UNA GIOVANE SPOSA SCRIVE AL SINODO. SCONTI SUL SESSO NON ATTIRANO I GIOVANI ALLA CHIESA. DATECI UNA SFIDA.
Carissimi Stilumcurialisti, scusatemi, ma in questi giorni mi sembra di essere costantemente alla rincorsa di eventi e spunti interessanti già passati. Questo è il caso della bellissima lettera ai vescovi del Sinodo scritta da una giovane donna, che mi è stata segnalata e che ho trovato pubblicata sul sito Mienmuaif, “Mia moglie ed io”, un sito che mi sembra molto intelligente e stimolante. Nei prossimi giorni cercherò di occuparmi di questa kermesse sinodale, che mi appare, da quello che vedo, un palcoscenico con vecchi attori – anche se sono giovani – che danno risposte scontate, e che annuso – sì, annuso – sarà se possibile ancora più manovrato di quei due precedenti dal Mastro Cuciniere card. Baldisseri e dalla sua troupe di sotto cuochi. Ancora, mi dicono dall’interno, non si sa in che mod si voterà; il che, se ci pensate, è assolutamente incredibile. Figuriamoci poi che cosa accadrà quando la commissione stenderà la bozza…Insomma, poi non lamentiamoci se la gente, e i giovani in particolare, smettono di andare a messa intorno ai tredici anni. Le “mangiatoie vasce”, come dicono in Campania, e le asticelle continuamente abbassate non attirano: né i vicini, che si allontanano dicendo: tutto qui? né i lontani che dicono: ma perché dovrei avvicinarmi? Ma leggiamo questa bella lettera:
Cari Vescovi, non fatevi ingannare…
Sara Manzardo, di Corxiii, ha scritto ai Vescovi in occasione del Sinodo dei Giovani…
A Sinodo appena iniziato, cominciano anche le soffiate dei media e, a guardare cosa riportano i giornali, in questo sinodo sui giovani si parlerà soprattutto di migranti, lgbt e naturalmente di sesso prematrimoniale, perché la castità sembra essere il motivo principale per cui i giovani si allontanano dalla Chiesa.
Ma noi giovani ci meritiamo molto di più. Non ci accontentiamo più di sentire omelie piene di politica, di bene comune, di attualità, di ecologia. E soprattutto non ce ne facciamo niente degli sconti sulla castità prematrimoniale: c’è già un mondo intero che ci dà il permesso di vivere in qualsiasi modo la nostra sessualità, noi dalla Chiesa ci aspettiamo dei motivi validi credibili e vincenti per comprendere e scegliere una sessualità diversa, che sa attendere, che sa scegliere, che sa portare frutto.
Non ci allontaniamo dalla Chiesa perché ci impedisce di fare sesso prima del matrimonio, figuriamoci se ci interessa qualcosa di quello che pensa il prete. Ci allontaniamo perché nella Chiesa non troviamo niente di diverso da quello che ci dicono fuori, niente di più emozionante, niente per cui valga la pena vivere e morire.
E invece ci ri-avviciniamo alla Chiesa quando qualcuno ci spiega perché ha scelto la castità (e non è mai “perché lo dice la Chiesa”, anzi). Ci riavviciniamo quando qualcuno ci fa aprire gli occhi sulla nostra vita, quando qualcuno ci dice parole che bruciano come il sale sulle ferite, ma che sono parole vive, vere, forti.
Ci riavviciniamo quando qualcuno ci dà testimonianza di fede vissuta e vera. Ci riavviciniamo quando qualcuno dimostra di volerci bene e di volere il nostro bene, aiutandoci a crescere come persone da ogni punto di vista, anche mostrandoci la zavorra che ci rende tristi e insoddisfatti.
Ci riavviciniamo quando vediamo gente coraggiosa, che fa scelte estreme, che sa quello che vuole, che vive la sessualità come un dono e come una responsabilità. Ci riavviciniamo quando qualcuno ci racconta che fare l’amore è un’esperienza di paradiso, e va fatto bene. Non per possedere, non per fare contento l’altro, non per gioco, non per abitudine. E proprio per questo ha scelto di diventare una sola carne con l’unica persona che davvero ha scelto una volta per sempre, per l’eternità. Perché i giovani lo sanno che l’amore è per sempre, altrimenti non è amore, è qualcosa di simile, una bella amicizia, o un surrogato.
Cari vescovi, non fatevi ingannare dai titoli dei giornali. Non fatevi condizionare da quello che il mondo vorrebbe da voi, ma osate. Abbiate il coraggio di essere padri. Abbiate il coraggio di essere guide attente e misericordiose, abbiate il coraggio di dire cose grandi, che ci mettano in discussione, che ci svelino il mistero, che ci parlino di infinito.
Abbiate il coraggio di interpellare noi, giovani sposi, giovani fidanzati, giovani preti, giovani consacrati, giovani in ricerca. Abbiate il coraggio e la pazienza di chiederci il perché delle nostre scelte, di chiederci il “per Chi” viviamo e poi, ai giovani che verranno da voi, raccontate che è possibile essere felici, vivere in pienezza, fare grandi scelte, andare controcorrente.
Abbiate il coraggio di formare futuri preti e futuri sposi consapevoli di quello che scelgono, innamorati di Cristo e del Vangelo, pronti a dare testimonianza a quei giovani distanti, diffidenti, indecisi. Che non si avvicineranno a una Chiesa in linea con il mondo. Si avvicineranno a una Chiesa bella e santa, che vive ciò in cui crede e che ha il coraggio di mostrarlo.
Sara Mansarda
Marco Tosatti
Un incontro rinfrancante. E la lezione di santa Teresa d’Avila
Sono reduce da un incontro con alcuni amici che vivono nella Chiesa cattolica con tanto amore per la liturgia e con tanto rispetto per le norme che la tradizione ha custodito nei secoli e ci sono arrivate grazie alla fede di generazioni e generazioni di fedeli.
Questi incontri fanno bene all’anima perché, vedendoci e guadandoci negli occhi, ci sentiamo meno soli e scopriamo di non essere come naufraghi appesi a una zattera senza meta: siamo in realtà figli di Dio che, pur nel bel mezzo di una tempesta, tenendosi per mano e senza mai distogliere lo sguardo da Dio, avvertono di essere parte di un progetto buono, che il Padre sta disegnando per noi, per il nostro bene, per farci crescere nella santità. Allora non dobbiamo fare altro che ringraziare e assecondare il Padre.
La Chiesa cattolica sta vivendo un periodo difficile, forse uno dei più difficili della sua storia. La confusione è tanta, lo sconcerto è crescente e le divisioni interne profonde. In queste condizioni è facile lasciarsi prendere sia dallo sconforto sia dal risentimento. Si è inoltre facilmente presi dal dubbio: la nostra Madre Chiesa riuscirà a sopravvivere a questi scossoni? E, se sì, come sarà ridotta? Poi però succede, com’è successo al sottoscritto in questi giorni, di incontrare fedeli che combattono la buona battaglia stando al loro posto, rimanendo saldi nella fede, senza alimentare polemiche, e allora ci si accorge che la Chiesa si sta già rigenerando. Un processo di purificazione è già in corso. E anche, direi, di chiarimento. Perché la prova porta con sé l’esigenza di andare a ciò che è davvero fondamentale e decisivo, lasciando perdere tutto il resto, tutto il contorno che è fatto solo di vane parole umane.
La liturgia ha, in tutto ciò, un’importanza decisiva. Non ho competenze in proposito e non so fare un discorso approfondito. Dico solo che dopo una bella liturgia onesta, pulita, dignitosa, attenta al rispetto del sacro, una liturgia che mette al primo posto il rendere gloria a Dio e non l’umano protagonismo, ci si sente rinfrancati, incoraggiati. È come ricevere vitamine spirituali.
Oggi la Chiesa ricorda santa Teresa d’Avila, proclamata dottore della Chiesa da Paolo VI nel 1970. Di lei Benedetto XVI ricordò (udienza generale del 2 febbraio 2011) la fuga da bambina, perché voleva «vedere Dio», e poi la poesia famosa: «Nulla ti turbi / nulla ti spaventi; / tutto passa. Dio non cambia; / la pazienza ottiene tutto; / chi possiede Dio / non manca di nulla / Solo Dio basta!».
«La Santa – disse ancora il papa Benedetto XVI – sottolinea poi quanto è essenziale la preghiera; pregare, dice, “significa frequentare con amicizia, poiché frequentiamo a tu per tu Colui che sappiamo che ci ama” (Vita 8, 5) . L’idea di santa Teresa coincide con la definizione che san Tommaso d’Aquino dà della carità teologale, come “amicitia quaedam hominis ad Deum”, un tipo di amicizia dell’uomo con Dio, che per primo ha offerto la sua amicizia all’uomo; l’iniziativa viene da Dio (cfr Summa Theologiae II-ΙI, 23, 1)».
È una lezione proprio per noi, oggi.
Concludo con un’annotazione curiosa. Quando, per ricordare che oggi si festeggia santa Teresa d’Avila, ho cercato di mandare un messaggio con il cellulare (operazione di per sé complicata per chi, come il sottoscritto, vede poco), il correttore automatico ha trasformato «santa Teresa d’Avila» in «santa Teresa diavola»! Ecco, mi sono detto, il mondo non accetta che si parli dei santi e della santità. Il mondo, se ci affidiamo soltanto ai nostri mezzi, può trasformare ogni cosa nel suo contrario, stravolgendo anche le intenzioni più buone. Se anche per un solo istante distogliamo lo sguardo dal Padre, se dimentichiamo di mettere Lui al centro e mettiamo noi stessi, il Nemico ci mette lo zampino e stravolge tutto. Ecco perché santa Teresa ebbe tanto amore per la Chiesa e, in un’epoca segnata a sua volta da divisioni e conflitti, manifestò un profondo sensus Ecclesiae. Perché non voleva servire una propria idea, ma il Signore. Il quale, se gli restiamo vicini e lo mettiamo sempre al primo posto, «volge tutto in nostro bene».
Questi incontri fanno bene all’anima perché, vedendoci e guadandoci negli occhi, ci sentiamo meno soli e scopriamo di non essere come naufraghi appesi a una zattera senza meta: siamo in realtà figli di Dio che, pur nel bel mezzo di una tempesta, tenendosi per mano e senza mai distogliere lo sguardo da Dio, avvertono di essere parte di un progetto buono, che il Padre sta disegnando per noi, per il nostro bene, per farci crescere nella santità. Allora non dobbiamo fare altro che ringraziare e assecondare il Padre.
La Chiesa cattolica sta vivendo un periodo difficile, forse uno dei più difficili della sua storia. La confusione è tanta, lo sconcerto è crescente e le divisioni interne profonde. In queste condizioni è facile lasciarsi prendere sia dallo sconforto sia dal risentimento. Si è inoltre facilmente presi dal dubbio: la nostra Madre Chiesa riuscirà a sopravvivere a questi scossoni? E, se sì, come sarà ridotta? Poi però succede, com’è successo al sottoscritto in questi giorni, di incontrare fedeli che combattono la buona battaglia stando al loro posto, rimanendo saldi nella fede, senza alimentare polemiche, e allora ci si accorge che la Chiesa si sta già rigenerando. Un processo di purificazione è già in corso. E anche, direi, di chiarimento. Perché la prova porta con sé l’esigenza di andare a ciò che è davvero fondamentale e decisivo, lasciando perdere tutto il resto, tutto il contorno che è fatto solo di vane parole umane.
La liturgia ha, in tutto ciò, un’importanza decisiva. Non ho competenze in proposito e non so fare un discorso approfondito. Dico solo che dopo una bella liturgia onesta, pulita, dignitosa, attenta al rispetto del sacro, una liturgia che mette al primo posto il rendere gloria a Dio e non l’umano protagonismo, ci si sente rinfrancati, incoraggiati. È come ricevere vitamine spirituali.
Oggi la Chiesa ricorda santa Teresa d’Avila, proclamata dottore della Chiesa da Paolo VI nel 1970. Di lei Benedetto XVI ricordò (udienza generale del 2 febbraio 2011) la fuga da bambina, perché voleva «vedere Dio», e poi la poesia famosa: «Nulla ti turbi / nulla ti spaventi; / tutto passa. Dio non cambia; / la pazienza ottiene tutto; / chi possiede Dio / non manca di nulla / Solo Dio basta!».
«La Santa – disse ancora il papa Benedetto XVI – sottolinea poi quanto è essenziale la preghiera; pregare, dice, “significa frequentare con amicizia, poiché frequentiamo a tu per tu Colui che sappiamo che ci ama” (Vita 8, 5) . L’idea di santa Teresa coincide con la definizione che san Tommaso d’Aquino dà della carità teologale, come “amicitia quaedam hominis ad Deum”, un tipo di amicizia dell’uomo con Dio, che per primo ha offerto la sua amicizia all’uomo; l’iniziativa viene da Dio (cfr Summa Theologiae II-ΙI, 23, 1)».
È una lezione proprio per noi, oggi.
Concludo con un’annotazione curiosa. Quando, per ricordare che oggi si festeggia santa Teresa d’Avila, ho cercato di mandare un messaggio con il cellulare (operazione di per sé complicata per chi, come il sottoscritto, vede poco), il correttore automatico ha trasformato «santa Teresa d’Avila» in «santa Teresa diavola»! Ecco, mi sono detto, il mondo non accetta che si parli dei santi e della santità. Il mondo, se ci affidiamo soltanto ai nostri mezzi, può trasformare ogni cosa nel suo contrario, stravolgendo anche le intenzioni più buone. Se anche per un solo istante distogliamo lo sguardo dal Padre, se dimentichiamo di mettere Lui al centro e mettiamo noi stessi, il Nemico ci mette lo zampino e stravolge tutto. Ecco perché santa Teresa ebbe tanto amore per la Chiesa e, in un’epoca segnata a sua volta da divisioni e conflitti, manifestò un profondo sensus Ecclesiae. Perché non voleva servire una propria idea, ma il Signore. Il quale, se gli restiamo vicini e lo mettiamo sempre al primo posto, «volge tutto in nostro bene».
Aldo Maria Valli
https://www.aldomariavalli.it/2018/10/15/un-incontro-rinfrancante-e-la-lezione-di-santa-teresa-davila/
“Humani Generis”: la ragione umana nella Chiesa
Il 9 ottobre di sessant’anni fa si spegneva Pio XII. Gli anniversari non hanno, sostanzialmente, altra funzione che quella di permettere, prendendo spunto dall’evento o dalla persona celebrata, di approfondire o, anche solo, di richiamare temi, concetti e/o princìpi che abbiano una qualche utilità nell’illuminare il presente e di aiutare nella costruzione di un futuro migliore. Per questa ragione, ci lascia particolarmente perplessi l’assordante silenzio che ha accompagnato la ricorrenza della morte dell’ultimo Pontefice preconciliare, quasi che il suo magistero non abbia più nulla da dire; silenzio che ha rarissime quanto meritevoli eccezioni, come quella della città di Castel Gandolfo e quella della parrocchia di Onano. Particolarmente fragoroso è, almeno in Italia, l’oblio di tale ricorrenza nel “mondo” che si richiama alla Tradizione cattolica.
“Humani Generis”: la ragione umana nella Chiesa
Il 9 ottobre di sessant’anni fa si spegneva Pio XII. Gli anniversari non hanno, sostanzialmente, altra funzione che quella di permettere, prendendo spunto dall’evento o dalla persona celebrata, di approfondire o, anche solo, di richiamare temi, concetti e/o princìpi che abbiano una qualche utilità nell’illuminare il presente e di aiutare nella costruzione di un futuro migliore. Per questa ragione, ci lascia particolarmente perplessi l’assordante silenzio che ha accompagnato la ricorrenza della morte dell’ultimo Pontefice preconciliare, quasi che il suo magistero non abbia più nulla da dire; silenzio che ha rarissime quanto meritevoli eccezioni, come quella della città di Castel Gandolfo e quella della parrocchia di Onano. Particolarmente fragoroso è, almeno in Italia, l’oblio di tale ricorrenza nel “mondo” che si richiama alla Tradizione cattolica.
Ma per quale ragione dovremmo oggi ricordare la figura di un Papa controverso (anche se sarebbe più corretto dire calunniato), ultima espressione di un cattolicesimo ormai ripudiato dagli stessi vertici della Chiesa?
I motivi potrebbero essere molti e del genere più svariato, dall’aristocratica eleganza del tratto, la cui riscoperta è particolarmente urgente in un “mondo” occidentale sempre più ostentatamente sguaiato, alla forte difesa della Chiesa cattolica in Cina contro le pretese cesariste[1] del Governo di Pechino, così stridentemente in contrasto con l’ultima resa senza condizioni della Santa Sede alle pretese della Repubblica popolare cinese. Riteniamo, però, che il suo maggior lascito sia la, purtroppo inascoltata, condanna della più compiuta evoluzione del Modernismo, che va sotto il nome di «Nouvelle Théologie». Tale condanna viene sintetizzata nell’enciclica «Humani Generis» (22 agosto 1950).
L’importanza e l’attualità di tale documento pontificio risiede, a nostro modesto modo di vedere, nella dimostrazione dell’irrazionalità di ogni cedimento al cosiddetto «pensiero moderno»[2], proprio per l’insostenibilità razionale di quest’ultimo. Rappresenta, insomma, l’ultima grande difesa della ragione umana di parte cattolica.
L’Illuminismo si caratterizza per la totale e assoluta sfiducia nella ragione umana, ritenuta incapace di conoscere la realtà. Il testo di riferimento, che, meglio di altri, sintetizza tale sfiducia, è «La critica della ragion pura» (1781I, 1787II) di Immanuel Kant (1724-1804), nella quale il filosofo di Königsberg sostiene l’incapacità della ragione umana di conoscere il noumeno, vale a dire il concetto.
Nella concezione tradizionale pre-illuminista, di derivazione aristotelica, la conoscenza avviene, sostanzialmente, in due fasi. Dapprima, i sensi conoscono il singolo oggetto (conoscenza sensibile), in modo specifico e puntuale; la ragione, poi, astrae da tale conoscenza sensibile e fornisce il concetto, vale a dire la conoscenza razionale. Kant e, con lui, tutto l’Illuminismo ed il post-Illuminismo negano valore scientifico all’atto astrattivo della ragione umana e, conseguentemente, negano che la ragione stessa possa addivenire ad una qualsivoglia conoscenza, intesa, ovviamente, in senso pieno e oggettivo. La conseguenza è l’eliminazione del concetto di verità e la sua sostituzione con quello di opinione.
La verità è la perfetta aderenza di un’affermazione (del soggetto) alla realtà (oggettiva) descritta. Perché ciò possa avvenire, il soggetto deve possedere una conoscenza oggettiva ed universale dell’oggetto: tale oggettività ed universalità permette la comunicazione del concetto come vero anche agli altri; tutta la trasmissione del sapere umano è basata su questo presupposto. Se, viceversa, si nega, come fa tutto il cosiddetto «pensiero moderno», l’oggettività e l’universalità del processo astrattivo, in luogo della verità, si avrà unicamente l’opinione, vale a dire la corrispondenza tra quanto affermato e quanto ritenuto vero dal soggetto, non necessariamente vero in senso oggettivo.
Il Modernismo è il tentativo di conciliare i principi illuministici con la Fede cattolica, ridotta a sentimento soggettivo e privata, dunque, di ogni oggettivo riferimento alla verità. La cosiddetta «Nouvelle Théologie» tende a portare questo compromesso fino al punto di condannare tutta la filosofia tradizionale (soprattutto quella di derivazione aristotelica) e tutta la tradizionale teologia (in modo particolare quella domenicana e tomista), proprio in nome di una assoluta non conoscibilità del vero e, quindi, di Dio. Questo comporta che le stesse formulazioni dogmatiche non sarebbero, nella concezione modernista, altro che cristallizzazioni del comune sentimento nel momento storico in cui vengono formulati. Tale storicismo modernista porta i seguaci della cosiddetta «Nouvelle Théologie», condannata da «Humani Generis», a voler concretamente sovvertire tutta l’apologetica, tutto il tradizionale insegnamento cattolico e tutta la prassi cattolica fino ad allora seguita.
Il secondo passo, conseguente all’adesione all’irrazionale relativismo illuminista, è un’interpretazione simbolica e soggettiva, sempre mutevole nel tempo e sempre soggetta all’adeguamento al comune sentire dell’epoca, della Sacra Scrittura e della Tradizione. Viene rifiutata la perenne infallibile interpretazione data dalla Chiesa e, addirittura, vengono contraddetti, tramite la suddetta interpretazione simbolica, i passi scritturali non più ritenuti in conformità con il sentimento contemporaneo, ammantando, oltretutto, questo approccio così disinvolto di accenti spiritualisti e “poetici”.
I novatori, sposando la concezione mutilata della ragione umana proprio dell’Illuminismo, arrivano al punto di accusare la Chiesa di ostilità nei confronti della ragione umana. Ed a questo riguardo Pio XII elabora la parte, a nostro modesto avviso, più importante ed attuale dell’enciclica: quella in cui rivendica a nome della Chiesa e della Fede cattolica la difesa e la valorizzazione della ragione umana, contro la sfiducia e le mutilazioni ad essa imposte dall’Illuminismo e dai suoi servi modernisti. Il Magistero tradizionale della Chiesa attribuisce alla ragione umana enorme importanza e le riconosce la capacità di raggiungere il vero (oggettivo), non solo a riguardo delle questioni materiali, ma anche per quanto concerne la conoscenza naturale di Dio; la Fede, senza mai contraddire la ragione, su di essa si innesta per portarla a vette di conoscenza soprannaturale: è il famoso principio tomista, secondo il quale la grazia si innesta sulla natura, presupponendola.
Nell’ultima parte dell’enciclica, il Pontefice estende alla scienza quanto prima affermato per la ragione. Tale puntualizzazione non sarebbe stata, in astratto, necessaria, ma si è resa utile proprio per rispondere alla distorta lettura che i modernisti hanno della ragione e della scienza, che non vedono come uno dei suoi campi di applicazione, ma, invertendo l’ordine logico delle cose, un qualcosa di indistinto e, in qualche modo, superiore alla stessa anima razionale dell’uomo.
Dopo la sbornia delle ideologie conseguenti all’Illuminismo, dopo l’approccio sentimentale ed istintivo alla conoscenza, proprio del cosiddetto «pensiero moderno», poche cose ci appaiono più urgentemente necessarie del ritorno alla ragione, che trova nella Fede, come la Storia della Chiesa ci dimostra, solido ancoraggio e, al tempo stesso, sublime esaltazione.
[1] Per cesarismo deve intendersi la pretesa del potere politico di ingerirsi nella vita interna della Chiesa, tanto per ciò che concerne la dottrina, quanto per ciò che riguarda la sua struttura interna e, in modo particolare, la nomina dei Vescovi.
[2] Per pensiero moderno deve intendersi l’insieme delle dottrine filosofiche e delle ideologie derivate dall’Illuminismo; il termine è usato in un’accezione puramente contenutistica, senza nessun riferimento cronologico.
Di Carlo Manetti
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