ACTA APOSTATICAE SEDIS : come, cambiando un po' qua e un po' la, si può cambiare tutto...

martedì 20 novembre 2018

Ignoranza, ingenuità o convinzione



Così, con lo stomaco in disordine, mentre tornavo a casa ho parlato con qualche vecchio amico. Dopo i convenevoli e le meste osservazioni sulla scadente solennità della messa solenne, arrivano i dolori di pancia. 
Esatto. L’amico racconta che il suo parroco (diocesi di Bergamo), per preparare i bambini alla prima Comunione, ha invitato tutti i genitori a una catechesi. Chi ha figli in età scolare sarà di certo a conoscenza di questa pratica becera di sottoporre i genitori – persone che, ai suoi tempi, la Chiesa aveva già ben avviato all’ateismo – a moderne tirate serali in preparazione ai sacramenti dei figli. Come se dovessero prepararsi i genitori e se ricatechizzare il genitore avesse un qualche legame con la preparazione del figlio, o meglio, certamente ha un legame, ma, qualunque esso sia, non sarà variabile in seguito a un paio di paraconferenze express extrasoporifere del sacerdote di turno. Voglio dire: se in tanti anni di catechesi hai allontanato il ragazzo di ieri dalla fede, non lo ripescherai genitore, oggi, per giunta con lo stesso linguaggio artatamente giovane, dato che era nuovo, forse, nel ‘72. Ma forse il parroco vuole esser sicuro che atei ci restino, i genitori. Ad ogni modo qualcosa di nuovo, nella catechesi-conferenza c’è, eccome. Il prete vuol mostrare che conosce il greco, quindi spiega il termine “Eucaristia”, soffermandosi sul prefisso “eu-“, particella riservata alle cose buone. Tutto bene fin qui, solo che il prelato vuol mostrarsi aggiornato non solo con la pastorale, ma addirittura con gli esempi, quindi ecco che questo “eu-” indica cose buone: “come eugenetica o eutanasia”. Questo, testualmente, mi hanno riferito i genitori sbalorditi, chiedendosi se fosse ignoranza, ingenuità o convinzione. La cosa triste è che probabilmente è proprio la terza.
Cosa rimane, dunque, a noi poveri cattolici auditores – stavo scrivendo povere bestie – guardando questa povera Chiesa del terzo millennio, certamente alla luce dei fatti eclatanti emersi di recente, ma soprattutto alle piccole miserie delle nostre parrocchie, se non il disgusto? Non sto parlando dei fedeli, che siano consapevoli o meno, che siano santi o ingenui animati da false certezze. Non parlo delle deficienze della dottrina o della carità del popolo. Cosa rimane della fede? Ancora, non della fede dei fedeli, per loro non è difficile, non ci pensano mai. Ma cosa rimane della fede dei sacerdoti? Esistono santi sacerdoti, mi vado ripetendo da anni. Esisteranno. Io non ne conosco. Io conosco l’omiletica show piuttosto che sciatta. Io conosco preti preoccupati dell’impianto di refrigerazione della chiesa, nemmeno fossimo in Alabama. Gran giocatori di videogames e nessuno appassionato di salterio, tanti mangiatori di pizza fuori e nessun digiunatore, ma queste son cose che faranno nel segreto della loro stanza. Conosco preti ansiosi di avere ministri straordinari per l’Eucaristia in modo da non tirarla per le lunghe. Preti che visitano i malati, ma poi non li confessano perché “tanto, che peccati hanno?”. Conosco teologie da opuscoletto da sacrestia, conferenze come quelle di cui sopra, che vorrebbero essere catechesi, ma finiscono per essere sviluppatori di miscredenza acquisita causa vicinanza prolungata col prete della parrocchia.
E tutto ciò ignorando volutamente tutta la losca faccenda dell’omosessualità radicata nella Chiesa. Lasciando volutamente perdere questo deplorevole problema, con il quale – a parte un patetico tentativo – non ho avuto nulla a che vedere durante la ventennale permanenza in oratorio, devo ora ammettere con me stesso, a ragion veduta e col senno di poi, che ogni sacerdote che ho conosciuto aveva qualche problema di natura psicologica, affettivo o relazionale, oppure non credeva in questo o quel particolare dogma. Per cui mi chiedo che razza di selezione venga fatta nei seminari. Ci mandano allo sbaraglio una serie di sacerdoti tutti sostanzialmente uguali nel parlare – e nel vestire casual – tutti usciti dal corso di teologia con una forma mentis più che altro gestionale, quattro formule che sembrano ripetere più a pappagallo che per convinzione e mai, dico mai, nessuno che si sia fatto il punto d’onore di mettere Dio, con i suoi diritti, al primo posto. Tutti accolgono i gli immigrati, ma nessuno in canonica. Tutti aiutano i poveri, ma nessuno vende la macchina o lo smartphone per nutrirli o istruirli, i poveri. Tutti “la pastorale”, ma nessuno passa casa per casa a consolare gli afflitti, o portare soldi. Sempre chiedere e chiacchiere. Come fare percorsi per accogliere e curare le ferite. Non hanno buttato solo il bastone, poveretti, ma con il discorso sui percorsi, pure la carota. Ci rimangono loro, e il disgusto. Tutto ruota intorno a loro, i quali sono sempre impegnatissimi in qualsiasi attività, purché non sia santificarsi. Se aveste un problema esistenziale grave in famiglia, un divorzio, una malattia o un suicidio, potreste mai aspettarvi risposte? Dato che per i sacerdoti del terzo millennio, quelli che citano Sartre e Camus, non esistono risposte preconfezionate, potete al massimo aspettarvi quattro frasette da biscotti cinesi.
Affidarsi a un clero del genere è come affidarsi alle poste senza aver l’accortezza di mettere abbastanza costosi francobolli, annaspare intere settimane nell’attesa di risposte che non verranno. Se siete fortunati, tornano indietro le domande. Ecco, più che risposte fanno domande: come accogliere? Come accompagnare? Ecc. Forse con “chiesa in uscita” intendono annunciare che ormai … è andata. Una volta che, a furia di sinodalità e pastoralità, ne avranno fatto un’istituzione meramente e totalmente umana, visto che, come disse Hilaire Belloc, essa è «condotta con una tale disonesta imbecillità», avrà i giorni contati. Giusto una quindicina.
– di Matteo Donadoni

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