ACTA APOSTATICAE SEDIS : come, cambiando un po' qua e un po' la, si può cambiare tutto...

domenica 8 luglio 2018

“Pizzi e merletti” di casa nostra

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Nell’anniversario del m.p. Summorum Pontificum, pubblichiamo questo breve saggio del prof. Vito Abbruzzi.

Il Summorum a undici anni dalla promulgazione: una opportunità e una sfida


Il Summorum Pontificum ha compiuto undici anni. Noi non vogliamo festeggiarlo (come su un blog qualche anno fa) con un: «Buon compleanno, Summorum!», bensì con una riflessione – serena e seria – su di esso, a partire dalla sua promulgazione. E l’occasione mi viene da una discussione polemica sostenuta pochi giorni fa tra me e una persona molto critica nei confronti del Motu Proprio in questione.
Questa persona, che pur indisponendomi, ho ringraziato e ringrazio ancora per la sua franchezza, ha puntato il dito proprio contro il Summorum, mentre io lo difendevo a spada tratta. Senza peli sulla lingua, lo ha definito un “indultino” dato agli amanti dei cosiddetti “pizzi e merletti” di casa nostra. In altre parole: un contentino per soddisfare le voglie estetiche dei non pochi tradizionalisti fedeli a Roma, preoccupati più della forma che della sostanza, dal momento che lo stesso Summorum non ne farebbe mistero, affermando che «non pochi fedeli aderirono e continuano ad aderire con tanto amore ed affetto alle antecedenti forme liturgiche, le quali avevano imbevuto così profondamente la loro cultura e il loro spirito».
Confesso che a me quelle espressioni hanno dato molto fastidio. Mi ha irritato quella riguardo i “pizzi e merletti”, che non mi riguarda affatto; e soprattutto quella che riduce il Summorum a banale indulto concesso per le ragioni dianzi esposte, quando, invece, rappresenta – per me, per noi che vi abbiamo aderito – una pagina straordinaria del Magistero della Chiesa. E proprio perché così, una opportunità e una sfida.
Una opportunità innanzitutto di crescita, di riscoperta e riqualificazione del Mistero, in linea con la bimillenaria tradizione della Chiesa, rappresentata dai Sommi Pontefici, i quali, secondo quanto insegna Benedetto XVI nell’incipit della sua Lettera Apostolica sulla “Liturgia romana anteriore alla riforma del 1970”, «fino ai nostri giorni ebbero costantemente cura che la Chiesa di Cristo offrisse alla Divina Maestà un culto degno, “a lode e gloria del Suo nome” ed “ad utilità di tutta la sua Santa Chiesa”». E ciò per non vanificare le intenzioni di un documento «frutto di lunghe riflessioni, di molteplici consultazioni e di preghiera» (Lettera ai Vescovi di accompagnato al Motu Proprio); visto e considerato che, ancora ad oggi, «notizie e giudizi fatti senza sufficiente informazione hanno creato non poca confusione. Ci sono reazioni molto divergenti tra loro che vanno da un’accettazione gioiosa ad un’opposizione dura, per un progetto il cui contenuto in realtà non era conosciuto» (ivi).
30 marzo 1987 : La polizia francese, su richiesta di 
Monsignor Louis-Paul-Armand Simonneaux, Vescovo di Versailles,
irrompe nella chiesa parrocchiale di Saint Louis di Port Marly
e  strappa a viva forza dall'altare l'eroico

padre Bruno de Blignières,
che celebrava secondo il secolare rito della Chiesa Romana,
e sgombera la chiesa a manganellate.
Questa foto testimonia la persecuzione
cui fu sottoposta la Messa Romana dopo il Concilio.
Altro che "mai abrogata"!
Un’opposizione dura al Summorum viene fatta proprio a partire da una espressione utilizzata da esso, ritenuta da non pochi esperti di Diritto Canonico errata ed erronea: “Numquam abrogatam”: «È lecito celebrare il Sacrificio della Messa secondo l’edizione tipica del Messale Romano promulgato dal B. Giovanni XXIII nel 1962 e mai abrogato».
Ho interpellato al riguardo un amico avvocato e canonista, il quale mi ha confermato, citandomi alcuni documenti importanti del Magistero (ivi compresa una celebre allocuzione di papa Montini,vqui) e documenti della Curia romana, che non lasciano spazio ad equivoci: quel Messale fu effettivamente abrogato (qui e qui). Persino il compianto Cardinale Giuseppe Siri di Genova, del resto, scrivendo ad un monaco inglese che gli chiedeva come si dovesse comportare in campo liturgico nel dubbio tra vecchio e nuovo rito, rispondeva: «Il potere col quale Pio V ha fissato la sua riforma liturgica è lo stesso potere di Paolo VI. L’aver riformato l’Ordo implica la sua sostituzione all’antico» (lettera del 6 settembre 1982). Ma allo stesso tempo mi ha rassicurato – e di questo lo ringrazio – che il Summorum non può essere liquidato come “indultino”! Ecco le sue parole: «Il Summorum in realtà non è un indultino, ma una legge nuova che ha ripristinato il rito antico in maniera generale e legittima. L’indulto era quello concesso da Giovanni Paolo II», le cui norme sono «stabilite dai documenti anteriori “Quattuor abhinc annos” e “Ecclesia Dei”» (Summorum Pontificum, art. 1). È quanto leggiamo al n. 2 dell’Universae Ecclesiae, l’Istruzione applicativa del Summorum: «Con tale Motu Proprio il Sommo Pontefice Benedetto XVI ha promulgato una legge universale per la Chiesa con l’intento di dare una nuova normativa all’uso della Liturgia Romana in vigore nel 1962».
Di qui, allora, la sfida: soprattutto ai pizzi e merletti, che pure a me, e a quelli come me, stanno sullo stomaco. Ma serve una seria spiritualità liturgica, congiunta ad un’altrettanta pubblica e seria testimonianza di vita, con presa di posizione nei confronti di determinate e pur gravi vicende dei nostri giorni! Cosa che, con rammarico, noto manca a tutto il tradizionalismo: fuori e dentro la Chiesa. Da anni porto avanti, inascoltato, gli insegnamenti e la figura dell’Abate Caronti: insigne liturgista, autore dei messalini più celebri editi fino alla vigilia dell’entrata in vigore del Messale di Paolo VI, nonché redattore della Mediator Dei. Insomma, un vero campione. Uno che della “pietà liturgica” ha fatto una missione, per tutta la vita (anche in punto di morte). Ma, ahimè!, caduto in disgrazia, perché, già da vivo, ritenuto antiquato e fuori moda. Non così il suo antagonista principale: Odo Casel, superesaltato dagli stessi benedettini, che ravvisano in lui – a torto – il diretto erede e continuatore del padre del Movimento Liturgico: l’abate dom Prosper Guéranger. Quando, invece, lo sarebbe, a giusta ragione, il Caronti. E con lui l’altro gigante, sempre espressione dell’inclito ordine benedettino: il beato Ildefonso Schuster. Noi come Scuola Ecclesia Mater ne raccogliamo l’eredità lasciataci dall’uno e dall’altro a proposito del modus celebrandi: «l’azione liturgica sia celebrata con solennità, con ordine, e con decoro» (Caronti), pensando innanzitutto alla “edificazione dei presenti”, come annota lo stesso Schuster: «Ho ricordato l’edificazione dei presenti e studiatamente ho evitato la parola: fedeli. Spesso, infatti, nelle chiese delle abbazie benedettine assistono dei protestanti, degli ebrei, delle persone senza alcuna religione. L’esperienza dimostra che un coro ben eseguito, delle funzioni celebrate con ordine, con maestà, con devota pompa possono fare su quelle anime una profonda impressione».
E ne raccogliamo l’eredità ben consci, insieme a Mons. Bux, che «abbiamo smarrito nell’approccio alla liturgia l’essenziale, perdendoci dietro tecnicismi estenuanti ed estetismi evanescenti».
Il Summorum, allora, sia un terreno non di scontro, bensì di dialogo e di riconciliazione: ad intra ma anche ad extra della Chiesa, sereni del fatto che «la Lettera Apostolica,Summorum Pontificum Motu Proprio data, del Sommo Pontefice Benedetto XVI del 7 luglio 2007, entrata in vigore il 14 settembre 2007, ha reso più accessibile alla Chiesa universale la ricchezza della Liturgia Romana» (Universae Ecclesiae, n. 1).

Il Summorum a undici anni dalla promulgazione: una opportunità e una sfida

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