ACTA APOSTATICAE SEDIS : come, cambiando un po' qua e un po' la, si può cambiare tutto...

mercoledì 17 ottobre 2018

I piedi in due scarpe



Uno degli aspetti più preoccupanti dell’attuale grave crisi della Chiesa sta nel fatto che non solo il male dilaga, ma che non lo si riconosce come tale, e così facendo si finisce per giustificare (e approvare) quello che è ingiustificabile. L’ultimo esempio viene da quello che può sembrare solo un episodio di cronaca, perfino un po’ vintage: un prete con l’amante. Sì, caro lettore, hai letto bene: c’è un apostrofo (rosa), perché si tratta di un’amante femmina.
Il protagonista del boccaccesco episodio è tale don Gianfranco Del Neso, amministratore parrocchiale della chiesa di “Maria Ss. Madre della Chiesa” di Lacco Ameno, Isola d’Ischia, che da tempo ha una relazione segreta con una donna. La relazione è venuta alla luce perché la signora ora è incinta del prete, che pertanto ha deciso per il matrimonio riparatore. Il suo vescovo lo ha giustamente sospeso dall’esercizio del ministero sacerdotale, piuttosto a malincuore peraltro, a giudicare dal comunicato ufficiale emesso dalla diocesi di Ischia: “Il Vescovo fortemente addolorato per l’accaduto, ha riconosciuto l’onestà di don Gianfranco nell’aver condiviso con lui la fatica nel rimanere fedele all’impegno del celibato. Il sacerdote intende assumersi tutte le responsabilità connesse alla sua nuova situazione di vita che prevede l’arrivo di un figlio”.

Ma quello che più colpisce, di questa vicenda, sono i tantissimi i messaggi apparsi sulla pagina Facebook di don Del Neso, con i parrocchiani che hanno espresso la loro “solidarietà” nei suoi confronti, plaudendo alla sua scelta. “Io sto con Gianfranco. Invece di vivere una doppia vita come fanno molti ha avuto coraggio ed onestà. Sarai per sempre un uomo di Dio” scrive un uomo, mentre una parrocchiana ha dichiarato ”Ama e fa ciò che vuoi”, manipolando sant’Agostino. ”Tutta la mia stima per l’onestà dimostrata, tutto il mio dolore per aver perso un bravo sacerdote”.
Ma di cosa stiamo parlando? Di quale “onestà” cianciano i parrocchiani di Lacco Ameno? Onesto uno che teneva i piedi in due scarpe, che faceva il prete e poi aveva incontri galanti con una signora, durante i quali – visti gli esiti gravidici – non meditavano certo le Scritture? Questo sarebbe “un uomo di Dio”? E quale “coraggio” ha dimostrato, visto che solo davanti al fatto compiuto, solo dopo aver fatto la frittata si è deciso a convolare a ingiuste nozze?
Quello che i parrocchiani, ormai evidentemente rintronati da tanta retorica misericordista, anti-rigorista (è di ieri l’ennesima tirata fatta a Santa Marta contro i “cristiani rigidi”), non riescono a vedere è il male che il loro affezionato parroco ha fatto. Il tradimento, l’adulterio, perché don Gianfranco era un uomo già impegnato, impegnato con la Chiesa di Cristo. I parrocchiani conniventi col suo male, evidentemente hanno perso il senso del peccato, come purtroppo tantissimi cristiani di oggi. Dei Comandamenti, oggi non si cura nessuno. Forse gli unici che verrebbero indicati in un ipotetico sondaggio tra i fedeli delle parrocchie sarebbero: non inquinare; non respingere i migranti; non votare Salvini.
A beneficio di tutti quanti vogliamo invece ricordare che c’è un Comandamento che dice “Non commettere adulterio”? E cioè? Cioè non avere una vita sentimentale disordinata. Non commettere atti contro la purezza, del corpo e del cuore. Don Gianfranco aveva fatto una promessa solenne, un voto, di rinunciare all’esercizio della sessualità per un bene più grande. Per amore di Cristo si può rinunciare a tutto, per avere il tutto. Alla base di scelte eroiche c’è l’amore.  Si rinuncia per un di più.
Immaginiamo già le critiche a queste nostre osservazioni, che qualcuno definirebbe rigide e rigoriste. Bisogna essere chiari: nessuno di noi è perfetto, commettiamo tutti continuamente errori. Il cristianesimo definisce “peccatore” ogni essere umano, nonostante il fastidio strisciante di tante persone, cristiane e non, che ritengono questo linguaggio come troppo pregno di un pessimismo ormai fuori moda. Eppure, è innegabile, è la realtà dell’essere umano: un essere che, volente o nolente, cade continuamente, per rialzarsi di volta in volta. La perfezione sembrerebbe non essere cosa di questo mondo. Eppure, Gesù ha fatto una richiesta ben precisa: “Siate perfetti come perfetto è i Padre mio”. Come fare? È proprio in occasione di una persona caduta nel peccato contro il sesto comandamento che Gesù ci mostra la via.
La bellissima parabola di Gesù che salva la donna adultera che sta per essere lapidata è indicativa di quanto ci stiamo dicendo. L’adulterio era considerato un reato che prevedeva la massima pena, la lapidazione della donna, proprio perché profanava qualcosa di sacro, il matrimonio. Gesù sorprende ogni logica umana con quella famosissima frase: “Chi è senza peccato scagli la prima pietra”. Questo affascinante passo evangelico ci riporta a quanto stiamo dicendo: siamo tutti corruttibili, siamo tutti sul crinale, a rischio di scivolare e di rovinare giù.  Allora cosa rimane, quando si prende atto di essere tutti corruttibili e senza possibilità di giudicare? Ce lo rivela lo stesso Gesù, rivolgendosi alla donna salvata: “Donna, dove sono tutti? Nessuno ti ha condannata?”. Rispose: “Nessuno, Signore”. Le disse Gesù: “Neppure io ti condanno, va e non peccare più”. È come se Gesù dicesse a tutti noi di essere consapevoli della nostra fragilità, evitando di condannarci, ma chiedendoci di incamminarci verso la perfezione. Non propone un colpo di spugna, non è una proposta al ribasso, o un perdonismo a buon mercato. “Va e non peccare più”. Ed ecco cosa rimane: l’incamminarsi verso una vita in cui ci si sforza di non adulterarci.
C’è un altro esempio importante che ci aiuta a capire cosa significa essere persone costantemente soggette alla corruzione: è il caso dell’incontro tra Gesù e la samaritana. Quando Gesù arriva al pozzo dove incontra la donna si apre un duello dialettico bellissimo tra i due, condotto sul filo del rasoio, sino al punto in cui la donna fa intendere a Gesù, che appare un giovane adulto apparentemente disponibile, di essere libera e senza marito. A quel punto Gesù le fa notare che lei ha avuto ben cinque mariti! Lo fa senza aggiungere commenti, pone semplicemente la donna di fronte a se stessa, alla sua vita e al suo passato, mettendola di fronte alla sua coscienza, senza maschere. A quel punto la donna riconosce Gesù come un profeta, si abbandona alla sua Parola e riconosce i suoi peccati. Ancora una volta l’insegnamento cristiano giudica perché mette di fronte alla verità, comprensivo della nostra debolezza, ma anche della possibilità di superare i peccati, incamminandoci su un sentiero di lotta continua contro il male che c’è in noi.
Con queste premesse, “non commettere adulterio” è un invito a non insistere nel rimanere sul sentiero del peccato, non rendere una singola caduta il sistema di vita, il campo d’azione sistematico; significa cercare di incamminarsi lungo la strada che conduce alla perfezione, pur nella consapevolezza di non poterla mai raggiungere. Significa, ancora, e soprattutto, non adulterare il cuore, non adulterare se stessi. È un precetto transitivo.
Don Gianfranco è caduto, non è riuscito a mantenere il voto di fedeltà, ha peccato, e sarà giudicato dal Padreterno.  Tuttavia, ci auguriamo che le pecorelle del suo gregge possano aprire gli occhi, lasciar perdere la pseudo solidarietà, che in realtà si chiama connivenza, e scoprire la vera Chiesa, quella che si oppone al male, cominciando a chiamarlo col suo nome.
– di Paolo Gulisano

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