di Francesco Lamendola
Molti cattolici si chiedono se la crisi che travaglia la Chiesa finirà; se vedremo mai più la Sposa di Cristo com’era e come deve essere: sicura e fiera di sé, coerente nella sua proposta, limpida nelle sue affermazioni, intransigente nella difesa del Vangelo; non succube della mentalità del mondo, non reticente di fronte al peccato, non esitante nel far sentire la sua voce, ma netta, decisa, credibile, perché animata da un clero e dai fedeli intimamente motivati, pronti e disposti a qualunque sacrificio per testimoniare la loro fede. E molti si mostrano sfiduciati, pessimisti, quasi rassegnati a un degrado sempre maggiore, a una confusione sempre più inestricabile, a tenere un profilo sempre più basso, fino al punto che la voce della chiesa non si distinguerà più dalle cento altre voci del mondo, sarà solo una fra le altre, una religione fra le altre, peraltro sempre più secolarizzata e sempre meno religiosa, sempre più ecologista e sempre meno cristiana, sempre più politicizzata e sempre meno mistica. Una chiesa che viene invitata alle riunioni del gruppo Bilderberg, e intanto utilizza tutti i pulpiti e tutti i microfoni, generosamente messi a disposizione dai poteri dominanti, per favorire le migrazioni africane verso l’Europa, presentandole come fenomeni naturali e inarrestabili, che un cristiano deve solo assecondare ed aiutare, come se ormai non fosse abbastanza chiaro, anche ai più sprovveduti, che, dietro ad esse, vi sono le ignobili speculazioni finanziarie di Soros e di altri banchieri, i disegni massonici e anticristiani di una élite che odia il Vangelo, e il progetto di un’Europa sradicata, alienata, sommersa da centinaia di milioni di stranieri, dove tutti saranno poveri, sia i vecchi che i nuovi abitanti, perché il costo del lavoro sarà sceso a livelli da neoschiavismo e la gente farà a coltellate per avere il privilegio di andare in fabbrica o di scendere in miniera, per due o trecento euro al mese, indossando il bracciale elettronico affinché i padroni sappiano quanti minuti vanno sprecati nell’espletamento delle necessitò corporali dell’operaio schiavizzato, e quali trattenute fargli sulla busta paga.
A tutti costoro vorremmo rispondere con una parola di speranza, ma non una speranza umana, incerta e aleatoria, bensì con la Speranza cristiana, la virtù teologale della quale ci siamo un po’ tutti dimenticati; virtù che si coltiva in una maniera soltanto, quella che Gesù raccomandava sempre e della quale forniva l’esempio quotidiano: la consuetudine incessante della preghiera.Quanti mali, quanti scoraggiamenti, quanti errori, quanti allontanamenti da Dio, quanti peccati, non derivano dall’aver trascurato e abbandonato questa fondamentale pratica della vita cristiana? Un cristiano che non prega, che non prega spesso, con fervore, con insistenza, che non “stanca” Dio rivolgendosi a Lui in continuazione, è un cristiano che rischia seriamente di perdere la fede. E la perderà, prima o dopo, è inevitabile che ciò accada, perché solo la preghiera tiene l’uomo unito a Dio, e senza la preghiera l’uomo è consegnato alle sue passioni disordinate, alla sua finitezza, alla sua infelicità. Rileggiamo e meditiamo a fondo quel che dice Gesù stesso in quel passo famoso del Vangelo di Luca (18, 1-8):
Disse loro una parabola sulla necessità di pregare sempre, senza stancarsi: «C'era in una città un giudice, che non temeva Dio e non aveva riguardo per nessuno. In quella città c'era anche una vedova, che andava da lui e gli diceva: Fammi giustizia contro il mio avversario. Per un certo tempo egli non volle; ma poi disse tra sé: Anche se non temo Dio e non ho rispetto di nessuno, poiché questa vedova è così molesta le farò giustizia, perché non venga continuamente a importunarmi». E il Signore soggiunse: «Avete udito ciò che dice il giudice disonesto. E Dio non farà giustizia ai suoi eletti che gridano giorno e notte verso di lui, e li farà a lungo aspettare? Vi dico che farà loro giustizia prontamente. Ma il Figlio dell'uomo, quando verrà, troverà la fede sulla terra?».
Solo la preghiera tiene l’uomo unito a Dio
Noi cattolici “adulti”, noi cattolici post-conciliari, nel senso che la Chiesa di cui siamo parte è quella del dopo Concilio, abbiano rincorso molte, troppe nuove tendenze pastorali e teologiche, ma ci siamo allontanati, forse senza rendercene conto, dalla sola cosa che conta veramente: la necessità di alimentare la fede mediante l’orazione. Abbiamo fatto come chi, in una freddissima notte invernale, si addormenta accanto al fuoco e lascia che si spenga, mentre solo gettando sempre nuova legna il fuoco può restare acceso. Ci siamo scordati di tenere acceso il fuoco della nostra fede, ed esso si è indebolito, rischia di spegnersi, e forse s’è spento. Nondimeno è possibile che esso covi ancora sotto la cenere: dobbiamo assolutamente riscuoterci, smuovere la cenere e alimentare le fiamme languenti gettandovi sempre nuova legna secca. Se non lo faremo, siamo perduti: periremo nel gelo della notte, perché la vita senza la fede non è che una notte gelida e orribile, senza stelle e senza che si oda una sola voce amica, popolata di ombre inquietanti, sinistre, e resa ancor più paurosa dall’ululare dei lupi e di altre bestie selvagge.
A rendere il quadro ancora più allarmante, il clero, nel suo insieme, e con alcune eroiche eccezioni, sembra aver perso la bussola; è andato dietro ai teologi, e i teologi, a partire dagli anni del Concilio, hanno perso la bussola, essi per primi: ciechi che si mettono a guidare altri ciechi. E l’hanno persa, fondamentalmente, per una ragione piuttosto semplice: hanno smesso di pregare, e si son dati ai libri. Ma nessuno ha mai visto una sola anima convertirsi per merito dei professori, di teologia o di qualunque altra disciplina; le anime si convertono davanti all’esempio della fede. Il santo curato d’Ars, padre Pio da Pietrelcina, quelle sono figure che guidano le anime alla conversione; Karl Rahner e i suoi amici non hanno mai avvicinato nessun’anima a Dio, semmai il contrario, chissà a quante anime hanno fatto perdere la fede. Oggi una cattiva teologia si è messa al servizio del dubbio sistematico, dell’incredulità, dell’antropocentrismo: riconducendo ogni discorso all’uomo, la teologia contemporanea ha smarrito la dimensione del trascendente. Credendo di avvicinare l’uomo a Dio, di rendere Cristo più “credibile” (come dice il cardinale Walter Kasper, il discepolo di Karl Rahner, e come ripetono con enfasi involontariamente sacrilega, o almeno speriamo che sia involontaria, certi neopreti), lo hanno allontanato spaventosamente, lo hanno separato, hanno scavato un fossato. E che dire di padre David Maria Turoldo, servita, poeta, scrittore, regista, intellettuale molto caro alla sinistra, che spezza in pubblico la corona del Rosario e la getta via, con disprezzo, gridando che è ora di farla finita con tali superstizioni da Medioevo? Il minimo che si possa dire è che un simile pastore non è di aiuto e di conforto alle pecorelle, non le pasce, non le difende contro le zanne dei lupi, ma si fa lupo lui stesso, tradendo la missione ricevuta da Gesù e la sacra promessa a Lui fatta. Il “dio” di codesti teologi e neopreti non è più il Dio cristiano, non è la Santissima Trinità; è un “dio” fatto a loro misura, moderno e perciò immanente; un dio che non redime, che non guida verso l’eternità, ma serve solo a giustificare tutti i desideri umani, le pulsioni, gli istinti, anche i più disordinati. E tutto per mancanza di preghiera.
Prima di tutto, si deve pregare perché ce lo chiede Dio, anzi, ce lo ordina
Se avesse pregato molto, se avesse pregato con fervore, il cardinale Paul Marcinkus si sarebbe imbrancato con Michele Sindona, Roberto Calvi e gli altri banchieri massoni e criminali? Se avesse pregato, don Andrea Contin avrebbe trasformato la sua parrocchia padovana in un bordello, la sua canonica in un luogo di orge, in un set di film pornografici, con lui stesso e le sue amanti quali protagonisti, in mezzo a giochi erotici sadomasochisti, amici guardoni e violenze morali di vario genere? Se avesse pregato, don Giuliano Costalunga, prete della diocesi veronese, avrebbe maturato la decisione di andare alle Canarie per sposarsi con un uomo, peraltro pensando di poter restare prete e amministrare i Sacramenti, come se ciò possa piacere a Dio? E se pregasse, il signor Bergoglio direbbe tranquillamente ai giornalisti, mentendo e calunniando il prossimo, che non sapeva niente dei Dubia, ma che l’ha saputo dai giornali e che non è stata una bella cosa da parte di quei cardinali, quando esistono le prove che sia lui, sia il prefetto della Congregazione per la Dottrina della Fede, Müller (che ebbe ordine di non rispondere), erano stati debitamente infornati e che fu solo il suo silenzio che li spinse a rendere pubblica la loro richiesta di chiarimenti? Attenzione: non stiamo giudicando le persone; stiamo giudicando i comportamenti, che sono oggettivamente peccaminosi. Quanto a noi, non ci crediamo certo migliori: sappiamo di essere peccatori e cerchiamo conforto e consiglio nella preghiera; tuttavia, se i nostri comportamenti pubblici fossero motivo di scandalo alle anime, accetteremmo che altri ci riprendesse, purché costui potesse mostrarci che lo scandalo dipende da noi e non dal male che andiamo denunciando. Perché sia chiaro che il responsabile di un incendio non è il pompiere, ma il piromane; chi se la prende col pompiere, è simile a colui che se la prende col giudice, invece che col delinquente: ma ogni cristiano sa che testimoniare il Vangelo equivale a diventare persone scomode e farsi molti nemici, anche e soprattutto nella Chiesa. Ricordiamo che il curato d’Ars divenne prete a dispetto dei suoi superiori, che non volevano neanche lasciargli frequentare il seminario; e che padre Pio subì anni e decenni d’ingiuste persecuzioni, arrivarono a proibirgli di confessare, di dir Messa ai fedeli, e osarono perfino profanare il sacramento della Penitenza, mettendo delle microscopie nel suo confessionale. Eppure essi hanno condotto molte anime a Dio e sono stati esempi luminosi di fede e di virtù cristiane; mentre dei loro superiori, invidiosi e meschini, si è perso ogni ricordo.
Pregare, dunque; pregare sempre, senza stancarsi mai: il segreto della fede è tutto qui. Chi prega, anche se soffre, anche se vacilla, anche se dovesse dubitare, resta legato a Dio; chi smette di pregare finisce per cadere negli artigli del diavolo. La vita è una guerra fra il bene e il male, la neutralità non esiste, e il diavolo, il vostro nemico, come leone ruggente, se ne va in cerca di anime da divorare (1 Pt 5,8). Così stanno le cose: e chi se ne ride del diavolo, chi afferma che il diavolo non esiste, che è solo un’immagine simbolica del male, come ha fatto il generale dei gesuiti, Arturo Sosa Abascal, è un ex cristiano che non solo ha perso la fede, ma che si rende strumento del diavolo per condurre altre anime alla rovina, insieme a lui. Ecco, questo è dare scandalo, in modo gravissimo, imperdonabile: perfino un laico tutt’altro che pio, il poeta Charles Baudelaire, sapeva e diceva che la maggiore astuzia nel diavolo consiste nel far credere agli uomini che non esiste. Ebbene, padre Sosa è più dannoso alle anime di quanto non lo sia l’autore dei Fiori del male: anche perché padre Sosa è un religioso, è un ministro di Dio, ed è ascoltato dai suoi confratelli e da tutto il popolo cattolico, mentre un poeta come Baudelaire può avere o non avere dei lettori, ma certo non pretende di parlare a nome di Dio e della Chiesa.
Oggi una cattiva teologia si è messa al servizio del dubbio sistematico, dell’incredulità, dell’antropocentrismo: riconducendo ogni discorso all’uomo, la teologia contemporanea ha smarrito la dimensione del trascendente.
È la preghiera che fa la differenza
di Francesco Lamendola
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