ACTA APOSTATICAE SEDIS : come, cambiando un po' qua e un po' la, si può cambiare tutto...

giovedì 28 giugno 2018

L’atteggiamento di resistenza

Papa Francesco: un cambiamento di paradigma nella missione della Chiesa?


Se nei primi concili della Chiesa i laici furono invitati a partecipare, senza potere decisionale – con l’eccezione dell’VIII Concilio di Toledo, in cui i laici presenti non soltanto parteciparono delle deliberazioni, ma firmarono persino gli atti – credo che non sia esagerato accettare, in questocongresso dottrinale che riunisce accademici di varie discipline, un relatore che non è un accademico, bensì un militante che studia la vita della Chiesa da quattro decadi.
E se Papa Francesco è stato criticato con molto fondamento da alcuni dei qui presenti per il suo prassismo – penso particolarmente ai Professori Roberto de Mattei e Giovanni Turco –, credo però che siamo tutti d’accordo sul fatto che vada evitato l’eccesso opposto, ossia quello di una cultura libresca interamente assorbita in elucubrazioni astratte e slegata dalla realtà, molto tipica di tanti intellettuali moderni, a partire dalla scissione cartesiana tra l’intelligenza e la realtà, tra il pensiero e l’azione.

In quanto militante cattolico, discepolo di Plinio Corrêa de Oliveira, da parte mia mi sforzo affinché il mio pensiero si sviluppi nella lotta. Come spiega Roberto de Mattei nella sua recente opera Plinio Corrêa de Oliveira: Apostolo di Fatima e Profeta del Regno di Maria, nel processo di elaborazione mentale del compianto intellettuale brasiliano “lo studio è un elemento che serve più a lottare che a conoscere meglio la verità. Non è un’attività che si faccia a tavolino, in vitro, studiando all’interno di un tubo di vetro; ma è qualcosa che si realizza nello scontro, nella lotta, nel mezzo della battaglia, riflettendo su di essa e studiando ciò che è necessario per condurla a termine”[1].
In effetti, le migliori esplicitazioni del grande maestro della Contro-Rivoluzione sono state frutto della lotta del momento. Penso al suo primo libro In Difesa dell’Azione Cattolica, che, già nel 1943, denunciava l’infiltrazione degli errori del Neo-Modernismo nei mezzi cattolici brasiliani, che 20 anni più tardi avrebbero dato l’orientamento ai dibattiti conciliari. O alla sua dichiarazione di Resistenza alla Ostpolitik vaticana, primo documento di diffusione mondiale in cui, nell’epoca contemporanea, venne sollevata la delicata questione della liceità dell’opposizione alle direttive di un Papa. Fu anche per rispondere a una eventuale obiezione che il Dr. Plinio suggerì ad Arnaldo V. Xavier da Silveira di studiare e includere nel suo libro sul Novus Ordo di Paolo VI una sezione,da poco pubblicato separatamente, sulla possibilità teologica di un Papa eretico.
In questo contesto di lotta come “grande interlocutrice dell’uomo”[2]– e dando seguito a altre iniziative nelle quali noi discepoli di Plinio Corrêa de Oliveira ci siamo impegnati negli ultimi anni, come ad esempio la Supplica Filiale a Papa Francesco per il Futuro della Famiglia, firmata da 900mila cattolici di tutto il mondo, o alla Dichiarazione di Fedeltà all’Insegnamento immutabile della Chiesa e alla sua disciplina ininterrotta sul Matrimonio, firmata da 36mila persone – in questo contesto ho l’onore di annunciare la pubblicazione di un lavoro di mia redazione intitolato Il “cambio di paradigma” di Papa Francesco: Continuità o rottura nella missione della Chiesa? Bilancio quinquennale del suo pontificato.
Lo scopo del suddetto lavoro è limitato. Vuol fare un elenco delle prese di posizione di Papa Francesco rivelatrici di un cambiamento di paradigma in relazione all’insegnamento perenne della Chiesa solo in quei temi riguardanti i laici. Pertanto, restano di proposito esclusi dal libro temi in sé più importanti e anche oggetto di controversia, ma che attengono alla struttura stessa della Chiesa Cattolica e ai suoi dogmi fondamentali, e che proprio per questo, vanno al di là del campo visuale e delle conoscenze comuni dei fedeli, ben formati e informati ma non specialisti.
Questo lavoro non pretende neanche di fare un’analisi dottrinaria approfondita di ciascuno degli argomenti trattati, ma semplicemente un resoconto commentato delle dichiarazioni e delle iniziative dell’attuale Pastore Supremo che più hanno lacerato il sensus fidei del suo gregge.
I temi, affrontati in otto capitoli, sono quelli che più hanno sconcertato i cattolici comuni – pertanto non mi riferisco all’ambiente tradizionalista, ma ai fedeli conservatori che riempiono le parrocchie senza ancora essere stati trasbordati ideologicamente dai pastori neomodernisti – e sono i seguenti:
  • Il ripiegamento pastorale dei “valori non negoziabili”, notoriamente a difesa della sacralità della vita e del matrimonio come unione indissolubile di un uomo e di una donna;
  • La promozione dell’agenda neomarxista e no global dei “movimenti sociali”;
  • La promozione dell’agenda “verde”, di una governance mondiale e di una mistica ambigua verso la “Madre Terra”;
  • L’incoraggiamento dell’immigrazione e dell’Islam insieme alla reticenza rispetto ai cristiani perseguitati in Medio Oriente;
  • L’indifferentismo religioso, il relativismo filosofico e l’evoluzionismo teologico illustrati per esempio in quel primo e sconvolgente video con le intenzioni pontificie per l’Apostolato della Preghiera, ampiamente diffuso sulle reti sociali;
  • La predicazione di una nuova morale soggettiva senza imperativi assoluti;
  • L’accesso alla comunione ai divorziati risposati, per mezzo dell’applicazione di Amoris laetitia;
  • La simpatia verso l’attuale pontificato da parte dei poteri mondani e di gruppi anticristiani.

In un capitolo riassuntivo, il lavoro evidenzia il desiderio di adeguare la Chiesa alla Modernità rivoluzionaria e anticristiana come il denominatore comune del cambiamento di paradigma dell’attuale pontificato.
Il capitolo finale riguarda la liceità della resistenza a tale cambio di paradigma, secondo il modello insegnato da San Paolo nella lettera ai Galati. Ovvero, è proprio l’amore al Papato che deve portarci a resistere a gesti, dichiarazioni e strategie politico-pastorali che contrastano con il depositum fidei e con la Tradizione della Chiesa.
Si sottolinea che, se è vero che nessuna eresia può venire insegnata infallibilmente dai papi, è anche vero che un papa che non ricorre al carisma dell’infallibilità, o che affronta una questione non coperta da quest’ultimo, può sbagliare. E che, in tal caso, per amore alla verità e alla Chiesa, i fedeli possono e devono resistere.
Precisamente per non fermarsi solo ad una lamentela astrattasugli aspetti sconcertanti del cambiamento di paradigma promosso da Papa Francesco, ma per contribuire modestamente all’orientamento dei fedeli perplessi, la conclusione del libro insiste sul fatto che l’atteggiamento di resistenza può e deve essere esercitato non solo in quel che concerne la riammissione degli adulteri al banchetto eucaristico, ma anche nella difesa della vita umana contro l’aborto e l’eutanasia; nella difesa del matrimonio indissolubile e nella lotta contro il riconoscimento legale delle unioni omosessuali; nella difesa della proprietà privata e della libera iniziativa contro le politiche collettiviste e gli assalti dei cosiddetti “movimenti sociali”; nel rifiuto dell’ideologia indigenista e del miserabilismo come soluzioni ad un preteso “riscaldamento globale di origine antropica” che divide la comunità scientifica; nella difesa del’identità cristiana e della cultura nazionale di fronte al problema dell’immigrazione – con il conseguente rifiuto dell’islamizzazione dell’Occidente e del relativismo filosofico e spirituale dell’utopia “multiculturale” – , così come nel rigetto dell’Ostpolitik vaticana verso regimi anticristiani che perseguitano i cattolici.
Resta però in piedi una domanda: Come rapportarsi ai pastori che assumono e attuano il cambiamento di paradigma di matrice bergogliana? Come rapportarsi allo stesso Pastore dei pastori che lo promuove?
Il lavoro sostiene che sembra indispensabile evitare due “facili soluzioni”, tra loro opposte. Una che consiste nel dire: “In fin dei conti, il Papa è il rappresentante di Cristo e i vescovi sono i successori degli Apostoli. Sono il ‘magistero vivo’. Chi sono io per giudicarli? Se il Papa e i vescovi che lo appoggiano si stanno sbagliando, il problema è loro”; e l’altra che afferma: “Tutto ciò è chiaramente eretico; per cui, chi lo promuove non può essere Papa”, e cadere così nel sedevacantismo, evitando di resistere a un superiore per il fatto di non riconoscergli più l’autorità.
Al contrario, bisogna rifiutare questa falsa alternativa, riconoscendo Papa Francesco come il Vicario di Cristo in Terra e i nostri vescovi diocesani come successori degli Apostoli, ma senza per questo lasciare di “resistergli in faccia”, come San Paolo resistette a San Pietro.
Questa via intermedia, che evita i due scogli, venne suggerita tempo fa dal Prof. Plinio Corrêa de Oliveira ai dirigenti della TFP cilena come conclusione al libro La Chiesa del silenzio in Cile, che denunciava la collaborazione di una parte importante dell’Episcopato andino con il comunismo per la demolizione di quel paese. Tale via cercava di rispondere alla seguente domanda: “Posto il nostro atteggiamento di resistenza, e volgendo l’attenzione alla nostra vita spirituale di cattolici, siamo obbligati dalla sana dottrina ad avvicinarci a questi Pastori e sacerdoti [demolitori] per ricevere dalla loro bocca gli insegnamenti della Chiesa e dalle loro mani i sacramenti?”.
Prendendo come presupposto che “per avere piena convivenza ecclesiastica è necessario che vi sia un livello minimo di fiducia e di mutua concordia nelle relazioni spirituali da pecora a pastore e da figlio a padre” e “data l’ampiezza e l’importanza che questi Pastori e sacerdoti danno all’azione demolitrice”, la risposta sfumata suggeriva che “nell’ordine concreto non vi sono le condizioni per un esercizio abituale di questa convivenza”, senza che essa “non causi un rischio prossimo per la fede e grave scandalo per i buoni”. Per questo, “cessare la convivenza ecclesiastica” con loro “è un diritto di coscienza dei cattolici che la giudichino dannosa per la propria fede e la vita di pietà, e scandalosa per il popolo fedele”.
Com’è naturale, questa proposta non dovrebbe essere messa in pratica in modo universale, visto che il processo di demolizione può trovarsi più accelerato qui e un po’ più in ritardo altrove. Ad esempio, in materia di riammissione all’Eucaristia dei divorziati risposati civilmente, la situazione in Germania non è la stessa della vicina Polonia o dell’Africa. Per cui è comprensibile che alcuni fedeli frequentino le chiese dei Pastori e sacerdoti che mettono in atto il nuovo paradigma e che altri si rifiutino di farlo e si allontanino da ogni abituale rapporto spirituale e religioso con tali ecclesiastici, anche in quel che attiene alla vita sacramentale.
Se qualcuno dei presenti si angustiasse per questa proposta – ritenendo che la sospensione dell’abituale convivenza con i Pastori demolitori equivale a uno scisma, benché si riconosca loro pienamente l’autorità e la giurisdizione –, facciamo notare che questo diritto che spetta ai fedeli ingiustamentesottoposti a pressione morale è analogo a quello della sposa e dei figli rispetto a un padre prevaricatore che li aggredisce psicologicamente: in questo caso essi possono legittimamente, pur senza abbandonare il focolare, decidere di occupare stanze più appartate della casa per proteggersi così dalla cattiva influenza paterna. Tale allontanamento dalla coabitazione quotidiana e abituale non rappresenta un disconoscimento degli indissolubili legami coniugali e filiali che li unisce al padre, né una mancanza del loro dovere di fedeltà a lui, ma al contrario può portare il padre manchevole a fare un esame di coscienza e a convertirsi, portando così al ripristino della normale convivenza familiare.
L’analogia non è forzata, dato che, basandosi nella lettera di San Paolo ai Galati – “il marito è il capo della moglie, come Cristo è il capo della Chiesa, suo corpo, della quale è il Salvatore” (5,23) –, i Padri della Chiesa e in seguito i canonisti medievali, si sono serviti ampiamente della metafora del matrimonio mistico, simbolizzato dall’anello episcopale, per designare analogicamente le relazioni che il vescovo mantiene con la sua diocesi. La metafora è valida, a fortiori, per raffigurare le relazioni tra il papa e la tota Ecclesia.
In realtà, i diritti del coniuge che si vede forzato a separarsi vanno persino oltre. Il coniuge vittima di abuso, di fatto, ha il diritto di cessare completamente la convivenza, cambiando domicilio o cacciando da questo il coniuge manchevole. Il Codice di Diritto Canonico del 1983, ribadendo la legislazione immemoriale della Chiesa, stabilisce che “i coniugi hanno il dovere e il diritto di osservare la convivenza coniugale, eccetto che ne siano scusati da causa legittima” (c. 1151). Oltre all’adulterio non consentito né perdonato (c. 1152), è legittima la separazione dei corpi, pur con la permanenza del vincolo, se “uno dei due coniugi compromette gravemente il bene sia spirituale sia corporale dell’altro o della prole, oppure rende altrimenti troppo dura la vita comune”. Tale separazione può essere chiesta all’Ordinario o, “per decisione propria, se vi è pericolo nell’attesa”, con l’unico limite che “cessata la causa della separazione, si deve ricostituire la convivenza coniugale” (c. 1153).
Nella legislazione civile di molti paesi di tradizione cristiana ancora esiste, sulle orme del diritto canonico, l’istituzione della “separazione dei corpi” senza la dissoluzione del vincolo, ma che comporta solo un allentamento del legame coniugale, in quanto l’unico dovere dispensato è l’obbligo di coabitazione. Tutti gli altri doveri sorti dal matrimonio restano validi, e soprattutto quello della fedeltà e l’obbligo di soccorso nella necessità.
Questa totale separazione senza dissoluzione del vincolo, ammessa dal Diritto Canonico e dalle leggi civili, è un atteggiamento ben più drastico di quello suggerito sopra, che consiste nella semplice sospensione dell’esercizio abituale della convivenza – equivalente ad andare a vivere in stanze lontane ma nella stessa casa – in relazione a Pastori il cui gregge si sente psicologicamente aggredito dal tentativo di imposizione di un cambiamento di paradigma inaccettabile nell’insegnamento, nella disciplina e nella vita della Chiesa.
È questoequilibrio nella resistenza che caratterizza la nostra proposta come una “via intermedia”, ovvero che mantiene integri i legami di fedeltà che uniscono i fedeli ai legittimi Pastori, ma che prende le misure prudenziali necessarie alla preservazione dell’integrità della propria fede e, al contempo, pratica la carità verso i più deboli, evitando che la convivenza abituale con prelati autodemolitori sia per essi un motivo di scandalo.
Questa è solo la proposta di un laico che, pur  senza alcuna specializzazione in teologia, in morale o nel diritto canonico, non disconosce la dottrina e la disciplina della Chiesa e si lascia guidare dal sensus fidei e dalla ragione illuminata dalla fede.Ed egli approfitta dell’occasione di questo congresso per sottoporla senza alcuna pretesa alla considerazione dei partecipanti.
Se dovesse accadere – Deus avertat! – che l’attuale divisione virtuale nel seno della Chiesa, favorita dal cambiamento di paradigma promosso dalle più alte autorità ecclesiastiche, si trasformi in unaspaccatura formale, come temono alcuni, pensiamo che i cattolici fedeli al loro battesimo debbanostringersi all’insegnamento perenne del Magistero tradizionale e ai pastori che lo trasmettono senza alterazioni, nell’attesa che lo Spirito Santo faccia tornare sulla retta via quanti vi si allontanano, senza nel frattempo angustiarsi circa lo statuto canonico di questi ultimi, materia teologico-canonica delicata che sta totalmente al di fuori della competenza dei comuni fedeli e che è motivo di controversia persino tra gli specialisti.
Nell’attuale confusione, che rischia di aggravarsi in un futuro non lontano, una cosa è certa: i cattolici fedeli al loro battesimo mai prenderanno l’iniziativa di rompere il sacro legame di amore, di venerazione e di obbedienza che li unisce al successore di Pietro e ai successori degli Apostoli, anche se questi possano eventualmente opprimere le loro coscienze e auto demolire la Chiesa. Se, abusando del proprio potere e cercando di forzarli ad accettare i loro traviamenti, tali prelati arrivassero a condannarli a causa della loro posizione di fedeltà al Vangelo e di resistenza all’autorità, saranno tali pastori, e non i cattolici fedeli, i responsabili di questa rottura e delle sue conseguenze davanti a Dio, al diritto della Chiesa e alla Storia, così come avvenne con Sant’Atanasio, vittima di un abuso di potere, ma una stella nel firmamento della Chiesa.
Approfitto dell’occasione di questa presentazione per ringraziare pubblicamente l’aiuto ricevuto dai miei colleghi Juan Miguel Montes, Federico Catani e Samuele Maniscalco, senza i quali la preparazione del lavoro e la sua pubblicazione non sarebbero stati affatto possibili.
E chiudo queste poche parole con le stesse espressioni che concludono il bilancio quinquennale del pontificato di Papa Francesco, ovvero ribadendo la nostra fede incrollabile e la nostra fedeltà inalterabile al primato di giurisdizione universale del Pontefice Romano e alla sua infallibilità ex cathedra, così come alla verità della fede, contenuta nelle Sacre Scritture e proclamata dal Magistero universale ordinario, dell’indefettibilità della Chiesa. Vale a dire quella proprietà soprannaturale che garantisce la perpetuità e l’immutabilità dei suoi elementi essenziali, fondata sulla promessa di Nostro Signore e consolidata nel versetto di chiusura del Vangelo di San Matteo: “Ecco, io sono con voi tutti i giorni, fino alla fine del mondo” (28,20).
Nel mentre, come diceva Plinio Corrêa de Oliveira, “è possibile e perfino probabile che vi siano terribili defezioni. Ma è assolutamente certo che lo Spirito Santo continua a suscitare nella Chiesa mirabili e indomabili energie spirituali di fede, purezza, obbedienza e dedizione che al momento opportuno copriranno ancora una volta di gloria il nome cristiano. Il secolo XX[I] sarà non soltanto il secolo della grande lotta, ma soprattutto il secolo dell’immenso trionfo”.
[1] Op. cit., p. 29.
[2] Ibid., p. 18.
Conferenza in occasione della Giornata di studi su
“Vecchio e nuovo Modernismo: Radici della Crisi nella Chiesa” 
Roma–23 giugno 2018
di José Antonio Ureta

Diego Fusaro: Elogio della tradizione, contro il progressismo.

La tradizione non è qualcosa di statico e di immoto, ma un processo dinamico, in cui l’orizzonte del passato si fonde con il presente di chi lo eredita.

https://www.pandoratv.it/diego-fusaro-elogio-della-tradizione-contro-il-progressismo/

L'ORGOGLIO DEI FRANCESI

  
  Schopenhauer e il ridicolo orgoglio dei francesi. Vogliono esibire la loro grandeur ma hanno le pezze al culo: di questo loro aspetto ridicolo si era benissimo accorto un acuto e spassionato osservatore come Arthur Schopenahuer

 di Francesco Lamendola  

 0 macron e vecchia 24

Qualche anima bella, forse, è rimasta sconcertata dall’aggressività, dall’isolenza, dalla vera e propria cattiveria con cui il presidente francese Emmanuel Macron, e con lui tutto il suo staff, si sono, recentemente, scagliati contro le decisioni del governo italiano in tema di migranti, e anche contro la persona fisica del nostro ministro degli Interni, Matteo Salvini. A dir la verità, dietro le strette di mano e i sorrisi di rito, non è stato un campione di signorilità nemmeno nel ricevere il nostro capo del governo, Giuseppe Conte, in visita di Stato all’Eliseo: sarebbe bastata l’allusione alla vecchia alleanza fra Hitler e Mussolini, e il monito a non ripeterla, per far vedere che costui non è precisamente un gentiluomo, ma un bullo vestito da presidente; e anche l’affermazione che le questioni bilaterali si regolano al livello dei capi di Stato e di governo, con chiaro riferimento al ministro degli Interni italiano, è stata una cafonata dello stesso tenore: perché è stato come dire che il nostro presidente del Consiglio e il suo ministro degli Interni sono due entità diverse e aliene, che la seconda non ha nulla a che vedere con la prima, e insomma che quel che deve decidere il governo italiano è ciò che vuole lui, Macron, e non ciò che vogliono i membri del nostro governo. Se a ciò si aggiunge il fatto che, nella famosa telefonata notturna (e perché notturna, poi? per recare un disturbo intenzionale ai fastidiosi italiani?) non si era scusato affatto per le inaudite villanie proferite all’indirizzo del nostro Paese, ma si era limitato a dire di non aver mai offeso l’Italia, una mezza verità, visto che le offese le aveva lasciate dire impunemente al portavoce del suo ridicolo partito, En marche, tale Gabriel Attali, il quale aveva definito l’atteggiamento italiano verso i sedicenti profughi “cinico e vomitevole”. E questo mentre i porto francesi restano rigorosamente chiusi da un anno e la polizia francese rispedisce indietro i migranti che tentano di passare il confine, a Ventimiglia o a Bardonecchia, a manganellate, comprese le donne, i bambini e le persone gravemente malate. E che dire della nave Aquarius, costretta dal maltempo a raggiungere il porto spagnolo di Siviglia passando per le Bocche di Bonifacio, cioè a poche centinaia di metri dalle coste della Corsica? Visto che i francesi sono così buoni ed umani, mentre gli italiani sono cinici e vomitevoli, come mai l’Eliseo non ha fatto sapere che l’Aquarius poteva attraccare a Bastia, o ad Ajaccio, o magari a Marsiglia? Ma siccome tutto ciò non bastava, Macron, dopo il vertice di Parigi, ha rincarato la dose e ha definito “i populisti” e i “sovranisti”, ma in realtà parlando della Lega di Salvini, una “lebbra” che sta contagiando l’Europa; e il suo ministro agli Esteri Nathalie Loiseau, ha puntato ancora il dito contro l’Italia, dichiarando, col tono stizzito e petulante della maestrina che fa lezione, che tocca a lei farsi carico dell’accoglienza dei migranti della nave Lifeline.
Se poi si mette nel conto dei nemici e degli spregiatori dell’Italia anche un altro personaggio, molto potente nel baraccone dell’Unione europea, Pierre Moscovici, francese di origini ebraiche, che riveste il ruolo di Commissario europeo per gli affari economici e monetari, il quale non perde mai occasione per insultare e denigrare il nostro Paese, e in particolare le ultime iniziative in materia di gestione del fenomeno migranti, con una supponenza e una boria che hanno dell’inaudito, ci si potrebbe domandare, ingenuamente, cosa abbiamo fatto di male per attirarci tanto astio e tanta malevolenza da parte dei nostri “cugini” d’Oltralpe, e se, per caso, non ci sia capitato un periodo particolarmente sfortunato, con la salita nei posti chiave della politica francese di persone le quali, palesemente, non ci amano, né ci stimano. E la testata di Zidane al nostro Materazzi, ai mondiali di calcio del 2007, che avrebbe potuto essere mortale, e che fu la vendetta della nazionale francese (francese, si fa per dire: quanti francesi c’erano e ci sono, in realtà?) per il dispetto di aver perso la grande occasione? E quel che più conta, le mancate scuse e, anzi, l’invito a cena da parte del presidente Sarkozy (a festeggiare cosa, poi?), quasi che lui e gli altri avessero ben meritato dalla patria, senza una sola parola di rammarico per quell’atto inqualificabile, che avrebbe potuto avere tragiche conseguenze? Una persona normale, e non un atleta bene allenato come Materazzi, avrebbe potuto benissimo restarci secca: un colpo di testa a tutta forza contro il petto può causare senz’altro un arresto cardiaco. Per non parlare dell’esempio di “sportività” che allora fu offerto dalla nazionale di calcio transalpina, davanti a centinaia di milioni di telespettatori in tutto il mondo...
Ma, tornando a Macron, c’è un’intervista dello psichiatra Adriano Segatori, consultabile su Youtube e registrata prima della sua elezione, quando ancora era un semplice candidato alle presidenziali, nella quale lo studioso spiega quanto la personalità di un uomo come quello sia potenzialmente pericolosa. Macron è stato abusato, a quindici anni, dalla sua professoressa di liceo, che ne aveva ventiquattro più di lui, cioè trentanove, e che poi lasciò marito e tre figli per andare a vivere col suo amante-ragazzino. In termini psicologici, i bambini che sono stati abusati (perché a quindici anni si è ancora bambini, specialmente oggi e specialmente se si viene sedotti da una esperta quarantenne, la quale, nel caso specifico, era anche la sua insegnante di recitazione, il che aumentava a dismisura le sue possibilità di manipolazione dell’allievo) sviluppano un profondo desiderio di rivalsa e un bisogno compulsivo di riaffermare il loro fragile io, mediante atteggiamenti sempre più spavaldi e aggressivi, sempre più sprezzanti e provocatori (si vada a rivedere con quali aggettivi egli ha definito gli operai e i minatori in sciopero: ha usato un linguaggio che nemmeno un padrone dell’epoca di Dickens avrebbe osato permettersi), perché il loro equilibrio interiore è andato in frantumi. Fra parentesi, come osserva giustamente il professor Segatori, se la squallida vicenda di seduzione e di abuso, diciamo pure di pedofilia, da parte della professoressa Brigitte Trogneux si fosse svolta in un altro contesto sociale, diciamo in un quartiere di lavoratori, sarebbe finita con il ragazzo inserito in un corso di sostegno psicologico, e con l’insegnante dietro le sbarre di una prigione (come è capitato all’insegnante americana Mary Kay Letourneau, protagonista nel suo Paese di una vicenda di stupro quasi identica: lei trentaquattrenne, sposata con quattro figli, lui addirittura dodicenne); ma siccome è accaduta nella Parigi bene, non solo è stato perdonato, ma è stato sbandierato come una romantica vicenda d’amore, di quelle che mandano in estasi le signore femministe dei quartieri alti, perché l’idea che una donna si prenda un amante di ventiquattro anni più giovane di lei, quando è ancora un ragazzetto vergine, le fa sognare: proprio loro che se odono raccontare di una ragazzina di quindici anni che è stata abusata da un suo professore quarantenne, sposato e con figli, s’indignano, montano in furore, organizzano cortei di protesta, marce e scioperi, vanno in giro coi cartelli ed esigono la castrazione chimica del pedofilo, del pervertito, del criminale che ha attentato alla purezza di una povera verginella incapace di malizia.
Ma ora basta parlare di quella pericolosa nullità, di quello psicopatico represso di Emmanuel Macron: il problema, evidentemente, non è solo lui, ma la Francia. Abbiamo già spiegato le ragioni per le quali quel Paese rappresenta una mina vagante nelle relazioni internazionali, e, quindi, come non sia del tutto casuale il fatto che ne sia diventato presidente un pericoloso psicopatico. Gli affari sporchi della Francia in Africa (qualcuno si ricorda l’imperatore Bokassa, che si mangiava a pranzo i suoi nemici, innaffiando il pasto con Champagne sotto ghiaccio fatto venire in volo da Parigi?), dove essa ha imposto il cambio fisso del franco a una mezza dozzina di sue ex colonie, e dove continua a interferire, anche militarmente, causando instabilità e miseria in tutta l’area del Sahel, non sono stati evidenziati a sufficienza dai nostri mezzi d’informazione, rimasti a lungo in uno stato di soggezione; così come non è stato sufficientemente spiegato al popolo italiano che la criminale aggressione contro la Libia del 2011, che ha causato ulteriore instabilità e la ripresa del flusso dei migranti dai porti libici, è stata voluta soprattutto da Sarkozy per ignobili ragioni di tipo personale (Gheddafi aveva finanziato la sua campagna elettorale e bisognava far sparire le prove), oltre che dalla evidente volontà di soffiare all’Italia le forniture di petrolio e di porre definitivamente l’ipoteca francese sul Mediterraneo, a danno del nostro Paese e secondo la spartizione geopolitica dell’area europea fra Germania e Francia. A suo tempo, del resto, i nostri giornali e le nostre televisioni si erano guardati bene dallo spiegare al pubblico che l’aereo di Mattei, quasi certamente, fu abbattuto dai servizi segreti francesi per via dei legami di questi con il Fronte indipendentista algerino; così come che il Dc-9 Itavia, abbattuto nei cieli di Ustica, fu, del pari, molto probabilmente colpito dai caccia francesi, il cui obiettivo era l’aereo su cui viaggiava il colonnello Gheddafi, che avevano l’ordine di assassinare. E meno male che gli italiani, col voto del 4 marzo 2018, hanno finalmente mandato a casa questa manica di governanti servitori degli interessi stranieri: basti dire che il governo Gentiloni si stava impegnando a mandare una missione militare italiana nel Niger, per toglier le castagne dal fuoco agli amici francesi, cioè ai maggiori responsabili del disastro economico e umanitario africano, oltre che della ripresa delle ondate migratorie che si rovesciano sulle nostre coste…
A questo punto dobbiamo spostare il nostro ragionamento dai governanti francesi all’atteggiamento diffuso del popolo francese, caratterizzato da un nazionalismo esasperato e da una sorta di xenofobia nei confronti di tutti, ma specialmente dei “cugini” italiani. Chi è stato in Francia, difficilmente può non aver notato questo aspetto del carattere francese; e così pure chi ha a che fare coi francesi in Italia, per esempio nell’ambito dei servizi turistici. Fra tutti i turisti che vengono nel nostro Paese, i francesi sono i più spocchiosi, i più antipatici, nonché i più tirchi: quelli che non si vergognano di lasciare al personale degli alberghi delle mance ridicole e persino offensive. Il fatto è che la Francia non è una grande potenza economica e che l’Italia l’aveva ampiamente raggiunta e superata negli anni precedenti la crisi del 2007 (e se non l’ha eclissata anche sul piano politico, è solo perché i politici italiani, fino a ieri, hanno sempre preferito fare i luogotenenti d’interessi stranieri piuttosto che giocare in prima persona le carte della loro nazione), per cui essa stenta a reggere gli oneri di una politica da grande potenza: è come se i francesi, pur di tener in piedi il presunto asse Parigi-Berlino, dovessero sempre tenersi sulla punta dei piedi per non sfigurare troppo accanto ai tedeschi (come faceva, fisicamente, Sarkozy, davanti ai fotografi, per non apparire più basso di sua moglie, Carla Bruni). In altre parole, vogliono esibire la loro grandeur, ma hanno le pezze al culo. E di questo aspetto, francamente antipatico, oltre che ridicolo, del carattere francese, si era benissimo accorto un acuto e spassionato osservatore, Arthur Schopenahuer, che lo ha tratteggiato con spietata lucidità. Scriveva, dunque, il filosofo tedesco nei Parerga und Paralipomena (da: A. Schopenhauer, Aforismi sulla saggezza della vita, a cura di Silvia Fiorini, Santarcangelo di Romagna, Rusconi Libri, 2005, pp. 40-41):
Infatti il valore che noi diano all’opinione altrui e la nostra costante preoccupazione a questo riguardo, passano quasi ogni limite ragionevole, tanto che la nostra ansia può essere considerata come una specie di “mania” generalmente diffusa, o addirittura innata. In tutto ciò che facciamo così come in quello che non facciamo, prendiamo quasi sempre in considerazione l’opinione altrui prima di ogni altra cosa, mentre a un esame più approfondito, ci accorgeremmo che è proprio questa la causa di quasi la metà dei tormenti e delle angosce che proviamo. Ed è questa dunque la preoccupazione che risiede in fondo al nostri amor proprio, assai facile da offendere perché morbosamente sensibile, in fondo ad ogni nostra vanità e ad ogni nostra presunzione, così come ad ogni nostra millanteria ed ostentazione. Senza questo affanno e questa mania, il lusso non varrebbe la metà di quel che vale. Su di essa è basato tutto il nostro orgoglio, “punto d’onore e puntiglio”, di qualunque specie sia ed a qualunque sfera appartenga, e quanti spesso ne cadono vittime! Essa è presente nell’individuo già da fanciullo e lo segue poi in ogni stadio della vita, ma solo nell’età avanzata raggiunge tutta la sua forza, quando, una volta esaurita l’attitudine ai piaceri sessuali, la vanità, l’orgoglio e l’avarizia soli rimangono a dividersi il dominio. Un tale affanno si osserva più chiaramente tra i Francesi, fra i quali regna endemicamente e si manifesta spesso nell’ambizione più sciocca, nella vanità nazionale più ridicola, e nella millanteria più spudorata; ma le loro pretese sono vane, ed anzi li espongono alla derisione delle alte nazioni, e rendono il titolo di “grande nation” nient’altro che un nomignolo ironico.
Sì: la Francia è un problema, per l’Europa e per il mondo. E non lo sono solo i suoi governanti, ma lo è la cultura del popolo francese, imbevuta di sciovinismo oltre ogni limite. Qualcuno dovrebbe spiegargli che sia Mussolini che Hitler venivano dall’ingiusta pace di Versailles del 1919, voluta più di tutti da Parigi per ristabilire un’impossibile egemonia francese sulle macerie dell’Europa. Ora la situazione ricorda molto quella del 1919: si è creato un vuoto di potere che stuzzica i folli appetiti della Francia. La quale, ad armi pari, non reggerebbe la prova colla Germania e neppure con l’Italia.

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Il video: «Macron è pericoloso!»


Prof. Adriano Segatori, psichiatra e psicoterapeuta, membro della sezione scientifica “Psicologia Giuridica e Psichiatria Forense” dell’Accademia Italiana di Scienze Forensi:
«Macron, come tutti gli psicopatici, è altamente pericoloso. Ha una grandissima idea di sè. Macron non ama la Francia e non lotta per il popolo francese. Macron ama sè stesso enormemente e lui combatte per mantenere la sua fragile identità.» 

Schopenhauer e «il ridicolo orgoglio dei francesi»

di Francesco Lamendola 
Del 28 Giugno 2018 
Allegato Pdf 

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