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domenica 14 ottobre 2018

Perché c'è il male?

FILOSOFIA DEL BENE E DEL MALE


Se Dio è il Bene, come mai c’è il male? che Dio esiste, è stato dimostrato dai più grandi filosofi, anche prima del cristianesimo: si tratta di uno dei capisaldi del "pensiero", messo però in discussione dalla "cultura moderna" 
di Francesco Lamendola  

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Se Dio c'è, e se è buono, come mai c'è il male? Questa è da sempre la domanda che si fanno gli uomini, colti e incolti, e che maggiormente mette alla prova la fede. Parrebbe un paradosso, e molti ne traggono la conclusione o che Dio non c'è, o che non è buono, essendo in tutt'altre faccende affaccendato che non il bene degli uomini. Eppure, se Dio esiste, non può essere che buono, anzi, sommamente buono, perché Dio, per definizione, è il Sommo Bene. E che Dio esiste, è stato dimostrato dai più grandi filosofi, anche prima del cristianesimo: si tratta di uno dei capisaldi del pensiero. Certo, la cultura moderna ha rimesso in discussione anche le basi del pensiero; è logico che abbia messo in discussione anche Dio. Noi non staremo qui a ripetere le cinque prove di San Tommaso, né gli argomenti svolti a dimostrazione della sua esistenza da Platone, ad esempio nel Fedone; e neppure parleremo di Aristotele, del Motore Immobile e della Causa Prima. A che scopo voler convincere chi è ben deciso a non lasciarsi convincere, a nessun costo? All'esistenza di Dio si arriva con la fede, ma ci si può arrivare anche con il ragionamento, purché si sia disposti ad andare dritti al nocciolo del problema, e si lascino da parte sofismi e cavilli. Una mela è una mela, diceva san Tommaso ai suoi studenti; e se qualcuno non è d'accordo, può uscire. Le cose esistono, dunque c'è una causa che le ha fatte esistere; e risalendo a ritroso la catena delle cause, si arriva necessariamente a una Causa Prima, a qualcosa che fa esistere le altre, ma non esiste grazie ad esse; qualcosa che è la causa di tutto, senza essere causato da niente. Questo qualcosa è l'Essere, ossia ciò che ha in se stesso le ragioni del proprio esistere, mentre tutti gli enti hanno le ragioni del proprio esistere in altro da sé. 

La statua esiste perché lo scultore l'ha scolpita; il bambino esiste perché i suoi genitori lo hanno concepito e fatto nascere; la Terra esiste perché un grumo di materia del Sistema Solare si è condensato e raffreddato; e così via. Gli enti partecipano dell'essere, ma non lo possiedono in se stesso: il loro è un essere derivato, un essere riflesso, di secondo o terzo o quarto grado. Ma è evidente che, se esistono gli enti che hanno l'essere derivato, deve pur esistere l'essere che non è derivato, e possiede l'essere non per accidente, né per partecipazione, ma per essenza. Tale essere ultimo, assoluto, definitivo, è l'Essere; ciò che i credenti chiamano Dio. I cristiani, poi, a quel Dio, che di per se stesso sarebbe inconoscibile, danno un volto e un nome preciso, perché nel cristianesimo, dopo essere stato annunciato dai profeti, Dio si è fatto uomo, è venuto nel mondo, ha vissuto la vita degli uomini, in mezzo agli uomini, e ha affrontato anche la morte degli uomini, la più dolorosa e umiliante, non una morte signorile e aristocratica, come quella di Socrate, ma una morte plebea, spruzzata di sangue: la morte di croce, quella riservata agli schiavi ribelli. Naturalmente, per i cristiani Gesù non è solamente morto, è anche risorto ed è tornato presso il Padre, lasciando però nel mondo aleggiare il suo Spirito, a sostegno e conforto dei credenti. E questo è il secondo Mistero del cristianesimo, dopo quello dell'Incarnazione: il Mistero della Santissima Trinità: come Dio, pur essendo unico, si manifesti in tre Persone, il Padre, il Figlio e lo Spirito Santo. Infine i cattolici, a differenza dei protestanti, riconoscono due fonti della divina Rivelazione, non solo la Scrittura, ma anche la Tradizione; una sola maniera di leggere e interpretare la Rivelazione stessa, quella del sacro Magistero, che non può contraddirsi o smentirsi mai; due strade, entrambe necessarie, per la salvezza dell'anima, la fede e le opere buone; dei potenti intercessori a favore degli uomini presso Dio: gli Angeli, i Santi e soprattutto la Vergine Maria, la Madre di Gesù Cristo e perciò anche Madre di Dio; e dispongono del dono prezioso, inestimabile, del libero arbitrio, con il quale riconoscere e fare il bene, ed evitare il male, sempre con l'aiuto indispensabile della Grazia divina (mentre Lutero, non scordiamocelo mai, nega addirittura il libero arbitrio). Questo crede un cristiano cattolico, e non altro. Crede nel Giudizio finale e nella vita eterna, che sarà eternamene beata o eternamente infelice; e cerca di organizzare e indirizzare la propria vita terrena in ordine alla vita eterna. 

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Perché c'è il male?

E dunque, torniamo alla domanda: perché c'è il male? Proviamo a scomporre il problema nei suoi aspetti costitutivi. La realtà, qualunque realtà, può essere considerata sotto quattro differenti punti di vista: metafisico, intellettuale, morale e fisico. Il primo è il più ampio e il più profondo: riguarda l'essere in quanto essere. Ora, nel caso del male, si vede subito che una tale "realtà" è impossibile: Se Dio è l'Essere, ed è anche il Bene, il Bene Assoluto, allora ne consegue che l'essere è bene, il non essere è male; ma il non essere assoluto è una contraddizione in termini, perché solo l'essere, che è una realtà positiva, può esistere, non già il non essere, che è una realtà negativa. Conclusione: non esiste un male metafisico, un Male con la "m" maiuscola; anche se talvolta lo si scrive così, per indicare il suo carattere personale, cioè il Diavolo, e inoltre la sua assolutezza rispetto al male ordinario, ma una assolutezza pur sempre relativa, perché Dio e il Diavolo non appartengono alla stessa radice ontologica: Dio è necessario, ma il Diavolo avrebbe anche potuto non esistere, la sua esistenza non era necessaria, e infatti è scaturita da un atto disordinato della volontà di una creatura, cioè di un ente.L'universo non potrebbe esistere senza Dio, ma potrebbe esistere anche senza il Diavolo: c'è stato un tempo in cui il Diavolo non esisteva (non esisteva come tale), e ci sarà un tempo in cui esisterà ancora, ma senza poter più far sentire la sua esistenza fuori del ristretto ambito assegnatogli. Vediamo ora gli altri tre tipi di male.
Il male intellettuale è l'errore. Gli uomini sono creature razionali, sono enti finiti dotati sia di coscienza, sia di ragione, sia di volontà: pertanto possono fare tanto il bene che il male. Se scambiano la verità con l'errore, ciò introduce nel mondo, creato da Dio secondo un piano ordinato, un elemento di disordine intellettuale, il quale, a sua volta, è causa di altre forme di disordine, cioè di male.Il male, infatti, non avendo una propria consistenza metafisica, si può descrivere come uno stato disordinato dell'essere. In questo caso, il vero viene sostituito da ciò che non è vero, dal falso, o, se si stratta di una falsificazione intenzionale, dalla menzogna: il che equivale a un disordine dell'intelligenza, con tutto quel che ne consegue. Se io, per esempio, giudico che l'appartamento in cui mi trovo sia al piano terra, posso anche aprire la finestra e gettarmi fuori ad occhi chiusi: mal che vada, rimedierò qualche graffio sulle spine di un rosaio, o un bagno imprevisto nell'acqua di una piscina (improbabile, però, che la piscina sia immediatamente sotto il cornicione). Se, però, il mio giudizio si è gravemente sbagliato, e l'appartamento in cui mi trovo non è al piano terra, ma è situato al quarantesimo piano, le conseguenze di un salto nel vuoto saranno tragiche e irrimediabili. Se, poi, io ho affermato, mentendo intenzionalmente, che la finestra si apre sul livello del terreno, per indurre qualcuno ad aprirla e a fare la prova ad occhi chiusi, fidandosi della mia parola, la mia non è ignoranza, ma menzogna, e una menzogna finalizzata all'assassinio di qualcun altro. Non si deve credere, perciò (anche se il nostro esempio può essere stato puerile) che la verità o l'errore siano un fatto che, essendo puramente intellettuale, riguarda solo poche persone e non va oltre la sfera della speculazione astratta; al contrario, gli effetti dell'errore possono essere immediati ed estremamente concreti nella loro drammaticità. Se vado a raccogliere funghi nel bosco e scambio i funghi velenosi per degli ottimi porcini, e poi, tornato a caso, li cucino e ne faccio una bella mangiata, si capisce facilmente che vi sono errori dai quali non si può tornare indietro. 

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Una mela è una mela, diceva san Tommaso ai suoi studenti; e se qualcuno non è d'accordo, può uscire. Le cose esistono, dunque c'è una causa che le ha fatte esistere; e risalendo a ritroso la catena delle cause, si arriva necessariamente a una Causa Prima, a qualcosa che fa esistere le altre, ma non esiste grazie ad esse; qualcosa che è la causa di tutto, senza essere causato da niente. Questo qualcosa è l'Essere, ossia ciò che ha in se stesso le ragioni del proprio esistere, mentre tutti gli enti hanno le ragioni del proprio esistere in altro da sé.

La terza forma di male è il male morale, ed è questo che noi chiamiamo, propriamente, sofferenza. Il male morale consiste nel rifiuto consapevole del bene, così come l'errore consiste nel rifiuto, più o meno consapevole, della verità. Se il rifiuto del bene non è consapevole - se, per esempio, è commesso per ignoranza, o per uno stato alterato della coscienza - allora esso genera ugualmente sofferenza, ma non si configura come male morale, perché il male morale è sempre una scelta, cioè un atto della volontà, una preferenza accordata al male, pur conosciuto come tale, anziché al bene. Naturalmente, bisogna andarci piano col ridurre a ignoranza gran parte delle manifestazioni del male morale: è troppo facile attribuire ad ignoranza ciò che nasce da una forma di ignoranza consapevole, mentre la vera ignoranza è sempre inconsapevole. Se mi ubriaco e mi metto al volante, e poi investo e uccido una persona, sono innocente quanto alla volontà di uccidere qualcuno, ma sono colpevole quanto alla piena consapevolezza che, mettendomi a guidare in quello stato, avrei potuto uccidere qualcuno. La mia colpa rimane, non è resa meno grave dal fatto che non avevo la precisa intenzione di uccidere, perché mi sono messo da me stesso, consapevolmente, nelle condizioni di poter uccidere qualcuno: e ciò significa una cosa sola, che della vita altrui me ne importava poco. Oppure parliamo dell'aborto. Senza voler generalizzare, sta di fatto che qualunque donna sa che cosa sia l'aborto, sa che equivale a eliminare una vita nascente nel suo grembo: perciò, se decide di farlo, così, soltanto perché non desidera quella gravidanza, non potrà mai invocare, in un secondo momento, la propria ignoranza, per quanto difficile potesse essere la sua condizione personale. Del resto, tutti sanno che, così come esistono strutture che aiutano ad abortire, esistono strutture che aiutano a far nascere il bambino e poi, se la madre non se la sente di allevarlo, si occupano di trovargli una sistemazione: perciò non si può dire che l'aborto, per certe future madri, sia la sola possibilità che rimane loro. C'è sempre un'altra possibilità, quella di far nascere il bambino: certo, può essere più impegnativa e, quindi, meno appetibile rispetto alla pura e semplice eliminazione del problema. Conclusione: il male morale è quello che si compie in piena consapevolezza, ed è la preferenza data al male invece che al bene. Se la scelta non era perfettamente libera, allora la sofferenza che il male produce rimane, ma è addolcita dal fatto che quell'azione non era intrinsecamente maligna. Un chirurgo che commette un grave errore durante un intervento e che provoca la morte del paziente, se si era presentato in sala operatoria nel pieno della sua lucidità e della sua efficienza, e con la ferma intenzione di far nel modo migliore possibile il suo lavoro, soffrirà per quello che è accaduto, e forse dovrà pagarne un prezzo alla società, tuttavia, dal punto di vista morale, non è colpevole: perché la responsabilità morale riguarda colui che fa il male sapendo di farlo e desiderando farlo, e non colui che fa il male per un disgraziato incidente, che può sempre accadere, perché siamo creature imperfette, e quindi fallibili.

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In tempi di ecumenismo disordinato, pare quasi che tutte le religioni siano uguali, o, quantomeno, che siano dotate di un simile grado di verità e autorevolezza. Ebbene, in quale altra religione si trova un concetto analogo: di Dio che, per poter amare sino in fondo le sue creature, cioè sino alla sofferenza e alla morte, si fa creatura Egli stesso, e così, al prezzo del suo Sangue, dischiude loro nuovamente le porte del Cielo? 

Se Dio è il Bene, come mai c’è il male?

di Francesco Lamendola

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