Appunti per una "resilienza" cattolica
Questi ultimi tempi hanno visto una preoccupante accelerazione dei “commissariamenti” da parte della Santa Sede, dopo l’ormai “storico” (e assolutamente inusuale per la durata) delle Suore e dei Frati Francescani dell’Immacolata, quello delle francesi Petites Sœurs de Marie Mère du Rédempteur (che ha avuto come conseguenza la richiesta della dispensa dai voti da parte della quasi totalità delle suore) e il recentissimo commissariamento della Fraternità Sacerdotale Familia Christi [senza dimenticare la Fraternità dei santi Apostoli in Belgio. Ndr]. A essere colpite sono realtà, piccole e grandi, fiorenti di vocazioni religiose e accomunate da un cammino di avvicinamento alla tradizione liturgica reso più esplicito dall’adesione al Motu Proprio “Summorum Pontificum”.
Non quindi storie di “rottura” postconciliare in nome della Tradizione e poi di riavvicinamento, ma realtà che segnavano inesorabilmente il desiderio del Popolo di Dio di riappropriarsi delle fonti della Grazia e della vita cristiana che per duemila anni hanno riempito il calendario di santi e il mondo di civiltà e poi, in pochi anni, sono state sigillate dalle “esigenze di rinnovamento”. Sembra proprio questo il punctum dolens che il modernismo, saldamente (per ora) al potere in Vaticano, vuole colpire: rimuovere, rendere inaccessibili le vie di Salvezza che il Signore ha seminato in quella “notte di tempesta” (parole di Paolo VI) quale presto è diventata la “primavera del Concilio”. Mostrare che alla minestra insipida e bruciaticcia del dopoconcilio non c’è alternativa, e se il popolo se ne ritrae sempre più nauseato (e le nuove generazioni neanche vi si accostano), tanto meglio.
Chi scrive non ha le competenze né il desiderio di addentrarsi nei retroscena delle guerricciole della “junta” vaticana, regime che ricorda sempre più un vecchio film di Woody Allen, quello del fantomatico “Stato Libero di Bananas”. Preferiamo accostarci (la Comunione dei Santi lo permette, anzi, lo raccomanda) ai pensieri santi e disposti all’estremo sacrificio dei nobilissimi popolani “papisti” irlandesi inginocchiati davanti al Divin Sacrificio celebrato clandestinamente, sotto la neve, che compaiono in questa celebre immagine, e capire cosa possiamo trarre di ammaestramento per questi nostri “Penal Days”, perseguitati come siamo da quei protestanti che, per assurdo, sono oggi sedicenti “papisti”.
Mettiamoci dunque in ginocchio davanti al Sacratissimo Cuore di Gesù presente nel Santissimo Sacramento dell’Altare e alla Sua Immacolata Madre e proviamo a scrivere qualche “appunto” personale e perfettibilissimo per una resistenza.
-Pregare. Chi lo ritiene scontato è già sulla cattiva strada della contesa “politica”, sta già accettando lo scontro sul terreno e coi metodi dei modernisti. Cioè del demonio. Già. Ma vediamo di capirci. I Santi, quelli la cui esistenza esprime già il successo storico ed escatologico del Vangelo, il trionfo di Cristo sul tempo e sulla storia, i Santi, dunque, avevano la docilità di seguire il cammino loro proposto anche nella preghiera. Il cammino insegnato dalle mamme e dalle nonne. Rarissimamente, dopo vite passate a macerarsi nell’Imitazione della Croce, potevano distillare dalla loro anima nuove preghiere, come Ermanno il Contratto, autore del Salve Regina. Gli agenti segreti del Regno nelle regioni del principe di questo mondo hanno un codice segreto, fatto di S. Messa Quotidiana (se possibile nella forma “tridentina”, se no infarcendola di “secreta” personali, giaculatorie etc. nelle parti “rovinate” dal “novus ordo”), adorazioni personali e comunitarie al SS. Sacramento, Rosari, Ufficio Divino (preferibilmente in latino, il dialetto di Mamma Chiesa, la via breve per la meditazione…) tutto ciò insomma che il Padreterno e Maria Vergine ci hanno detto e fatto capire in un milione di modi di gradire sommamente. Senza dimenticare di affidare frequentemente noi stessi, le nostre attività e i nostri cari, nonché le persone pericolanti a San Giuseppe e ai rispettivi Angeli Custodi. Non dimenticherei, vista la crescente presenza di fratelli cattolici dall’Est e dal Medio Oriente, di favorire e partecipare a celebrazioni proprie della loro tradizione liturgica. Dimostrare insomma coi fatti e coi gesti, ai sacerdoti, ai vicini e ai lontani quanto teniamo alla Grazia di Dio e ai mezzi per ottenerla, alla carità fra di noi e verso tutti, carità che parte dalla preghiera e si estende ad ogni aspetto della vita.
-Evitare nel momento presente ogni associazione od organizzazione riconosciuta da organismi ecclesiastici. Rispettare sacerdoti e pastori e le loro disposizioni quando non in palese contrasto con la Fede (astenersi ad esempio da iniziative o riti ecumenici, peggio, interreligiosi). Gli inevitabili sacrifici che questo comporterà saranno ripagati dalla serenità di non dover subire i rivolgimenti e le censure al cambiar di parroco e di vescovo. Abbiamo a che fare con una Madre Chiesa che, pur essendo irrevocabilmente assistita dal Fondatore, manifesta nei suoi rappresentanti umani preoccupanti segni di squilibrio. Non conviene dunque esporci troppo né affidare nelle sue mani tesori preziosi. Ogni cosa troverà il suo tempo.
-Carità. Venirsi incontro fra tutti coloro che avvertono l’emergenza presente. Superare antichi dissapori e divergenze quando non legati al fare Verità, che sempre dev’essere il nostro faro. Essere vulcani di iniziative e fiumi di sapiente sollecitudine e sostegno a chi le promuove, senza inutili gelosie. Coordinarsi prudentemente e discretamente, coinvolgendo pastori e responsabili solo lo stretto necessario, così da non ottenere improvvidi dinieghi o esporre coloro che ci sono favorevoli a probabili ritorsioni. Passaparola più che attacchinaggi. Dio farà il resto. Essere però sempre presenti dove il momento lo richiede, specie nelle cause scomode e che i pastori evitano volentieri. Saper parlare con tutti senza vincolarsi a nessuno, specie in campo politico. Carità naturalmente indispensabile è fornire sostegno, ospitalità, risorse a quelle realtà perseguitate che bene farebbero a sciogliersi da riconoscimenti ufficiali mantenendo il minimo livello organizzativo necessario, ma tenendo ben salda la barra del timone della loro vocazione specifica.
In conclusione, stiamo ben certi che resistere non sarà facile né indolore. Ne usciremo come minimo con le ginocchia fradicie e semicongelate come i nostri eroi irlandesi. Ma lo dobbiamo a noi stessi, a nostri figli, ai nostri paesi un tempo cristiani e che solo con la fatica e se necessario col sangue dei martiri potranno tornare ad esserlo. Con la perseveranza salveremo le nostre anime.
Non quindi storie di “rottura” postconciliare in nome della Tradizione e poi di riavvicinamento, ma realtà che segnavano inesorabilmente il desiderio del Popolo di Dio di riappropriarsi delle fonti della Grazia e della vita cristiana che per duemila anni hanno riempito il calendario di santi e il mondo di civiltà e poi, in pochi anni, sono state sigillate dalle “esigenze di rinnovamento”. Sembra proprio questo il punctum dolens che il modernismo, saldamente (per ora) al potere in Vaticano, vuole colpire: rimuovere, rendere inaccessibili le vie di Salvezza che il Signore ha seminato in quella “notte di tempesta” (parole di Paolo VI) quale presto è diventata la “primavera del Concilio”. Mostrare che alla minestra insipida e bruciaticcia del dopoconcilio non c’è alternativa, e se il popolo se ne ritrae sempre più nauseato (e le nuove generazioni neanche vi si accostano), tanto meglio.
Chi scrive non ha le competenze né il desiderio di addentrarsi nei retroscena delle guerricciole della “junta” vaticana, regime che ricorda sempre più un vecchio film di Woody Allen, quello del fantomatico “Stato Libero di Bananas”. Preferiamo accostarci (la Comunione dei Santi lo permette, anzi, lo raccomanda) ai pensieri santi e disposti all’estremo sacrificio dei nobilissimi popolani “papisti” irlandesi inginocchiati davanti al Divin Sacrificio celebrato clandestinamente, sotto la neve, che compaiono in questa celebre immagine, e capire cosa possiamo trarre di ammaestramento per questi nostri “Penal Days”, perseguitati come siamo da quei protestanti che, per assurdo, sono oggi sedicenti “papisti”.
Mettiamoci dunque in ginocchio davanti al Sacratissimo Cuore di Gesù presente nel Santissimo Sacramento dell’Altare e alla Sua Immacolata Madre e proviamo a scrivere qualche “appunto” personale e perfettibilissimo per una resistenza.
-Pregare. Chi lo ritiene scontato è già sulla cattiva strada della contesa “politica”, sta già accettando lo scontro sul terreno e coi metodi dei modernisti. Cioè del demonio. Già. Ma vediamo di capirci. I Santi, quelli la cui esistenza esprime già il successo storico ed escatologico del Vangelo, il trionfo di Cristo sul tempo e sulla storia, i Santi, dunque, avevano la docilità di seguire il cammino loro proposto anche nella preghiera. Il cammino insegnato dalle mamme e dalle nonne. Rarissimamente, dopo vite passate a macerarsi nell’Imitazione della Croce, potevano distillare dalla loro anima nuove preghiere, come Ermanno il Contratto, autore del Salve Regina. Gli agenti segreti del Regno nelle regioni del principe di questo mondo hanno un codice segreto, fatto di S. Messa Quotidiana (se possibile nella forma “tridentina”, se no infarcendola di “secreta” personali, giaculatorie etc. nelle parti “rovinate” dal “novus ordo”), adorazioni personali e comunitarie al SS. Sacramento, Rosari, Ufficio Divino (preferibilmente in latino, il dialetto di Mamma Chiesa, la via breve per la meditazione…) tutto ciò insomma che il Padreterno e Maria Vergine ci hanno detto e fatto capire in un milione di modi di gradire sommamente. Senza dimenticare di affidare frequentemente noi stessi, le nostre attività e i nostri cari, nonché le persone pericolanti a San Giuseppe e ai rispettivi Angeli Custodi. Non dimenticherei, vista la crescente presenza di fratelli cattolici dall’Est e dal Medio Oriente, di favorire e partecipare a celebrazioni proprie della loro tradizione liturgica. Dimostrare insomma coi fatti e coi gesti, ai sacerdoti, ai vicini e ai lontani quanto teniamo alla Grazia di Dio e ai mezzi per ottenerla, alla carità fra di noi e verso tutti, carità che parte dalla preghiera e si estende ad ogni aspetto della vita.
-Evitare nel momento presente ogni associazione od organizzazione riconosciuta da organismi ecclesiastici. Rispettare sacerdoti e pastori e le loro disposizioni quando non in palese contrasto con la Fede (astenersi ad esempio da iniziative o riti ecumenici, peggio, interreligiosi). Gli inevitabili sacrifici che questo comporterà saranno ripagati dalla serenità di non dover subire i rivolgimenti e le censure al cambiar di parroco e di vescovo. Abbiamo a che fare con una Madre Chiesa che, pur essendo irrevocabilmente assistita dal Fondatore, manifesta nei suoi rappresentanti umani preoccupanti segni di squilibrio. Non conviene dunque esporci troppo né affidare nelle sue mani tesori preziosi. Ogni cosa troverà il suo tempo.
-Carità. Venirsi incontro fra tutti coloro che avvertono l’emergenza presente. Superare antichi dissapori e divergenze quando non legati al fare Verità, che sempre dev’essere il nostro faro. Essere vulcani di iniziative e fiumi di sapiente sollecitudine e sostegno a chi le promuove, senza inutili gelosie. Coordinarsi prudentemente e discretamente, coinvolgendo pastori e responsabili solo lo stretto necessario, così da non ottenere improvvidi dinieghi o esporre coloro che ci sono favorevoli a probabili ritorsioni. Passaparola più che attacchinaggi. Dio farà il resto. Essere però sempre presenti dove il momento lo richiede, specie nelle cause scomode e che i pastori evitano volentieri. Saper parlare con tutti senza vincolarsi a nessuno, specie in campo politico. Carità naturalmente indispensabile è fornire sostegno, ospitalità, risorse a quelle realtà perseguitate che bene farebbero a sciogliersi da riconoscimenti ufficiali mantenendo il minimo livello organizzativo necessario, ma tenendo ben salda la barra del timone della loro vocazione specifica.
In conclusione, stiamo ben certi che resistere non sarà facile né indolore. Ne usciremo come minimo con le ginocchia fradicie e semicongelate come i nostri eroi irlandesi. Ma lo dobbiamo a noi stessi, a nostri figli, ai nostri paesi un tempo cristiani e che solo con la fatica e se necessario col sangue dei martiri potranno tornare ad esserlo. Con la perseveranza salveremo le nostre anime.
di Marco Crevani
Se n'è andato il filosofo cattolico tedesco, che colpiva sempre per la chiarezza e la profondità delle sue argomentazioni
Con Robert Spaemann se ne va un vero maestro, uno dei pochi ancora in circolazione. Per questo il lutto è ancora più grande.
Pensatore cattolico, allievo di Joachim Ritter, Spaemann considerava la filosofia come un vero e proprio esercizio di “ingenuità istituzionalizzata”. In un mondo complesso, ripeteva spesso, che altro deve fare un filosofo se non dire ad alta voce quello che sta sotto gli occhi di tutti e che nessuno dice? Per questo paragonava il filosofo alla fanciullina della celebre favola di Andersen. Naturale dunque che qualche potente se ne sia risentito.
La sua riflessione ha ruotato sostanzialmente intorno a due ordini di problemi: il primo riguarda la coscienza moderna, la sua grandezza, ma anche i suoi limiti e la sua crisi; il secondo la riproposizione della teleologia e del diritto naturale, quindi del concetto di persona, come criteri alla luce dei quali affrontare i temi più scottanti dell’etica e della politica contemporanee: i problemi ecologici, quelli bioetici, quelli dell’educazione e quelli relativi alla salvaguardia dello stato di diritto in una società sempre più funzionalizzata, solo per citarne alcuni, certamente centrali in molte sue opere.
Il suo confronto con i classici del pensiero moderno e contemporaneo, da Cartesio a Kant, da Rousseau a Marx, da Hobbes agli illuministi scozzesi, fino a Nietzsche, Habermas o Luhmann, ha sempre seguito, più o meno, lo stesso schema: dapprima un confronto critico, volto a penetrare il loro pensiero e il problema che volta a volta stava al centro della loro attenzione, mostrandone l’importanza ma anche le difficoltà e i limiti; successivamente il confronto diventava, diciamo così, costruttivo, e, grazie soprattutto all’aiuto dei classici più antichi, in particolare Platone e Aristotele, ma anche Agostino e Tommaso, si indicava come certe difficoltà potessero essere superate e nel contempo valorizzate. Direi che sia stato questo lo stile inconfondibile di Robert Spaemann.
Che si parlasse di razionalità dell’agire, di razionalità del potere, di Dio, di giustizia, del senso dell’educazione o della necessaria salvaguardia della natura e della natura umana, Spaemann colpiva sempre per la chiarezza e la profondità delle sue argomentazioni, per la capacità di farsi guidare dalla cosa stessa con una libertà e una radicalità di pensiero davvero impressionanti, sorprendenti, addirittura spiazzanti. Uno stile, il suo, che ispirava fiducia, costringeva a pensare, rimanendo negli anni, almeno per me, una fonte d’ispirazione inesauribile, della quale sento già la mancanza.
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