Quando il vescovo Morlino difendeva la bellezza nella liturgia
Chiamato in America «the extraordinary ordinary», l’ordinario straordinario, perché celebrava la Messa nella forma straordinaria, in latino, il vescovo Morlino nel 2011 scrisse un articolo che voglio qui riproporre in alcuni suoi passaggi. Riguarda proprio il tema della liturgia e del rapporto ineliminabile tra bellezza e verità: http://www.madisoncatholicherald.org/bishopscolumns/2596-the-beauty-of-our-worship-in-the-liturgy.html.
«Cari amici, di recente il nostro continuo rinnovamento liturgico nella diocesi di Madison ha provocato un ampio dialogo. Abbiamo fatto notizia perfino a livello internazionale: infatti un blog spagnolo si è occupato della nostra realtà locale. È molto difficile per me pensare che l’attività di un vescovo, che guida la sua diocesi cercando di mettere a punto l’attuazione della corretta interpretazione del Vaticano II, possa diventare una notizia di livello internazionale. Tuttavia la circostanza dice molto del mondo in cui viviamo, nel quale le dimostrazioni di anarchia prevalgono sul ragionevole esercizio dell’autorità legale».
Spiegando poi di voler precisare meglio le sue scelte liturgiche, il vescovo scriveva: «La liturgia, come il culto che lo Spirito Santo ha donato alla sua Chiesa, nelle celebrazioni richiede sempre la bellezza. Dall’implementazione, spesso sbagliata, del Concilio Vaticano II (quasi cinquant’anni fa), sono scaturite molte liturgie meno che belle. A questa affermazione, il nostro paese e la nostra cultura rispondono immediatamente che “la bellezza è negli occhi di chi guarda” e che “tutto è bello a modo suo”. La nostra cultura, che ha cercato di relativizzare tutto ciò che è importante per l’uomo, sostenendo che è la natura umana a non avere una natura, si comporta così anche nel caso della bellezza. Ma la bellezza, dal punto di vista della ragione, non è semplicemente negli occhi di chi guarda. Perché la ragione ci dice che bellezza, bontà, verità e unità sono intercambiabili; quindi, tutto ciò che è bello è anche buono e vero ed esprime unità e armonia».
«La bellezza – scriveva ancora il vescovo – non può mai essere ridotta a indicatore di ciò che piace alla maggioranza della gente da qualche parte. Il fatto che la nostra parrocchia durante la liturgia ami cantare una certa canzone non rende di per sé bella quella canzone. Essere belli, infatti, è essere buoni e veri».
«Bello significa, in primo luogo, incarnare la verità. Alcune delle canzoni che cantiamo durante la liturgia contengono testi che chiaramente non sono veri. Per esempio, la canzone All Are Welcome [Tutti sono benvenuti]».
Questa canzone, spiegava Morlino, fin dal titolo dà l’impressione che la scelta per la Volontà di Gesù Cristo, come ci è pervenuta attraverso la Chiesa, non faccia differenza; ma «nulla potrebbe essere più lontano dalla verità». Si può dunque dire che la canzone Tutti sono benvenuti non è bella in quanto non appropriata all’uso liturgico. Nella liturgia un contenuto deve essere vero perché possa essere bello. E, se è vero, è anche buono.
«Il bello deve incarnare ciò che è vero, ma anche nobilitare la nostra natura umana come fatta a immagine e somiglianza di Dio».
Dobbiamo renderci conto che l’autentica bellezza è legata in modo inscindibile alla verità e alla bontà. «Poiché è la fonte e il vertice delle nostre vite come seguaci di Cristo, la liturgia non deve mai essere nulla di meno che bella, bella in modo tale da evocare il corretto atteggiamento sacramentale di riverenza, bello come si addice alla nostra comunione con tutti gli angeli e i santi».
«Quindi, tutto ciò che faremo nei giorni, nei mesi e negli anni a venire, poiché sarà centrato sulla riverenza a Cristo, nelle celebrazioni liturgiche dovrà essere nientemeno che bello, riflettendo così la perfetta bellezza, l’unità, la verità e la bontà dell’oggetto della nostra adorazione, il Padre, il Figlio e lo Spirito Santo».
«Grazie per aver letto il mio intervento. Dio benedica ognuno di voi! Sia lodato Gesù Cristo!»
Nato il 31 dicembre 1946 a Scranton (Pennsylvania) e rimasto presto orfano di padre, Robert Morlino avvertì una vocazione precoce, grazie anche, raccontava, all’esempio di alcuni sacerdoti e alcune suore.
Ordinato nel 1974 con la Compagnia di Gesù, sette anni più tardi lasciò i gesuiti e fu incardinato come prete diocesano a Kalamazoo (Michigan). Nel 1999 Giovanni Paolo II lo nominò vescovo di Helena (Montana) e nel 2003 di Madison, la diocesi nella quale ha servito fino alla morte.
Nei quindici anni trascorsi a Madison Morlino ha avuto tra le sue priorità, oltre alla liturgia e alla difesa della vita umana dal concepimento, la crescita delle vocazioni sacerdotali. E in effetti durante il suo ministero episcopale le vocazioni sono aumentate in modo significativo, con un andamento sorprendente rispetto all’epoca di crisi.
Quando uscì Amoris laetitia, Morlino ribadì l’insegnamento della Chiesa sul matrimonio e si oppose ai tentativi di cambiamento dottrinale sul tema dell’accesso alla Comunione da parte dei divorziati risposati civilmente. «Solo ciò che è vero – spiegò – può essere in definitiva pastorale».
Durante la crisi dell’estate scorsa dovuta agli scandali sessuali nel clero scrisse alla diocesi una lettera nella quale denunciò l’esistenza « all’interno della gerarchia della Chiesa cattolica di una subcultura omosessuale che sta portando grande devastazione nella vigna del Signore».
Ammonì: non bisogna mai cadere nella trappola di ciò che «la società potrebbe trovare accettabile o inaccettabile». Significherebbe «ignorare che la Chiesa non ha mai ritenuto nulla di tutto questo accettabile: né l’abuso dei bambini, né l’uso della sessualità al di fuori del matrimonio, né il peccato di sodomia».
La diocesi di Madison ha comunicato che i funerali del vescovo Robert Morlino si terranno il 4 dicembre alle ore 11 nella chiesa di Santa Maria Goretti.
Aldo Maria Valli
- IL VESCOVO DI MADISON
Robert Morlino, morte di uno "straordinario ordinario"
Il 24 novembre, in conseguenza di un problema al cuore, è morto all’età di 71 anni il vescovo di Madison (Wisconsin) Robert Morlino, un pastore dalla grande fede e carità, che si è distinto come difensore dell’ortodossia cattolica. I fedeli americani lo chiamavano The Extraordinary Ordinary, perché celebrava Messa nella «forma straordinaria»
Il 24 novembre, in conseguenza di un problema al cuore, è morto all’età di 71 anni il vescovo di Madison (Wisconsin) Robert Morlino, un pastore dalla grande fede e carità, che si è distinto come difensore dell’ortodossia cattolica, non temendo le sottili persecuzioni dell’Occidente contemporaneo. In un clima da secolarizzazione galoppante all’interno della stessa Chiesa, si comprende perché oggi manchi particolarmente ai fedeli americani. «Un santo in mezzo a noi», lo ha chiamato un sacerdote della sua diocesi, padre Richard Heilman, descrivendolo come un nuovo «sant’Atanasio contro il modernismo rampante dei nostri tempi». Lo stesso Heilman lo ha ricordato come «un papà per me e innumerevoli altri», dando l’idea dell’autentica cura pastorale che Morlino aveva per il gregge che gli era stato affidato.
Nato il 31 dicembre 1946 a Scranton (Pennsylvania), era rimasto orfano del padre quando era ancora un adolescente. La chiamata al sacerdozio l’aveva avuta già da bambino, grazie anche all’esempio di «meravigliosi sacerdoti e suore», come lui stesso disse poi in un’intervista ricordando la sua fanciullezza. Ricevette l’ordinazione nel 1974 con la Compagnia di Gesù, da lui lasciata sette anni più tardi, quando venne incardinato come prete diocesano a Kalamazoo (Michigan). Dopo anni di onorato insegnamento della teologia, Giovanni Paolo II lo nominò nel 1999 vescovo di Helena (Montana) e poi, nel 2003, di Madison, diocesi dove quindi ha servito per 15 anni, avendo tra le sue priorità la crescita delle vocazioni sacerdotali.
In effetti, durante il suo ministero episcopale, le vocazioni hanno registrato un deciso incremento, ancor più notevole se si considera l’epoca di crisi. «Ha lavorato molto duramente su questo», testimonia ancora padre Heilman. «Quando fu nominato vescovo di Madison, c’erano 6 uomini che studiavano per il sacerdozio. Nell’ultima metà dei suoi 15 anni i numeri si sono mantenuti intorno ai 30 seminaristi. È uno dei [numeri] pro capite più alti del Paese», alla luce dei circa 270.000 cattolici della diocesi di Madison.
Altra questione prioritaria per Morlino è stata la difesa della vita umana fin dal concepimento, levandosi come una delle maggiori voci del movimento pro life americano. Alle elezioni del 2008 non esitò ad ammonire due pezzi da novanta come i democratici Nancy Pelosi e Joe Biden per il loro sostegno all’aborto, indicandone l’incoerenza «perché loro affermano di essere cattolici». Tre anni dopo, nel giorno di Maria Ausiliatrice, guidò un gruppo di circa 300 fedeli recitando i misteri dolorosi e consacrando un cimitero, a forma di rosario, ai bambini non nati. Nell’omelia si soffermò sul valore della castità e spiegò come la contraccezione e la fecondazione artificiale siano contrarie alla cultura della vita.
Già da questi fatti si capisce perché fosse inviso al laicismo dominante, ma l’apice di questa lotta che lo ha visto impegnato contro lo spirito del mondo, per difendere le verità di fede e di morale, è stato raggiunto probabilmente l’anno scorso. Nel 2017 Morlino ha infatti scritto a tutti i sacerdoti della sua diocesi per ricordare che non si possono celebrare i funerali di peccatori pubblici - come coloro di cui è nota la relazione con persone dello stesso sesso - se sono morti senza manifestare un minimo segno di pentimento. È bastata questa verità, sempre insegnata dalla Chiesa e da lui ribadita con il fine di salvaguardare il bene delle anime (messo sempre più in pericolo da un mondo che neppure accetta di sentir parlare di peccato), per attirargli un’ondata di attacchi da parte della politica e dei grandi media, nonché di migliaia di battezzati che hanno firmato delle petizioni per chiedere la sua rimozione da vescovo.
Attacchi ai quali lui ha risposto ancora da vero pastore, spiegando che «la Chiesa invita tutti a incontrare Gesù Cristo», manifestando vicinanza a coloro che provano un’attrazione omosessuale e cercano di seguire il Signore «sotto una croce tremendamente pesante», verso i quali ogni cristiano deve agire «come Simone di Cirene», cioè «aiutando a portare la loro croce». E poi, rivolgendosi a ogni fedele impegnato in un cammino di conversione, ha esortato a chiedere l’aiuto di Dio così «come sei», ricordando allo stesso tempo che «Gesù Cristo ama troppo ognuno di noi per lasciarci come siamo. Vuole molto di più per te e per me», perché vuole salvarci e farci partecipi della sua gloria, nella verità che «vi farà liberi».
Morlino si è espresso anche su uno dei passaggi più dibattuti di Amoris Laetitia, difendendo la verità sul matrimonio e dicendosi pronto a resistere a qualsiasi tentativo di cambiamento dottrinale sul tema dell’accesso alla Comunione da parte dei divorziati risposati civilmente, chiarendo che «solo ciò che è vero può essere in definitiva pastorale».
In una splendida lettera di 5 pagine alla sua diocesi, pubblicata il 18 agosto di quest’anno (nel pieno della tempesta dovuta agli scandali sessuali del clero), ha dato un altro esempio di cosa significhi dire la verità nella carità. Ha denunciato l’esistenza di «una subcultura omosessuale all’interno della gerarchia della Chiesa cattolica che sta portando grande devastazione nella vigna del Signore», mentre all’esterno si parla genericamente di pedofilia. Nell’analizzare i problemi non bisogna cadere nella trappola di ciò che «la società potrebbe trovare accettabile o inaccettabile» perché questo «significa ignorare che la Chiesa non ha mai ritenuto NULLA di questo accettabile: né l’abuso dei bambini, né l’uso della sessualità al di fuori del matrimonio, né il peccato di sodomia». Ha richiamato la differenza tra peccato e peccatore, che consiste nell’odiare il primo e amare il secondo, aiutandolo a riconciliarsi con Dio attraverso una vita di preghiera e penitenza, di ricerca della santità, alla quale tutti siamo chiamati. Quando pochi giorni più tardi è stata pubblicata la testimonianza di Carlo Maria Viganò, Morlino è stato tra i primissimi vescovi a chiedere un’approfondita indagine sui fatti denunciati dall’ex nunzio apostolico negli Stati Uniti.
I fedeli americani lo chiamavano affettuosamente The Extraordinary Ordinary, perché celebrava Messa nella «forma straordinaria» del rito romano (la cosiddetta Messa in latino); inoltre, nel 2016 aveva annunciato la celebrazione ad orientem(con il sacerdote rivolto verso il tabernacolo) nella forma ordinaria. Da vero amante della liturgia insegnava che essa deve «riflettere la perfetta bellezza, unità, verità e bontà del Padre, del Figlio e dello Spirito Santo». Questo amore e questa tensione verso la Santissima Trinità si potevano già rintracciare nel suo motto episcopale, tratto dal profeta Abacuc: Visus non mentietur (Ab 2, 3). La visione non mentirà.
Ermes Dovico
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