Il vero nodo della questione educativa. Quali valori vogliamo trasmettere ai nostri giovani e con quali contenuti morali e prospettive esistenziali? l figliocci della "sinistra universitaria globalista" narcisisti e postmoderni
di Francesco Lamendola
Che cosa vogliamo insegnare ai nostri bambini, ai nostri giovani? Quali valori vogliamo trasmettere loro, quali contenuti morali, quali prospettive esistenziali, soprattutto con il comportamento degli adulti, più che con le belle parole, i libri e i programmi scolastici? Questo è il vero nodo della questione educativa; questo è il vero nodo di qualunque altra questione. Di qui si deve passare, per amore o per forza, e si deve scegliere: e se qualcuno preferisce non scegliere, anche quella, ovviamente, sarà una scelta, destinata a portare con sé delle conseguenze ben precise. In estrema sintesi, le opzioni fondamentali sono due: o si trasmette ai bambini la filosofia edonista, internazionalista ed egoista dei diritti civili, di matrice liberaldemocratica e radicale, oppure si trasmette loro la visione della vita etica e responsabile, propria del cristianesimo (visto che siamo in Europa e che le radici della nostra civiltà non sono giudaiche, né islamiche, né buddiste o altro).
O si trasmette l’idea che si viene al mondo per far valere dei diritti, per riscuotere dei crediti, per approfittare delle occasioni favorevoli che si presentano, per strappare il possesso di ciò che si desidera, oppure si trasmette l’idea che si viene al mondo perché si è stati chiamati a fare qualcosa, si è stati amati, si è necessari a tutti gli altri perché ciascuno ha da svolgere un compito che lui solo può fare, e nessun altro: e dunque si è anche preziosi, unici e irripetibili, non perché il mondo deve inchinarsi alle voglie di ciascuno, ma perché ciascuno deve portare il proprio mattone per la costruzione di un mondo armonioso, nel quale non si realizza niente se non si è disposti anche al sacrificio di se stessi.
Tutto dipende da cosa si vuol trasmettere ai propri figli e alle generazioni future. Fino alla metà del XX secolo, gli adulti hanno ritenuto loro dovere trasmettere l’idea che la vita è una cosa seria; se di fede cattolica, poi, che la vita è una cosa doppiamente seria, perché in essa vi è un mistero sacro, il mistero dell’anima, che partecipa alla dimensione del soprannaturale. Più precisamente, hanno trasmesso l’idea che la vita è una battaglia incessante fra il dovere e il piacere, fra il giusto e l’ingiusto, fra il male e il bene; che nessuno può restare a guardare, indifferente o neutrale; che ogni singolo atto e ogni singola scelta corrispondono a un atto o una scelta pro o contro uno dei due campi in lotta. Poi, specialmente a partire dal “benessere”, le cose sono rapidamente e radicalmente cambiate: gli adulti non hanno più sviluppato e trasmesso un proprio progetto educativo; si sono limitati a trasmettere il benessere materiale che avevano raggiunto. Per la prima volta, ai bambini non sono stati più chiesti sacrifici, se non in misura minima; addirittura, il loro dovere è stato presentato come una specie di favore fatto ai genitori. Essere obbedienti e rispettosi, aiutare in casa, studiare e frequentare la scuola con diligenza, tutto questi assumeva l’aspetto di una forma di benevolenza del bambino verso l’adulto. Il quale, da parte sua, ha deciso di inibirsi qualsiasi ricorso a forme di autorità, e specialmente di punizione, per concentrarsi unicamente sull’affettività: il che, in pratica, significava viziare il bambino in tutte le forme possibili e immaginabili, col volonteroso contributo di nonni, zii e amici di famiglia. Risultato: a partire dalla seconda metà del Novecento, hanno cominciato a venire avanti delle generazioni di bambini, e poi di giovani, sempre più svirilizzati, deresponsabilizzati, abituati a ottenere tutto e subito, senza fatica e assolutamente senza merito. Tutto era dovuto; tutto era scontato; doveri, nemmeno a parlarne.Era proibito proibire, e il ’68 è stato il momento culminante, anche sul piano teorico, di una strisciante rivolta contro il padre che covava da tempo, ma era stata a lungo contrastata dalle forze sane della società. A partire da quando le tasche degli adolescenti, e degli stessi bambini, hanno cominciato a tintinnare per le monete ricevute in dono dagli adulti, sotto forma di paghetta “dovuta”, si è diffusa velocemente l’idea che fosse naturale ricevere senza dare, ottenere senza neanche dover chiedere, e raggiungere senza aver meritato. Non si trattava, peraltro, di dinamiche puramente “private”, legate a questa o quella famiglia, ma di linee di tendenza generalizzate e ampiamente favorite dalla élite finanziaria mondiale, interessata a trasformare l’intera umanità in una massa semi-servile di schiavi e di bovini consumatori, parzialmente soddisfatti e parzialmente scontenti, in modo da poterli manipolare a volontà, in senso progressista o conservatore, rivoluzionario o contro-rivoluzionario a seconda delle esigenze tattiche del momento, e anche per conceder loro uno sfogo e l’illusione di una capacità d’incidere nelle scelte della società.
Vale la pena di trasmettere ai bambini un solido e coerente modello educativo, fondato sui valori e sull’etica, in un mondo dove quei valori sono costantemente calpestati e quell’etica è capovolta e strumentalizzata da tutti, a seconda delle convenienze?
Ora, gli eredi di quelle generazioni, consumiste ed edoniste, si sono trasformati nei fruitori di una ideologia pratica cinicamente egoista, veicolata dalla cultura mainstream, e spacciata per filosofia della libertà (libero mercato, libere frontiere, libera circolazione di cose e persone, cioè, in pratica, nessuna frontiera e un solo mercato finanziario globale), e si dividono, a seconda della loro collocazione sociale, fra i moltissimi servi volonterosi di un sistema che li ha di fatto proletarizzati, anche se di estrazione borghese, e i pochissimi che sono riusciti a entrare nell’élite finanziaria che prospera sul sistema mondiale dell’usura: i primi, ignari dei processi di trasformazione in atto, i secondi perfettamente consapevoli. I primi, pertanto, credono di condurre davvero delle battaglie di “libertà” quando invocano, per esempio, i matrimoni omosessuali, la dicitura di “genitore 1” e “genitore 2”, al posto della vecchia dicitura omofobica di “papà” e “mamma”, nonché le adozioni di bambini da parte delle coppie omofile; i secondi sanno molto bene che tali richieste, presentate in termini minimalistici (“in fondo, a chi fanno del male?”, e “lì dove c’è amore, c’è famiglia”), hanno la precisa finalità di scardinare la vera famiglia, formata da un uomo, una donna e dei bambini, per sostituirvi il caos, la denatalità, la perversione istituzionalizzata, allo scopo di far sparire l’ultimo valido baluardo contro la deriva relativista e nichilista che è funzionale agli interessi pratici e materiali della élite, alla quale non servono famiglie sane, coese e numerose, ma famiglie deboli, disgregate e facilmente suggestionabili e manipolabili.
Nel corso di una interessante Intervista sulla destra al filosofo Paolo Borgognone, a cura di Roberto Pecchioli (consultabile sul sito dell’Accademia Adriatica Nuova Italia, il primo, fra le altre cose, ha affermato:
I nemici dei popoli, oggi come del resto in passato, sono i promotori e i sostenitori della “società aperta”, del “libero mercato” economico, dei processi di delocalizzazione permanente e del lavoro biopolitico contemporaneo (flessibile e precario) ovvero, in sintesi, i fautori della pseudo-cultura della mobilità surmoderna. I nemici del popolo, oggi, sono le nuove classi medie, ovvero mediocri, edonistiche, egocentriche, sradicate, imbevute di politically correct e di sinistrismo culturale. Si tratta di soggetti psichiatrici che, in un contesto sociale meno corrotto dal punto di vista della percezione collettiva dell’immaginario, sarebbero considerati marginali, bizzarri e border line. Personalmente, ho definito questi attori sociali psichiatrici postmoderni i “figliocci della sinistra universitaria globalista”. I figliocci delle business school private metropolitane e della subcultura dello svago vacanziero permanente riproducono, sul versante politico-antropologico, i processi di auto-istituzione del capitalismo economico e, inoltre, legittimano queste dinamiche di sfruttamento capitalistico conferendo loro una sorta di assoluzione veicolata in nome di presupposti pseudo-culturali ispirati all’umanitarismo, al disimpegno e al perbenismo di maniera. Il mainstream, per fini meramente utilitaristici, propone il soggetto egocentrico e narcisista postmoderno come il paradigma antropologico della “modernità liberale”, una sorta di punto di riferimento per tutti coloro i quali declinano l’omologazione cosmopolitica a sorta di viatico ideologico finalizzato a percepire se stessi come “normali”, ovvero socialmente accettabili nel mondo così com’è. Va da sé che questi ceti universitari egocentrici e narcisisti, genericamente di sinistra, sono totalmente incapaci e indisponibili a recepire un discorso politico-filosofico marxiano volto a spiegare loro come il processo di sfruttamento capitalistico che li renderà futuri schiavi del lavoro flessibile, precario e poco o punto retribuito, sia intimamente connesso e inseparabile dai percorsi di istituzione della “società aperta”. I giovani della sinistra mainstream non hanno alcuna propensione a capire, ad esempio, che l’immigrazione è un epifenomeno del capitalismo e una variante dell’ideologia dei flussi economico-finanziari e digitali che domina l’Europa… Per questi giovani, infatti, la precarietà lavorativa e la delocalizzazione economica sono dei dati di fatto "ineluttabili" perché costoro, nella propria ignoranza, non possiedono alcuna coscienza di classe e hanno pienamente accettato la narrativa liberista come parte integrante dello spazio pubblico in cui sono inseriti. I nemici dei popoli hanno accettato il liberismo economico perché solitamente sono degli studenti mantenuti dai genitori o abituati ad arrabattarsi con quello che riescono a racimolare con lavoretti precari in patria o all’estero (Working Poor Generation) e, nel contempo, considerano la mobilità surmoderna un modo per “entrare a contatto con culture altre”… Questi nuovi sradicati amici della globalizzazione ti guardano allibiti e stralunati nel momento in cui provi a spiegar loro che non esiste alcun multiculturalismo ma un gigantesco processo di omologazione americanocentrica, liberal, di massa e considerano positivamente l’immigrazione poiché, cito testualmente, “i negri non ci danno fastidio”. Insomma, è il vecchio modo individualista di intendere la vita associata: ciò che non inficia direttamente il mio stile di vita, non mi riguarda…
E tuttavia, una volta riconosciute queste dinamiche e identificati questi dati di realtà, smascherando le innumerevoli menzogne della narrazione ideologica dominante, resta una ulteriore domanda, ancor più seria: vale la pena di trasmettere ai bambini un solido e coerente modello educativo, fondato sui valori e sull’etica, in un mondo dove quei valori sono costantemente calpestati e quell’etica è capovolta e strumentalizzata da tutti, a seconda delle convenienze? Non si rischia di favorire la formazione di futuri disadattati? Non si rischia di gettare delle pecorelle indifese nella fossa dei lupi feroci? Perché in una società che crede in quei valori, insegnarli, soprattutto con l’esempio, è senza dubbio cosa buona e giusta; ma lo è anche in una società che li ha traditi, che li ha abbandonati, o, peggio, che li ha capovolti, pur lasciandoli, in apparenza, sussistere? Prendiamo il caso del cristianesimo: ha senso insegnare il vero cristianesimo a un bambino, in un contesto sociale ed ecclesiale caratterizzato da un crescente stravolgimento del Vangelo, operato sovente dalla Chiesa stessa, dal suo clero e dai suoi più autorevoli (si fa per dire) esponenti? Ha senso, per esempio, insegnare a un bambino la sacralità sublime della santa Eucarestia, in una Chiesa cattolica che sembra orientata a ridurla a un gesto simbolico, cui possono accostarsi sia i peccatori impenitenti (per esempio, i divorziati risposati, che sono, di fatto, degli adulteri permanenti), sia ai non cattolici, per esempio ai protestanti sposati con un cattolico, svilendone, così, il solenne e beatifico significato, e profanando la sua natura sacramentale? Così pure, in un ambito più generale, anche fuori dell’orizzonte cristiano, vale la pena d’insegnare ai bambini l’onestà, la lealtà, il rispetto degli impegni presi, il valore del lavoro, in un mondo dove trionfano i furbi, i disonesti, i prepotenti e i raccomandati? Se la società fosse sana, questi interrogativi non avrebbero ragione di porsi; ma stando le cose come di fatto stanno, non è forse una fatale imprudenza quella di voler educare i bambini secondo un modello di vita che non trova più riscontro nella realtà e che, anzi, li esporrà continuamente a delle conseguenze negative, che possono andare dalla perdita del posto di lavoro a delle vere e proprie forme di persecuzione, anche legale?
Cosa deve fare il cristiano che oggi si sforza di restare fedele al Vangelo, alla vera Chiesa di sempre, e non alla falsa chiesa gnostica e massonica che oggi è cresciuta su di lei come un fungo velenoso?
E si badi che c’è un’altra difficoltà, un ulteriore pericolo in agguato. I poteri dominanti sono furbi; o meglio è furba l’élite che li controlla e manipola a suo piacere la narrazione ideologica dominante: globalista, consumista, femminista, omosessualista. Pertanto, succede che chi rispetta le regole morali, chi rifiuta doppiezze e compromessi, chi si mantiene fiero e integro, lontano da qualunque opportunismo e servilismo, gli altri verranno a dire: ma chi credi di essere? Ti ritieni migliore di noi? Non sai di essere solo un represso, un ipocrita, un fallito, un povero mentecatto? E al cristiano che si sforza di restare fedele al Vangelo, alla vera Chiesa di sempre, e non alla falsa chiesa gnostica e massonica che oggi è cresciuta su di lei come un fungo velenoso, i neopreti diranno: ma non vedi che sei fuori dalla comunione ecclesiale? Non lo vedi che sei caduto nell’eresia, nonché nel peccato di superbia di crederti il vero seguace di Gesù, accusando noi tutti di essere apostati? Insomma, chi resta fedele al codice etico e alla coerenza, si vedrà rovesciare la frittata e dovrà difendersi, lui, da ogni sorta di accuse, e giustificare il proprio modo di essere. Si sentirà dire: Tu sei pazzo!, e cercheranno di farlo vergognare, rinnegare se stesso, confessare il suo tremendo “errore”. Ebbene, a onta di ciò, la risposta è sempre sì: si deve insegnare ai bambini il bene, il giusto, il vero e il bello.
Il vero nodo della questione educativa
di Francesco Lamendola
Nessun commento:
Posta un commento
Nota. Solo i membri di questo blog possono postare un commento.