Chiudiamo le scuole cattoliche. Facciamolo il prima possibile: presto, anzi immediatamente. Chiudiamole e basta, facciamola finita. Così come sono, come sono diventate, non hanno ragione di esserci, di esistere. Soprattutto perché non conservano più niente di cattolico. Rappresentano un ricettacolo delle peggiori eresie, un luogo di diseducazione cristiana, un’anticamera dell’inferno.
Non sia una decisione facile, o leggera, però chiudiamole. È meglio. Ho sentito personalmente un vicario generale consigliare in un convegno di suore educatrici: «Diminuiamo, nelle aule, i segni di croce quotidiani. Per non offendere gli studenti musulmani». Le religiose se ne sono rimaste ferme, immobili, sedute ad ascoltarlo, a sorridere, ad annuire. Zitte, tutte zitte. Non ce n’è stata neppure una che abbia sentito il dovere, avvertito la necessità di saltar su dalla sedia e dire, anzi gridare mostrando il pugno: «Scusi, monsignore, ma che cacchio sta dicendo? Noi siamo consacrate e le nostre sono scuole cattoliche!». Macché, niente. Se l’incaricato della curia avesse comandato di staccare i crocifissi dalle pareti, avrebbero obbedito anche a questo, si sarebbero inchinate con tranquillità, con indifferenza. «Ordini superiori». Che vergogna.
Ho sentito personalmente anche un politico che si autodefinisce «cattolico», che naturalmente milita nelle schiere angeliche della cattolicissima sinistra, proclamare in un congresso di scuole «cattoliche» che è necessario, urgente, indispensabile occuparsi delle «famiglie», non della famiglia, intendendo ovviamente tutto quello che l’uditorio cattolicamente beneducato ha inteso alla perfezione. Il plurale al posto del singolare a giustificare ogni diversità, ogni capriccio, ogni raccapriccio, ogni «diritto». Ma, santocielo, perfino Papa Bergoglio, perfino lui, aveva spiegato appena qualche giorno prima: «Fa dolore dirlo: oggi si parla di famiglie diversificate, di diversi tipi di famiglia. Sì è vero: famiglia è una parola analoga, si dice anche “la famiglia delle stelle”, “la famiglia degli animali”. Ma la famiglia immagine di Dio è una sola, quella tra uomo e donna. Può darsi che non siano credenti ma se si amano e uniscono in matrimonio sono a immagine e somiglianza di Dio. Per questo il matrimonio è un sacramento grande». Evidentemente il politico cattolico di sinistra ascolta e plaude Francesco soltanto quando gli fa comodo, quando gli conviene; sul resto finge di non sapere, fa orecchi da mercante.
Per quanto visto e considerato, dunque, chiudiamo le scuole cattoliche. È opportuno per le scuole, è opportuno per i cattolici, è opportuno per tutti. Lancio l’idea a Elisabetta Frezza, che questa materia la mastica, la conosce, la affronta. Il suo libro MalaScuola (casa editrice Leonardo da Vinci, Roma) è un sussidio indispensabile, fondamentale per capire come il sistema «educativo» punti ormai ad abolire la ragione e manipolare gli studenti a suon di propaganda, di pensiero unico, di ideologia libertaria e nichilista. Il sistema educativo cattolico dovrebbe costituire un’eccezione, un argine, un percorso formativo robusto e non allineato.
Non è così, non più. Vi è entrato lo spirito del mondo. Vi si è infiltrato il falso, il disumano, il suicida. Chiuderlo, abolirlo, eliminarlo sarà opera meritoria. A voler proprio insistere nell’allevamento di polli in batteria invece che di fedeli colti e magari santi, lo si chiami allora «paritario», lo si chiami «privato», lo si riservi ai ricconi cinesi o arabi o russi che cercano l’istituto elitario, sciccoso, esclusivo, possono permettersi di pagare rette astronomiche e se ne fregano della religione; non lo si definisca, per favore, «cattolico».
Un secolo fa, Giovanni Papini proponeva l’unica vera, profonda, radicale riforma scolastica italiana, la migliore mai avanzata dai governi e dai ministri: «Chiudiamo le scuole». Suggeriva: «Bisogna chiuder le scuole – tutte le scuole. Dalla prima all’ultima. Asili e giardini d’infanzia; collegi e convitti; scuole primarie e secondarie; ginnasi e licei; scuole tecniche e istituti tecnici; università e accademie; scuole di commercio e scuole di guerra; istituti superiori e scuole d’applicazione; politecnici e magisteri».
Ragionava Papini: «Dappertutto dove un uomo pretende d’insegnare ad altri uomini bisogna chiuder bottega. Non bisogna dar retta ai genitori in imbarazzo né ai professori disoccupati né ai librai in fallimento. Tutto s’accomoderà e si quieterà col tempo. Si troverà il modo di sapere (e di saper meglio e in meno tempo) senza bisogno di sacrificare i più begli anni della vita sulle panche delle semiprigioni governative. Ci saranno più uomini intelligenti e più uomini geniali; la vita e la scienza andranno innanzi anche meglio; ognuno se la caverà da sé e la civiltà non rallenterà neppure un secondo. Ci sarà più libertà, più salute e più gioia. L’anima umana innanzi tutto. È la cosa più preziosa che ognuno di noi possegga. La vogliamo salvare almeno quando sta mettendo le ali. Daremo pensioni vitalizie a tutti i maestri, istitutori, prefetti, presidi, professori, liberi docenti e bidelli purché lascino andare i giovani fuor dalle loro fabbriche privilegiate di cretini di stato. Ne abbiamo abbastanza dopo tanti secoli. Chi è contro la libertà e la gioventù lavora per l’imbecillità e per la morte».
Il suggerimento, oggi, è di cominciare a chiudere almeno le scuole cattoliche. Non servono a niente. Da tempo l’anima è volata via, altrove. Serriamole e non pensiamoci più.
– di Lèon Bertoletti
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