— il cogitatorio di Ipazia —
IPAZIA GATTA ROMANA A COLLOQUIO CON IL CORVO DI ENZO BIANCHI, OGGI PARTECIPANTE AL SINODO PER INDICARE AI GIOVANI LA VIA, LA VERITÀ E LA VITA …
[…] sono un corvo, come credo che di fatto lo sia Enzo Bianchi, pur non avendo le penne. Il nostro suono è simile, anche lui come me quando parla gracchia. Entrambi giriamo per il mondo alla ricerca di qualche perla o gioiello da rubare. Io cerco e rubo i gioielli e le perle materiali, lui ruba invece quelli delle anime che lo ascoltano dopo aver già rubato le perle ed i gioielli del Cristianesimo e della Chiesa Cattolica.
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.Cari gattolici e gattoliche:
Laudetur Jesus Christus !
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In questi ultimi mesiuno dei miei due uomini, Jorge Facio Lince, che per me è come un figliolo, è stato immerso in un lavoro lungo e complesso che a un certo punto mi è sembrato quasi una penitenza, perché la voce che usciva dai video era sgradevole per ogni sensibilità cattolica, il tutto in modo proporzionato alle eresie da essa enunciate negli audiovideo [vedereQUI].
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Approfittando del mio ultimo viaggio in giro per la penisola Italica in visita canonica delle comunità gattoliche, e dopo essermi intrattenuta qualche giorno a Roma per stilare un piano pastorale con Brivido Cosmico [cf. QUI], ho deciso di salire al nord, per andare a conoscere il luogo dove vive il proprietario di quella voce sgradevole che pontifica contro Dio, Santa Romana Chiesa e quanto di buono è stato fatto nella storia dalla nostra amata fede.
Avvicinandomi a Bose mi è venuto incontro un vecchio corvo che si è presentato come un conoscitore di Fratel Enzo Bianchi e con il quale è nato questo colloqui prima del Monastero di Bose:
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«Fratel Enzo, il fondatore di questa Comunità, è dunque un frate?»
Rispose lui:
«no, è un vecchio Signore ormai famoso».
«È un monaco?»
Replica il Corvo:
«no è un pazzo nel senso letterario, più furioso di Orlando».
«È un religioso?»
Risponde il Corvo:
«No, è un ignorante, ma còlto, mi pare che alcuni la chiamino “dotta ignoranza” ».
Al ché domando al Corvo:
«Perlomeno è cattolico?»
Risponde lui:
«no, è un miscredente, o se preferisci: un ateo devoto».
«È uno che prega?»
Risponde il Corvo:
«Mah, credo che sia uno di quelli che parla con se stesso e crede d’aver parlato con Dio. Te l’ho detto: è un vecchio nel senso letterario più pazzo di Orlando furioso».
«Che cosa fa, dunque, della propria vita?»
Risponde il Corvo:
«La spreca in elucubrazioni, facendo poi venire agli altri voglia di non viverla».
In tono di stupore, ribatto:
«Sei veramente severo con lui, ma perché tutta questa severità con questo povero anziano»?
Risponde il Corvo:
«Sono un corvo, come credo che di fatto lo sia lui, pur non avendo le penne. Il nostro suono è simile, anche lui come me quando parla gracchia. Entrambi giriamo per il mondo alla ricerca di qualche perla o gioiello da rubare. Io cerco e rubo i gioielli e le perle materiali, lui ruba invece quelli delle anime che lo ascoltano dopo aver già rubato le perle ed i gioielli del Cristianesimo e della Chiesa Cattolica».
Domando allora al Corvo:
« Ma lui, si prende cura di te?»
Risponde il Corvo:
«Mai! Alle volte, quando io sorvolo sopra il cosiddetto Monastero, lui mi indica ai visitatori e dice loro che sono una “epifania” o segno per chi viene a Bose, dove tutti possono essere sfamati dalla Parola, come i corvi quando hanno nutrito il profeta Elia, Isaia o Sofonia secondo il racconto dell’Antico Testamento. Altre volte dice che sono “epifanìa” di Gesù quando disse: «Guardate i corvi: non seminano e non mietono, non hanno ripostiglio né granaio, e Dio li nutre» [Lc 12,24]. Altre volte ha detto che sono il segno del vero monachesimo, ribadendo la leggenda popolare nella quale il corvo dava di mangiare a San Benedetto da Norcia, il quale riuscì ad addomesticarlo. Ma te l’ho detto: è un vecchio, un pazzo furioso, un miscredente. È un soggetto che cambia di discorso affermando o negando quello che dice, secondo il pubblico che ha davanti».
Non poco sbalordita dinanzi a quella severa ed a tratti crudele narrazione, chiedo:
«Quindi non è vero niente, di ciò che dice?».
Risponde il Corvo:
«No. Pensa, io sono venuto qua perché pensavo che questa fosse una necropoli: silenzio, vuoto e odore di morte; insomma, il mio posto naturale. Poi ho scoperto invece che era un posto abitato da persone strane che si definiscono monaci, ma in verità sembrano lunatici; dividono la giornata tra lavoro e preghiera: nel primo caso producono solo scritti nei quali si corrompe l’essenza stessa del Cristianesimo, mentre quando pregano, o parlano con se stessi o parlano con il vuoto. Non accettano neppure l’idea che esista qualche cosa al di sopra di quello che toccano. Io vivo mangiando degli insetti, che come puoi ben vedere abbondano in questa terra che sembra la porta dell’Inferno. Mangio anche uccelli, che però non ci sono più, neppure una sola colomba vola da queste parti. Nessuno spirito vivente o anima veramente buona può passare di qua, senza trovare morte sicura, che è la grande morte del culto della Parola Vuota» .
Incuriosita più che mai domando al Corvo:
«Dimmi, com’è il Bianchi con te?»
Risponde:
«Mi detesta, perché vede in me un ricordo che la morte arriverà anche per lui e che, quelli come me, mangeranno la sua deforme carne attuale. Proprio come lui in vita si mangia e si è mangiato non solo la carne e la vita, ma anche l’anima dei cristiani. Però, va detto che tra pari quali noi siamo tutto sommato ci rispettiamo. Egli mi chiama Prometeo in ricordo di quell’Atlante che si ribellò contro il dio Zeus, per questo fu condannato a essere mangiato da un corvo durante il giorno. Per questo io a lui lo chiamo Orco, sia per la sua bruttezza di viso, sia per essersi divorato tante anime di cristiani abbandonati e traditi dai pastori loro custodi».
Rimango basita, poi domando:
« Ma nessuno lo ha mai fermato?».
Risponde il Corvo:
«In privato, a voce bassa, molti prelati lo definiscono eretico, ignorante, o persona da non prendere in considerazione … però, allo stesso tempo, lo invitano e lo lodano perché quest’Orco riempie sempre gli spazi adulterando la dottrina della Chiesa e la sua storia. Così i prelati, per farsi belli, aperti, critici e dialoganti, gli danno sempre ragione in pubblico. Ma alla resa dei conti, dell’Orco di Bose mi occuperò io, dandogli ciò che merita alla fine: un corvo mangerà l’altro corvo. Mentre ai preti, ai vescovi ed ai cardinali ci ha pensato lo stesso Demonio, che li aspetta a braccia aperte dopo la morte; anche se costoro continuano a ridere e ridicolizzare il Demonio, sicuri che non esista. E siccome non credono, sentono di poter stare tranquilli, nutrendosi solo dell’immediato per l’immediato. E questi pastori hanno una terribile responsabilità, perché come diceva San Giovanni Bosco: “Un prete o in Paradiso o all’Inferno non va mai solo: vanno sempre con lui un gran numero di anime, o salvate col suo santo ministero o col suo buon esempio, o perdute con la sua negligenza nell’adempimento dei propri doveri e col suo cattivo esempio” ».
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Pertanto io, Ipazia gatta Romana, senza indugiare in alcun tipo di congedo finale, me ne sono andata da quel posto come vi ero arrivata, sicura che mai più sarei tornata in quel luogo, rammentando a tal proposito la frase del Francese misogino Jean Paul Sarte: «L’inferno sono gli altri». Certamente, un individuo come il vecchio Enzo Bianchi ti fa vivere l’Inferno in questa vita. Pertanto mi domando: com’è possibile che tutt’oggi alcuni non credano che esistono i Demoni e l’inferno, se l’eretico di Bose è la prova vivente, dei dèmoni e dell’Inferno sulla terra?
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In questi giorni, Enzo Bianchi, sta partecipando al Sinodo dei Giovani, per indicare ad essi la via, la verità e la vita.
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E che Dio abbia pietà di noi!
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.dall’Isola di Patmos 19 ottobre 2018
L’ARCIVESCOVO DI PALERMO PERSEGUITATO DALLE IENE? VOLEVA LA BICICLETTA, ADESSO DEVE PEDALARE
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[…] ho provato però una certa tristezza nel vedere nel filmato l’Arcivescovo di Palermo fuggire via di corsa più volte, perché in quel momento mi sono tornati alla mente diversi santi vescovi, alcuni dei quali martiri della fede, che con una dignità mirabile, si sono fatti trovare seduti sulla loro cattedra episcopale, direttamente sulla quale furono sgozzati dai musulmani
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Le Iene dell’omonimo programma televisivo vanno sempre prese con le pinze. Pertanto, sulla vicenda circa il presunto mal trattamento dei dipendenti di una fondazione dell’Arcidiocesi di Palermo, non possiamo esprimere giudizi che spettano alla magistratura, nello specifico al giudice del lavoro. Se le Iene sollevano un caso, ciò non autorizza nessuno a emetter giudizi di sentenza. Sappiamo che certe questioni sono di prassi sempre complesse.
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Può essere però che S.E. Mons. Corrado Lorefice,Arcivescovo Metropolita di Palermo e Primate di Sicilia, si stia accingendo a prendere una salutare lezione di vita che lo renderà sicuramente un pastore in cura d’anime molto migliore, giungendo forse alla sua vecchiaia come un vero e proprio santo vescovo. E la lezione è la seguente: fare il Vescovo nel 2018 è difficilissimo. Parlando poi come coetaneo dell’Arcivescovo panormitano, dal quale mi differenziano appena dieci mesi d’età, posso dire che se a me, presbìtero senza alcuna pregressa esperienza di ministero episcopale, a cinquantadue anni avessero prospettata la nomina ad Arcivescovo Metropolita di Palermo, mi sarei rifiutato in modo categorico di accettare, perché conosco anzitutto i miei limiti e perché non occorre particolare scienza per capire che stiamo parlando di una tra le più grandi e soprattutto problematiche sedi episcopali d’Italia; e Palermo, una così detta sede problematica, lo è storicamente, da sempre. Sicuramente mi sarei anche premurato di dare all’Autorità Ecclesiastica un consiglio non richiesto: inviare a Palermo un vescovo che avesse già acquisita e maturata una certa esperienza di sacro ministero episcopale, dando buona prova di sé nel governo pastorale. Come però ripeto, io ho il senso dei miei limiti e soprattutto il senso delle proporzioni.
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Chi avesse accettato senza far simili valutazioni, oggi dovrebbe applicare il saggio detto popolare: «Hai voluto la bicicletta? Adesso pedala!». Oppure chiarire che la nomina alla complessa e delicata sede arcivescovile di Palermo non gli è stata offerta, ma imposta per obbedienza. Cosa più impossibile che rara, perché se uno risponde che non se la sente o che non si reputa all’altezza del gravoso compito, nessuna Autorità Ecclesiastica imporrà mai l’obbedienza.
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S.E. Mons. Corrado Lorefice è autore di diversi libri nei quali si parla dei poveri e si anela una Chiesa povera per i poveri. Cosa questa che mi induce ad una grande fiducia nei suoi confronti e soprattutto a stimolare i lavoratori che pare abbiano aperto un contenzioso con la diocesi, ad avere profonda fiducia nel loro Arcivescovo, che per sensibilità e per formazione è molto sensibile ai poveri ed alla povertà, come provano i suoi libri; e questa profonda sensibilità gli impedirà sicuramente, in coscienza pastorale, di lasciar finire in stato di disagio e povertà dei lavoratori con le loro rispettive famiglie.
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Ripeto: nessuno può entrare nel merito di una questione che dovrà essere valutata e giudicata nelle appropriate sedi, non certo dalle Iene, che hanno anzitutto mancato gravemente di rispetto e di educazione andando a cercare l’Arcivescovo nella sua chiesa cattedrale durante un pubblico incontro, o peggio disturbandolo durante una processione religiosa. Ciò che solo posso dire è di avere provato una certa tristezza nel vedere nel filmato l’Arcivescovo di Palermo fuggire via di corsa più volte, perché in quel momento mi sono tornati alla mente diversi santi vescovi, alcuni dei quali martiri della fede, che con una dignità mirabile si sono fatti trovare seduti sulla loro cattedra episcopale, direttamente sulla quale furono sgozzati da quei musulmani appartenenti a quella religione di pace e amore di cui tempo fa narrava l’Augusto Pontefice, quantunque delicatamente e prontamente smentito dall’islamologo gesuita Samir Khalil Samir [cf. QUI]. Tra i diversi vescovi martiri ricordiamo la bella figura dell’Arcivescovo di Otranto, martirizzato dai musulmani nel 1451 [cf. QUI], del quale la cronaca narra:
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«l’arcivescovo Stefano, dopo che per tutto il giorno precedente aveva rincuorato la popolazione col Sacramento dell’Eucaristia, salì dalla cripta della cattedrale nel coro e lì, martire della fede in Cristo ed insignito dai paramenti sacerdotali, fu sgozzato sulla sua cattedra episcopale dai turchi, quando vi fecero irruzione» [cf. Antonio de Ferrari, in De situ Japigiae].
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Ciò equivale a dire: una volta avuta la bicicletta, hanno pedalato fino al Paradiso molto meglio di come avrebbero fatto due ciclisti professionisti come Gino Bartali e Fausto Coppi. Ma come sappiamo, erano altri tempi. All’epoca, sulla bicicletta, ci venivano messi solo gli agonisti professionisti.
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«Signore, non si inorgoglisce il mio cuore
e non si leva con superbia il mio sguardo;
non vado in cerca di cose grandi,
superiori alle mie forze» [Salmo 131].
e non si leva con superbia il mio sguardo;
non vado in cerca di cose grandi,
superiori alle mie forze» [Salmo 131].
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dall’Isola di Patmos, 20 ottobre 2018
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