalberarsi, violento, durante il XX secolo con il Comunismo prima (3° Rivoluzione) e poi, finalmente, con il Sessantotto, l’ esito volgare di tutto il processo (4° Rivoluzione) che porta alle estreme conseguenze i principi velenosi e autodistruttivi che la Rivoluzione ha sviluppato nell’arco di sei secoli. Noi ci troviamo, attualmente, nel post-Sessantotto, che comporta tutto quello sfacelo e distruzione radicale che non risparmia alcun valore.

Una formula sintetica che possa spiegare questo processo fino al nostro presente (in termini quasi sinonimici rispetto a quelli usati dal Pontefice) potrebbe essere la seguente:

- «Cristo si - Chiesa no» (Umanesimo-Luteranesimo),

«Dio si - Cristo no» (Illuminismo-Rivoluzione francese),

«uomo si - Dio no» (Comunismo),

«uomo no» (Rivoluzione sessantottina),

«satana si» (il Terzo millennio, il nostro presente)!

In questo senso, la Rivoluzione si presenta come la categoria filosofico-teologica che proclama – prima in modo sotterraneo e poi palese – il rinnegamento orgoglioso da parte dell’uomo del progetto di Dio sull’umanità rimuovendo, gradualmente, i fondamenti su cui Dio aveva costruito l’economia della Salvezza e con cui ha rivelato Se stesso e la sua Misericordia all’uomo.

Il vantaggio che si ricava, così, dalla lettura dell’evento Fatima-Padre Pio come un unico magistrale intervento della Provvidenza che vive di due fasi è quello di scorgere, in filigrana, un medesimo “programma” che accomuna e collega gli eventi, il messaggio e le profezie di Cova da Iria con la figura e l’opera del Santo stimmatizzato del Gargano. Sia l’uno che l’altro, a livello cronologico, cominciano la loro “missione” nel momento in cui la Rivoluzione assume il volto empio, ateo e blasfemo del Comunismo: le apparizioni della Bianca Signora alla Cova da Iria, infatti, iniziarono nel maggio del 1917 ed ebbero termine nel successivo ottobre, quando il Comunismo era appena sorto in Russia; San Pio da Pietrelcina, invece, cominciava “ufficialmente” la sua missione di “corredentore” e di “vittima espiatrice” un anno esatto da quegli eventi ossia con l’impressione delle stimmate visibili, il 20 settembre 1918:

«Perché Padre Pio ricevette nel 1918 le stigmate visibili (che lui non voleva) cosa che fece di lui un segno pubblico e che scatenò quel grande movimento di conversione? (…) Perché quell'offerta propiziatoria della vittima fu il seme piantato nel momento iniziale del più colossale cataclisma spirituale della storia cristiana. C'entra (…) la Prima Guerra Mondiale, la grande catastrofe da cui tutto si scatenò (le ideologie del male, tutti i totalitarismi con i loro genocidi, la Seconda Guerra Mondiale, quelle persecuzioni contro la Chiesa mai viste prima nella storia) e c’entra la gravissima crisi della Chiesa, l'immane apostasia del nostro tempo, l'apocalittico crollo del sacerdozio. L'offerta di Padre Pio e la risposta celeste delle stigmate sono misteriosamente legate anche a Fatima, evento soprannaturale di enorme portata profetica. E infatti accade, anch’esso, nel cuore della grande guerra e preannuncia tutto ciò che abbiamo appena evocato»[4].

Prendendo le mosse da questo inquadramento peculiare, considerando soltanto Fatima e san Pio da Pietrelcina, sarebbe già possibile affermare che l’intervento “controrivoluzionario” di Dio nel XX sec. non solo non è mancato ma è altresì stato proporzionato alla violenza con cui Satana[5], manovrando gli agenti della Controrivoluzione, si preparava a sferrare il suo crudele attacco alla Chiesa e al mondo: poderosa azione del Falsario, ancora più poderosi i rimedi offerti da Dio Unitrino al mondo e alla Chiesa. Fermiamo, a questo punto, la nostra attenzione su questo “rimedio celeste congiunto” e poniamoci la seguente domanda: c'è qualcosa che metta profondamente in relazione Fatima e Padre Pio? Non vi è dubbio. Il Santo frate cappuccino, si sa, nutriva una profonda devozione per il mistero di Fatima. Una delle ragioni principali era di certo quel messaggio corredentivo proposto dalla Vergine SS. e incarnato dai tre Veggenti che trasmisero, con la loro vita ancor più che con le loro parole, l’urgente appello da Lei consegnato al mondo cento anni fa: «“La grazia di Fatima”, a suo dire (di padre Pio, ndr.), è certamente un dono singolarissimo: consisteva nel “diventare Fatima” e Fatima significa “sacrificarsi fino alla meta di vittima”. Il messaggio della Signora è legato a tre nomi: Lucia, vittima che si immola nella quotidianità del monastero carmelitano di Coimbra; Francesco e Giacinta, due angeliche vittime profumate immolate sull' “Altare do mundo”, consumate nel breve arco di circa 2 anni, dopo la richiesta della Madonna:“tante anime vanno all’Inferno perché nessuno prega e si sacrifica per loro”. Fatima diventa grazia quando si accoglie il messaggio di sacrificio e di preghiera»[6].





Mirabile, davvero, come i due piccoli fratellini santi siano stati in grado di incarnare il messaggio corredentivo di Fatimadando a tutti un esempio di prima qualità: «San Francesco e santa Giacinta (…) sono andati davvero all’essenziale, facendosi vittime con Gesù Vittima, agnellini immolati con “l’Agnello di Dio, Colui che toglie il peccato del mondo” (Gv 1,29). Li muoveva una carità gigante e mai sazia di offrire e soffrire per amore di Gesù e Maria per la salvezza dei peccatori, per riparare i peccati (…). Questa carità sacrificale è carità che non inganna e non illude gli altri né si prende gioco di Dio, perché è la stessa carità di Cristo sofferente e morente per noi: “Nessuno ha un amore più grande di questo: dare la sua vita per i propri amici” (Gv 15,13). In questo senso, questa carità sacrificale è il più fruttuoso “amore per i poveri” del mondo perché non ubriaca nell’illusione di salvarli dai mali sociali e dai disagi economici (ricordava il Signore: “I poveri li avrete sempre con voi”: Gv 12,8) ma, per mistero soprannaturale, realizza una “vicaria spirituale” tramite la preghiera e la sofferenza per cui i veri amanti di Dio e delle anime liberano tanti loro fratelli dal peccato e dalle fiamme dell’inferno»[7].

E’ quanto esprimeva papa Benedetto XVI nel 2010 a Fatima con pregnanti parole: «Nella Sacra Scrittura appare frequentemente che Dio sia alla ricerca di giusti per salvare la città degli uomini e lo stesso fa qui, in Fatima, quando la Madonna domanda: “Volete offrirvi a Dio per sopportare tutte le sofferenze che Egli vorrà mandarvi, in atto di riparazione per i peccati con cui Egli è offeso, e di supplica per la conversione dei peccatori?” (Memorie di Suor Lucia, I, 162)»[8].

Questa medesima richiesta, in modo sorprendente, il Signore l’avrebbe rivolta al santo frate di Pietrelcina. Nel suo best-seller “Il segreto di Padre Pio”, il saggista Antonio Socci faceva questa significava riflessione: «La cosa veramente sconvolgente, indicibile, è la sofferenza vicaria, l’esistenza di vittime che silenziosamente, da tutti ignorate, si caricano di sofferenze per pagare colpe altrui, espiano per tutti, liberando anche tante anime del Purgatorio.Questa opera è l’unico, grande movimento di liberazione, l’unica vera “teologia della liberazione” che renda felici delle moltitudini e che non provochi tragedie»[9]. E altrove, ribadiva il pensiero: «è questa “sostituzione vicaria” che sconvolge, il fatto cioè che una persona possa volontariamente espiare le colpe di molti e prendere su di sé le loro sofferenze per guarirli»[10].





Un caso bellissimo di sofferenza vicaria che l’agiografia contemporanea registra è quello del Servo di Dio Padre Tomas Tyn[11]. Il giorno della sua ordinazione, infatti, P. Tomáš offrì a Dio la vita per la libertà della Chiesa perseguitata dal Comunismo nella sua terra d’origine. Alla fine del 1989, Dio accettava la sua offerta: colpito da un male improvviso e inesorabile, a Nekargemund (Germania), presso i suoi genitori, il 1° gennaio 1990, alle ore 10.30, andava incontro a Dio, dopo aver visto, dal suo letto di dolore, il crollo delle dittature nell’Est europeo, Cecoslovacchia compresa, segno incredibile dell’efficacia del suo atto di carità eroico. Infatti «la sera precedente (la sua morte, ndr.) il primate di Praga presiedeva in cattedrale la Celebrazione Eucaristica con un Te Deum solenne di ringraziamento per la rinata libertà di praticare pubblicamente la fede. Il giorno stesso della morte del servo di Dio, nel pomeriggio, una Santa Messa poteva essere trasmessa per la prima volta in televisione nella libera repubblica Cecoslovacca»[12].Un’offerta, quella del Padre Tyn, germogliata “sotto il sole di Cova da Iria”, potrebbe dirsi, considerando la profonda devozione che il Servo di Dio nutriva per Fatima ed il suo messaggio. La stessa consacrazione a Maria SS. che aveva fatto e praticava trovò la sua fonte d’ispirazione e di nutrimento nel messaggio della Regina del Rosario.

Un grande mistero, davvero, quello della sofferenza vicaria. È, infatti, sorprendente notare come, nei suoi messaggi al mondo (di cui Fatima potrebbe costituire la sintesi e il “progetto architettonico” che viene poi dettagliato in apparizioni e messaggi più recenti), la Vergine Maria stia, ormai da tempo, estendendo la sua richiesta di immolazione e di offerta a tante anime che, all’apparenza, non hanno nulla di speciale eppure ad esse la Ella chiede un eroica autoimmolazione per placare l’ira del Giudice divino. Queste anime elette svolgono, così, la delicata e provvidenziale funzione di “parafulmini” della giustizia divina pagando di persona perché il popolo sia risparmiato.

Nota con sagacia il saggista Saverio Gaeta in un suo recente libro: «Se il nostro pianeta non si è ancora dissolto nell’autodistruzione nucleare o per una catastrofica calamità naturale è soltanto grazie alle anime-vittima: per la maggior parte donne, umili e semplicissime, che si sono offerte al Signore e hanno preso su di sé le drammatiche sofferenze che altrimenti sarebbero già toccate all’intera umanità»[13].

Si tratta di esseri umani come tutti noi, eppure diversi da noi per l’eroismo con cui hanno liberamente scelto di caricarsi del dolore del mondo. Offerta mossa da carità sconfinata perché la sofferenza spiace e costa alla natura che tende, per sé, alla tranquillità dell’anima e dei sensi. Questa dinamica di lotta, esemplata su quella stessa ingaggiata dal Salvatore e testimoniata dai Santi Vangeli[14], è esperienza comune delle anime-vittima.





Una di queste è stata la mistica tedesca Therese Neumann, vissuta tra il 1898 e il 1962 che, a partire dal 1926, si limitò ad ingerire quotidianamente l’ostia consacrata senza più nutrirsi con cibi o bevande, al punto che durante la Seconda Guerra mondiale i nazisti non le assegnarono l’indispensabile tessera annonaria per l’acquisto degli alimenti. Il suo biografo Fritz Gerlich trascrisse il dialogo che ebbero circa le pene di espiazione: «“Il Salvatore è giusto, perciò deve punire. Egli però è anche buono, perciò vuol aiutare. Il peccato commesso deve essere punito, ma se un altro vuole assumere la pena, la giustizia viene rispettata e il Salvatore può esplicare la sua bontà”. Questo discorso mi indusse a chiederle quale rapporto avesse lei con il dolore. Credevo, infatti, di aver osservato che ne avesse paura e si sforzasse di sopportarlo solo con grande forza d'animo e per obbedienza alla disposizione divina che le aveva imposto questa croce. Le rispose alla mia domanda: “Il dolore non può piacere. Non piace neanche a me. Nessun essere vivente ama soffrire e io sono un essere vivente come gli altri. Amo però il volere del Signore e quando Lui mi manda una sofferenza l’accetto perché Lui lo vuole. Ma il dolore non mi piace»[15].

Non fu di certo diverso per Padre Pio: «Padre Pio non ama la Croce per se stessa. Nessuno può amare la sofferenza per se stessa. L’istinto naturale fa respingere la sofferenza con impulso netto ed immediato. Anche l’istinto di conservazione entra subito in azione per respingere ciò che attenta al benessere dell’uomo. Qual è il motivo, allora, per cui Padre Pio ha amato la Croce, l’ha voluta, l’ha fatta propria con una passione spinta fino alla predilezione per la sofferenza? La risposta è questa: “l’amo perché la vedo sempre alle spalle di Gesù” [16]. Padre Pio ha scoperto il valore della Croce, la sua importanza, la sua preziosità. Dal momento che Gesù si è addossato la Croce, dalla nascita nella stalla di Betlemme alla morte sulla Croce del Calvario, c’è da credere che la Croce abbia un valore, un grande valore (…). La Croce sulle spalle di Gesù diventa amore redentivo, amore che ripara, amore che salva e santifica. È proprio con la Croce, per mezzo della Croce, sulla Croce, che Gesù ci ha salvato e ci ha ridonato la vita divina, perduta con il peccato dei nostri Progenitori e con i nostri peccati di ogni giorno (…). Padre Pio ha contemplato con passione e ardore Gesù crocifisso, tutto “piaga d’amore”, e non ha resistito all’attrazione di quell’amore bruciante, perdendosi nelle piaghe del Crocifisso fino al punto di sentirsele riprodurre al vivo, trafiggenti e sanguinose nel proprio corpo. Croce, piaghe, sangue: sono realtà d’amore che salva e santifica, che purifica e trasfigura, che redime ed innalza verso il Cielo. Per questo Gesù crocifisso è Gesù Amore. Per questo Padre Pio ha voluto diventare, come afferma Paolo VI, “rappresentante stampato delle stigmate di Nostro Signore”»[17].

Ma se tale appello, quello della sofferenza vicaria, è così pressante e se sempre più anime sono dalla Vergine SS. ingaggiate per questo ufficio per sé così drammatico, quanto deve essere grave la situazione del mondo, quanto deve essere impregnato ed avvelenato di peccato questo povero pianeta su cui viviamo?




Nel panorama della folta schiera di “anime vittime” provvidenzialmente operanti e sofferenti nel secolo scorso e in quello presente, l’attenzione si posa volentieri su san Pio da Pietrelcina, colui che potrebbe essere definito il “corifeo” di queste anime generose, colui che ha vissuto il mistero di questa sofferenza vicaria anche con una visibilità straordinaria, avendo portato impressi nel suo corpo per 50 anni i segni sanguinanti della Passione del Cristo! La sua missione, la missione dello stigmatizzato del Gargano, era rinnovare e riattualizzare la passione di Nostro Signore Gesù Cristo. «Che sia Gesù venuto di nuovo su questa terra sotto la veste di frate?»[18], è quanto si domandava esterrefatta Cleonice Morcaldi, una delle più intime confidenti e figlie spirituali di Padre Pio da Pietrelcina dopo il loro primo incontro. Tale era lo stupore di tutti quelli che accostavano quel misterioso frate. La domanda della Morcaldi riassume lo stato interiore, la sorpresa delle centinaia di migliaia di uomini e donne che hanno potuto avvicinare il Padre lungo l'arco della sua vita. Ma quella domanda ha anche il pregio di riassumere la questione sorgiva inerente alla persona, al mistero, alla vocazione di Padre Pio: quel frate era davvero un “alter Christus Crucifixus” e da questo fatto fondamentale si spiegano tutte le altre cose straordinarie che avvenivano in lui e attraverso di lui: prodigi, miracoli, profezie, locuzioni, bilocazioni, ecc. Un “altro Gesù”, insomma, riedizione attuale del Nazzareno, mandato sulla terra da Dio per salvare l’umanità camminante pericolosamente sull’orlo dell’abisso proprio in quel secolo che, di tutti, è stato certamente il peggiore e più disastroso. Chi ha visto padre Pio, in pratica ha visto Cristo redivivo e ha sperimentato la potenza vivificante dell’opera redentrice e salvatrice di Lui, Morto e Risorto.

L’impegnativa missione affidata dal Cielo al frate di Pietrelcina comportava sofferenze fisiche e spirituali inaudite. Egli, con il trascorrere del tempo, comprendeva sempre più a fondo il significato di quelle sofferenze che lo avevano segnato fin da piccolo. Le piaghe dell’anima gli procuravano dolori ancora più profondi delle ferite del corpo: “prima dei chiodi alle mani ed ai piedi, l’anima era già crocifissa”, ricordava a suoi direttori. La “croce” che, come un “cireneo”, portava per espiare le colpe del popolo di Dio, si componeva di dolore corporale con le malattie e le stimmate; ma concerneva anche una estenuante “flagellazione dell’anima” con le vessazioni diaboliche, le incomprensioni, le persecuzioni da lui tutte pazientemente sopportate ed offerte. I segni della passione, nel corpo del venerato Padre Pio riattualizzano, come in una sorta di sacro memoriale, le sofferenze e la morte redentrice del Salvatore. Non avvenimenti dovuti al caso o ad una serie di circostanze più o meno fortuite, esse sono al contrario il sigillo di tutta la missione di Cristo.

L’opera santificatrice e salvatrice del “cireneo del Gargano” si dispiega fondamentalmente nella duplice dimensione della Croce:

quella verticale, nell’impegno di ascesi, di assimilazione a Cristo e di ricerca di Dio Padre, vissuta accettando le stimmate, la reclusione in convento e il peso del mistero sacerdotale;

quella orizzontale, nell’impegno a salvare gli altri, a offrirsi vittima per i poveri peccatori, consapevole che la salvezza e la santificazione della anime sempre si paga e sempre si pagherà con la “moneta del dolore”: «senza spargimento di sangue non esiste perdono» (Eb 9, 22).

Il mistero della sofferenza nella vita di padre Pio va letto essenzialmente in prospettiva cristologica e soteriologica, in quell’orizzonte cioè che disvela un autentico valore nella sofferenza, in quanto carica della “capacità redentiva”; ma è Cristo Crocifisso e Risorto cha ha dato alla sofferenza umana questa potenzialità radicale, dandole altresì un senso, un volto, un significativo. Il patimento, dopo l’Incarnazione redentrice di Gesù Cristo, non sarà mai più segno dell’abbandono di Dio ma della partecipazione e comunione al grande mistero della redenzione da Lui attuata.

Il primo volume dell’Epistolario del Padre attesta con chiarezza questa sua vocazione alla sofferenza vicaria mentre egli andava progressivamente disponendosi all’accettazione del volere divino. In una lettera del 29 luglio 1910 si legge: «parmi di racconsolarmi ed incoraggiarmi a sempre più correre nella via della croce. Soffro è vero, ma intanto non mi dolgo perché Gesù così vuole»[19]. Degno di nota è anche uno scritto indirizzato al suo direttore spirituale, padre Agostino da San Marco in Lamis, in data 20 settembre 1912: «Egli (Cristo, ndr.) si sceglie delle anime e tra queste, contro ogni mio demerito, ha scelto anche la mia per essere aiutato nel grande negozio dell’umana salvezza. E quanto più queste anime soffrono senza verun conforto tanto più si alleggeriscono i dolori del buon Gesù»[20].

Nel testo citato, padre Pio parla di aiuto dato al Cristo “nel grande negozio dell’umana salvezza” e la sua partecipazione ai di Lui dolori. È, in effetti, la “testimonianza autoconfessata” della chiamata del Signore, a lui rivolta, alla sofferenza vicaria.

In un’altra lettera del 27 agosto del 1918 di padre Benedetto (a quel tempo direttore spirituale del giovane padre Pio) al sacerdote cappuccino si parla di una vera e propria “missione a corredimere”. Nel tentativo di offrire una spiegazione teologica della mistica grazia della “trasverberazione del cuore”[21] di cui padre Pio era da poco stato insignito, il padre Benedetto afferma: «Tutto quello che avviene in voi è effetto di amore, è prova, è vocazione a corredimere, e quindi è fonte di gloria (…). Il fatto della ferita compie la passione vostra come compì quella dell’amato sulla croce»[22].

L’autore della lettera, parlando di “vocazione a corredimere”, palesa il senso cristologico e soteriologico – a cui prima si accennava – delle esperienze dolorose vissute dal frate di Pietrelcina, di una vocazione a conformarsi in modo singolare al Cristo Crocifisso a beneficio dei fratelli; l’esperienza della trasverberazione assume, senz’altro, un valore prolettico in relazione a quanto si verificherà un mese dopo circa, quando la “conformità crocifissa” verrà suggellata dalle stimmate visibili alle mani, ai piedi ed al costato. Con la partecipazione dolorosa alla passione dell’Amato sulla croce, padre Pio per grazia divina si associava alla stessa missione del Redentore. Il “misterioso personaggio” della trasverberazione e della stigmatizzazione, di cui parla padre Pio nelle sue lettere, è lo stesso Cristo. E’ per l’appunto quest’ “Amante crocifisso” Colui che sceglie il giovane sacerdote come Sua vittima di amore e di dolore.

Questa immedesimazione al Cristo Crocifisso, così, ben più che semplice imitazione di Gesù, è piuttosto principio efficace di collaborazione attiva alla Redenzione, flusso vivo del Sangue di Cristo: «Padre Pio, dunque, come primo sacerdote stimmatizzato che la storia della Chiesa registri, è stato chiamato a cooperare con Cristo alla redenzione del genere umano, contribuendo, con la sua vita e con lo svolgimento del suo ministero sacerdotale, ad applicare alle anime i meriti della vita, passione, morte e risurrezione di Cristo»[23].

E giungiamo, finalmente, al culmine della trattazione, laddove è svelato un ulteriore prodigio nella già prodigiosa e meravigliosa vocazione di padre Pio.
 Ce ne parla Antonio Socci nel suo libro menzionato a più riprese, a cui lascio la parola per queste battute finali. Un fatto sorprendente che si pone come vertice e compimento della vocazione oblativa del santo cappuccino. Sarà Mons. Piero Galeone a svelare quello che sembra uno dei più grandi misteri mai registrati dall’agiografia cristiana, che sortisce effetti meravigliosi in questi ultimi tempi e di cui la nostra generazione è testimone: «Padre Pio non si è limitato a lasciarci il suo sconvolgente esempio, la sua missione non è finita il giorno della sua nascita al cielo, il 23 Settembre 1968. Monsignor Pietro Galeone (…) ha rivelato un segreto che lascia senza parole: “Padre Pio mi rivelò di aver chiesto a Gesù e di aver ottenuto non solo di essere vittima perfetta, ma anche vittima perenne, cioè di continuare a rimanere vittima nei suoi figli, allo scopo di prolungare la sua missione di corredentore con Cristo sino alla fine del mondo. Egli mi ha detto e confermato di aver avuto dal Signore la missione di essere vittima e padre di vittime sino all’ultimo giorno (…)”»[24]. Le conseguenze di una simile rivelazione non possono che essere grandiose. Si è letto qualcosa che suona come la garanzia che, in qualche modo, ci sarà fino alla fine del mondo qualche vittima, qualcuno che si immolerà per riparare, per scongiurare, per impetrare; ci sarà sempre qualche parafulmine interposto da Dio tra l’umanità peccatrice e la Giustizia divina…

Ma è tempo di concludere. E desidero farlo con un piccolo omaggio al grande Papa San Pio X ricordando quanto abbia inciso, nella vita e nella spiritualità di Padre Pio, la figura di questo santo Papa di cui il frate del Gargano diceva non essere salito mai uno più grande sul trono di Pietro e con cui ebbe profondi legami di ordine spirituale. Ebbene, Papa Pio X fu in certo modo matrice ed ispiratore della peculiare vocazione di “corredentore” di padre Pio essendo innanzitutto lui una di quelle anime vittime di cui si è parlato. Ci fa sapere A. Socci che Papa Sarto «nel 1910, meditava su ciò che chiedeva a sé stesso e ad altre anime: “E’ ardua la vocazione di vittima, poiché il luogo della vittima è sul Calvario con Gesù e non nelle dolcezze dell’amore”. Il legame (finora sottovalutato) del padre con quel papa è rivelato anche da un episodio “strano” e testimoniato da don Orione, che accadrà negli anni Venti o Trenta. Il fondatore della “Piccola Opera della Provvidenza”, oggi santo, riferì a papa Pio XI di aver visto Padre Pio genuflesso nelle grotte vaticane davanti alla tomba di Pio X, ancora non salito alle glorie degli altari. “Se me lo dite voi ci credo” rispose Pio XI davanti al quale don Orione aveva anche difeso padre Pio dalle tante calunnie propalate sul suo conto. L’episodio finora è stato citato solo come esempio delle famose bilocazioni di padre Pio (che ovviamente si trovava a San Giovanni Rotondo e contemporaneamente «viaggiava» nelle grotte vaticane). Ma appare ancora più rivelatore in rapporto alla devozione del frate per quel pontefice santo. Papa Pio X peraltro era considerato da padre Pio come una grande figura profetica per i tempi che si preparavano. È infatti il papa che condannò formalmente la dilagante eresia modernista che oggi più che mai insidia la Chiesa con due memorabili pronunciamenti[25].

Prevedendo che il dramma della Chiesa dei tempi futuri sarebbe stato innanzitutto la crisi del sacerdozio, il papa delinea un profilo del ministro di Dio che sembra la perfetta descrizione di quello che sarà padre Pio: “Se al sacerdote manca la scienza di Cristo che si riassume nella santità della vita e nella illibatezza dei costumi, gli manca tutto. La stessa dottrina, la stessa destrezza di azione, sebbene possano recare vantaggio alla Chiesa o ad altri, non di rado sono al sacerdote di lacrimevole nocumento. Chi, invece, è ricco di santità, può - benché l'ultimo - operare cose meravigliose a salute del popolo di Dio, come fanno fede moltissime testimonianze di ogni età (...). Solamente la santità rende il sacerdote quale egli deve essere secondo la sua vocazione divina: “Uomo crocifìsso al mondo”, vivente nella novità di una vita protesa alle cose celesti per condurre alle medesime il popolo cristiano”[26].

Se Pio X, che morirà proprio offrendosi vittima, allo scoppio della Grande guerra, esorta i sacerdoti a “offrirsi vittime” e definisce questo addirittura come “grande ufficio della pietà cristiana”, vuol significare che — lungi dall’essere un’ascesi intimistica — proprio questo sacrificio di sé, assimilando a Cristo, permette al Signore di operare più efficacemente sulla terra. Ben più di quanto ottengono tutte le azioni umane e i progetti e le iniziative (...). Questa “arma”, apparentemente povera e insignificante, l’arma del proprio corpo e del proprio cuore, l'arma dei poveri, dei piccoli e dei semplici, è – secondo l’insegnamento tradizionale della Chiesa – quella in cui più si manifesta la potenza di Dio, specialmente nel tempo della grande prova e della grande apostasia».[27]

E’ l’offerta compiuta da Padre Pio e dai Pastorelli di Fatima, sulla scorta del messaggio della Bianca Signora. È ancora il messaggio che si prolunga e che arriva, oggi, alle anime generose che vogliano assumersi il compito di fare da parafulmini della divina giustizia. C’è dunque una speranza. Alla fine il Bene dovrà trionfare.

Note:


[1] Don A. Negrisolo-Don N. Castello-Padre S. M. Manelli, Padre Pio nella sua interiorità, San Paolo, Cinisello Balsamo 1997, pp. 65-67.
[2] A. Socci, Il segreto di Padre Pio, Rizzoli, Milano 2007, p. 58.
[3] Venerabile Pio XII, Discorso agli uomini di azione cattolica nel XXX° della loro unione, 12 ottobre 1952, in w2.vatican.va.
[4] A. Socci, Il segreto di Padre Pio, pp. 57-58.
[5] Il prof. Plinio Correa de Oliveira, nel suo saggio Rivoluzione e Controrivoluzione, chiarisce come la Rivoluzione non sia « frutto della semplice malizia umana. Quest’ultima apre le porte al demonio, dal quale si lascia eccitare, esacerbare e dirigere […]. La parte del demonio nell’esplosione e nei progressi della Rivoluzione è stata enorme. Come è logico pensare, un’esplosione di passioni disordinate tanto profonda e tanto generale come quella che ha dato origine alla Rivoluzione non sarebbe avvenuta senza un’azione preternaturale. Inoltre, sarebbe stato difficile che l’uomo giungesse agli estremi di crudeltà, di empietà e di cinismo ai quali la Rivoluzione è arrivata diverse volte nel corso della sua storia, senza il concorso dello spirito del male»: P. Correa de Oliveira, La devozione mariana e l’apostolato contro-rivoluzionario, prefazione a Rivoluzione e Contro-Rivoluzione, in Cristianità II (8/1974) 3-6 (prima edizione argentina: Revolución y Contra-Revolución, Tradición Familia y Propiedad, Buenos Aires 1970, pp. 9-34).
[6] Don N. Castello-Padre S. Manelli, La Dolce Signora di Padre Pio. Il mistero di Maria nella vita del beato di Pietrelcina, San Paolo, Cinisello Balsamo 1999, p. 56.
[7] Fra P. M. Pedalino, Fatima 1917-2017: un grandioso evento profetico che interpella la Chiesa, Casa Mariana Editrice, Frigento 2017, pp. 43; 46.
[8] Papa Benedetto XVI, Omelia sulla spianata del Santuario di Fatima, 13 maggio 2010, in w2.vatican.va.
[9] A. Socci, Il segreto di Padre Pio, p. 226.
[10] Ivi, p. 41.
[11] Tomáš Týn (Brno, 3 maggio 1950 – Heidelberg, 1º gennaio 1990) è stato un sacerdote ceco domenicano che ha insegnato a lungo in Italia. Educato in ambiente cattolico ed estimatore di san Domenico di Guzmán, iniziò il noviziato domenicano il 28 settembre 1969 a Warburg, in Vestfalia. Studiò a Bologna dove seguì il corso filosofico-teologico e conseguì la licenza. Nel 1972 a soli 22 anni, pubblicò in latino un saggio in cui confutava la teologia morale di Karl Rahner. Tomáš Týn riteneva che Rahner fosse caduto in deleteri errori teologici soprattutto per aver accolto delle falsità in filosofia, denunciando in particolare il suo abbraccio con l’esistenzialismo. Il 29 giugno 1975 fu ordinato sacerdote da papa Paolo VI. Avverso al comunismo, attribuì all'opposizione contro di esso l'origine della sua vocazione, come ricordò durante un'omelia su Fatima nel 1987: “è al comunismo che io debbo la mia vocazione religiosa e sia benedetto e ringraziato il Signore”. Conseguì il dottorato in teologia alla Pontificia Università San Tommaso d'Aquino, l’Angelicum di Roma nel 1978 con una dissertazione dal titolo L'azione divina e la libertà umana nel processo della giustificazione secondo la dottrina di s. Tommaso d'Aquino. Dal 1987 insegnò come professore di teologia morale presso lo “Studium” domenicano di Bologna dove rientrò dopo l'ordinazione sacerdotale. Dopo aver offerto la propria vita per liberazione della sua patria dal comunismo ateo, morì il 1º gennaio 1990 a Neckargemünd, in Germania, presso i genitori, a causa un male improvviso.
[12] R. Schinco (a cura di), La Beata sempre Vergine Madre di Dio. Omelie mariane del servo di Dio Tomàš Tyn, Casa Bianca editore, Bologna 2009, pp. 36-37.
[13] S. Gaeta, Le veggenti. Le profezie delle anime-vittima che salvano il mondo, Salani, Milano 2018, p.7.
[14] E’ noto quanto duro fu per il Signore caricarsi del peso del peccato dell’umanità con tutte le sofferenze che comportava la Sua Incarnazione redentiva. L’atrocità della lotta del Salvatore è registrata dagli evangelisti soprattutto in occasione della Sua preghiera nell’orto degli Ulivi, nell’imminenza della Passione: “Padre mio, se è possibile, passi da me questo calice! Però non come voglio io, ma come vuoi tu!” (Mt 26, 39). Ma alla fine l’Amore di Cristo fu più grande e il Buon Pastore diede la sua vita in riscatto di molti: “Cristo patì per voi, lasciandovi un esempio, perché ne seguiate le orme” (2 Pt 2, 20). Benedetto XVI, circa la preghiera di Cristo nel Getsemani, annota: «le due parti della preghiera di Gesù appaiono come la contrapposizione di due volontà: c’è la “volontà naturale” dell’uomo Gesù, che recalcitra di fronte all’aspetto mostruoso e distruttivo dell’avvenimento e vorrebbe chiedere che il calice “passi oltre”; e c’è la “volontà del Figlio”, che si abbandona totalmente alla volontà del Padre (...)». La “ realtà salvifica” sta nel fatto che «nel giardino (…) Gesù ha accettato fino in fondo la volontà del Padre, l’ha fatta sua e così ha capovolto la storia»: Benedetto XVI, Gesù di Nazareth. Dall’ingresso in Gerusalemme fino alla risurrezione, LEV, Città del Vaticano 2011. In tal modo il Redentore ha anche ricondotto la volontà ribelle del genere umano dinanzi al Padre, l’ha purificata liberandola dall’incapacità di piegarsi all’amorosa obbedienza a Lui e gli ha ottenuto la capacità radicale di accogliere il dolore redentivo offrendolo in riparazione dei crimini e per la salvezza propria e di quella dei fratelli d’esilio.
[15] S. Gaeta, Le veggenti. Le profezie delle anime-vittima che salvano il mondo, p. 16.
[16] «Gesù mi dice che nell’amore è lui che diletta me; nei dolori invece sono io che diletto lui. Ora desiderare la salute sarebbe andare in cerca di gioie per me e non cercare di sollevare Gesù. Si, io amo la croce, la croce sola; l’amo perché la vedo sempre alle spalle di Gesù. Oramai Gesù vede benissimo che tutta la mia vita, tutto il mio cuore è votato tutto a lui ed alle sue pene»: Padre Pio, Epistolario I. Corrispondenza con i direttori spirituali (1910–1922), (abbr. Epist. I), a cura di Melchiorre da Pobladura e Alessandro da Ripabottoni, 3a ed., San Giovanni Rotondo 1995, 335.
[17] Padre S. M. Manelli, FI, Il pensiero di Padre Pio, Casa Mariana Editrice, Frigento 2005, pp. 77-78.
[18] Beatificationis et canonizationis Servi Dei Pii a Pietrelcina. Positio super virtutibus, vol. IV, p. 177 (Diario).
[19] Epist. I, 193.
[20] Epist. I, 304.
[21] La trasverberazione è uno dei fenomeni della mistica cristiana che consiste nella trafittura fisica del cuore. Il termine latino “transverberare” significa “trafiggere, trapassare da parte a parte” con un pugnale o una spada. Tale grazia mistica si verifica di solito in un’anima già pervenuta ai gradi più elevati della vita spirituale. La trasverberazione e le stigmate sono i segni visibili della crocifissione di Gesù Cristo condivisa in una creatura: mani e piedi confitti dai chiodi (stigmatizzazione) e il cuore trafitto dalla lancia (trasverberazione). Tali fenomeni sono, in sostanza, la rievocazione e al riattualizzazione dei segni della di Lui Passione. Nell’agiografia cristiana vi sono numerosi casi accertati, (circa quattrocento) di trasverberazione, spesso associata al fenomeno dell’impressione delle stigmate. Alcuni santi favoriti da tale grazia furono: San Francesco d’Assisi (1248-1309), Sant’Angela da Foligno (1248-1309), Santa Caterina da Siena (1347-1380), Santa Rita da Cascia (1380-1457), Santa Caterina da Genova (1447-1510), Santa Teresa d’Avila (1515-1582), Santa Maria Maddalena de Pazzi (1566-1607), Santa Margherita Maria Alacoque, (1647-1690), Santa Veronica Giuliani (1660-1727), San Paolo della Croce, (1694-1775), Santa Gemma Galgani (1878-1903), San Pio da Pietrelcina (1887-1968). Quest’ultimo sperimentò questa grazia mistica il 5 agosto 1918: cf P. A. Orlandi, I fenomeni fisici del misticismo, Gribaudi, Milano 1996; cf anche Padre A. R. Marin, Teologia della Perfezione cristiana, Edizioni Paoline, Roma 1961, pp. 879-881.
[22] Epist. I, 1068–1069.
[23] Suor M. I. Savanelli, L’Immacolata e la missione di Padre Pio, in Il Settimanale di Padre Pio (n. 49) 17 dicembre 2017.
[24] A. Socci, Il Segreto di Padre Pio, pp. 219-220.
[25] Soprattutto l'enciclica Pascendi del 1907 e il decreto Lamentabili.
[26] San Pio X, Haerent animo. Esortazione al clero cattolico, 1908
[27] A. Socci, Il Segreto di Padre Pio, pp. 58-61.

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