Il 3 aprile del 1969, Papa Paolo VI, con la Costituzione apostolica Missale Romanum, riformava il rito tridentino della Santa Messa, rimovendo il latino con l’imporre le lingue nazionali, cancellando rubriche e inserendo novità rituali.
L’intera operazione, diretta da Mons. Annibale Bugnini – in lezzo di massoneria (23/4/1963, matr. 1365/75, BUAN – cfr. OP 12 sett. 1978) e con la illegittima ed inquinante partecipazione di sei ‘esperti’ protestanti – ha deformato l’identità della Messa riducendola a ‘sinassi’ del popolo di Dio, cioè come assemblea del popolo, smentendone il vero e unico significato di sacrificio, e facendo dell’assemblea stessa il referente privilegiato al punto che molti sacerdoti rinunciano alla celebrazione del sacro rito quando si verifica l’assenza di pubblico.
Prima di passare in rassegna le voci in tema, è necessario definire il concetto e la dinamica del termine ‘liturgìa’ onde evitare fraintendimenti ed inesattezze.
‘Leiturghìa’, dal greco ‘leiton’ – luogo di affari pubblici – (derivato a sua volta da ‘laos’ – popolo) – e ‘ergon’ – opera - che nell’edizione biblica dei LXX assume il significato di ‘servizio al tempio’. È il complesso tradizionale delle norme che scandiscono i momenti, le formule, i gesti, i simboli, i paramenti di un rito religioso officiato da un celebrante legittimato che riveste dignità di sacerdote, intermediario tra Dio e l’uomo e stabilisce, in termini inequivocabili, ciò che spetta di competenza all’officiante e ciò che pertiene alla comunità dei fedeli.
Il documento che analizza in profondità ed altezza la riforma liturgica conciliare è, senz’altro, il “Breve esame critico del Novus Ordo Missae” presentato, al Pontefice Paolo VI, dai Cardinali Ottaviani e Bacci il giorno della festività di Corpus Domini 1969. Stimando tale documento di stretta competenza specialistica, noi ne abbiamo illustrati, per quella platea di lettori di ordinaria cultura, alcuni di maggior immediata comprensione il primo dei quali, come dicemmo, riguarda il rito della Consacrazione.
Rammentiamo ai fedeli lettori del nostro sito che un altro luogo comune, riferito al Padre Nostro, è stato pubblicato alcuni giorni or sono col titolo: “ Il Padre Nostro in versione sacrilega”.
CONSACRAZIONE: il momento trascendente e centrale del rito in cui si compie il mistero della ‘Transustanziazione’ per la quale il pane e il vino, pur mantenendo apparenza di specie, diventano vero Corpo e vero Sangue di Cristo. Perché si realizzi tale mistero, il sacerdote celebrante pronuncia la formula che, rispettivamente al pane e al vino, dice: “Prendete e mangiate, questo è il mio Corpo, offerto per voi in sacrificio/Questo è il calice del mio Sangue sparso per voi e per tutti in remissione dei peccati. Fate questo in memoria di Me”.
Sùbito dopo, il celebrante intona “Mistero della fede” a cui i fedeli rispondono “Annunciamo la tua morte Signore, proclamiamo la tua resurrezione, in attesa della tua venuta”.
Figurano, in questo tratto del rito, tre deprecabili luoghi, e cioè: uno stravolgimento della Parola di Cristo, un abuso e un’eresìa. Vediamoli:
a – Il testo originale greco non dice ‘per tutti’, ma ‘per molti’ – perì pollòn (Mt. 26, 28) prevedendo, Cristo, che di questo Sacramento non tutti gli uomini avrebbero, per propria volontà, tratto profitto. Ma la ‘nuova teologìa’, sorta dal Concilio Vaticano II e confermata dai Papi – Giovanni XXIII, Paolo VI, Giovanni Paolo II, Benedetto XVI, Francesco I – stabilisce che tutti gli uomini sono stati giustificati, e salvati gratuitamente senza pagar dazio, dalla morte di Gesù, compresi i seguaci delle altre false religioni che Giovanni Paolo II afferma essere incluse nel mistero dell’Incarnazione di Cristo quando scrive: “Il Verbo Incarnato è dunque il compimento dell’anelito presente in tutte le religioni dell’umanità” (Lettera Apostolica Tertio millennio adveniente – 10 nov. 1994, n. 6).
Sfacciatamente, pertanto, si corregge il Verbo di Dio – Via, Verità, Vita - il quale aveva affermato: “Cielo e terra passeranno, ma le mie parole non passeranno” (Mt. 24, 35).
Ma Colui che è PAROLA di DIO – Verbum Dei - non aveva fatto i conti con gli aggiornati correttori di bozze conciliari che, sapendone più di Lui, vi hanno tirato un frego evaporando quella verità divina per sostituirla con una accezione di esclusivo dominio antropologico. Una menzogna, un tradimento, un sacrilegio.
b – La liturgìa – come sopra s’è scritto - è scienza che regola parole, tempi, gesti, paramenti del rito in rapporto alla divinità, e stabilisce precise e nette norme che descrivono il ruolo del celebrante e della comunità dei fedeli che assistono al mistero. Fra le varie competenze ascritte al celebrante v’è – in forza del sacerdozio ministeriale sancito dal sacramento dell’Ordine – quella, sola, esclusiva ed inalienabile di pronunciare le formule della Consacrazione. Ma, sull’onda della predetta ‘nuova teologìa’ che fa del fedele un ‘partecipante’ e non, invece, un adorante che assiste, non sono pochi coloro che accompagnano il celebrante pronunciando, sotto voce ma udibili, le parole della ‘epiclesi’, della preghiera, o invocazione, con cui si chiede allo Spirito di Dio di trasformare il pane e il vino nel Corpo e nel Sangue d Cristo. Un abuso vero e proprio consumato con sottostante atteggiamento di superba presunzione di rivestire il ruolo attivo del legittimo celebrante.
Obbligo del fedele è, invece, osservare un raccolto silenzio – esteriore/interiore – nell’adorazione del Cristo presente nelle specie eucaristiche, col divieto di sconfinare in aree a lui interdette poiché è più che palese l’inefficacia delle parole abusivamente pronunciate.
Come recita il detto, “Unicuique suum” – a ciascuno il proprio còmpito.
c – Dopo lo stravolgimento della Parola di Dio e un abuso liturgico, ecco una vera e palese eresìa annidata nella formula recitata sùbito dopo l’avvenuta Transustanziazione del pane e del vino nel Corpo e nel Sangue di Cristo. Il sacerdote annuncia: “Mistero della fede” a cui segue la risposta dei fedeli che così suona. “Annunciamo la tua morte Signore, proclamiamo la tua resurrezione in attesa della tua venuta”.
Nella parte della formula, riportata in neretto, viene posto il dubbio sulla reale presenza di Cristo nelle Sacre Specie non tenendo conto che Cristo è, da qualche attimo prima, venuto trai suoi. A che mira, infatti, simile aggiunta se non a dubitare della vera e reale presenza di Cristo di cui, pur essendo più che presente, si attende tuttavìa la ‘venuta’?.
Strisciante eppur concreta v’è sottesa la dottrina protestante che riduce il dogma cattolico di Gesù Eucaristico in presenza simbolica così come chiaramente annotarono i cardinali Ottaviani e Bacci nel ‘Breve esame critico del Novus Ordo Missae’ (Corpus Domini 1969): “L’acclamazione , poi, assegnata al popolo subito dopo la Consacrazione: ‘Mortem tuam annuntiamus, Domine, etc. . .donec venias’, introduce, travestita da escatologismo, l’ennesima ambiguità sulla Presenza Reale. Si proclama, senza soluzione di continuità,l’attesa della venuta seconda del Cristo alla fine dei tempi proprio nel momento in cui Egli è sostanzialmente presente sull’altare, quasi che quella, e non questa, fosse la vera venuta”.
Eresìa, non c’è dubbio, che si palesa come orientamento dottrinario impresso e concordato proprio con i sei miscredenti ‘periti’ luterani e anglicani nominati da Paolo VI quali membri della commissione deputata a ‘riformare’ (?) la Santa Messa di San Pio V.
Che cosa avessero a che fare degli scismatici con la liturgìa cattolica non è chiaro, chiaro, però, essendo il proposito dello stesso Pontefice, e del massone mons. Annibale Bugnini, di desacralizzarla. Ed
Ecco, allora, introdurre il verme nella mela.
di L. P.
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